VIOLENZA SESSUALE AVVOCATO DIFENSORE PENALISTA BOLOGNA

VIOLENZA SESSUALE AVVOCATO DIFENSORE PENALISTA BOLOGNA

CHIAMA SUBITO AFFRETTATI PER LA TUA DIFESA  

051 6447838

ART 609 CP

REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampa

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità(2) costringe taluno a compiere o subire atti sessuali(3) è punito con la reclusione da sei a dodici anni(4).

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali(5):

  1. 1) abusando delle condizioni di inferioritàfisica o psichica della persona offesa al momento del fatto(6);
  2. 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona(7).

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi(8).

   VIOLENZA SESSUALE AVVOCATO DIFENSORE PENALISTA BOLOGNA

art. 609- bis c.p., perchè, con minaccia e violenza consistite prima nell’intimare a P.A.J. di spogliarsi integralmente, poi nel dirle che, ove non avesse obbedito e ne avesse fatto parola con qualcuno, l’avrebbe denunciata per la sottrazione della somma di 129 Euro, le toccava repentinamente il seno e le infilava prima un dito, poi due, nella vagina, costringendo la donna a subire atti sessuali (capo A); artt. 81 cpv. e 610 c.p., perchè, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con violenza consistita nell’afferrare P.A.J. per un braccio e nel trasportarla in camera da letto, poi nel metterle una mano sul petto e nello spingerla sul letto, la costringeva prima a recarsi in camera e poi a sdraiarsi sul letto; capo B); art. 609-bis c.p., perchè, dopo avere indotto P.A.J. ad abbassarsi i pantaloni per farsi spalmare una crema che le avrebbe fatto passare il mal di pancia, con violenza consistita nella subitaneità dell’azione, le infilava due dita nell’ano, costringendola così a subire atti sessuali (capo C. Fatti occorsi in (OMISSIS)). 2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. 2.1

. Lamenta il ricorrente che la Corte di merito, non avrebbe considerato la circostanza, riferita dalla persona offesa e confermata dall’imputato, secondo cui all’alba del (OMISSIS), su espressa richiesta della ragazza, il C. l’accompagnò alla stazione per far rientro a Torino, circostanza che non si concilia con la descrizione dell’uomo come una persona che, secondo la persona offesa, avrebbe voluto approfittare di lei. Parimenti, anche la circostanza che, una volta scoperto il furto e chiamata la ragazza, costei ritornò indietro rientrando in casa con l’imputato, sarebbe indicativa ci una serenità dei rapporti tra i due. Aggiunge il ricorrente che la ragazza, per un verso, aveva tutta la possibilità di allontanarsi liberamente dalla casa dell’imputato, e, per altro verso, ha fornito una spiegazione del tutto inverosimile del furto, ossia che l’imputato perdesse fiducia in lei e non la ricontattasse più. 2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 609- bis c.p., per difetto dell’elemento soggettivo, in quanto l’imputato avrebbe inteso recuperare l’anello che gli era stato rubato, senza alcuna volontà concupiscente. Motivi della decisione 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Quanto al primo motivo, relativo all’insussistenza del delitto di violenza privata – che radica la procedibilità per le due ipotesi di violenza sessuale: – si osserva che esso presenta profili di novità, perchè non era stato proposto con l’atto di appello. La questione, pertanto, va affrontata e risolta nell’ambito delle seguenti coordinate ermeneutiche. Per un verso, va richiamato il principio, qui da confermare, secondo cui la questione sulla qualificazione giuridica del fatto rientra tra quelle sulla Corte di cassazione può decidere ex art. 609 c.p.p. e, pertanto, può essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità purchè l’impugnazione non sia inammissibile e per la sua soluzione non siano necessari accertamenti di fatto (Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, dep. 18/04/2018, Tucci, Rv. 272651; Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013, dep. 21/03/2014, Rossi, Rv. 259730). Per altro verso, si rammenta che, per costante e univoca giurisprudenza di questa Corte, il delitto di violenza privata non concorre con quello di violenza sessuale quando la violenza fisica o morale è del tutto strumentale rispetto al compimento degli atti sessuali e non rappresenta un quid pluris de eccede il compimento dell’attività sessuale coatta (Sez. 3, n. 37367 del 06/06/2013, dep. 12/09/2013, C., Rv. 256965; Sez. 3, n. 29901 del 09/06/2011, dep. 26/07/2011, K., Rv. 250660; Sez. 3, n. 33662 del 20/09/2005, dep. 06/10/2006, De Luisa, Rv. 234789). 3. Ciò posto, dalla ricostruzione dell’accaduto operata insindacatilmente dai giudici di merito, risulta come la violenza privata sia del tutto sganciata dalla commissione di contestati delitti di violenza sessuale, in quanto, in un primo tempo – ossia una volta fatto ritorno a casa dell’imputato, che si era accorto del furto di 140 Euro – la ragazza, con il pretesto di controllare se avesse rubato qualcos’altro, fu toccata sui seni e, dopo essere stata obbligata a togliersi in pantaloni, subì anche la penetrazione di due dita nella vagina, fatto contestato al capo A); successivamente, la persona offesa fu obbligata a svestirsi e ad indossare il pigiama del C., che la trascinò nella camera da lette, costringendola a dormire con lui, ciò che integra il delitto di cui al capo B); quindi, la mattina seguente, l’imputato infilò le dita nell’ano della giovane, a suo dire per cercare un anello che sospettava gli avesse rubato (capo C). E’ perciò evidente come la realizzazione del fatto di violenza privata non sia stato strumentale rispetto al compimento degli atti sessuali – essendo stati commessi addirittura prima del delitto in esame in un caso, la mattina successiva nell’altro – ma abbia una propria autonomia fattuale, ciò che osta all’assorbimento di tale delitto in quelli ex art. 609-bis c.p.. Di conseguenza, come già ritenuto dal Tribunale, in assenza di querela, i delitti di violenza sessuale di cui ai capi A) e C) sono precedibili d’ufficio ai sensi dell’art. 609-septies c.p., comma 4, n. 4, essendo connessi al del lo di violenza privata, contestato al capo B), del quale mutuano il regime di procedibilità. Di qui l’inammissibilità del motivo per manifesta infondatezza. 4. Il secondo motivo è inammissibile perchè generico e fattuale. La questione della credibilità della persona offesa è stata oggetto di analisi da parte del Tribunale e della Corte di appello, che, in maniera del tutto convergente, hanno ravvisato l’attendibilità sia soggettiva della dichiarante, sia oggettiva del narrato reso da costei. Invero, quanto al primo aspetto, la Corte d’appello, con valutazione di fatto non manifestamente illogica, ha ritenuto plausibile la giustificazione in merito al furto della somma di denaro in danno dell’imputato, avendo la ragazza spiegato che, una volta arrivata a casa di costui ed avere contestato che vi era solo una stanza da letto, temeva che, dietro l’offerta di lavoro, l’imputato fosse armato da intenzioni di carattere sessuale, tanto che stette sveglia tutta la notte e comunicò telefonicamente il proprio disagio all’amica; il furto della somma di denaro, pertanto, fu attuato proprio per spingere l’uomo a perdere fiducia in lei e ad allontanarla. Con riguardo al secondo aspetto, la Corte merito, oltre a ribadire la linearità della ricostruzione dell’accaduto, ha evidenziato come il narrato della persona abbia trovato conferma in una serie di elementi, quali: il fatto che la ragazza sia sita trovata, sotto choc, vestita con un pigiama da uomo, scalza, presso il negozio di parrucchiere poco lontano dalla casa dell’imputato, dove aveva cercato riparo dopo essersi calata dalla finestra del bagno, essendo l’alloggio al piano terra e considerando che le chiavi della porta d’ingresso erano state nascoste; il rinvenimento degli effetti personali della ragazza (ossia i vestiti e il telefono cellulare) presso la casa dell’imputato, oltre al clistere, che, a dire della ragazza, fu utilizzato dall’imputato quando le infilò le dita nell’ano, alla confessione del furto, che la donna aveva scritto di suo pugno perchè costretta dal C.; i numerosi messaggi inviati dalla persona offesa all’amica, per comunicarle le sue paure

Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 01/12/2021) 02/02/2022, n. 3706 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ACETO Aldo – Presidente – Dott. CORBETTA Stefano – rel. Consigliere – Dott. REYNAUD Gianni – Consigliere – Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere – Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: C.C., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 06/10/2020 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Stefano Corbetta; letta la requisitoria redatta ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Tocci Stefano, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore, avv. Giulia Boccassi, che insiste nell’accoglimento del ricorso. Svolgimento del processo 1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Torino confermava la decisione del Tribunale di Alessandria, la quale, applicate le circostanze attenuanti generiche e riconosciuta la continuazione, aveva condannato C.C. alla pena ritenuta di giustizia perchè ritenuto responsabile dei seguenti delitti: art. 609- bis c.p., perchè, con minaccia e violenza consistite prima nell’intimare a P.A.J. di spogliarsi integralmente, poi nel dirle che, ove non avesse obbedito e ne avesse fatto parola con qualcuno, l’avrebbe denunciata per la sottrazione della somma di 129 Euro, le toccava repentinamente il seno e le infilava prima un dito, poi due, nella vagina, costringendo la donna a subire atti sessuali (capo A); artt. 81 cpv. e 610 c.p., perchè, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con violenza consistita nell’afferrare P.A.J. per un braccio e nel trasportarla in camera da letto, poi nel metterle una mano sul petto e nello spingerla sul letto, la costringeva prima a recarsi in camera e poi a sdraiarsi sul letto; capo B); art. 609-bis c.p., perchè, dopo avere indotto P.A.J. ad abbassarsi i pantaloni per farsi spalmare una crema che le avrebbe fatto passare il mal di pancia, con violenza consistita nella subitaneità dell’azione, le infilava due dita nell’ano, costringendola così a subire atti sessuali (capo C. Fatti occorsi in (OMISSIS)). 2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) c.p.p. per omessa motivazione con riferimento al reato di cui all’art. 610 c.p. e conseguente improcedibilità del reato ex art. 609 bis c.p.. Premette il ricorrente che la persona offesa non ha sporto denuncia per i fatti per cui è processo e che il Tribunale aveva ravvisato la procedibilità dei reati di cui ai capi A) e C), in quanto connessi con il delitto ex art. 610 c.p., di cui al capo B). Ciò posto, assume il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe motivato in ordine alla sussistenza del delitto di violenza privati, che sarebbe assorbito nella fattispecie ex art. 609-bis c.p., e che si ronda unicamente sulle dichiarazioni – lacunose e prive di riscontri – rese dalla persona offesa, nè è specificato, nel capo di imputazione, se l’episodio si sarebbe verificato la sera del (OMISSIS) o la mattina del giorno successivo. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) con riferimento alla valenza probatoria delle dichiarazioni rese dalla persona offesa. Lamenta il ricorrente che la Corte di merito, non avrebbe considerato la circostanza, riferita dalla persona offesa e confermata dall’imputato, secondo cui all’alba del (OMISSIS), su espressa richiesta della ragazza, il C. l’accompagnò alla stazione per far rientro a Torino, circostanza che non si concilia con la descrizione dell’uomo come una persona che, secondo la persona offesa, avrebbe voluto approfittare di lei. Parimenti, anche la circostanza che, una volta scoperto il furto e chiamata la ragazza, costei ritornò indietro rientrando in casa con l’imputato, sarebbe indicativa ci una serenità dei rapporti tra i due. Aggiunge il ricorrente che la ragazza, per un verso, aveva tutta la possibilità di allontanarsi liberamente dalla casa dell’imputato, e, per altro verso, ha fornito una spiegazione del tutto inverosimile del furto, ossia che l’imputato perdesse fiducia in lei e non la ricontattasse più. 2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 609- bis c.p., per difetto dell’elemento soggettivo, in quanto l’imputato avrebbe inteso recuperare l’anello che gli era stato rubato, senza alcuna volontà concupiscente. Motivi della decisione 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Quanto al primo motivo, relativo all’insussistenza del delitto di violenza privata – che radica la procedibilità per le due ipotesi di violenza sessuale: – si osserva che esso presenta profili di novità, perchè non era stato proposto con l’atto di appello. La questione, pertanto, va affrontata e risolta nell’ambito delle seguenti coordinate ermeneutiche. Per un verso, va richiamato il principio, qui da confermare, secondo cui la questione sulla qualificazione giuridica del fatto rientra tra quelle sulla Corte di cassazione può decidere ex art. 609 c.p.p. e, pertanto, può essere dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità purchè l’impugnazione non sia inammissibile e per la sua soluzione non siano necessari accertamenti di fatto (Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, dep. 18/04/2018, Tucci, Rv. 272651; Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013, dep. 21/03/2014, Rossi, Rv. 259730). Per altro verso, si rammenta che, per costante e univoca giurisprudenza di questa Corte, il delitto di violenza privata non concorre con quello di violenza sessuale quando la violenza fisica o morale è del tutto strumentale rispetto al compimento degli atti sessuali e non rappresenta un quid pluris de eccede il compimento dell’attività sessuale coatta (Sez. 3, n. 37367 del 06/06/2013, dep. 12/09/2013, C., Rv. 256965; Sez. 3, n. 29901 del 09/06/2011, dep. 26/07/2011, K., Rv. 250660; Sez. 3, n. 33662 del 20/09/2005, dep. 06/10/2006, De Luisa, Rv. 234789). 3. Ciò posto, dalla ricostruzione dell’accaduto operata insindacatilmente dai giudici di merito, risulta come la violenza privata sia del tutto sganciata dalla commissione di contestati delitti di violenza sessuale, in quanto, in un primo tempo – ossia una volta fatto ritorno a casa dell’imputato, che si era accorto del furto di 140 Euro – la ragazza, con il pretesto di controllare se avesse rubato qualcos’altro, fu toccata sui seni e, dopo essere stata obbligata a togliersi in pantaloni, subì anche la penetrazione di due dita nella vagina, fatto contestato al capo A); successivamente, la persona offesa fu obbligata a svestirsi e ad indossare il pigiama del C., che la trascinò nella camera da lette, costringendola a dormire con lui, ciò che integra il delitto di cui al capo B); quindi, la mattina seguente, l’imputato infilò le dita nell’ano della giovane, a suo dire per cercare un anello che sospettava gli avesse rubato (capo C). E’ perciò evidente come la realizzazione del fatto di violenza privata non sia stato strumentale rispetto al compimento degli atti sessuali – essendo stati commessi addirittura prima del delitto in esame in un caso, la mattina successiva nell’altro – ma abbia una propria autonomia fattuale, ciò che osta all’assorbimento di tale delitto in quelli ex art. 609-bis c.p.. Di conseguenza, come già ritenuto dal Tribunale, in assenza di querela, i delitti di violenza sessuale di cui ai capi A) e C) sono precedibili d’ufficio ai sensi dell’art. 609-septies c.p., comma 4, n. 4, essendo connessi al del lo di violenza privata, contestato al capo B), del quale mutuano il regime di procedibilità. Di qui l’inammissibilità del motivo per manifesta infondatezza. 4. Il secondo motivo è inammissibile perchè generico e fattuale. La questione della credibilità della persona offesa è stata oggetto di analisi da parte del Tribunale e della Corte di appello, che, in maniera del tutto convergente, hanno ravvisato l’attendibilità sia soggettiva della dichiarante, sia oggettiva del narrato reso da costei. Invero, quanto al primo aspetto, la Corte d’appello, con valutazione di fatto non manifestamente illogica, ha ritenuto plausibile la giustificazione in merito al furto della somma di denaro in danno dell’imputato, avendo la ragazza spiegato che, una volta arrivata a casa di costui ed avere contestato che vi era solo una stanza da letto, temeva che, dietro l’offerta di lavoro, l’imputato fosse armato da intenzioni di carattere sessuale, tanto che stette sveglia tutta la notte e comunicò telefonicamente il proprio disagio all’amica; il furto della somma di denaro, pertanto, fu attuato proprio per spingere l’uomo a perdere fiducia in lei e ad allontanarla. Con riguardo al secondo aspetto, la Corte merito, oltre a ribadire la linearità della ricostruzione dell’accaduto, ha evidenziato come il narrato della persona abbia trovato conferma in una serie di elementi, quali: il fatto che la ragazza sia sita trovata, sotto choc, vestita con un pigiama da uomo, scalza, presso il negozio di parrucchiere poco lontano dalla casa dell’imputato, dove aveva cercato riparo dopo essersi calata dalla finestra del bagno, essendo l’alloggio al piano terra e considerando che le chiavi della porta d’ingresso erano state nascoste; il rinvenimento degli effetti personali della ragazza (ossia i vestiti e il telefono cellulare) presso la casa dell’imputato, oltre al clistere, che, a dire della ragazza, fu utilizzato dall’imputato quando le infilò le dita nell’ano, alla confessione del furto, che la donna aveva scritto di suo pugno perchè costretta dal C.; i numerosi messaggi inviati dalla persona offesa all’amica, per comunicarle le sue paure. Oltre a ciò, la Corte ha indicato la testimonianza resa sia dal parrucchiere, titolare del negozio in cui si rifugiò la giovane e che chiamò i carabinieri, sia dell’amica, che ricevette i messaggi e le telefonate in cui la A. le aveva manifestato i suoi timori. 5. Orbene, a fronte di tale apparato motivazionale, adeguato e scevro da profili di illogicità manifesta, il ricorrente, a ben vedere, confeziona un motivo con cui sollecita una diversa valutazione delle prove: il che non è consentito in sede di legittimità, perchè il controllo sulla motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando dunque preclusa a questa Corte la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). 6. Il terzo motivo è inammissibile perchè la dedotta violazione di legge non era stata proposta con l’atto di appello, sicchè non può essere denunciata per la prima volta nel giudizio di cassazione, giusto il disposto di cui all’art. 605 c.p.p., comma 3, u.p.. Si osserva, in ogni caso, che la tesi difensiva, secondo cui l’elemento soggettivo del delitto di violenza sessuale presupporrebbe che l’agente abbia agito con il fine di concupiscenza, è errata in punto di diritto. Come costantemente affermato da questa Corte, infatti, l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, sicchè non è necessarie che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri dell’agente, rilevano possibili fini ulteriori – di concupiscenza, di gioco, di mera violenza fisici o di umiliazione morale – dal medesimo perseguiti (ex multis, cfr. Sez. 3, n. 3548 del 03/10/2017, dep. 25/01/2018, T., Rv. 272449; Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014, dep. 21/05/2015, P.G. in c. C., Rv. 263738; Sez. 3, n. 4923 del 22/10/2014, dep. 03/02/2015, P., Rv. 262470). 7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge. Conclusione Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021. Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2022

Originally posted 2022-04-27 16:58:03.