BANCAROTTA PER DISTRAZIONE BOLOGNA

BANCAROTTA PER DISTRAZIONE CASSAZIONE MILANO BOLOGNA

Nella materia penal-fallimentare, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con altra analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie della bancarotta preferenziale.

BaNCaRoTTa Per DiStRaZioNE

COME DIFENDERSI DA UNA BANCAROTTA FRAUDOLENTA PROCESSO COMPLESSO E COMPLICATO DA STUDIARE E DIFENDERSI CON CURA

RAVENNA FORLI CESENA BOLOGNA AVVOCATO DIFENDE PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE – SENTENZA 12 gennaio 2021, n.852

Ciò posto, osserva il Collegio che, nella sentenza impugnata, la Corte di appello, dopo avere indicato quello effettuato dalla ex moglie del ricorrente nel 2002 come un finanziamento soci, ha affermato che ‘il credito correttamente nel 2011 era stato postergato‘. Espressione che lascerebbe, dunque, intendere che non si sia trattato di un versamento ‘in conto capitale’, quanto di un finanziamento rimborsabile, assoggettato alla disciplina di cui all’art. 2467 c.c., secondo cui il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, sul presupposto accertato dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. Tuttavia, la genericità delle indicazioni che, sul punto, si leggono nella sentenza gravata che, di fatto, vi opera un mero accenno, senza chiarire in alcun modo la natura del versamento, per i riflessi che riverbera sull’esatto inquadramento del fatto – come bancarotta distrattiva o preferenziale – impone di chiarire, in sede di rinvio, anche la natura del versamento in denaro effettuato nel 2002 dalla Gennari, verificando se si sia trattato di un versamento di un apporto in conto capitale di rischio (per il quale non c’è obbligo di restituzione), oppure di un vero e proprio finanziamento (per il quale sussiste, invece, l’obbligo di restituzione). È evidente, infatti, alla luce delle richiamate coordinate ermeneutiche, che ove il versamento debba essere inteso quale finanziamento in conto soci, non essendo maturato in capo alla finanziatrice un diritto di credito verso la società, alcuna compensazione sarebbe stata possibile all’atto della compravendita immobiliare. Diversamente, dovrebbe essere valutata la natura eventualmente preferenziale della distrazione derivata dalla compensazione del credito in favore di uno dei creditori sociali. E deve ricordarsi che la verifica della natura del versamento, per stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell’impresa collettiva, secondo le indicazioni rinvenibili nella giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, passa attraverso la interpretazione della volontà delle parti (Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, Rv. 588234; Sez. civ. 1, n. 15035 del 08/06/2018, Rv. 649557).

RAVENNA FORLI CESENA BOLOGNA AVVOCATO DIFENDE PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA

‘l’avere ceduto tutti i beni componenti l’attivo delle immobilizzazioni della società a prezzo inidoneo a garantire l’intangibilità della garanzia offerta dal patrimonio sociale, in costanza di una situazione debitoria ammontante a circa 800.000 Euro, per di più a soggetto avente rapporti di familiarità con gli organi che di fatto hanno dato corso all’operazione, sono elementi che correttamente sono stati valutati dal giudice di prime cure ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo del reato’ (pg. 5).

Si legge nella sentenza che si sarebbe trattato di un finanziamento soci risalente al 2002, e postergato nel bilancio del 2011. Manca, tuttavia, una specifica indicazione circa la effettiva natura di tale versamento, con conseguenti riflessi in punto di qualificazione giuridica del fatto distrattivo, alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale che, a proposito della natura dei finanziamenti dei soci in favore della società, distingue, quanto agli effetti penali, tra l’ipotesi in cui l’indebita restituzione ai soci abbia riguardato finanziamenti effettuati dai medesimi nel corso della vita della società in conto capitale, dal caso della restituzione di versamenti effettuati a titolo di mutuo. Si è affermato, in un recente arresto di questa Sezione, che il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con analoga dizione), integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale (Sez. 5 -, n. 8431 del 01/02/2019, Rv. 276031; in senso conforme, Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Rv. 254985; Sez. 5, n. 1793/12 del 10 novembre 2011, Rv. 252003).

il Tribunale ha ravvisato la condotta distrattiva nell’avere ceduto a un corrispettivo largamente inferiore (pari alla metà del valore stimato) le uniche disponibilità immobiliari della società, peraltro, in un momento in cui il capitale sociale era stato già completamente azzerato (secondo quanto riferito dal curatore e annotato dalla sentenza di primo grado). Nella sentenza impugnata, invece, la Corte di appello sottolinea, nell’incipit della motivazione, che ‘la condotta distrattiva contestata attiene il negozio di compravendita in sé e non il minore introito derivato dalla vendita a un prezzo piuttosto che a un altro’ (pg. 2). Salvo, poi, nelle pagine successive, a diffondersi in una specifica disamina della questione della congruità del prezzo della compravendita, posto dalla difesa appellante; a considerare che la cessione fosse stata ‘effettuata ad un prezzo non linearmente apprezzabile come appagante, in ogni caso non vantaggioso’ (pg. 4); a concludere, dopo avere richiamato consolidati principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di bancarotta fraudolenta, che ‘l’avere ceduto tutti i beni componenti l’attivo delle immobilizzazioni della società a prezzo inidoneo a garantire l’intangibilità della garanzia offerta dal patrimonio sociale, in costanza di una situazione debitoria ammontante a circa 800.000 Euro, per di più a soggetto avente rapporti di familiarità con gli organi che di fatto hanno dato corso all’operazione, sono elementi che correttamente sono stati valutati dal giudice di prime cure ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo del reato’ (pg. 5).

3.2. La evidente contraddittorietà delle argomentazioni così sintetizzate impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito affinché la sani, prendendo specifica posizione circa la natura della condotta distrattiva in concreto ravvisata, se riferibile al negozio traslativo in sé ovvero alla sproporzione del prezzo di vendita rispetto al valore reale del bene.

Nel rinnovato esame la Corte territoriale si uniformerà al consolidato principio di diritto che individua il bene giuridico protetto dalla bancarotta per distrazione negli interessi patrimoniali dei creditori del fallito, trattandosi di fattispecie costruita come reato di pericolo, onde l’evento di pericolo resta integrato dalla idoneità della condotta depauperativa a creare un vulnus alla integrità della garanzia della intera massa dei creditori, in caso di apertura di procedura concorsuale.

4. Nell’esaminare ex novo la condotta contestata, la Corte di merito rivaluterà, altresì, un ulteriore circostanza, esposta in maniera perplessa nella sentenza gravata. Ci si riferisce alla (imprecisata) natura del finanziamento effettuato dalla ex moglie del ricorrente in favore della società, quello che ha prodotto il credito poi andato in compensazione all’atto della compravendita de qua.

Nella materia penal-fallimentare, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con altra analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie della bancarotta preferenziale.Nella materia penal-fallimentare, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con altra analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie della bancarotta preferenziale.

4.2. Mutuando principi della giurisprudenza civilistica, si, è infatti considerato che i versamenti operati dai soci in conto capitale (o con altra analoga dizione indicati), pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno, tuttavia, una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio, sicché essi non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione, fermo restando che tra la società ed i soci può viceversa essere convenuta l’erogazione di capitale di credito, anziché di rischio, e che i soci possono effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società (Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, Rv. 588234; conf., ex plurimis, Sez. civ. 1, n. 25585 del 03/12/2014, Rv. 633810; Sez. civ. 1, n. 2758 del 23/02/2012, Rv. 621560; Sez. civ. 1, n. 21563 del 13/08/2008, Rv. 605073). Ne discende che l’erogazione di somme che a vario titolo i soci effettuano alle società da loro partecipate può avvenire a titolo di mutuo, con il conseguente obbligo per la società di restituire la somma ricevuta ad una determinata scadenza, oppure di versamento, destinato ad essere iscritto non tra i debiti, ma a confluire in apposita riserva ‘in conto capitale’ (o altre simili denominazioni), versamento, quest’ultimo, che non dà luogo ad un credito esigibile, se non per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo del bilancio di liquidazione, ed è più simile al capitale di rischio che a quello di credito, connotandosi proprio per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale residual claimant (Sez. civ. 1, n. 24861 del 09/12/2015, Rv. 637899).

Il condivisibile principio di diritto derivante dalle precedenti osservazioni è nel senso, dunque, che, nella materia penai-fallimentare, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con altra analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie della bancarotta preferenziale (Sez. 5 n. 8431/2019 cit.; nello stesso senso, Sez. 5, n. 14908 del 07/03/2008, Frigerio, Rv. 239487, e Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254985).

. Ciò posto, osserva il Collegio che, nella sentenza impugnata, la Corte di appello, dopo avere indicato quello effettuato dalla ex moglie del ricorrente nel 2002 come un finanziamento soci, ha affermato che ‘il credito correttamente nel 2011 era stato postergato’. Espressione che lascerebbe, dunque, intendere che non si sia trattato di un versamento ‘in conto capitale’, quanto di un finanziamento rimborsabile, assoggettato alla disciplina di cui all’art. 2467 c.c., secondo cui il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, sul presupposto accertato dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. Tuttavia, la genericità delle indicazioni che, sul punto, si leggono nella sentenza gravata che, di fatto, vi opera un mero accenno, senza chiarire in alcun modo la natura del versamento, per i riflessi che riverbera sull’esatto inquadramento del fatto – come bancarotta distrattiva o preferenziale – impone di chiarire, in sede di rinvio, anche la natura del versamento in denaro effettuato nel 2002 dalla Gennari, verificando se si sia trattato di un versamento di un apporto in conto capitale di rischio (per il quale non c’è obbligo di restituzione), oppure di un vero e proprio finanziamento (per il quale sussiste, invece, l’obbligo di restituzione). È evidente, infatti, alla luce delle richiamate coordinate ermeneutiche, che ove il versamento debba essere inteso quale finanziamento in conto soci, non essendo maturato in capo alla finanziatrice un diritto di credito verso la società, alcuna compensazione sarebbe stata possibile all’atto della compravendita immobiliare. Diversamente, dovrebbe essere valutata la natura eventualmente preferenziale della distrazione derivata dalla compensazione del credito in favore di uno dei creditori sociali. E deve ricordarsi che la verifica della natura del versamento, per stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo, o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell’impresa collettiva, secondo le indicazioni rinvenibili nella giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, passa attraverso la interpretazione della volontà delle parti (Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, Rv. 588234; Sez. civ. 1, n. 15035 del 08/06/2018, Rv. 649557).

5. Assorbiti gli ulteriori motivi, si impone pertanto l’annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che si uniformerà ai principi di diritto enunciati ai punti che precedono in ordine alla natura della condotta depauperativa, ai criteri distintivi tra bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta preferenziale, a quelli relativi a versamenti operati in conto capitale e versamenti a titolo di mutuo, e alla idoneità della condotta depauperativa a mettere in pericolo la garanzia patrimoniale dei creditori.

5.1. Nel quadro di tali principi di diritto, il giudice del rinvio conserva nel merito piena autonomia di giudizio nella ricostruzione dei dati di fatto e nella valutazione di essi (Sez. 1, n. 803 del 10/02/1998, Scuotto, Rv. 210016), potendo procedere ad un nuovo esame del compendio probatorio con il solo limite di non ripetere i vizi rilevati nel provvedimento annullato (Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, Montali, Rv. 252333). All’esito del giudizio di rinvio va altresì devoluto il regolamento delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimità.

Diritto penale

Ho maturato molta esperienza per quanto riguarda le diverse tipologie di reato, cercando sempre di scegliere la “strada giusta” in rito per difendere al meglio il Cliente in base anche alle sue caratteristiche e necessità.
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Oltre alla consulenza legale classica e al contenzioso (innanzi a tutte le Autorità Giudiziarie), con oltre venti anni di esperienza, lo Studio cura la predisposizione e l’aggiornamento dei modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa degli enti), esercita attivitá di Vigilanza sulla corretta ed efficace applicazione dei MOGC, si occupa della compliance con la normativa anti corruzione. Fornisce inoltre servizi legali nell’ambito dei procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione.


Violenza

ha seguito diversi casi giudiziari in relazione ad accuse di omicidio, rapina, lesioni personali ecc. Ho seguito molti casi sia come difensore degli imputati, cercando di escluderne o diminuirne le responsabilità, che delle persone offese da reato quantificando, anche in sede penale, i relativi danni.


Stalking e molestie

ha seguito diversi casi giudiziari in relazione ad accuse di atti persecutori, violenza privata, molestie ecc. Ho trattato diversi casi di stalking sia come difensore degli imputati, facendo leva sulle criticità delle denunce, sia come avvocato delle persone offese da reato spesso tutelandole anche in fase pre-processuale chiedendo ed ottenendo misure restrittive degli indagati.


Altre categorie:

Reati contro il patrimonio, Omicidio, Sostanze stupefacenti, Diritto penitenziario, Violenza, Stalking e molestie, Reati contro il patrimonio, Omicidio, Sostanze stupefacenti, Diritto penitenziario, Diritto ambientale, Sicurezza ed infortuni sul lavoro,


Violenza

Ho seguito molti casi sia come difensore degli imputati, cercando di escluderne o diminuirne le responsabilità, che delle persone offese da reato quantificando, anche in sede penale, i relativi danni.

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In considerazione del valore centrale attribuito alla esigenza di procedere alla rinnovazione istruttoria, le Sezioni Unite evidenziavano, infine, come anche il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale, anche d’ufficio (cfr. Cass., Sez. U., n. 27620 del 28/04/2016, rv. 267488, nonchè, nello stesso senso, in tema di giudizio abbreviato, Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, rv. 269787, Patalano).

Si è, quindi, evidenziato come, nell’ipotesi in cui sia appellata una sentenza di assoluzione, il contraddittorio deve essere implementato con il principio dell’oralità anche in appello, perchè questo è il metodo epistemologico più corretto ed idoneo a superare l’intrinseca contraddittorietà fra due sentenze che, pur sulla base dello stesso materiale probatorio, giungano ad opposte conclusioni, non apparendo influente, sotto detto aspetto, la circostanza che l’impugnazione sia proposta dal pubblico ministero piuttosto che dalla parte civile, posto che il nostro sistema processuale non prevede differenziazioni delle regole probatorie ai fini dell’accertamento della responsabilità penale e civile nel contesto unitario del processo penale, non potendosi, sotto il profilo del diritto di difesa, diversamente declinarsi le regole poste a presidio dello stesso, a seconda se vengano in rilievo profili penali o esclusivamente civili, non essendo ciò in alcun modo desumibile dai principi della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come sviluppati dall’interpretazione della Corte comunitaria e recepita nella Carta Costituzionale all’art. 111, nonchè dalla prospettiva posta a fondamento dell’elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite di questa Corte” (cfr. Cass., Sez. U. n. 14426 del 28/1/2019, Rv. 275112, Pavan, in motivazione).

A ciò si aggiunga, sotto diverso, ma concorrente profilo, che, come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonchè in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056; Cass., Sez. 3, n. 50351 del 29/10/2019, Rv. 277616).

 

Cassazione Penale Sez. V, Sent., (data ud. 18/02/2021) 29/07/2021, n. 29864

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –

Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere –

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.S., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 24/01/2020 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

 

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALFREDO GUARDIANO;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. BIRRITTERI LUIGI, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Rimini, in data 12.7.2018, aveva assolto B.S., con la formula perchè il fatto non costituisce reato, dal delitto, tra gli altri in contestazione, di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione ascrittogli nel capo A), in qualità di socio accomandatario della “(OMISSIS) SAS”, dichiarata fallita in data 17.7.2015, e di fallito in proprio, dichiarava il B. colpevole del reato de quo, condannandolo alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia.
  2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando vizio di motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova testimoniale, rappresentata dalle deposizioni dei testi M.V. e C.M., nonchè della prova documentale costituita dal contenuto dei partitari esaminati dalla curatrice fallimentare.

In particolare, ad avviso del ricorrente, l’assunto della corte territoriale, secondo cui i prelievi delle somme di denaro operati dal B. avrebbero avuto natura distrattiva, in quanto non pertinenti rispetto all’attività societaria, con connesso depauperamento del patrimonio sociale, perchè privi di contropartita, risulta smentito dal contenuto delle prove innanzi indicate, non considerate dalla corte territoriale, sulle quali si fondava la decisione assolutoria del giudice di primo grado, secondo cui ogni movimentazione di denaro da parte dell’imputato era stata finalizzata al fine di garantire gli adempimenti verso i creditori. Le prove in questione, infatti, rappresentano una realtà affatto diversa: l’imputato ha utilizzato i fondi che si assume oggetto di distrazione per completare gli appartamenti costruiti in corso di allestimento al fine di locarli, in modo da poter ridurre l’esposizione debitoria nei confronti dei creditori della società.

2.1. Con requisitoria scritta del 1.2.2021, depositata sulla base della previsione del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiede che il ricorso sia accolto, con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

  1. Il ricorso è fondato e va accolto.
  2. Al riguardo giova premettere una, sia pure sintetica, ricostruzione dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, formatasi sulla questione di diritto posta dal ricorrente, partendo dai principi affermati nella nota sentenza “Dasgupta” delle Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione.

 

In tale fondamentale arresto il Supremo Collegio rilevava, che, in pieno accordo con i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU, fermi restando i limiti derivanti dal dovere di immediata declaratoria di cause di non procedibilità o di estinzione del reato, ex art. 129 c.p.p., comma 1, il giudice di appello, investito dalla impugnazione del pubblico ministero che si dolga dell’esito assolutorio di primo grado adducendo una erronea valutazione sulla concludenza delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato senza avere proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.

Si tratta di una conclusione perfettamente in linea, sottolineava il Supremo Consesso, con la proposta di introduzione di una esplicitazione di un simile dovere del giudice di appello, nell’ambito di un apposito comma (4-bis) da inserire nell’art. 603 c.p.p., formulata dalla Commissione ministeriale istituita con decreto del 10 giugno 2013 per la elaborazione di interventi in tema di processo penale.

Proposta effettivamente recepita dal Legislatore, che, con la L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 58, ha inserito nel disposto dell’art. 603 c.p.p., il comma 3 bis, in cui si statuisce, con effetto a decorrere dal 3 agosto 2017, che “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla prova dichiarativa, il giudice dispone” (vale a dire, è tenuto a disporre) “la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”.

Nel corpo della medesima motivazione venivano affermati anche ulteriori principi, che appare opportuno ribadire.

In particolare, si è precisato, da un lato, che costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle dichiarazioni rese, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonchè quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti da sole o insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna.

Dall’altro, che la necessità per il giudice dell’appello di procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante.

In considerazione del valore centrale attribuito alla esigenza di procedere alla rinnovazione istruttoria, le Sezioni Unite evidenziavano, infine, come anche il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale, anche d’ufficio (cfr. Cass., Sez. U., n. 27620 del 28/04/2016, rv. 267488, nonchè, nello stesso senso, in tema di giudizio abbreviato, Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, rv. 269787, Patalano).

Si è, quindi, evidenziato come, nell’ipotesi in cui sia appellata una sentenza di assoluzione, il contraddittorio deve essere implementato con il principio dell’oralità anche in appello, perchè questo è il metodo epistemologico più corretto ed idoneo a superare l’intrinseca contraddittorietà fra due sentenze che, pur sulla base dello stesso materiale probatorio, giungano ad opposte conclusioni, non apparendo influente, sotto detto aspetto, la circostanza che l’impugnazione sia proposta dal pubblico ministero piuttosto che dalla parte civile, posto che il nostro sistema processuale non prevede differenziazioni delle regole probatorie ai fini dell’accertamento della responsabilità penale e civile nel contesto unitario del processo penale, non potendosi, sotto il profilo del diritto di difesa, diversamente declinarsi le regole poste a presidio dello stesso, a seconda se vengano in rilievo profili penali o esclusivamente civili, non essendo ciò in alcun modo desumibile dai principi della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come sviluppati dall’interpretazione della Corte comunitaria e recepita nella Carta Costituzionale all’art. 111, nonchè dalla prospettiva posta a fondamento dell’elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite di questa Corte” (cfr. Cass., Sez. U. n. 14426 del 28/1/2019, Rv. 275112, Pavan, in motivazione).

A ciò si aggiunga, sotto diverso, ma concorrente profilo, che, come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonchè in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056; Cass., Sez. 3, n. 50351 del 29/10/2019, Rv. 277616).

Tanto premesso, non può non rilevarsi come la corte territoriale, nel ribaltare la decisione assolutoria del giudice di primo grado, non abbia fatto buon governo di tali principi.

Il punto focale della fattispecie contestata all’imputato è rappresentato dalla natura distrattiva o meno delle operazioni effettuate dal B., prelevando somme di denaro dalla “cassa” ovvero dal conto corrente bancario della società fallita, per un importo complessivo di 145.129,48 Euro, come descritto nel capo A) dell’imputazione.

Il giudice di primo grado, nel pronunciare sentenza di assoluzione perchè il fatto non costituisce reato, si è richiamato a un principio affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (cfr. Cass., Sez. Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Rv. 270763) Ad avviso del giudice di primo grado tali “indici di fraudolenza” non sono configurabili nel caso in esame, in quanto, dalle risultanze processuali, era emerso che tutte le attività poste in essere dall’imputato, imprenditore edile a capo di un gruppo avente ad oggetto la costruzione e la vendita di unità immobiliari, “erano state finalizzate alla vitalità dell’azienda, alla sua ripresa in un momento di crisi generale e alla ragionevolezza imprenditoriale suffragata da strumenti leciti, quali il concordato preventivo, la realizzazione di contratti di affitto, che effettivamente avevano prodotto utili per il 2011” (con i quali, evidenzia il tribunale, “aveva addirittura saldato una parte dei debiti”) “e la partecipazione al salvataggio della società, mediante l’impiego di propri capitali e dei capitali dei propri familiari”.

Significativa, nella prospettiva seguita dal tribunale, è la circostanza che il B., allo scopo di salvare la società, non solo era riuscito a concludere con gli istituti bancari che vantavano posizioni creditorie nei suoi confronti un concordato preventivo, ma, soprattutto, “aveva diversificato la finalizzazione degli immobili: gli appartamenti in via di costruzione erano quindi stati bloccati, preferendo dar corso all’ultimazione di quelle unità immobiliari che avrebbero potuto essere poste in locazione”, ottenendo dai relativi canoni di affitto il ricavo finanziario necessario a coprire le spese vive e parte dei debiti.

In questa prospettiva, il tribunale ha ricondotto le movimentazioni di denaro imputabili al B. alla finalità, affatto distrattiva, di “garantire gli adempimenti verso creditori”, senza tacere, per altro verso, che “a fronte di un patrimonio immobiliare attivo di circa 5 milioni di Euro”, la curatrice del fallimento “non ha saputo specificare se le fatturazioni di cui al capo A) fossero destinate a prestazioni, consulenze o attività necessarie a far proseguire utilmente la società poi dichiarata fallita, limitandosi ad asserire di aver indicato l’esistenza di tali uscite senza altro considerare o poter considerare”.

Centrale, dunque, nella fattispecie in esame, è il tema della destinazione delle somme indicate nel capo A) dell’imputazione, in quanto, come è noto, integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106). Ed invero, il patrimonio di una società commerciale non è necessariamente intangibile, potendo configurarsi una sua diversa destinazione, qualificabile in termini di distrazione, solo se le sue – componenti siano impiegate per finalità estranee all’oggetto sociale ovvero senza remunerazione, non quando venga utilizzato per attività rientranti negli scopi dell’impresa, con accollo del relativo rischio economico, insito nella natura stessa dell’attività imprenditoriale.

Distrazione, in relazione alla quale va parametrato l’elemento soggettivo del reato, costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (cfr. Cass. Sez. U., n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266805).

 

Orbene, entrambi i profili non vengono affrontati adeguatamente dalla corte territoriale, che, con motivazione assolutamente assertiva, si limita ad affermare, da un lato, che non risulta dimostrata la destinazione delle movimentazioni di denaro in precedenza indicate al fine di garantire gli adempimenti verso i creditori, dall’altro che tali movimentazioni, essendo prive di corrispondenza sinallagmatica, non potevano che essere ricondotte ad una finalità distrattiva, senza indicare, tuttavia, le ragioni per cui gli esborsi in questione debbano considerarsi estranei alle finalità dell’impresa.

Omissione particolarmente significativa ove si tenga presente, che, come dimostrato dal ricorrente, dai partitari che la curatrice ha affermato di avere esaminato, allegati al ricorso, si evince che gli esborsi di denaro di cui essi danno contezza sono stati indicati con la dicitura “pagamenti fornitori”, che, secondo la prospettazione difensiva, sarebbero proprio i fornitori che hanno prestato la loro opera e i loro servizi per consentire il completamento degli appartamenti dai quali il B. si riprometteva di conseguire una fonte di sostegno finanziario per la società, come evidenziato dal tribunale di Rimini.

La corte territoriale, in conclusione, è giunta a un ribaltamento della pronuncia assolutoria, senza procedere, come avrebbe dovuto, alla rinnovazione delle prove dichiarative su cui il giudice di primo grado ha fondato la sua decisione (deposizioni dei testi M.; C. e Mo.).

Sotto altro profilo il giudice di appello ha fondato, altresì, la pronuncia di condanna dell’imputato su di una motivazione incompleta, che, da un lato, non si è confrontata adeguatamente con il percorso argomentativo del giudice di primo grado; dall’altro, ha omesso di prendere in considerazione un importante elemento probatorio acquisito al processo (i partitari, di cui si è detto), potenzialmente in grado di suffragare l’assunto del tribunale di Rimini, omissione che integra il vizio di travisamento della prova per omissione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (cfr. Cass., Sez. 6, n. 8610 del 05/02/2020, Rv. 278457).

  1. Sulla base delle svolte considerazioni, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Bologna, che provvederà a colmare le evidenziate lacune, uniformandosi ai principi di diritto innanzi richiamati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Bologna.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021