STALKING E VIOLENZA PRIVATA CONCORSO PENALE BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO

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STALKING E VIOLENZA PRIVATA CONCORSO PENALE BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO
STALKING E VIOLENZA PRIVATA CONCORSO PENALE BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO

“è configurabile il concorso tra il delitto di violenza privata e quello di atti persecutori, non sussistendo tra di essi un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell’art. 15 cod. pen., dal momento che il delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen., diversamente dal primo, non richiede necessariamente l’esercizio della violenza e contempla un evento – l’alterazione delle abitudini di vita della vittima – di ampiezza molto maggiore rispetto alla costrizione della vittima ad uno specifico comportamento, che basta ad integrare il delitto previsto dall’art. 610 cod. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che neppure impiegando il criterio della “specialità reciproca per specificazione” potrebbe pervenirsi all’assorbimento del delitto di violenza privata in quello di atti persecutori, sussistendo al più tra le due fattispecie astratte, in ragione di quanto detto, un rapporto di “specialità reciproca per aggiunta”)” (Cass. Sez. 5 Sentenza n. 22475 del 18/04/2019 Ud. (dep. 22/05/2019 ) Rv. 276631. Si vedano anche Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17/11/2020) 14-01-2021, n. 1541).

CYBERSTALKING.
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Cass. pen. n. 1541/2020

In tema di atti persecutori, l’alterazione o il cambiamento delle abitudini di vita, che costituisce uno dei possibili eventi alternativi contemplati dalla fattispecie criminosa di cui all’art. 612-bis cod. pen., non è integrato dalla percezione di transitori disagi e fastidi nelle occupazioni di vita della persona offesa, ma deve consistere in una costrizione qualitativamente apprezzabile delle sue abitudini quotidiane. (Annulla con rinvio, TRIB. LIBERTA’ BARI, 06/07/2020)

 

 

 

Cass. pen. n. 1172/2020

Integra il delitto di atti persecutori la condotta di chi rivolga alla vittima ingiurie quando, per la loro consistenza, ripetitività e incidenza, siano tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito di cui all’art. 612-bis cod. pen., uno degli eventi ivi alternativamente previsti. (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO LECCE, 29/11/2019)

 

avvocato stalking Bologna
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Cass. pen. n. 45376/2019

Al delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis cod. pen., che ha natura di reato abituale, e cioè a condotta plurima, non si applica il principio, proprio dei reati permanenti, secondo il quale, nell’ipotesi di contestazione aperta, il giudizio di penale responsabilità dell’imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell’imputazione originaria, agli sviluppi della fattispecie emersi dall’istruttoria dibattimentale; ne consegue che le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell’imputazione devono formare oggetto di specifica contestazione, sia quando servono a perfezionare o ad integrare l’imputazione originaria, sia – e a maggior ragione – quando costituiscono una serie autonoma, unificabile alla precedente con il vincolo della continuazione. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso che la contestazione in sede cautelare di determinate condotte persecutorie, commesse dall’indagato nell’anno 2018, fosse preclusa dalla condanna di primo grado, riportata dal medesimo, nel 2019, per il delitto omogeneo in danno della stessa vittima, contestato con la formula “dal 2016 ad oggi”).

 

 

 

Cass. pen. n. 27615/2019

L’aggravante prevista dall’art. 612-bis, comma secondo, cod. pen., ha natura oggettiva, fondandosi sulla constatazione della sussistenza di un legame affettivo preesistente o attuale tra l’autore del reato e la vittima, e corrisponde alla “ratio” di punire più severamente l’aggressione proveniente dalla persona in cui la vittima ripone aspettative di tutela e protezione. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto irrilevante il movente della condotta, consistente, nel caso di specie, nella volontà del ricorrente di ottenere la restituzione dell’immobile da lui acquistato, con intestazione alla vittima e da questa abitato).

 

 

 

Cass. pen. n. 26049/2019

Integra l’elemento materiale del delitto di atti persecutori la condotta di chi reiteratamente pubblica sui “social network” foto o messaggi aventi contenuto denigratorio della persona offesa – con riferimenti alla sfera della sua libertà sentimentale e sessuale – in violazione del suo diritto alla riservatezza.

 

 

Cass. pen. n. 22475/2019

E’ configurabile il concorso tra il delitto di violenza privata e quello di atti persecutori, non sussistendo tra di essi un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell’art. 15 cod. pen., dal momento che il delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen., diversamente dal primo, non richiede necessariamente l’esercizio della violenza e contempla un evento – l’alterazione delle abitudini di vita della vittima – di ampiezza molto maggiore rispetto alla costrizione della vittima ad uno specifico comportamento, che basta ad integrare il delitto previsto dall’art. 610 cod. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che neppure impiegando il criterio della “specialità reciproca per specificazione” potrebbe pervenirsi all’assorbimento del delitto di violenza privata in quello di atti persecutori, sussistendo al più tra le due fattispecie astratte, in ragione di quanto detto, un rapporto di “specialità reciproca per aggiunta”).

 

 

Cass. pen. n. 33842/2018

Integrano il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis cod. pen. anche due sole condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la “reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale.

 

 

Cass. pen. n. 18139/2018

In tema di misure cautelari personali, la Corte ha ritenuto legittima l’ordinanza che, oltre a disporre il divieto di avvicinamento all’abitazione e al luogo di lavoro della vittima, ha imposto l’obbligo di mantenere una certa distanza dalla stessa nel caso di incontro occasionale.

 

 

 

Cass. pen. n. 11920/2018

In tema di atti persecutori, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 612-bis, comma secondo, cod. pen. per “relazione affettiva” non s’intende necessariamente la sola stabile condivisione della vita comune, ma anche il legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella vittima aspettative di tutela e protezione.

 

 

 

 

Cass. pen. n. 10111/2018

In tema di atti persecutori, ai fini dell’individuazione del cambiamento delle abitudini di vita, che costituisce uno dei tre possibili eventi alternativi contemplati dalla fattispecie criminosa di cui all’art. 612 bis cod. pen., occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza impugnata che aveva escluso rilevanza penale ai cambiamenti di vita imposti alla vittima, costretta, prima di uscire, ad ispezionare preventivamente dallo spioncino lo spazio comune condominiale antistante l’abitazione per evitare incontri con l’imputata e a controllare la cassetta delle lettere per proteggere il figlio minore dagli scritti osceni ivi inseriti, sempre dall’imputata.

 

 

 

Cass. pen. n. 3087/2018

Le condotte vessatorie poste in essere ai danni del coniuge non più convivente, a seguito di separazione legale o di fatto, integrano il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di atti persecutori, in quanto i vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione permangono integri anche a seguito del venir meno della convivenza. (In motivazione, la Corte ha precisato che il reato previsto dall’art. 612-bis cod. pen. è configurabile solo nel caso di divorzio tra i coniugi, ovvero di cessazione della relazione di fatto).

 

 

 

Cass. pen. n. 57704/2017

Ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che il grave stato d’ansia provocato alla vittima dall’imputato si ricavasse inequivocabilmente dal complesso probatorio risultante ai giudici, al di là della descrizione di esso fornita dalla persona offesa).

 

dal delitto p. e p. dagli artt. 112 n. 4), 612bis co. II c.p., perché, in concorso con il minore (…) con condotte reiterate consistite nelle minacce e molestie sotto indicate, perpetrate tramite applicazioni telematiche, provocava nella mino(…) un perdurante e grave stato di ansia e di paura, ingenerando altresì nella predetta il fondato timore per l’incolumità propria; in particolare: – dapprima contattava sulla rete internet-mediate i profili instagram e facebook “imcuralot” “curatorladv ” e “Taalceha Kypatop ” – la minor (…) Lei/ci. asserendo di essere un “curatore ” operante nell ‘ambito della c. d. “blue whale challenge ” (serie di n. 50 prove quotidiane consistenti in atti di autolesionismo ed altre attività idonee a recare dolore e/o disagio alla persona, sino alla prova conclusiva consistente net suicidio mediante salto nel vuoto dal letto di un edificio); quindi indicava alla medesima plurimi atti di autolesionismo da compiere, concordati con (…) e imposti alla p.o. con frasi quali:

  1. – “se sei pronta a diventare una balena inciditi “yes ” sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per antopunirti”;
  2. – “ti punisco. Non deve passare così tanto tempo”;
  3. – “prendi il rasoio (…) ora ti fai un taglio sotto il piede sinistro e un (aglio sotto il piede destro, un taglio sul palmo della mano destra e un altro sul palmo della mano sinistra e mi invii le foto”;
  4. – “voglio che sul tallone Sinistro invece di farti un graffio ti fai una R “;
  5. – inoltre, reiterava le proprie minacce ed incrementava la propria capacità intimidatoria inviando alla persona offesa un link iti grado di rivelare all (…) l’indirizzo I.P. di connessione della minore ed individuare la sua localizzazione (link creato (…) su richiesta dell (…)) così minacciandola di raggiungerla e di ucciderla qualora emesse interrotto la partecipazione alta “blue whale challenge “.
  6. Con l’aggravante di aver commesso il delitto con il mezzo, telematico e can il concorso del minore (…) nei confronti del quale procede altra A. G. ).
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale Ordinario di Milano

Sezione Nona Penale

Il Giudice, dr.ssa Angela Martone

all’udienza del giorno 19.05.2021 ha pronunciato, dando lettura dei dispositivo, la seguente

SENTENZA

nel procedimento a carico di:

(…) nata a M. (…)vi residente (…) elettivamente domiciliata presso la Comunità “C. V.” a M. in via O. nr. 80

-assente-

Difesa d’ufficio dall’avv. Isabella Cacciari del Foro di Milano

– presente –

IMPUTATA

a) dal delitto p. e p. dagli artt. 112 n. 4), 612bis co. II c.p., perché, in concorso con il minore (…) con condotte reiterate consistite nelle minacce e molestie sotto indicate, perpetrate tramite applicazioni telematiche, provocava nella mino(…) un perdurante e grave stato di ansia e di paura, ingenerando altresì nella predetta il fondato timore per l’incolumità propria; in particolare: – dapprima contattava sulla rete internet-mediate i profili instagram e facebook “imcuralot” “curatorladv ” e “Taalceha Kypatop ” – la minor (…) Lei/ci. asserendo di essere un “curatore ” operante nell ‘ambito della c. d. “blue whale challenge ” (serie di n. 50 prove quotidiane consistenti in atti di autolesionismo ed altre attività idonee a recare dolore e/o disagio alla persona, sino alla prova conclusiva consistente net suicidio mediante salto nel vuoto dal letto di un edificio); quindi indicava alla medesima plurimi atti di autolesionismo da compiere, concordati con (…) e imposti alla p.o. con frasi quali:

– “se sei pronta a diventare una balena inciditi “yes ” sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per antopunirti”;

– “ti punisco. Non deve passare così tanto tempo”;

– “prendi il rasoio (…) ora ti fai un taglio sotto il piede sinistro e un (aglio sotto il piede destro, un taglio sul palmo della mano destra e un altro sul palmo della mano sinistra e mi invii le foto”;

– “voglio che sul tallone Sinistro invece di farti un graffio ti fai una R “;

– inoltre, reiterava le proprie minacce ed incrementava la propria capacità intimidatoria inviando alla persona offesa un link iti grado di rivelare all (…) l’indirizzo I.P. di connessione della minore ed individuare la sua localizzazione (link creato (…) su richiesta dell (…)) così minacciandola di raggiungerla e di ucciderla qualora emesse interrotto la partecipazione alta “blue whale challenge “.

Con l’aggravante di aver commesso il delitto con il mezzo, telematico e can il concorso del minore (…) nei confronti del quale procede altra A. G. ).

In Milano e Palermo, nel mese di maggio 2017 e sino al 1 giugno 2017

b) delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv, 112 il. 4), 610, 339 c.p. perché, in concorso con il minora (…) con più azioni ed in tempi diversi, mediante le minacce sotto descritte ed avvalendosi della forza intimidatrice derivante dall’asserita appartenenza ad un’associazione criminale internazionale costringeva (…) a praticare atti di autolesionismo trasmetterne le fotografie: in particolare, giovandosi del contesto intimidatorio descritto al superiore capo a), indicava alla p.o. plurimi alti di autolesionismo da compiere, concordati con (…) e imposti alla p.o. con frasi quali:

– “se sei pronto a diventare una balena inciditi “yes ” sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti”;

– “ti punisco, non deve passare così tanto tempo”;

– “prendi ii rasoio … ora ti fai un taglio sotto il piede sinistro e un faglio sotto il piede destro, un taglio sul palmo della mano destra e an altro sul palmo della nano sinistra e mi invii le foto”;

– “voglio che sul tallone sinistro invece di farti un graffio ti fai una R”

così costringendo (…) eila ad eseguire quanto richiesto e fornirne prova telatica.

Con l’aggravante di aver commesso il delitto in pile persone riunite, con il concorso del minore (…) nei confronti del quale procede altra A. G.) ed avvalendosi della forza intimidatrice derivante da una associazione segreta (curatori del c.d. “blue whale challenge”).

In Milano e Palermo, nel mese di maggio 2017 e sino al 1 giugno 2017

c) delitto dagli artt. 81 cpv, 112 n. 4), 610, 339 c.p. perché, in concorso con il minore (…) il (…) con pile azioni ed in tempi diversi, mediante le minacce sotto descritte ed avvalendosi della forza intimidatrice derivante dall’asserita appartenenza ad un ‘associazione criminale internazionale. costringeva plurimi soggetti non compiutamente identificati a praticare atti di autolesionismo, assumere condotte pregiudizievoli e trasmetterne le fotografie in particolare: Dapprima contattava sulla rete internet – mediate i profili instagram é facebook “iincurator “, “curatorlady” e “Eameha Kypatop” – i soggetti sotto specificati, asserendo di essere un “curatore” operante nell’ambito della c.d. “blue whale challenge” e individuava la loro localizzazione inviando link in grado di rivelare alla (…) l’indirizzo I.P. di connessione (link del tipo “youtube.ga”, creati da (…) richiesta della (…) così minacciando le pp.oo. di raggiungerle e di ucciderle qualora avessero interrotto la partecipazione alla “blue whale challenge”: – quindi indicava alle medesime pp.oo plurimi alti di autolesionismo da compiere previamente concordati con il (…) quali:

– all’utente canadese “BLADEADDICTION ” imponeva di salire su un luogo sopraelevato, trasmettendo la fotografia a riprova;

– all’utente straniero “SERAPHINA CHIN” imponeva di gettare via gli antidepressivi prescritti, trasmettendo la fotografia a riprova, e visualizzare video psichedelici;

– all’utente “XSUICIDALXSOCIETYX” imponeva di incidersi la parola “ves” sulle gambe;

– all’mente straniero “KEATONM15 ” imponeva di incidersi la parola “f57” sulla mano, trasmettendo la fotografia a riprova

– all’utente “FEDEPAS096” imponeva di auto lesionarsi una mano trasmettendo la fotografia a riprova.

Con l’aggravante di aver commesso il delitto in par persone riunite, con il concorso del minore (…) confronti del quale procede altra A.G.) ed avvalendosi della forza intimidatrice derivante (la una associazione segreta (curatori del c.d. “blue whale challenge “).

In Milano e località sconosciute. nel mese di maggio 2017 e sino al 1 giugno 2017

Persona offesa: PA (…) persona della madre esercente la responsabilità genitoriale (…)

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

STALKING E VIOLENZA PRIVATA CONCORSO PENALE BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO
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Con decreto datato 06.02.19, (…) rinviata a giudizio dinanzi al Tribunale in composizione monocratica, per rispondere dei fatti di cui all’imputazione (atti persecutori e violenze private), come meglio precisati nei capi sopra riportati.

All’udienza del 16.4.2019 è stata dichiarata l’assenza dell’imputata e sono state ammesse le prove come richieste dalle parti.

All’udienza del 19.12.2019 (a seguito di rinvio disposto alla precedente udienza del 18.9.2019), con il consenso delle parti, sono stati acquisiti i supporti informatici contenenti le copie forensi dei dispositivi oggetto di sequestro, nonché l’avviso di accertamenti tecnici non ripetibili, il decreto di dissequestro e restituzione, unitamente al verbale delle operazioni compiute.

All’udienza dell’8.9.2020 è stato sentito come teste E.P. e, con il consenso delle parti, è stato acquisito il verbale di sommarie informazioni testimoniali rese dallo stesso, unitamente agli allegati alle SIT contraddistinti dai nn. di pp. 42 a 51 del foliario del P.M..

All’udienza dell’1.12.2020 sono stati sentiti i testi S.P. (con acquisizione concordata della denuncia-querela sporta dalla teste), l’Ag. Sc. S.L.B. (con acquisizione concordata della relazione del 21.7.2017 redatta dal teste, dell’annotazione di servizio dell’1.6.2017, con relativi allegati, e della relazione del 27.9.2017) e il Vice Ispettore M.T.. Con il consenso delle parti sono state acquisite altresì le annotazioni di servizio del 27.9.2017 e del 3.8.2017 (con i relativi allegati).

All’udienza del 19.5.2021, dichiarata chiusa l’istruttoria dibattimentale e udite le conclusioni rassegnate dalle parti, il Tribunale ha pronunciato la presente sentenza, dando lettura dei dispositivo, con motivazione riservata nel termine di giorni 30.

Ai fini del decidere giova ripercorrere le risultanze probatorie acquisite al dibattimento.

Il presente procedimento trae origine dalla denuncia contro ignoti sporta da S.P. in data 1.6.2017, per fatti da lei appresi nel corso di un’inchiesta giornalistica. La denunciante, sentita come teste in dibattimento all’udienza dell’1. 12.2020, ha confermato quanto precedentemente dichiarato in sede di denuncia, riferendo di essere una giornalista freelance per “Il Giornale Online”, testata per la quale la P., al tempo della denuncia, stava svolgendo un’inchiesta sul fenomeno del c.d. “Blue Whale Challenge”. Volendo approfondire tale tematica, la P. aveva creato due profili social fittizi – sulle piattaforme Instagram e Facebook – utilizzando i nickname “Melissacorbetti” e “melissacorbetti3”. indicando come sua età anagrafica quella di 15 anni e inserendo una propria fotografia con gli hashtag curatorfindme e f57 (la creazione di più profili si era resa necessaria, poiché i social network avevano bloccato gli account creati dall’utente).

il 25.5.2017 la P. era stata contattata da un utente che le scriveva in lingua inglese, presentatosi come “curatore” del gioco, e le chiedeva se volesse giocare, precisando che, se avesse accettato, si sarebbe potuta ritirare quando voleva, mentre con un altro curatore tale scelta avrebbe potuto costarle la vita. La giornalista si dichiarava disponibile a partecipare ai gioco e, in apparenza, acconsentiva a incidersi con un rasoio sull’avambraccio la scritta “F57”. I rapporti con questo primo curatore si erano però interrotti subito dopo, per aver Instagram cancellato il suo account.

Dopo aver creato un altro account con il nickname di “melissacorbetti”, il 26.5.2017 la P. era entrata in contatto con una ragazza italiana (seguita dallo stesso curatore della P., cioè l’utente “bladeaddiction”), per cui aveva iniziato a conversare con lei. La ragazza le aveva spiegato di aver da poco iniziato la “Blue Whale Challenge” e di essere arrivata al secondo giorno di prove, confidandole di chiamarsi “Chiara”, di trovarsi a Milano e di essere triste, in cerca di attenzioni, con pensieri volti al suicidio, per cui si era interessata ai Blue Whale a seguito di un servizio delle “Iene”.

Arrivati al quarto giorno delle prove, “Chiara” confidava alla P. di aver trovato un altro curatore, che l’aveva contatta con il profilo denominato “Omissis”, con il quale dal 28.5.2017 aveva iniziato nuovamente il ciclo di sfide della “Blue Whale Challenge”. Secondo quanto le aveva riferito “Chiara”, questa seconda curatrice, pur avendo un nome russo, era di Milano, si approcciava in lingua italiana, era molto più spietata del precedente curatore “bladeaddiction” e le chiedeva di infliggersi dei tagli sotto i piedi e sulle mani, sollecitandola affinché dai tagli si vedesse fuoriuscire il sangue.

Nel corso delle loro conversazioni, “Chiara” riferiva alla P. gli esiti delle prove, calcolando che sarebbe dovuta morire dopo 45 giorni dall’inizio della sfida e, confidandosi, le rivelava di chiamarsi L.P., di abitare a R. e di avere un profilo Youtube “leilapaglia”, dove pubblicava video amatoriali.

Il 31.5.2017 la P. aveva ricevuto una chiamata vocale su Facebook Messenger, proveniente dai profilo di “Chiara” e, comparando la voce dell’interlocutrice con quella dei video amatoriali presenti sul profilo Youtube di(…) l’aveva riconosciuta nell’odierna persona offesa. Quest’ultima le aveva confessato di vivere a Palermo e di aver fatto la prova n. 3, durante la notte precedente, alle ore 4.20, consistita nel dover guardare un filmato dove erano state raccolte alcune riprese dei suicidi del Blue Whale (filmato reperibile sui profilo del curatore, oltre a un altro video horror con sfondo nero e musiche psichedeliche). Aveva ribadito, infine, di provare un sentimento di paura nei confronti di questo secondo curatore, definendolo “reale” rispetto al precedente curatore “bladeaddiction”.

La mattina dell’ 1.6.2017 (giorno in cui la P. aveva sporto denuncia), “Chiara” le scriveva di avere paura del suo curatore, avendole questi chiesto di procurarsi dei tagli sui palmo delle mani e dei piedi e. insoddisfatto del risultato, l’aveva pressata psicologicamente, intimandole di punirsi in modo più incisivo.

Leila le confessava, altresì, di non poter interrompere il gioco con il nuovo curatore, perché questi aveva scoperto dove abitava e l’aveva minacciata che, se avesse abbandonato il gioco, avrebbe ucciso lei e la sua famiglia.

A tal proposito, la teste ha specificato che, con una modalità a lei ignota, il “curatore” riusciva a sapere l’esatta posizione geografica di Leila, ribadendo che la ragazza aveva effettivamente paura. La teste ha riferito di aver ricevuto dalla minore uno screenshot dove la ragazza di Milano – cioè la curatrice – diceva a Leila che se non avesse dato corso alla prova successiva, “la cosa si sarebbe riversata sulla sua famiglia e sui suoi pareti”.

All’udienza dell’8.9.2020 è stato sentito come testimone E.P., padre della(…) e, con il consenso delle parti, è stato acquisito agli atti il verbale di SIT (con i relativi allegati), rese dal teste alla Polizia Postale di Roma in data 01.06.2017, dichiarazioni interamente confermate dal teste durante l’escussione dibattimentale.

Il padre della p.o. ha dichiarato di aver appreso soltanto la sera dell’1.6.2017 le vicende oggetto del presente procedimento; in particolare era accaduto che, mentre si trovava all’aeroporto di Roma Fiumicino per andare a prendere la figlia L., la Polizia Postale lo aveva contattato chiedendogli di presentarsi presso gli uffici di Trastevere (invito a cui il teste aveva aderito recandosi alla stazione di Polizia assieme alla figlia). Proprio in questa occasione, Leila aveva raccontato al padre che circa una settimana prima era stata contattata via internet da un utente denominato “bladeaddiction” che si era presentato come “curatore” della “Blue Whale challenge”, un gioco che le aveva suscitato una curiosità morbosa, prevedendo 30-40 prove da svolgere. Il curatore le aveva chiesto di partecipare al gioco, iniziando con la prima prova, consistente nell’incidersi la parola “f57” sul braccio. La minore aveva raccontato al padre di essere riuscita a superare la prima prova del gioco, incidendosi con una lama di rasoio la parola sul braccio e inviando delle foto per testimoniare questo fatto al curatore. La seconda prova, anch’essa superata e documentata, era consistita nel tagliarsi per tre volte la clavicola. La ragazza si era, invece, rifiutata o non aveva, comunque, affrontato le successive tre prove (consistenti rispettivamente nel posizionarsi sulle rotaie della ferrovia, nell’incidersi sul braccio la parola “f40” e nell’incidersi la parola “yes” sul ginocchio).

Successivamente Leila aveva preso contatti con un altro curatore tramite il profilo Instagram “imcurator” (che presentava informazioni in russo ma con il quale la minore conversava in italiano). Questo secondo curatore le aveva fatto – nuovamente – incidere sul braccio la parola “f57” e, come prova successiva, le aveva chiesto di svegliarsi alle 4.20 dei mattino per vedere dei filmati, raffiguranti persone che si gettavano nel vuoto, con immagini inframezzate da spettri, demoni e passaggi psichedelici. Le prove erano proseguite con il disegnare una balena su un foglio di carta e con il praticarsi dei tagli sulle piante dei piedi e delle mani, come punizione per non aver risposto in tempo alle richieste del curatore.

Leila si era effettivamente praticata questi tagli e aveva inviato delle foto come prova ai curatore.

Il teste spiegava, inoltre, di non aver avuto, prima della sera dell’1.6.2017, alcuna conoscenza di queste pratiche della figlia, vivendo egli separato dalla madre di Leila, che peraltro dal settembre 2015 si era trasferita da Roma a Palermo. Sulle ferite che la figlia si era autoinflitta, ha dichiarato di aver osservato sul braccio e sulla mano della minore dei piccoli tagli e che, essendo un medico legale, aveva ritenuto i “piccoli esiti cicatriziali discromici di colore violaceo compatibili con ferite da taglio di recente insorgenza”, fotografandoli con il proprio cellulare”.

Infine, ha aggiunto di essere a conoscenza di alcune problematiche psicologiche della figlia, correlate al suo trasferimento a Palermo, per le quali aveva intrapreso un percorso con una psicologa, per poi interrompere gli incontri quando era rientrata a Roma, per andare a vivere con la madre.

A domanda del Pubblico Ministero, il teste ha precisato che, quando aveva chiesto alla figlia quali fossero le motivazioni che l’avevano indotta a partecipare a quel gioco. Leila aveva risposto dicendo di averlo fatto per curiosità, sostenendo che, comunque, si manteneva in un’area di rischio controllato, sebbene la minaccia subita risultasse dalla circostanza “che ovviamente veniva punita se non faceva immediatamente un gesto o un segno”.

A domanda del difensore dell’imputata, in sede di riesame, il teste ha più volte sottolineato che nel corso della conversazione avuta con la figlia la sera dell’ 1.6.2017 aveva percepito “una sorta di timore” da parte della ragazza, precisando che quella era stata l’ultima volta in cui entrambi avevano parlato del Blue Whale.

All’udienza del 1.12.2020 è stato sentito come teste l’Agente della Polizia Postale S.L.B., che ha riferito in ordine all’attività di indagine svolta, soffermandosi sugli accertamenti che avevano condotto all’identificazione dell’odierna imputata: la relazione del 1.6.2017 a firma del teste, nella quale sono compendiati i risultati di tale attività investigativa, è stata acquisita agli atti con il consenso delle partì.

Muovendo dalla denuncia sporta da S.P., gli inquirenti avevano svolto una prima analisi degli account Instagram forniti dalla giornalista, al fine di individuare chi fosse la persona che si celava dietro l’account “Omissis”. Inserendo su Google questo nominativo come chiave di ricerca, l’operante aveva trovato un collegamento all’account Instagram “curatorlady “poi, inoltrando richiesta ai social network Facebook (a cui fa capo la piattaforma Instagram), l’operante aveva acquisito i dati di registrazione dell’account, l’indirizzo email dell’utilizzatore (smillamanson@live.com) nonché l’indirizzo IP di registrazione (151.34.75.185). Attraverso l’utilizzo di quest’ultimo dato era stato possibile risalire a dodici utenze telefoniche mobili alle quali l’indirizzo era stato assegnato (trattandosi di indirizzo IP di tipo NAT). Per restringere il campo di ricerca, quindi, l’agente L.B. aveva cercato sui motori di ricerca l’indirizzo in precedenza ottenuto smillamanson@live.com e si era cosi imbattuto nell’account Instagram “Ragazza Scene”, all’interno del quale veniva indicato un canale Youtube raggiungibile all’indirizzo www.youtube.com/moviechannel96. Incrociando ulteriormente questi dati sul motore di ricerca Google erano stati reperiti elementi, relativi a pagine web non più disponibili in rete ma ancora salvati all’interno dei motore di ricerca, tra i quali figurava il nome di “V.T.-Milano 15.10.1996”. L’operante aveva, quindi, potuto verificare che tale nominativo era presente all’interno dei files log relativi all’account “curatorlady” e che lo stesso risultava associato all’utenza telefonica (…), intestata a V.T. (utenza peraltro ricompresa tra le dodici utenze associate all’indirizzo IP con il quale era stato creato il profilo “curatorlady”). Ulteriori accertamenti sul nominativo, così individuato, avevano consentito di verificare che V.T. risultava risiedere a M., in via S. V. 11, e che la stessa era gravata da precedenti di polizia. Cosi individuato il nominativo di V.T., gli agenti della Polizia Postale si erano recati presso la sua residenza, dove avevano trovato la madre della ragazza; quest’ultima aveva riferito loro che la figlia non era in casa perché si trovava in vacanza da una zia. Successivamente, gli operanti dopo essersi recati all’indirizzo della zia e aver trovato V.T., avevano proceduto al sequestro del suo telefono cellulare al fine di realizzare una copia forense del contenuto dello stesso.

Dall’analisi dei contenuto del telefono (compendiata nella relazione del 21.7.2017 a firma del teste L.B., acquisita agli atti con il consenso delle parti all’udienza dell’1.12.2020), e più in particolare del timeline degli eventi del dispositivo, era emerso che, poco prima della perquisizione del successivo sequestro del telefono, erano stati cancellati numerosi files, gran parte dei quali venivano comunque recuperati attraverso operazioni tecniche.

Tra i numerosi elementi acquisiti, il teste L.B. ha sottolineato che era intercorso uno scambio di messaggi tra la (…) un utente utilizzatore del numero (…) (successivamente identificato (…) presente sulle chat con lo pseudonimo di “O.B.”, sulla cui identificazione ha riferito il teste operante M.T.), nel corso del quale l’imputata gli scriveva “Amore, la Polizia è piombata a casa di mia madre, se vuoi chiamami che ti spiego” e “Salvati almeno tu”. Dalla lettura dell’annotazione a firma del teste si evince come nelle – precedenti – frequenti conversazioni intercorse tra la T. e il M.. questi pianificassero il loro modus operandi in qualità di “curatori” di Blue Whale, discutendo delle prove da far eseguire alle vittime e del modo per non farle desistere dal proseguire il gioco (“Cosa facciamo con lei? Proviamo ancora un po’ a convincerla. Spero che avrà voglia di suicidarsi per me”). In una conversazione del 29.5.2017 i due interlocutori, riferendosi alla persona offesa affermavano; “C’è lei e la sua amica cosa facciamo? una le e una io?”. La volontà di nuocere alle vittime emerge, poi, chiaramente nel seguente passaggio, sempre dei 29.5.2017: “Le prime 3 sfide? che inizio … la faccio andare sulle rotaie del treno. E la faccio stare per un tot tempo prima di levarsi. E con gli auricolari”.

A domanda del PM, volta a chiarire se ci fossero state delle richieste di amicizia provenienti dall’imputata nei confronti di (…) il teste ha precisato che dall’analisi dei dati del telefono sequestrato alla T. “non si evince che lei abbia inviato le richieste di amicizia, quanto che ci fossero già delle conversazioni avvenenti tra le due parti. Richiesto di chiarire alcuni aspetti tecnici dell’attività di indagine, l’agente L.B. ha precisato che sul cellulare della (…) era presente un’applicazione di tipo VPN (cioè un applicativo avente la funzione di mascherare il proprio indirizzo IP) al fine di realizzare una schermatura dell’attività, così da rendere più difficile la propria individuazione. Erano, inoltre, presenti tracce di un “IP Grabber” ovvero di un applicativo in grado di rivelare l’indirizzo IP della persona interessata (e, quindi, la localizzazione geografica del suo utilizzatore), che operava in questo modo: veniva modificato un link di un video in modo tale che chi avesse cliccato sull’indirizzo del video – cioè la persona a cui il link veniva inviato – avrebbe rivelato automaticamente il proprio IP e, quindi, la propria posizione.

Per quanto riguarda i rapporti tra l’imputata e la persona offesa, sul telefono della (…) erano state rinvenute chat e fotografie riguardanti L.P., nonché conversazioni tra la (…) e (…) nelle quali si parlava chiaramente della p.o. e di M.C. (cioè della giornalista sotto copertura, S.P.). In particolare, vi era un passaggio delle chat nel quale l’imputata affermava di aver fatto incidere sul piede della sua vittima l’iniziale del suo nome (“R”), come per fargli un regalo.

A domanda del difensore dell’imputata, il teste ha precisato che per quanto riguardava i video rinvenuti sul telefono della (…) – aventi a oggetto anche atti di suicidio – gli inquirenti non avevano potuto verificare la loro veridicità, al contempo affermando che “quella tipologia di video erano comunque video che giravano da tempo sulla rete internet, però noi personalmente non siamo riusciti ad acclarare se fossero veri o non veri”.

All’udienza del 1.12.2020 è stato sentito come teste il Vice Ispettore della Polizia di Stato M.T., che ha riferito in merito all’analisi del contenuto del telefono cellulare sequestrato all’imputata e, in particolare, sugli scambi intercorsi tra la (…) un altro “curatore”, tale (…) Dall’analisi delle conversazioni tra i due soggetti era emerso che probabilmente M. era stato a sua volta curatore della T. e che, in qualche modo, fungeva da “referente” della stessa, possedendo delle competenze tecniche qualificate, per cui creava i link con l’uso dell'”IP Grabber” (cioè con quel meccanismo che consentiva ai due curatori di individuare la localizzazione geografica delle “vittime” dei gioco del Blue Whale).

M. era in rapporti molto stretti e diretti con la (…) Nelle chat gli stessi dicevano di formare un’ottima squadra, sostenendo che sarebbero riusciti ad attirare tante altre persone di cui poter essere “curatori” e, nel corso delle loro conversazioni, si scambiavano foto delle ferite autoinflitte. Tra queste vi era anche una incisione a forma di “R” praticata sul corpo (dove la lettera rappresentava un regalo fatto a R.M., trattandosi dell’iniziale del suo nome). Dal materiale presente sul telefono della T. erano emersi numerosi riferimenti a L.P. (screenshot di conversazioni, foto inviate dalla p.o. alla T., conversazioni tra i due curatori aventi a oggetto la P. e il link da creare per localizzare la sua posizione). All’interno delle chat tra (…) e (…) figurava anche una foto raffigurante un piede con l’incisione di una lettera “R”, cui seguiva il commento della T.: “quella ritardata ha paura del sangue… .fare, guarda il sinistro punto … Gli avevo detto sulla pianta uff … E avrei voluto una bella R sanguinante … Ti avrei voluto regalare una testa. Ma purtroppo non decapito ancora le persone “. Nella specie, si trattava della medesima foto poi rinvenuta sul cellulare delia persona offesa.

il inizialmente noto soltanto con il nickname di “O.M.”, era stato poi compiutamente identificato attraverso l’acquisizione dei file di log, da questi ricavando l’indirizzo IP utilizzato dall’utente e, cosi, risalendo all’abitazione della famiglia del ragazzo, per giungere infine ad identificare (…)

Dalla lettura del report della copia forense del telefono cellulare sequestrato alla T., nonché dall’annotazione di PG del 21.7.2017, emerge come quest’ultima, in qualità di “curatore” abbia interagito con L.P.. All’interno dell’account curatrice@libero.it (associato al dispositivo oggetto di sequestro) sono presenti due notifiche di Facebook che danno conto della ricezione di due messaggi su Messenger da parte di (…) sono, inoltre, presenti screenshot di alcune chat intercorse su Messenger con la p.o.. In un passaggio di conversazione tra la T. e M. la prima riferisce al secondo: “Sai una cosa? questa ragazza del Canada e questa ragazza di Palermo sono amiche su Instagram. E oltrelutto è l’unica amicizia che hanno su Instagram … poi ripensando a quando quella di Palermo ha cliccato il link che ti risultava anche l’Inghilterra … cosa succede? come fanno a conoscersi? Ascolta, parlando di cose serie, quella ragazza di Palermo visualizza ma non risponde da un giorno e un altro ragazzo anche, cosa dovrei fare? Minacciarli? invece quella del Canada procede bene”. Tra gli screenshot analizzati sono risultati altresì presenti tracce del servizio IP logger riguardanti un utente geolocalizzato a Palermo con indirizzo IP 87.20.168.7.

Oltre ai contatti co(…) l’analisi del contenuto del cellulare sequestrato alla (…) ha consentito di rilevare come la stessa operasse in qualità di “curatore” nei confronti di altri soggetti, alcuni dei quali probabilmente residenti all’estero (essendo le conversazioni intercorse per lo più in lingua inglese), che è stato possibile individuare solo attraverso i nickname, senza tuttavia riuscire a risalire alle reali identità fisiche. In particolare, sono stati individuati gli utenti di seguito meglio specificati.

– Utente “Bladeaddiction”: dalle chat intercorse tra la T. e il M. si evince come “Bladeaddiction”, inizialmente vittima del “Blue Whale Challenge”, avesse deciso in seguito di non voler più partecipare alle sfide, preferendo a sua volta diventare curatrice. (…) chiedeva quindi all ‘”O.M.” un collegamento da far visualizzare all’utente per poter acquisire il suo indirizzo IP (“Devo spaventarla se no mi scappa”).Il (…) effettivamente forniva il link richiesto e la (…) riusciva nell’intento di intimorire la vittima, richiedendole di fare le altre sfide del gioco. In occasione di una delle sfide la vittima – come documentato da una foto associata agli screenshot delle conversazioni intercorse tra Bladeaddiction e la (…) veniva indotta ad arrampicarsi su un posto sopraelevato, per poi chiedere al curatore di poter scendere, essendo spaventata.

Utente “Seraphina Chin”: si tratta di un’utente straniera, che sembra seguire una terapia medica di tipo antidepressivo. Alla vittima veniva chiesto se assumesse farmaci e, alla risposta “Prendo antidepressivi e pillole per dormire e per l’ansia “, le veniva detto di non assumerle più e di buttarle, cosa che la vittima faceva, pur scrivendo “Ma poi non riuscirò più a dormire”. Quando la vittima diceva di non voler più partecipare al gioco, la stessa veniva minacciata, dicendole che i curatori sapevano dove si trovasse, in tal modo convincendola a riprendere il gioco – Utente “xsuicidalxs0cietyx”: quest’utente in un primo momento aveva cercato un curatore inserendo sul suo profilo l’immagine di una balena, per poi iniziare a ricevere ordini dalla (…) avvertendola di non poter uscire di casa, essendo rinchiusa per aver in precedenza tentato il suicidio, ma proponendo al curatore di potersi tagliare, nonché di saltare da un edificio. La (…) rispondeva dicendo “Ok ok, l’importante è che tu ti possa tagliare e buttare”, dicendole di incidersi sulla gamba la parola “Yes”. Sul telefono dell’imputata sono state rinvenute fotografie con tale scritta incisa, ma non è stato possibile ricollegarle con certezza alla conversazione appena descritta.

– Utente “Keatonm15”: di questo utente risultano solo alcune tracce negli avvisi di Facebook e uno screenshot con la scritta “f57” incisa sulla mano.

– Utente “fedepasq96”: risulta che l’utente abbia inviato una foto ritraente un atto di autolesionismo sulla propria mano e l’analisi degli screenshot consente di riscontrare delle conversazioni con l’imputata.

Sempre sul telefono cellulare di (…) sono state rinvenute svariati files immagini, video e audio legati al fenomeno del Blue Whale, tra i quali emergono delle foto di ferite infette da soggetti sconosciuti e regole relative ai gioco.

Nel corso dell’istruttoria, con il consenso delle parti, sono stati acquisiti, in sintesi, i seguenti atti del fascicolo del PM:

– verbale di denuncia-querela resa da S.P. in data 01.06.2017;

– verbale di Sit rese da E.P. in data 01.06.2017;

relazione di servizio dell’ 1.6.2017, inerente alle operazioni poste in essere per identificare (…)

– annotazione di PG del 21.7.2017, inerente l’analisi del contenuto del telefono cellulare sequestrato a (…)

– verbale di perquisizione e relativa annotazione di PG del 3.8.2017, effettuata a carico di (…) con sequestro dei seguenti dispositivi: telefono cellulare Samsung Galaxy Core Plus contenente microsd HC Kingstone 4 GB e Notebook Asus E402S contenente hard disk da 32 Gb;

– verbale di ispezione delegata del 3.8.2017 a carico di R.M.:

– verbale di SIT rese da V.M. il 3.8.2017;

– verbale di SIT rese da R.M. il 3.8.2017;

annotazione di P.G. del 24.7.2017 e verbale di ispezione informatica a carico di M.R.;

– verbale di spontanee dichiarazioni rese da M.R. il 3.8.2017;

– richiesta tabulati di traffico telematico relativo all’indirizzo IP 188.216.20.44;

– annotazione del 20.7.2017 inerente all’analisi del contenuto del telefono Apple Iphone 7 appartenente (…) con allegati 1, 2, 3 e 4;

– annotazione di PG dei 27.9.2017 inerente all’analisi del contenuto del materiale informatico sequestrato (…)

Del contenuto dei primi quattro atti qui elencati si è già dato sinteticamente conto, soffermandosi, in particolare, sull’escussione dibattimentale dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni in fase di indagine, poi interamente confermate e precisate nel corso dell’esame testimoniale (cioè S.P. ed E.P.) e degli operanti che hanno proceduto all’identificazione di (…)

(cioè gii operanti L.B. e T.); viceversa, il contenuto degli altri atti, acquisiti con il consenso delle parti, viene di seguito riassunto, per quanto di rilevo ai fini del decidere.

Dall’analisi del contenuto del telefono cellulare Apple iphone 7, appartenente a (…) sono emersi numerosi riscontri alle dichiarazioni rese in dibattimento dai testi E.P. e S.P..

Sono, infatti, presenti numerose conversazioni tra la p.o. e l’utente “M.C.” (nickname impiegato dalia giornalista sotto copertura S.P.), intercorse tra il 29.5.2017 e l’1.6.2017, dalle quali si riscontra che (…) era effettivamente in contatto con la giornalista, essendo entrambe coinvolte nella Blue Whale Challenge e avendo, peraltro, condiviso per un periodo il medesimo curatore “bladeaddiclion”.

In alcuni passaggi delle conversazioni Leila auspica di poter scoprire tutte le sfide del gioco insieme a M., cosi da diventare a loro volta curatrici, aggiungendo però subito dopo “Solo che io non voglio fare male agli altri… Gli altri meritano di vivere”. In uno scambio di messaggi del 31.5.2017 Leila dice a M. “Mi ha fatto vedere dei video angoscianti. Erano troppo spaventosi”. Quando M. le chiede come ha fatto il curatore a scoprire la sua localizzazione, Leila risponde “Non lo so sinceramente. Comunque… la mia psicoioga mi ha spiegato che se non mi fa ritirare io posso denunciarla per stalking, per istigazione al suicidio e per essere complice di questa challenge illegale Alla domanda di M. per sapere se avesse detto al curatore di non avere paura e che avrebbe raccontato tutto ai suoi genitori, Leila aveva risposto: “Preferisco dirglielo che morire per un gioco. Se mi devo suicidare me ne voglio andare dignitosamente”.

In una conversazione del 31.5.2017 Leila contatta M., dicendole:

31/05/2017 21:19:17(UTC+0), (…) (lella paglia)

Meli

31/05/2017 21:19:26(UTC+0), (…) (L.P.)

Sto per piangere ti prego aiutami

31/05/2017 21:19:38((UTC+0), (…) (L.P.)

Ho paura

31/05/2017 21:19:41(UTC+0), (…) (L.P.)

Mi sento male

31/03/2017 21:20:09(UTC+0), (…) (M.C.)

Cosa succede?

31/05/2017 21:20:35(UTC+0), (…) (L.P.)

La curatrice mi ha detto di fare una sfida misteriosa, io ho visto ora il messaggio e le ho risposto solo adesso

31/05/2017 21:21:09(UTC+0), (…) (L.P.)

E lei mi ha detto che visto che non le ho risposto ed è passalo molto tempo mi deve punire

31/05/2017 21:21:17(UTC+0), (…) (L.P.)

E mi ha chiesto di prendere il rasoio

31/05/2017 21:21:46(UTC+0), (…) (M.C.)

Per prima cosa stai tranquilla

31/05/2017 21:21:57(UTC+0), (…) (M.C.)

Seconda cosa

31/05/2017 21:21:59(UTC+0), (…) (L.P.)

Nono ho paura

31/05/2017 21:22:01(UTC+0), (…) (L.P.)

Mi sento male

31/05/2017 21:22:06(UTC+0), (…) (L.P.) lo non voglio farlo

31/05/2017 21:22:06(UTC+0), (…) (M.C.)

Se non vuoi tagliarli non farlo

31/05/2017 21:22:14(UTC+0). (…) (L.P.)

Non mi voglio più tagliare basta

31/05/2017 21:22:23(UTC+0), (…) (L.P.)

E come faccio però?

31/05/2017 21:22:36(UTC+0), (…) (M.C.)

Devi fare finta in qualche modo

La conversazione poi prosegue:

31/05/2017 21:42:26(UTC+0), (…) (L.P.)

Mi fa fare delle cose assurde

31/05/2017 21:45:20(UTC+0), (…) (M.C.)

Cioe?

31/05/2017 21:45:31(UTC+0), (…)6 (M.C.)

Cosa ti ha dello?

31/05/2017 21:46:23(UTC+0), (…) (L.P.)

Mi ha detto di farmi un taglio su tutti e due i piedi e su tutte e due i palmi delle mani

31/05/2017 21:46:29(UTC+0), (…) (L.P.)

E stato bruttissimo

31/05/2017 21:46:39(UTC+0), (…) (M.C.)

E tu li hai fatti?

31/05/2017 21:47:15(UTC+0), (…) (L.P.)

Ovviamente sulle mani, essendoci la pelle morta e anche sui piedi non esce sangue e lei mi diceva di fare uscire sangue e mi ha detto che i miei tagli erano come graffi di gatto

31/05/2017 21:47:39(UTC+0), (…) (M.C.)

Ma veramente?

31/05/2017 21:47:49(UTC+0), (…) (M.C.)

M tu li hai fatti sul serio?

31/05/2017 21:48:00(UTC+0), (…) (L.P.)

Si, e ha detto che questa sfida era una sfida che poteva scegliere lei

31/05/2017 21:48:05(UTC+0), (…) (L.P.)

Cerio

31/05/2017 21:48:11(UTC+0), (…) (M.C.)

Mamma mia

31/05/2017 21:48:15(UTC+0), (…) (L.P.)

Come avrei dovuto fare

31/05/2017 21:48:26(UTC+0), (…) (L.P.)

Davvero questa challenge ti porta alla depressione

31/05/2017 21:48:2 7(UTC+ 0), (…) (M.C.)

Comunque ho provato a cercarla ma non la trvo

31/05/2017 21:48:35(UTC+0), (…) (M.C.)

Inviami il nome giusto

31/05/2017 21:48:36(UTC+0), (…) (L.P.)

Mi sento sempre peggio

31/05/2017 21:48:44(UTC+0), (…) (L.P.)

Basta devo smettere di giocare

Nel corso della conversazione con M.C., Leila aveva detto più volte di aver paura, sostenendo che non avrebbe mai dovuto rispondere a questo secondo curatore. Sollecitata dalla C., Leila aveva inviato uno screenshot con il nome in russo del curatore per scoprirne l’identità allo scopo di denunciarlo alla Polizia Postale. La conversazione si era conclusa con altre manifestazioni di paura della p.o.:

31/05/2017 22:10:13(UTC+0), (…) (L.P.)

Comunque meli, sto per piangere… ho paura, non voglio più continuare

31/05/2017 22:10:41 (UTC-+0), (…) (L.P.)

Anche perché da domani fino a lunedi io sarò a Roma e non posso fare le sfide anzi non portò nemmeno risponderle

31/05/2017 22:10:50(UTC+0), (…) (L.P.)

Non so come fare, questa mi uccide.

31/05/2017 22:11:08(UTC+0), (…) (L.P.)

Sto piangendo

31/05/2017 22:11:12(UTC+0), (…) (L.P.)

Ho fatto un casino

31/05/2017 22:15:46(UTC+0), (…)

Sempre dall’analisi del contenuto del telefono cellulare Apple Iphone 7, appartenente a L.P., sono emerse le conversazioni tra la p.o. e il curatore “Omissis ” (soggetto poi identificato dagli inquirenti in V.T.).

Alle ore 2.21 del 31.5.2017 Leila aveva scritto al curatore dicendogli di essere sveglia e di aspettare i video, ricevendo la risposta “Ok eccoti devi aspettare”. Nel pomeriggio dello stesso giorno, alle 16.23 il curatore le aveva detto che doveva fare un’altra sfida “Se sei pronta a diventare una balena inciditi YES sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti” : all’osservazione della p.o. di aver già svolto questa prova con il precedente curatore, il nuovo curatore le aveva risposto che doveva ripetere nuovamente la sfida, aggiungendo “Con me devi farlo. Ti devi tagliare molte volte. Per punirti”. Poco dopo, alle 17.12, Leila aveva inviato al curatore una foto del taglio autoinflitto in precedenza con il precedente curatore dicendo ” Usciva molto sangue e ho dovuto tenerlo molto tempo sotto un fazzoletto e per questo si è già formata la crosta” Avendo Leila già compiuto questa sfida con il precedente curatore, la (…) le aveva detto che avrebbe dovuto fare la prova successiva, “una sfida misteriosa”. La conversazione proseguiva in questo modo:

31/05/2017 21:16:47(UTC + 0), (…) (Omissis)

Ora mi rispondi??

31/03/2017 21:17:09(UTC+0), (…) (L.P.)

Scusa non ho potuto rispondere, perdonami

31/05/2017 21:17:17(UTC+0), (…) (Omissis)

Facciamo questa sfida ora

31/05/2017 21;17:23(UTC+0), (…) (Omissis)

Ti punisco

31/05/2017 21:17:36(UTC+0), (…) (Omissis)

Non deve passare così tanto tempo

31/05/2017 21:18:01(UTC+0), (…) (L.P.)

Mi dispiace, io avrei voluto rispondere. Ti prego, ma i miei genitori non mi fanno usare il telefono a tavola

31/05/2017 21:18:13(UTC+0), (…) (L.P.)

Non accadrà mai più

31/05/2017 21:18:26(UTC+0), (…) (L.P.)

Chiedo scusa ancora…

31/05/2017 21:18:26(UTC+0), (…) (Omissis)

Ok va bene prendi il rasoio

31/05/2017 21:18:32(UTC+0), (…) (L.P.)

Okay

31/05/2017 21:20:38(UTC+0), (…) (Omissis)

Ce l’hai pronto?

31/05/2017 21:21:23(UTC+0), (…) (L.P.)

Si

31/05/2017 21:22:34(UTC+0), (…) (Omissis)

Ok dato che questa sfida la posso scegliere io…ora ti fai un taglio sotto il piede sinistro e un taglio sotto il piede destro, un taglio sul palmo della mano destra e un altro sul palmo della mano sinistra e mi invii le foto.

Dopo che Leila aveva inviato alla T. una foto del taglio, quest’ultima si mostrava insoddisfatta del risultato, dicendole “Ti ha graffiato il gatto? Voglio un taglio vero … Voglio che sul tallone sinistro invece di farti un graffio fai una R … Non voglio che ti tagli profondamente, voglio solo che esca sangue”. Leila aveva quindi inviato una foto dell’incisione della lettera “R” e, rassicurata sul buon esito della prova, aveva comunicato al curatore di aver visto i video e di averli trovati “molto angoscianti, mi hanno messo molta ansia”.

In uno scambio di messaggi avvenuto l’1.6.2017, quando Leila mostrava preoccupazione dicendo di dover stare a Roma per sette giorni e di essersi dimenticata le lamette, la (…) la aveva invitata a comprarle.

Dall’analisi del contenuto del cellulare della persona offesa sono emerse anche tre note/appunti: nella nota del 29.5.2017 si legge “Giorni di vita 50”, mentre nelle note del 4.1,2017 e dell’8.9.2016, intitolate “Morirò molto presto”, si colgono elementi dai quali è chiaramente percepibile un forte stato di disagio della minore (“Sto male … Vi faccio schifo, sapete…anche io mi faccio schifo”).

Anche i dati attinenti alle ricerche, effettuate da Leila sui vari motori di ricerca, rivelano sia un notevole interessamento per la “Blue Whale Challenge” sia, al contempo, la volontà di ritirarsi dalla sfida, come si ricava da alcune chiavi di ricerca inserite quali “dimmi solo quale sfida devo fare per ritirarmi … posso fare la prossima sfida? … blue whale regole”.

All’interno del telefono sono state inoltre rivenuti numerosi file immagine.

Tra questi vi sono gli screenshot delle conversazioni Instagram tra Leila e il profilo “imcurator” (persona successivamente identificata in (…) dalle quali emerge come fosse stata la T. ad aver contattato la p.o. chiedendole se volesse giocare. Nel corso della conversazione Leila manifestava l’intenzione di abbandonare il suo precedente curatore, che era stato a sua volta curatore di una sua amica, chiedendo a “imcuator” se entrambe potessero giocare con lui, richiesta alla quale la (…) aveva risposto affermativamente, dicendo che conosceva un altro curatore con cui l’amica avrebbe potuto giocare.

Sempre sulla memoria del telefono sono state rinvenute numerose immagini ritraenti una ragazza con un coltello in mano, avambracci incisi in modo più o meno profondo con una lametta da barba, una ragazza con una lametta da barba in mezzo alle labbra, l’incisione della lettera “R” su un piede, alcune incisioni all’altezza della clavicola, dei tagli praticati sui palmi delle mani.

Venendo alla posizione di (…) (la cui attività risulta rilevante con particolare riferimento alle contestate aggravanti di cui all’art. 112 n. 4 c.p.), come si è già detto, inizialmente noto soltanto con il nickname di “O.M.”, è stato successivamente identificato compiutamente attraverso l’acquisizione dei file di log, così da risalire all’indirizzo IP utilizzato dall’utente e quindi all’abitazione della famiglia, arrivando infine ad essere identificato in (…).

In merito alle operazioni di identificazione, il 1.8.2017 Vodafone Italia, in risposta alla richiesta di esibizione dei tabulati di traffico telematico formulata con decreto n. 25653/17 della Procura della Repubblica di Milano, comunicava che il dispositivo da cui era partito il flusso di dati riferito all’indirizzo IP 188.216.20.44 risultava intestato a V.M., residente in via J. 18 M..

Il 3.8.2017 V.M., madre di (…) ha reso spontanee dichiarazioni alla Polizia Postale, affermando che l’utenza cellulare n. (…) era in uso a suo figlio (…), il quale in precedenza aveva un notebook.

Il 3.8.2017 R.M., sorella di (…), ha reso spontanee dichiarazioni alia Polizia Postale, affermando che l’utenza cellulare n. (…) era in uso a suo fratello R., aggiungendo “che nel periodo aprile-maggio 2017 R. le aveva confidato che aveva notato l’esistenza di gruppi, attivi sul social network VK, formati da persone che affrontavano la tematica del Blue Whale”.

Del telefono cellulare associato alla citata utenza, posto sotto sequestro, è stata realizzata una c.d. copia forense, il cui contenuto è stato analizzato dagli inquirenti nell’annotazione di P.G. del 27.9.2017, acquisita agli atti con il consenso delle parti all’udienza dell’1.12.2020.

Per quanto d’interesse nel presente procedimento, dall’analisi del dispositivo sono emersi svariati elementi di riscontro alla prospettazione accusatoria, essendo presenti numerose fotografie ritraenti (…) (probabilmente inviate dalla stessa, a giudicare dal tenore delle foto), altre ritraenti atti di autolesionismo o immagini di carattere spiccatamente violento (delle quali non è stato però possibile determinare l’origine). Numerose sono poi le conversazioni tra il M. e l’imputata, la maggior parte delle quali aventi per oggetto il fenomeno del Blue Whale e. più in particolare, la gestione di “vittime” in qualità di curatori.

Il 3.6.2017 M. aveva ricevuto un messaggio dal numero (…) (poi scoperto appartenere a O.P., zia di (…) con scritto “Ciao sono Vale, La polizia mi è piombata in casa, sono sta denunciata non so come andrà a finire. Mi è stato portato via il telefono e PC… proteggiti almeno tu ciao. Non rispondere ciao”.

Tra le immagini recuperate vi sono anche alcuni screeenshot di conversazioni intercorse tra M. e un profilo denominato “eroinadellaneve” che si presenta al suo interlocutore come V., affermando “C’è una bambina di 12 anni che conosco poco che vuole morire e giocare e io vorrei aiutare a farlo, vorrei vederla morire”. In un altro messaggio, rivolto a M., la (…) commentando una foto che risulta essere inviata dall’utente – summenzionata – “Seraphina Chin”, scriveva “Dobbiamo sterminare questa spazzatura dalla nostra società”.

Prima di concentrare l’attenzione sull’analisi del materiale probatorio raccolto, occorre fare una breve premessa sul contesto generale nel quale le condotte dell’odierna imputata si inseriscono, cioè sulla c.d. “Blue Whale challenge”, senza tuttavia perdere di vista – e ai fine di meglio inquadrare – l’oggetto del presente giudizio, cioè le condotte individualmente poste in essere dall’imputata e la loro concreta rilevanza penale.

Come è emerso da quanto puntualmente riferito in dibattimento dalla giornalista S.P. e dal padre della p.o. E.P., la c.d. “Blue Whale Challenge” consiste in un “gioco” online, nato probabilmente in Russia tra il 2015 e il 2016, che si è diffuso anche in altri Paesi, consistente in una serie di 50 “sfide” a carattere autolesionistico, culminanti con il suicidio del giocatore. La dinamica del gioco vede due soggetti partecipi, un “giocatore” e un “curatore”. Il primo, essendo in qualche modo venuto a conoscenza del gioco e volendo parteciparvi, fa in modo di farsi contattare da un “curatore” inserendo sul proprio profilo Facebook o Instagram alcuni hashtag (cioè un tipo di tag utilizzato su alcuni servizi web e social network come aggregatore tematico, la cui funzione è di rendere più facile pei gli utenti la possibilità di trovare messaggi su un tema o contenuto specifico), quali ad esempio “I’m a blu whale” o “Curatorfindme”, in modo tale che il curatore possa facilmente reperire le persone interessate a partecipare alla sfida. Il secondo, presentandosi come “curatore”, guida il giocatore nella serie di sfide autolesionistiche, dando al giocatore specifiche istruzioni su quali atti compiere e su come realizzarli, atti che dovrebbero culminare con il suicidio del giocatore. Questa è la lista – reperita tra i contenuti multimediali del telefono cellulare sequestrato all’imputata – delle 50 prove a cui i giocatori della Blue Whale challenge dovrebbero sottoporsi:

1- Incidetevi sulla mano con il rasoio “f57” e inviate una foto al curatore

2 – Alzatevi alle 4.20 del mattino e guardate video psichedelici e dell’orrore che il curatore vi invia direttamente

3 – Tagliatevi il braccio con un rasoio lungo le vene, ma non tagli troppo profondi. Solo tre tagli, poi inviate la foto al curatore

4 – Disegnate una balena su un pezzo di carta e inviate una foto al curatore

5 – Se siete pronti a “diventare una balena” incidetevi “yes” su una gamba. Se non lo siete tagliatevi molte volte. Dovete punirvi

6 – Sfida misteriosa

7 – Incidetevi sulla mano con il rasoio “f57” e inviate una foto al curatore

8 – Scrivete “i_am_whale” nel vostro status di VKontakte (VKontakte è il Facebook russo, ndr)

9 – Dovete superare la vostra paura

10 – Dovete svegliarvi alle 4.20 del mattino e andare sul tetto di un palazzo altissimo

11 – Incidetevi con il rasoio una balena sulla mano e inviate la foto al curatore

12 – Guardate video psichedelici e dell’orrore tutto il giorno

13 – Ascoltate la musica che vi inviano i curatori

14 – Tagliatevi il labbro

15 – Passate un ago sulla vostra mano più volte

16 – Procuratevi del dolore, fatevi del male

17 – Andate sul tetto del palazzo più allo e state sul cornicione per un po’ di tempo

18 – Andate su un ponte e state sul bordo

19 – Salite su una gru o almeno cercate di farlo

20 – Il curatore controlla se siete affidabili

21 – Abbiate una conversazione “con una balena” (con un altro giocatore come voi o con un curatore) su Skype

22 – Andate su un tetto e sedetevi sul bordo con le gambe a penzoloni

23 – Un’altra sfida misteriosa

24 – Compito segreto

25 – Abbiale un incontro con una “balena”

26 – Il curatore vi dirà la data della vostra morte e voi dovrete accettarla

27 – Alzatevi alle 4.20 del mattino e andate a visitare i binari di una stazione ferroviaria

28 – non parlate con nessuno per tutto il giorno

29 – Fate un vocale dove dite che siete una balena

dalla 30 alla 49 – Ogni giorno svegliatevi alle 4. 20 del mattino, guardate i video horror, ascoltate la musica che il curatore vi mandi, fatevi un taglio sul corpo al giorno, parlate a “una balena “

50 – Saltate da un edificio alto. Prendetevi la vostra vita.

Come si ricava dalla lettura di tale lista e come si evince anche dal materiale probatorio acquisito (in particolare, si confronti il contenuto delle conversazioni intercorse tra la (…) e M.C./S.P. e tra Leila e la (…)), si tratta di “sfide” dal contenuto alquanto fluido, che lasciano notevole spazio al curatore nella somministrazione del compito al giocatore, sia per l’ordine delle prove sia per l’oggetto delle stesse, spesso ripetitivo.

Questi, dunque, i tratti essenziali del fenomeno “Blue Whale” inteso nella sua generalità, che si è ritenuto di enucleare brevemente per una migliore comprensione dei fatti in contestazione. Con la doverosa precisazione che si tratta di mere “coordinate” interpretative, utili a fornire una chiave di lettura dei fatti in contestazione. Ciò proprio perché, limitatamente a quanto emerso nell’istruttoria dibattimentale e per quanto rileva ai fini del presente giudizio, la c.d. “Blue Whale Challenge” non pare avere i connotati di una stabile associazione di persone realmente esistente, ma sembra piuttosto atteggiarsi quale fenomeno sociale spontaneo sviluppatosi per emulazione, senza che vi sia un coordinamento a monte da parte di soggetti determinati. In altre parole-calando la riflessione generale appena svolta nella fattispecie concreta oggetto di giudizio – non vi è alcun elemento che faccia supporre una forma di coordinamento tra i soggetti “curatori”; anzi, emerge com (…), (…) e anche l’utente “bladeaddiction” si siano auto-attribuiti il ruolo di curatore, lasciando però intendere ai giocatori/vittime che un simile coordinamento esistesse.

Così fornito un sintetico inquadramento generale del fenomeno “Blue Whale”, può passarsi alla disamina del materiale probatorio acquisito, dal quale emerge oltre ogni ragionevole dubbio la sussistenza dei fatti contestati all’imputata nonché la loro attribuibilità alla stessa, cosicché può dirsi provata la sua penale responsabilità in relazione fatti a lei contestati, per le ragioni che qui di seguito verranno illustrate.

Una necessaria premessa concerne la composizione del materiale probatorio posto a fondamento della decisione.

Come si è già detto, a dare impulso all’indagine, che ha poi originato il presente procedimento, è stata la denuncia della giornalista S.P. che, agendo in rete come “giornalista sotto copertura” per indagare sul fenomeno del Blue Whale, era entrata a contatto con (…) avendo constatato dalle chat intercorse con la ragazza un forte stato d’ansia della stessa e, preoccupata che Leila potesse compiere atti autolesionistici particolarmente gravi, aveva deciso di riferire alle FF.OO. quanto appreso sino a quel momento, segnalando anche il nome del curatore della ragazza, successivamente identificato nell’odierna imputata. Dopodiché, la Polizia Postale aveva contattato il padre della p.o. che, sentito a sommarie informazioni, aveva riferito agli inquirenti quanto poco prima raccontatogli dalla stessa figlia. Erano poi seguite ulteriori attività di indagine, del cui contenuto si è già dato conto.

A ben vedere, dunque, tra il materiale probatorio acquisito non vi sono dichiarazioni dirette della persona offesa, né in fase di indagini né in quella dibattimentale.

A parere del Tribunale, ciò non influisce in alcun modo né sul rispetto delle garanzie e dei diritti della difesa, né sulla granitica compattezza dell’impianto accusatorio, pienamente riscontrato e oltremodo completo ed esaustivo, essendosi delineato un quadro probatorio caratterizzato da prove dichiarative e documentali che conducono univocamente ad affermare la responsabilità penale di (…) oltre ogni ragionevole dubbio.

Innanzitutto, si rileva come, neppure astrattamente, potrebbe darsi una menomazione dei diritto della difesa a confrontarsi con dichiarazioni accusatorie indirettamente provenienti dalla persona offesa, posto che la stessa difesa, in sede di formulazione delle richieste di prova, non ha ritenuto di dover sentire la p.o. sui fatti di causa. Peraltro, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, a seguito del consenso prestato dalle parti all’acquisizione dei verbali di SIT rese da S.P. e da E.P.- verbali contenenti dichiarazioni indirette della P.O. L.P. – la difesa non ha ritenuto necessario ascoltare il teste di riferimento ex art. 195 c.p.p.. A tal proposito, va ricordato come costituisca principio pacifico in giurisprudenza quello per cui “sono utilizzabili, senza alcuna violazione dell’art. 195, comma primo, cod. proc. pen., le dichiarazioni “de relato” qualora nel giudizio di primo grado la difesa non si sia avvalsa del diritto di esaminare la fonie della testimonianza indiretta” (Cass. Sez. V, n. 50346 del 22/10/2014).

Ritiene il Tribunale che la scelta difensiva costituisca espressione di una sensibilità giuridica e di una corretta interpretazione teleologica degli artt. 90 quater e 190 bis c.p.p. per cui è stata opportunamente salvaguardata l’esigenza di evitare la c.d. vittimizzazione secondaria della persona offesa, non ravvisandosi, nei caso di specie, anche a fronte di un quadro probatorio completo, la sussistenza di specifiche esigenze che avrebbero consigliato l’audizione in dibattimento della minore.

Le dichiarazioni della persona offesa sono quindi indirettamente entrate nel compendio probatorio, attraverso il racconto da quest’ultima offerto al padre E.P. e a S.P. (entrambi sentiti come testi in dibattimento), nonché mediante le emergenze documentali (costituite dalle chat intercorse tra la p.o. e l’imputata). Motivo per cui questo giudice non ha fatto ricorso ai poteri istruttori di cui all’art. 507 c.p.p. (invero, correttamente neppure sollecitati dalle parti), posto che l’escussione in dibattimento della minore, oltre ad apparire non indispensabile ai fini del decidere, sarebbe risultata altresì, non aderente ai principi di diritto dettati dalla normativa sovranazionale e, in particolare, considerato che le audizioni del minore, effettuate a una considerevole distanza temporale, dovrebbero essere comunque valutate con grande cautela a causa della condizione psicologica mutata rispetto all’epoca dei fatti e dei potenziali fattori di inquinamento dei ricordo.

Fatta questa doverosa premessa, poiché i fatti oggetto del procedimento si risolvono in contatti avvenuti in rete”, cioè a distanza tra persone fisiche reali che però nell’interazione hanno sempre utilizzato dei “nickname” (cioè degli pseudonimi), conviene sottolineare sin da subito che nessun dubbio sussiste in ordine all’identità fisica dei protagonisti della vicenda. Nel corso delle attività di indagine le FF.OO hanno compiutamente identificato: la giornalista S.P. (che in rete impiegava, nella forma di vari nickname simili, il nome fittizio di M.C., identità che la giornalista utilizzava anche per comunicare con la p.o. nelle chat tra loro intercorse), la p.(…) (che in rete impiegava gli pseudonimi di “Chiara” e “chiara.etta_s”), l’imputata (…) (che in rete impiegava gli pseudonimi di “Imcurator”, “Curatorlady” e “Omissis”) e il minore (…) (che nelle chat con la T. utilizzava lo pseudonimo di “O.M.”).

Numerosi sono gli elementi di riscontro, peraltro mai contestati dalla difesa, che consentono di identificare con certezza tali soggetti: in particolare, dall’analisi dei dispositivi sequestrati alla (…) e (…) e del cellulare di (…) spontaneamente consegnato dal padre della minore, emergono plurime tracce delle medesime conversazioni, rispettivamente intercorse tra Leila e la (…) tra la questa e (…) tra Leila e S.P.. Per gli altri “giocatori” contattati dalla T. – persone offese del reato oggetto del capo C) d’imputazione – gli inquirenti hanno invece precisato come, trattandosi di soggetti residenti all’estero, non sia stato possibile risalire all’identità fisica degli utilizzatori dei rispettivi account Instagram.

Venendo alla disamina delle condotte contestate all’imputata, la loro sussistenza risulta pienamente provata.

E’ infatti emerso che (…) impiegando i nickname “Imcurator”, “Curatorlady” e “Omissis” aveva contattato L.P. proponendole di “giocare”, presentandosi come “curatrice” del gioco e aveva in più occasioni richiesto alla minore di compiere atti di autolesionismo. I contatti tra l’imputata e la p.o. risultano inequivocabilmente provati dal contenuto del cellulare della (…) (in particolare: dalle chat Messenger intercorse tra le due ragazze – ricavabili sia direttamente dal contenuto del telefono della vittima, sia dagli screenshot presenti su quello dell’imputata – dai messaggi di notifica di messaggi Facebook presenti sull’account curatrice@libero.it, utilizzato dall’imputata, nonché dalle conversazioni tra (…) e S.P.). Risulta inoltre provato che queste conversazioni avessero ad oggetto atti di autolesionismo che la T. richiedeva di compiere alla (…) in qualità di “curatore” della sfida. A titolo esemplificativo si riportano alcuni messaggi dell’imputata indirizzati alla persona offesa nel corso delle chat su Messenger: “Oggi devi fare un’altra sfida … La balena l’hai disegnata? … Se sei pronta a diventare una balena inciditi YES sulla gamba, se non lo sei tagliati molte volle per autopunirti …Ti devi tagliare molte volte. Per punirti …Si va bene, però ogni giorno devi farne almeno uno, quindi ora farai la successiva. La scelgo io, è una sfida misteriosa… Facciamo questa sfida ora. Ti punisco. Non deve passare così tanto tempo… Ora ti fai un taglio sotto il piede sinistro della mano destra e un altro sul palmo della mano sinistra e mi invii le foto… Voglio un taglio vero … Voglio solo che esca sangue … Poi quando fai la doto delle piante dei piedi voglio che sulla pianta sinistra fai una “R” anziché un graffo”.

A tal proposito, la difesa, pur non contestando l’esistenza, il contenuto di questi messaggi e l’ascrivibilità degli stessi all’imputata, ha però sostenuto che si tratterebbe di un “gioco” che, per quanto perverso e riprovevole, comunque non consentiva all’imputata di esercitare alcuna effettiva forma di costrizione o di minaccia nei confronti della minore, la quale avrebbe autonomamente deciso di porre in essere i comportamenti autolesionistici.

Il Tribunale non ritiene di poter aderire a tale prospettazione difensiva.

E’ infatti evidente, sia dal tenore delle conversazioni dirette avvenute tra Leila e la (…), sia da quelle intercorse tra la p.o. e la amica M.C. (queste ultime costituenti valido riscontro alle prime), che la persona offesa non si è determinata in modo autonomo nelle proprie scelte, essendo stata piuttosto vittima di indebite pressioni da parte dell’imputata. Di tale forma di coercizione – intervenuta su una ragazza che all’epoca dei fatti aveva soltanto 12 anni, con tutto ciò che ovviamente ne consegue in termini di suggestionabilità e di fragili meccanismi di difesa psicologica – è indicativo l’uso frequente del verbo “dovere” da parte della T. (Oggi devi fare un’altra sfida … Ti devi tagliare molle volte. … ogni giorno devi farne almeno uno, quindi ora farai la successiva … Ok eccoli devi aspettare … Con me devi farlo … Si devi). Non solo: la (…) facendo evidentemente leva sulla suggestionabilità e fragilità della minore, aveva più volte ventilato eventuali punizioni laddove la giocatrice non avesse completato in tempo, o meglio nel tempo che il curatore giudicava adeguato, le prove che le venivano sottoposte.

In ultimo, vi è la prova, seppure indiretta, che l’imputata abbia minacciato la p.o., come emerge da questo passaggio di una conversazione tra Leila e S.P.:

E scusa come ha fatto a scoprire di dove sei?

31/05/2017 16:21:42(UTC+0), (…) (M.C.)

Non è che hai attiva la globalizzazione?

31/05/2017 16:23:31(UTC+0), (…) (L.P.)

Non lo so sinceramente

31/05/2017 16:35:06(UTC+0), (…) (M.C.)

Ah quindi tu gliene hai parlato?

Si tratta di un passaggio dal quale si evince che, in una precedente comunicazione probabilmente andata perduta, sia sul telefono della p.o. sia su quello dell’imputata (dispositivo che gli inquirenti hanno dimostrato essere stato sottoposto a una dolosa operazione di cancellazione dei dati, proprio al fine di occultare tracce del reato), la curatrice ˜ cioè la (…) – aveva evidentemente lasciato intendere alla

vittima di sapere dove abitasse, allo scopo di minacciarla. Un forte riscontro a questo elemento indiziario proviene da un passaggio di una chat tra la (…)

Sai una cosa? Questa ragazza del Canada e questa ragazza di Palermo sono amiche su instagram e oltretutto è l’unica amicizia che hanno su instagram…poi ripensando a quando quella di Palermo ha cliccato il link che ti risultava anche l’Inghilterra.. cosa succede? Come fanno a conoscersi? …

Ascolta, parlando di cose serie…quella radazza di Palermo visualizza ma non risponde da un giorno e un altro ragazzo anche..cosa dovrei fare? Minacciarli? Invece quella del Canada procede bene.

Da questi passaggi è facile ricavare come Leila – la ragazza di Palermo – avesse ricevuto dalla (…) un link “tracciante” l’indirizzo IP, generato dal (…) con un’applicazione del tipo IP Grabber e che in questo modo avesse inconsapevolmente rivelato alla “curatrice” la sua localizzazione geografica. Ulteriore inequivocabile conferma è costituita dalla presenza, sul telefono della (…), di tracce del servizio IP Logger, riguardanti un utente geolocalizzato a Palermo ed avente indirizzo IP 87.20.168.7. Non si spiegherebbe altrimenti il primo messaggio menzionato, nel quale la (…) dice “quella di Palermo ha cliccato il link”, lasciando quindi intendere che un link alla ragazza era stato inviato e aperto da parte della vittima, così inconsapevolmente rivelando all’imputata la propria posizione fisica.

Che la (…) avesse prospettato a Leila di sapere dove abitava, all’evidente scopo di minacciarla ove non fosse andata avanti nello svolgimento delle prove, lo si ricava anche dai messaggi intrisi di paura che la p.o. aveva inviato all’amica M.C.:

31/05/2017 22:10:13(UTC+0), (…) (L.P.)

Comunque meli, sto per piangere… ho paura, non voglio più continuare

31/05/2017 22:10:41(UTC+0), (…) (L.P.)

Anche perché da domani fino a lunedì io sarò a Roma e non posso fare le sfide anzi non potrò nemmeno risponderle

31/05/2017 22:10:50(UTC+0), (…) (L.P.)

Non so come fare, questa mi uccide.

31/05/2017 22:11:08(UTC+0), (…) (L.P.)

Sto piangendo

31/05/2017 22:11:12(UTC+0), (…) (L.P.)

Ho fatto un casino

Del resto, la minaccia finalizzata a non fare “scappare” i giocatori era una tecnica che l’imputata aveva posto in essere consapevolmente e ripetutamente anche nei confronti di altri giocatori, con i quali si era interfacciata in qualità di curatore. Per raggiungere questo risultato, la (…) ricorreva alla collaborazione di (…), chiedendogli di generare dei link in grado di tracciare l’IP delle vittime, in modo da poterli ricattare, come emerge chiaramente dai messaggi scambiati tra i due a proposito dell’utente “bladeaddiction”, di cui l’imputata era all’epoca curatrice. La (…) diceva a (…)

“Oggi con una ragazza sto alla nona sfida … Non posso farmi sfuggire quella ragazza (quella inglese) ho bisogno del link! … Cazzo te lo avevo detto che avevo bisogno del link. E adesso questa ragazza mi chiede se ho le sue informazioni”. Risponde (…) “ora faccio il link. Sta sera inviaglielo”, cui segue screenshot del link effettivamente generato.

Dall’analisi delle conversazioni emerge che quando la (…) apprende che “bladeaddiction” vuole abbandonare il gioco per diventare a sua volta curatrice, l’imputata scrive “Aiutami. Devo spaventarla se no mi scappa. Dice che o gli dico dove abita o diventa curatore”, al che M. le risponde “dille: tu abiti in Canada, sappiamo anche la tua via ma per lasciare ulteriori prove le informazioni le teniamo noi. E dille anche questo “And your IP address is 184,69.241.130”. Risponde la T. dopo alcuni minuti “bene. La sto facendo tacere. Quella povera persona che voleva giocare non gli ha scritto più … Siamo una squadra”. Tutto questo è confermato dagli screenshot delle conversazioni con l’utente “bladeaddiction” presenti sul cellulare della (…). Peraltro, analoghe modalità sono state impiegate con gli utenti “Seraphina Chin” e con una ragazza inglese sconosciuta, costretta a sedersi sul bordo di un palazzo con le gambe a penzoloni, nonostante dicesse di avere molta paura, a ulteriore riprova che si trattava di un metodo frequentemente usato dall’imputata per minacciare le vittime allo scopo di costringerle a continuare a giocare e a compiere atti contro la propria volontà.

Dal compendio probatorio acquisito e, in particolare, dalle Sit rese da E.P. (con i relativi allegati), dalle conversazioni tra la p.o. e S.P. e dalle fotografie presenti sul telefono cellulare della vittima, emerge altresì fa prova delle lesioni che (…) si era auto-inferta in esecuzione delle direttive impartitele dalla (…) nello svolgimento del gioco, nonché del fatto che la minore sia stata indotta a guardare dei filmati a contenuto altamente violento, che le avevano procurato un sentimento di paura.

Raccontando agli inquirenti quanto le aveva appena narrato la figlia, E.P. riferiva che Leila si era incisa la scritta “f57” e si era inoltre procurata “più tagli su piedi e mani come punizione perché non era stata celere nel rispondere ai messaggi del curatore. Mia figlia sostiene di aver inviato le foto dei tagli al curatore”. Nelle conversazioni tra (…) e la (…) si trova ampio riscontro a queste dichiarazioni: la p.o. aveva documentato alla sua curatrice – inviandole una foto di quanto appena compiuto – di essersi tagliata sotto i palmi dei piedi e sui palmi delle mani, manifestando una certa preoccupazione per l’esito evidentemente ritenuto insoddisfacente dalla curatrice “C’è un problema. Sto tagliando molto, ma non esce sangue. E’ necessario che ci sia molto sangue?”. Alla vista della foto inviata, la T. aveva risposto: “Ti ha graffiato il gatto? Voglio un taglio vero. E poi voglio solo due foto, una dove si vedono le due mani e una dove si vedono i due piedi. Sul braccio esce sangue comunque”. Poco dopo la (…) aveva chiesto alla ragazza un altro atto autolesivo. “Ci sei? Voglio che sul tallone sinistro invece di farti un graffio fai una “R”. Non voglio che ti tagli profondamente, voglio solo che esca il sangue”, e vedendo le foto appena inviatele si era mostrata poi soddisfatta del risultato. Ulteriore riscontro è costituito dall’osservazione diretta compiuta da E.P. – che essendo un medico legale -aveva notato, per poi fotografarle, lesioni cutanee presenti sulle braccia della minore (“Si, voglio premettere di essere un medico legale e che ho ritenuto, in quanto allarmato da quanto appreso questa sera, di esaminare l’avambraccio sinistro e la mano sinistra di mia figlia potendo rilevare piccoli esiti cicatriziali discromici di colore violaceo compatibili con ferite da taglio di recente insorgenza che ho ritenuto di fotografare con il mio cellulare”).

In conclusione, tutti i fatti materiali oggetto di contestazione nei rispettivi tre capi di imputazione risultano ampiamente provati. Ciò vale anche per quanto riguarda i fatti contestati al capo C) di imputazione, poiché anche in questo caso dall’analisi del contenuto del cellulare sequestrato all’imputata è emerso che la stessa, come già in precedenza illustrato, avesse intrattenuto contatti con utenti di nazionalità straniera, impiegando modalità della condotta del tutto simili a quelle impiegate per costringere (…) a compiere atti autolesionistici, modalità peraltro concordate e perfezionate con l’ausilio del minore (…) come si evince inequivocabilmente dalle chat tra i due intercorse.

Così provati i fatti materiali di cui ai reati contestati all’odierna imputata, occorre ora concentrarsi sulla corretta qualificazione giuridica delle condotte, iniziando da quelle oggetto del capo A) di imputazione, osservando che il Tribunale ritiene di condividere quella proposta dal Pubblico Ministero per i motivi che di seguito si illustrano.

Tenuto conto dell’esistenza di una clausola di riserva, posto che l’art. 612 bis c.p. esordisce con la formula “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, va sin da subito esclusa la possibilità di riqualificare la condotta dell’imputata nel reato di cui all’art. 580 c.p. posto che, come già rilevato dalia Suprema Corte in quello che è probabilmente l’unico precedente su un caso concernente il fenomeno della c.d. “Blue Whale Challenge”, approdato al vaglio della giurisprudenza di legittimità (seppure nell’ambito di un ricorso in materia cautelare), “la disposizione citata, infatti, punisce l’istigazione al suicidio – e cioè a compiere un fatto che non costituisce reato – a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima. L’ambito di tipicità disegnato del legislatore esclude, dunque, non solo la rilevanza penale dell’istigazione in quanto tale – contrariamente a quanto previsto in altre fattispecie, come ad esempio quelle previste dagli artt. 266,302,414,414-bis o 415 c.p. – ma altresì dell’istigazione accolta cui non consegue la realizzazione di alcun tentativo di suicidio ed addirittura di quella seguita dall’esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivino, però, solo delle lesioni lievi o lievissime. La soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell’evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l’appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell’istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima” (Cass. pen. sez. V n. 57503 del 23/11/2017).

Dunque, se da un lato le condotte realizzate dall’imputata possono ritenersi intrinsecamente finalizzate all’istigazione ai suicidio – a prescindere da un giudizio sull’idoneità dell’istigazione – ciò proprio in ragione della struttura stessa della serie di “sfide” di cui è composta la “Blue Whale challenge” (culminante nel suicidio del giocatore, per come emerge dalla tabella sopra riportata), d’altra parte tale istigazione non può dirsi accolta (non essendovi stato il suicidio della vittima), né dall’istigazione sono derivate lesioni gravi o gravissime (posto che, per quanto emerso in dibattimento, sia (…) sia gli altri soggetti stranieri, non identificati, si sono procurati dei meri tagli superficiali sulla cute).

Allo stesso modo non può ravvisarsi il reato di cui all’art. 609-undecies c.p. (qualificazione prospettata, seppur incidentalmente, nella pronuncia di legittimità sopra citata): sebbene la condotta della (…) costituisca una forma di “adescamento” della minore (da intendersi come qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione), la stessa difetta del dolo specifico richiesto dalla norma ai fini della consumazione del reato, evidentemente mancando nella fattispecie concreta il dolo specifico di realizzare uno dei reati tassativamente previsti dalla norma incriminatrice.

Escluso quindi che si possa configurare una fattispecie di reato più grave e, pertanto, ritenendo che non operi la clausola di riserva di cui all’art. 612 bis c.p., risulta sicuramente corretta la qualificazione del fatto operata dalla Pubblica Accusa al capo A) d’imputazione.

Come è noto, il delitto di atti persecutori costituisce un reato abituale di evento che sanziona ogni caso di minaccia o molestia posta in essere in modo da cagionare uno dei tre eventi alternativi contemplati dalla norma, cioè l’aver ingenerato nella vittima “un perdurante e grave stato di ansia o di paura”, ovvero “un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto”, oppure ancora l’aver “costretto la p.o. ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Come la Corte Costituzionale ha avuto modo di sottolineare nella sentenza n. 172/2014 “la fattispecie di cui all’art. 612-bis cod. pen. si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale … La condotta di minaccia, infatti, oltre ad essere elemento costitutivo di diversi reati – si pensi, ad esempio, alla violenza privata ex art. 610 cod. pen., alla rapina ex art. 628 cod. pen. o all’estorsione ex art. 629 cod. pen. – è oggetto della specifica incriminazione di cui all’art. 612 cod. pen. e, nella tradizionale e consolidata interpretazione che ne è data, in piena adesione al significato che il termine assume nel linguaggio comune, essa consiste nella prospettazione di un male futuro. Molestare significa, invece, sempre secondo il senso comune, alterare in modo fastidioso o importuno l’equilibrio psichico di una persona normale. E questo è sostanzialmente il significato evocato dall’art. 660 cod. pen., in cui viene fatto riferimento alla molestia per definire il risultato di una condotta”.

Applicando le suddette coordinate interpretative, la giurisprudenza ha sussunto in tale fattispecie incriminatrice una pluralità di fenomeni eterogenei, tutti comunque accomunati dalla realizzazione di condotte moleste o minacciose dalle quali sia derivata la realizzazione di uno dei tre eventi tipici alternativi. Così, il reato in questione è stato ravvisato:

– nel caso di bullismo (“Gli atti di bullismo posti in essere nei confronti della vittima integrano pienamente il reato di atti persecutori previsto e punito dall’art. 612-bis. essendo sufficiente ai fini della compiuta integrazione dell’evento del reato, la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, ove ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato”, Cass. V, n. 28623/2017);

– nel caso di messaggi diffamatori pubblicati sul web (“Il delitto di cui all’art. 612-bis è integrato dalla condotta di colui che pubblica messaggi o filmati aventi contenuto denigratorio sui social network qualora i dati diffusi in rete siano fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa”, Cass. V, n. 57764/2017);

– nel caso di c.d. stalking condominiale (“I comportamenti del condomino consistenti nell’abbandono di escrementi davanti alle porte di ingresso delle abitazioni, nel danneggiamento di autovetture, nel versamento di acido muriatico nei locali comuni, nell’immissione di suoni ad alto volume, nella pronuncia di epiteti gravemente ingiuriosi e nell’inserimento di scritti di contenuto delirante nelle cassette postali, che hanno determinato gli eventi previsti dall’art. 612-bis c.p. (i.e. stato di ansia e di timore per l’incolumità della famiglia e mutamento delle abitudini di vita) configurano la fattispecie incriminatrice”, Cass. pen. Sez. V, 09/04/2014, n. 26589).

Facendo applicazione dei suesposti e consolidati principi al caso oggetto del presente giudizio, si ritiene quindi corretto sussumere i fatti contestati al capo A) d’imputazione nei delitto di atti persecutori.

Nella specie, l’imputata, procurandosi la precisa localizzazione geografica di (…) dicendole di conoscere il suo domicilio, all’evidente scopo di indurla a proseguire nello svolgimento delle prove, ha certamente realizzato una minaccia tipica ai sensi dell’art. 612 c.p. che, come tale, è stata certamente percepita dalla p.o., giunta al punto di temere per la propria incolumità personale (cfr. “Non so come fare, questa mi uccide”).

Nessun dubbio in ordine al dolo della condotta minacciosa, non soltanto connotato dalla consapevolezza di ingenerare timore nella p.o., ma addirittura estrinsecatosi in azioni ripetute in modo “sistematico” nei confronti delle altre vittime, sempre allo scopo di evitare che i giocatori, che avevano deciso di partecipare al gioco perverso per curiosità morbosa (come emerge dalle Sit e dall’esame testimoniale di E.P., nonché come testimoniano le continue ricerche effettuate su Google dalla p.o, a proposito delle sfide del “Blue Whale”), potessero poi affrancarsi dalla curatrice, cioè dalla T., rifiutandosi di continuare a giocare. La conferma che si tratti di un meccanismo di minacce posto in essere in modo pianificato e sistematico la si ha dalla lettura delle numerose conversazioni intrattenute dall’imputata con (…) il cui apporto principale era consistito proprio nel fornire all’imputata il mezzo tecnico per attuare le minacce, cioè la creazione di “link” in grado di carpire l’indirizzo IP della vittima e, dunque, la sua localizzazione geografica. Ulteriore conferma si rinviene nelle dichiarazioni, sia rese in sede di SIT sia nel corso dell’esame dibattimentale, dalla teste S.P., la quale ha riferito come la minore le avesse detto di non poter interrompere il gioco perché la curatrice sapeva doveva viveva, temendo dunque per le conseguenze che sarebbero derivate dall’interruzione delle sfide.

Le condotte tenute dall’imputata, oltre ad essere pervase da continue frasi minacciose, si sono estrinsecate in molestie, comportando “una effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale che assurga al rango di “molestia o disturbo” ingenerato dall’attività di comunicazione in sé considerata e a prescindere dal suo contenuto” (Cass. fer., n. 45315/2019). Ancora una volta, dal tenore dei messaggi scambiati tra vittima e imputata emerge ictu oculi come quest’ultima abbia posto in essere un’evidente intromissione nella sfera personale della p.o., una minore di dodici anni, imponendole: di guardare alle 4.20 del mattino filmati ad alto contenuto violento e psichedelico, di tagliarsi in più parti del corpo e addirittura di comprare le lamette per potersi tagliare mentre si trovava a Roma (avendo la ragazza, con evidente preoccupazione, rappresentato alla curatrice di avere dimenticato di portarle con sé).

Per quanto riguarda l’elemento della reiterazione delle condotte, la giurisprudenza consolidata afferma che il reato può dirsi integrato “anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto (anche nell’arco di una sola giornata), a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi, pur concentrata in un brevissimo arco temporale, sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice” (Cass. Sez. 5, n. 38306 del 13/06/2016. Si veda anche Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01/12/2017) 03-01-2018, n. 104).

Nel caso di specie, il carattere reiterato della condotta può dirsi realizzato anche a dispetto del breve arco temporale di quattro giorni – dal 29.5.2017 all’1.6.2017 – nel quale sono stati realizzati i fatti in contestazione, essendovi prova dei fitti e plurimi contatti tra l’imputata e la p.o. nonché dei carattere spiccatamente invasivo delle richieste della (…) ed avendo tali condotte provocato nella vittima l’insorgere dell’evento tipico del reato.

Ponendo in essere le condotte a lei contestate, l’imputata ha infatti realizzato ben due degli eventi tipici alternativi previsti dalla norma incriminatrice ai fini del perfezionamento del reato, cioè l’aver cagionato un perdurante e grave stato d’ansia o di paura e l’aver ingenerato un fondato timore per la propria incolumità.

Per quanto riguarda la prova della sussistenza dell’evento lesivo, giova richiamare il principio giurisprudenziale secondo cui “ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente (fattispecie in cui questa Corte ha ritenuto irrilevante il fatto che la persona offesa non avesse riferito espressamente di essere impaurita, alla luce dei certificati medici delle lesioni subite, delle annotazioni di polizia giudiziaria sul suo stato di esasperazione e spavento. e dei messaggi sms di minaccia; nello stesso senso, si legga anche Sez. 5, Sentenza n. 57704 del 14/09/2017 Ud. (dep. 28/12/2017) Rv. 272086: fattispecie, quest’ultima, in cui la Corte ha ritenuto che il grave stato d’ansia provocato alla vittima dall’imputato si ricavasse inequivocabilmente dal complesso probatorio risultante ai giudici, al di là della descrizione di esso fornita dalla persona offesa) ” (Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13/07/2018) 08-10-2018, n. 44952).

Si tratta di un richiamo per il vero ad abundatiam, posto che nel caso di specie, tra gli elementi da cui si ricava la prova dell’evento lesivo vi sono sia un riscontro documentale costituito dalle esternazioni di ansia e timore espresse dalla stessa vittima del reato, sia le dichiarazioni testimoniali indirette della teste P.. Dalla lettura di alcuni dei messaggi intercorsi tra (…) e M.C. appare evidente come le condotte dell’imputata, seppur poste in essere in un arco temporale ristretto, abbiano esercitato una notevole pressione psicologica su una minore già affetta da problematiche di tipo depressivo, provocandole un forte stato d’ansia e di paura, come emerge da passaggi dai tenore inequivoco: “Mi ha fatto vedere dei video angoscianti … Meli Sto per piangere, ti prego aiutami. Ho paura. Mi sento male … Nono ho paura. Mi sento male, lo non voglio farlo. Non mi voglio più tagliare basta … Mi fa fare delle cose assurde. E’ stato bruttissimo … Davvero questa challenge ti porta alla depressione. Mi sento sempre peggio. Basta devo smettere di giocare. Comunque meli, sto per piangere… ho paura, non voglio più continuare Sto piangendo. Ho fatto un casino”. Per le ragioni di cui si è già detto a proposito della sussistenza della condotta di minaccia, nella vittima è stato ingenerato un evidente timore per la propria incolumità, avendo la minaccia su una minore di giovane età e con pregresse problematiche psicologiche provocato un forte impatto emotivo (“Non so come fare, questa mi uccide. Sto piangendo”).

Dunque, l’esistenza nella minore di uno stato di ansia, paura e timore ha trovato ampio riscontro nelle dichiarazioni rese da S.P., la quale in proposito ha dichiarato: “riusciva a capire dove fosse la ragazzina che io avevo contattato, quindi aveva effettivamente paura … Io ho un suo messaggio dove appunto mi dice “L’unico modo per risolvere questa situazione” … in un messaggio che mi ha inviato, uno screenshot, ho letto che diceva appunto che se non avesse fatto tale prova, questa ragazza di Milano, si sarebbe riversata la cosa sulla sua famiglia e sui suoi parenti. Lei era preoccupata di questa cosa qua … No, aveva assolutamente paura di questa curatrice di Milano”.

Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, il Tribunale non ritiene di poter valorizzare le dichiarazioni di E.P., nel senso suggerito dal difensore, per ritenere l’insussistenza dell’evento tipico del reato di stalking. Sul punto, la difesa ha sostenuto che il padre non avesse riscontrato alcuno stato di paura o ansia nella minore e che le modalità del gioco mettevano il giocatore e il curatore in un rapporto di parità, o quantomeno ambivalente, di talché non si configurerebbe né una forma di costrizione violenta né la verificazione di uno degli eventi tipici di cui all’art. 612-bis c.p. Il teste in sede di SIT ha dichiarato “prima di oggi non avevo avuto alcuna contezza di quanto stava accadendo a mia figlia, anche perché, essendo separato dalla madre e vivendo a Roma ho la possibilità di vedere in poche occasioni Leila, che da settembre 2015 vive a Palermo con la madre” , mentre in sede dibattimentale, sollecitato più volte dalle parti a definire lo stato psicologico della figlia al momento della denuncia, ha dichiarato “Un po’ di timore sì, paura no, timore di finire …Lei mi ha dato questa impressione di non essere terrorizzata, di avere un po’…poi io ho parlato di timore”.

Per quanto riguarda il primo degli aspetti evidenziati dalla difesa, a parere dei Tribunale le dichiarazioni del padre della ragazza confermano, semmai, come la vittima manifestasse effettivamente uno stato di timore; peraltro, aspetto ancor più rilevante, si tratta in realtà di dichiarazioni rese da una persona che, per sua stessa ammissione, pur essendone il padre, aveva avuto contatti poco frequenti con la persona offesa, vivendo in una città diversa da quella della figlia. Ciò assume un rilievo determinante ove si consideri il ristretto arco temporale nel quale la condotta contesta e, di conseguenza, gli eventi tipici si sono perfezionati – cioè dal 29 maggio al 1 giugno 2017 (giorni nei quali E.P. si trovava distante dalla figlia, giunta a Roma con un volo da Palermo proprio la sera del primo giugno, in un momento in cui la condotta si era già esaurita perché, appena giunta Leila a Roma, il padre era andato a prenderla in aeroporto e, contattato dalla Polizia Postale di Roma, si era immediatamente recato nei relativi uffici per sporgere denuncia).

Irrilevante appare poi, ai fini della verificazione degli eventi lesivi, l’aspetto del carattere ambivalente dei rapporti tra la vittima e l’autrice del reato, posto che “secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di valutazione della prova testimoniale, l’ambivalenza dei sentimenti provati dalla persona offesa nei confronti dell’imputato non rende di per sé inattendibile la narrazione delle violenze e delle afflizioni subite, imponendo solo una maggiore prudenza nell’analisi delle dichiarazioni in seno al contesto degli elementi conoscitivi a disposizione del giudice (Sez. 6, n. 31309 del 13/05/2015, S., Rv. 264334; Sez. 5, n. 5313 del 16/09/2014, S., Rv. 262665)”.

Per tutte le ragioni suesposte, dunque, l’imputata va ritenuta responsabile del reato di cui al capo A) di imputazione. Pacifica, peraltro, è la sussistenza di entrambe le aggravanti contestate. Le condotte moleste e minacciose sono state inoltrate alla p.o. attraverso il sistema di messagistica Messenger del social network Facebook, di talché può certamente affermarsi che il reato risulta aggravato dall’impiego del mezzo informatico di cui all’art. 612-bis co. 2 c.p.

Sussiste altresì la circostanza di cui all’art. 112 n. 4 c.p., essendosi l’imputata avvalsa per commettere i reati oggetto dei capi A), B) e C) di imputazione – delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza – della collaborazione del mino(…). Dalle numerose chat rinvenute sul telefono cellulare della T., infatti, si ricava un rapporto di conoscenza profondo tra i due ragazzi, fatto di scambi di opinioni sui rispettivi problemi psicologici, sulle passate o future esperienze in comunità di recupero, di fotografie intime inviate al (…) dalla (…) e, soprattutto, di conversazioni su come organizzare le rispettive attività di “curatori” della Blue Whale challenge. Che vi sia stato un vero e proprio coordinamento tra i due, sia per quanto concerne le vessazioni nei confronti (…) sia per quanto riguarda le altre p.o. non identificate, lo si evince da una pluralità di conversazioni intercorse tra i due, delle quali è esemplificativo questo messaggio che la T. invia a M.: “Ascoltami, queste si confronteranno sicuramente… quindi cerchiamo di non essere troppo diversi, soprattutto per le sfide …dammi una dritta…dimmi le prime tre sfide…anche se le so, ma fallo lo stesso non si sa mai che sbaglio qualcosa”. Da questo e altri messaggi traspare in modo evidente la loro collaborazione. Peraltro, come già innanzi chiarito, (…) ha fornito alla T. un apporto tecnico fondamentale, consistito nella predisposizione dei link traccianti per spaventare i giocatori della curatrice T..

Venendo ai delitti contestati ai capi B) e C) di imputazione, va affermata la penale responsabilità dell’imputata anche per questi reati. Per quanto concerne la materialità della condotta, si rimanda a quanto già detto in ordine alla prova della sussistenza della minaccia posta in essere dall’imputata. Tale minaccia, certamente connotata dal carattere dell’idoneità, ha determinato una compressione della libertà morale delle vittime – ovvero, sia di quella del reato di cui al capo B), sia di quelle non identificate fisicamente di cui al capo C) – che si è sostanziata nell’aver costretto le persone offese a compiere atti contrari alla loro volontà. Si rammenti che, ai fini della consumazione del delitto, non è richiesto che il comportamento al quale l’agente intenda costringere la vittima costituisca un fatto penalmente rilevante, essendo sufficiente che si tratti di condotta frutto della compressione della libertà morale della vittima.

Nei caso di specie, (…) e gli utenti “Bladeaddiction”, “Seraphina Chin”, “xsuicidalxs0cietyx”, “Keatonml5” e “fedepasq96” sono stati costretti a compiere atti contrari alla loro volontà consistiti nell’auto procurarsi lesioni cutanee, nel trasmettere le foto che provassero la lesione provocata e nel vedere filmati dal contenuto violento (per quanto concerne il capo B di imputazione), nonché nel salire, su imposizione della (…), su un luogo sopraelevato, trasmettendo una fotografia a riprova, nello gettare via gli antidepressivi, trasmettendo una fotografia a riprova, nell’incidersi la parola “yes” sulle gambe e la parola “f57” sulla mano, trasmettendo le fotografie a riprova (per quanto concerne gli episodi di cui ai capo C di imputazione).

In relazione a queste ultime condotte di violenza privata deve osservarsi che non soltanto risulta provata la trasmissione di messaggi di costrizione e minaccia (“ti devi incidere… tagliandoti”… “devi gettare gli antidepressivi”… “devi salire su an luogo sopraelevato”) dall’account Messenger della T., ma risulta altresì dimostrato che gli altri soggetti passivi, sebbene non individuati, avevano risposto alle minacce della T. con l’invio di fotografie ritraenti i comportamenti pretesi dalla stessa. Dunque, le fotografie inviate costituiscono ex se la prova che la minaccia abbia effettivamente intimorito i soggetti passivi costringendoli a tenere i comportamenti non voluti, ciò indipendentemente dall’effettiva attuazione, da parte delle vittime, delle condotte rappresentate nelle immagini inviate alla T.. Infatti, deve osservarsi che la violenza privata si è estrinsecata nella coartazione della volontà delle vittime che, soggiogate dalla curatrice, si sono viste costrette a trasmetterle le immagini attestanti il superamento della prova da lei richiesta (ciò indipendentemente dalla circostanza che le persone offese abbiano potuto reperire su internet quelle immagini, senza effettivamente compiere le azioni ivi raffigurate).

Sussiste, peraltro, l’aggravante prevista dall’art. 339 c.p. e cioè l’essersi l’imputata avvalsa della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete.

Si è affermato in giurisprudenza che la previsione dell’utilizzazione della forza intimidatrice di “associazioni segrete”, potendo essere queste ultime solo supposte, caratterizza tale aggravante quale una sorta di metodo intimidatorio. L’aggravante ricorre quando il reo abbia manifestato in qualsiasi modo la possibilità di far intervenire la vera o presunta associazione segreta cosi inducendo il timore di una rappresaglia da parte di quest’ultima, di qualsiasi genere (Cass. pen. sez. V, n. 10941/1986). Ovviamente, la sufficienza della “supposizione” consente di limitare la prova all’utilizzazione del metodo. Inoltre, diventa irrilevante l’esistenza effettiva o meno del vincolo con l’associazione e l’eventuale dissociazione dalla stessa (Cass. pen. Sez. VI, n. 25191/2012) essendo, si ripete, l’aggravante del tutto slegata dall’attività effettiva dell’associazione.

Nel caso di specie, l’imputata ha realizzato le condotte oggetto di contestazione presentandosi quale “curatore” della “Blue Whale Challenge”, cioè prospettando di appartenere a un gruppo organizzato di soggetti non meglio identificati, facendo leva sul carattere “misterioso” dell’organizzazione, così ammantando le minacce rivolte alle vìttime di quel quid pluris ulteriore che giustifica l’applicazione dell’aggravante contestata. A prescindere, come si è detto, dalla circostanza che esistesse o meno nella realtà un gruppo coordinato di curatori delle sfide, (…) ha fornito alle vittime esattamente questa prospettazione, non certo in maniera casuale, bensì pianificata, come si evince dalla lettura dei messaggi tra lei e (…). Anzi, vi sono addirittura dei passaggi di queste conversazioni dove la stessa imputata lascia intendere di credere che un tale coordinamento esista realmente, quando chiede a M. di “nominarla” curatrice (“Spero che quando sarò dentro mi nominerai curatrice. Ti posso dare i contatti della comunità? Da riuscire ad avvisarmi se mi nominerai?”). Indipendentemente dalle convinzioni personali dell’imputata, questa si era presentata (…) come curatrice della sfida, mettendo sin da subito in dubbio la “legittimità” del precedente curatore “bladeaddiction”, contestando il sistema di numerazione dei curatori di cui la p.o. diceva di aver sentito parlare, in tal modo lasciando subdolamente intendere alla vittima l’esistenza di un’organizzazione di curatori (“I curatori non vengono indicati con un numero, ma gli viene assegnato un nome, cambia curatore. Bloccalo, lo conosco un altro curatore, forse la tua amica potrebbe giocare con lui”).

Da ultimo, deve osservarsi che il reato di violenza privata non può ritenersi assorbito da quello di atti persecutori, con conseguente affermazione del concorso formale tra i due reati.

In giurisprudenza si è infatti chiarito che “è configurabile il concorso tra il delitto di violenza privata e quello di atti persecutori, non sussistendo tra di essi un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell’art. 15 cod. pen., dal momento che il delitto di cui all’art. 612-bis cod. pen., diversamente dal primo, non richiede necessariamente l’esercizio della violenza e contempla un evento – l’alterazione delle abitudini di vita della vittima – di ampiezza mollo maggiore rispetto alla costrizione della vittima ad uno specifico comportamento, che basta ad integrare il delitto previsto dall’art. 610 cod. pen. (In motivazione, la Corte ha precisato che neppure impiegando il criterio della “specialità reciproca per specificazione” potrebbe pervenirsi all’assorbimento del delitto di violenza privata in quello di atti persecutori, sussistendo al più tra le due fattispecie astratte, in ragione di quanto detto, un rapporto di “specialità reciproca per aggiunta”)” (Cass. Sez. 5 Sentenza n. 22475 del 18/04/2019 Ud. (dep. 22/05/2019 ) Rv. 276631. Si vedano anche Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17/11/2020) 14-01-2021, n. 1541).

Nel caso di specie risulta provato l’invio di messaggi dall’account Messenger della (…) emerge chiaramente che i soggetti, sebbene non individuati, hanno risposto alle frasi intimidatorie con l’invio di fotografie ritraenti i comportamenti pretesi dalla (…) sotto minaccia. Dunque, le fotografie inviate costituiscono la prova che la minaccia abbia effettivamente intimorito il soggetto passivo determinando una costrizione (quanto meno consistita nella necessità di reperire fotografie che attestassero il risultato perseguito dalla (…), essendo sufficiente che si tratti di minaccia idonea ad incutere timore e diretta a costringere il destinatario a tenere, contro la propria volontà ovvero sotto minaccia, la condotta pretesa dall’agente).

In conclusione, per tutte le ragioni sin qui illustrate, va affermata la penale responsabilità dell’imputata per i reati a lei ascritti.

Venendo al trattamento sanzionatorio, i reati contestati devono ritenersi uniti dal vincolo della continuazione, risultando evidente il medesimo disegno criminoso: reato più grave deve ritenersi il delitto di cui all’art. 612-bis c.p., punito con pena più elevata.

L’imputata appare meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche – da ritenersi equivalenti alle contestate aggravanti – in ragione dell’atteggiamento collaborativo mostrato nel corso procedimento per mezzo del proprio difensore, che ha prestato il consenso all’acquisizione di alcuni atti di indagine contenuti nei fascicolo del PM, nonché in ragione della sua giovane età e dello stato di incensuratezza.

Tenuto quindi conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p.. pena equa è quella di anni uno (1) e mesi sei (6) di reclusione, determinata nei modo seguente:

– ritenuto più grave il reato di cui al capo A), occorre partire dalla pena base di anni uno di reclusione, ravvisandosi necessario discostarsi dal minimo edittale di mesi 6 di reclusione (minimo edittale applicabile ratione temporis tenuto conto che il reato si è consumato l’1.6.2017); tale sensibile discostamento si giustifica in ragione della gravità del fatto concreto (commesso ai danni di una minore, già affetta da problematiche psicologiche), del carattere particolarmente insidioso della condotta e della notevole intensità dei dolo dimostrata dalla T. nella realizzazione dei comportamenti criminosi, con accettazione anche dell’evento suicidano delle vittime, come emerge dalle conversazioni sopra riportate.

– ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti;

– pena aumentata fino a giungere ad anni uno (1) e mesi sei (6) di reclusione per la continuazione con i reati di cui ai capi B) e C) di imputazione. In particolare, si è considerato un aumento di mesi due (2) di reclusione per la continuazione con il reato di cui al capo B) e di mesi quattro (4) di reclusione per il reato di cui al capo C), già valutata la continuazione interna tra i distinti fatti di reato contestati nel medesimo capo C).

Segue, per legge, la condanna dell’imputata al pagamento delle spese processuali.

Sussistono i presupposti di legge per il riconoscimento dei beneficio della pena sospesa e quello della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, in virtù dell’entità della pena finale irrogata. dell’incensuratezza dell’imputata e delle concrete circostanze del fatto, elementi tutti che, anche a fronte della giovane età dell’imputata, inducono a formulare un giudizio prognostico positivo circa la non commissione di futuri delitti.

Ai sensi dell’art. 240 co c. 1 c.p. deve essere ordinata la distruzione e la confisca dei beni in sequestro all’imputata di cui al verbale di perquisizione e sequestro dei 3.6.2017, essendo provato che si tratta di cose servite per la commissione del reato.

Ai sensi dell’articolo 544, comma 3, c.p.p., è stato fissato in 30 giorni il termine per il deposito della motivazione, in considerazione del carico del ruolo e della complessità della vicenda in esame.

P.Q.M.

Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p.

DICHIARA

(…) colpevole dei reati a lei ascritti e, ritenuta la continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, la

CONDANNA

alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 163 e 175 c.p.

CONCEDE

all’imputata i benefici della pena sospesa e della non menzione della condanna Letto l’art. 240 c.p.

DISPONE

la confisca e la distruzione di quanto in sequestro;

Letto l’art. 544 co. 3 c.p.p.

FISSA

in giorni 30 il termine per il deposito della motivazione della sentenza.

Conclusione

Così deciso in Milano, il 19 maggio 2021.

Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2021.

 

Originally posted 2021-08-08 17:23:23.