ART 2628 CC PENALE SOCIETARIO MILANO VICENZA BOLOGNA

ART 2628 CC PENALE SOCIETARIO MILANO VICENZA BOLOGNA

AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA ESPERTO
AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA ESPERTO

Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante

Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali, cagionando una lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione fino ad un anno.

 

ART 2628 CC PENALE SOCIETARIO MILANO VICENZA BOLOGNA

, la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che l’elemento soggettivo richiesto per la sussistenza dell’illecito consiste, nel caso dell’occultamento delle scritture contabili, nel dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori e, nella diversa ipotesi della fraudolenta tenuta di tali scritture, nel dolo generico.
, la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che l’elemento soggettivo richiesto per la sussistenza dell’illecito consiste, nel caso dell’occultamento delle scritture contabili, nel dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori e, nella diversa ipotesi della fraudolenta tenuta di tali scritture, nel dolo generico.

La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge.

Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.

Il delitto di illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante consiste nel fatto degli amministratori che acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali o della società controllante, cagionando una lesione all’integrità del capitale sociale e delle riserve non distribuibili per legge. Il decreto legislativo 61/2002 ha precisato che le condotte sono punite se tenute ´fuori dai casi consentiti dalla legge’. Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto. Il reato è strutturato con evento di danno nella forma di lesione all’integrità del capitale sociale e delle riserve non distribuibili per legge. È proprio questo il punto di differenza con le disposizioni incriminatrici del codice civile: non basterà a integrare il delitto di illecite operazioni sulle azioni o quote sociali della società controllante la mera inosservanza delle relative disposizioni civilistiche, ma occorrerà che la condotta abbia effettivamente determinato una indebita menomazione della sfera patrimoniale tutelata.

reati informatici
reati informatici

Come è noto, l’art. 223 comma secondo n. 2 L.F. configura una ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria della quale possono rispondere amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori delle società fallite, che abbiano cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società. A differenza dalla bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale ( artt. 216 co. 1, e 223 co. 1 L. F.), che postulano il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari, tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia avvenuto, nella bancarotta impropria cagionata da operazioni dolose, le condotte dolose, che non necessariamente costituiscono distrazione o dissipazione di attività, devono porsi in nesso eziologico con il fallimento; ciò che rileva, ai fini della bancarotta fraudolenta 3 Corte di Cassazione – copia non ufficiale impropria, non è, dunque, l’immediato depauperamento della società, bensì la creazione, o l’aggravamento, di una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, condurrà al fallimento della società (in tal senso, Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv.262188, secondo cui sussiste il delitto di bancarotta fraudolenta previsto dall’art. 223, comma secondo n. 2, I. fall. anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l’impresa). 2.1. Si tratta di reato a forma libera, integrato da condotta attiva o omissiva, costituente inosservanza dei doveri rispettivamente imposti ai soggetti indicati dalla legge, nel quale il fallimento è evento di danno, e si ritiene che la fattispecie si realizza non solo quando la situazione di dissesto trovi la sua causa nelle condotte o operazioni dolose ma anche quando esse abbiano aggravato la situazione di dissesto che costituisce il presupposto oggettivo della dichiarazione di fallimento ( Sez. 5, n. 40998, 20 maggio 2014, Rv. 262189, nella quale si è affermato che “non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod.pen., né il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica e implica un fenomeno in sé reversibile” ( Conf. Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, Rv. 259051; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247316 ; Sez. 5 n. 19806 del 28/02/2003, Rv. 224947). 2.2.Secondo l’indirizzo di questa Corte, poiché l’amministratore ha un obbligo di fedeltà nei confronti della società, ogni violazione di questo integra, sussistendone le altre condizioni, un’operazione dolosa ai sensi dell’art. 223 co. 2 n. 2 L.F., che può, pertanto, consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa (Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva qualificato come operazione dolosa il mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità). Come è stato già chiarito, in realtà, l’ “operazione” è termine semanticamente più ampio dell’ “azione”, intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l’insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano; sicché, può ben essere integrata dalla violazione – deliberata, sistematica e protratta nel tempo – dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell’esposizione debitoria della società ( Sez. 5 n. 24752 del 01/06/2018, Rv. 273337). In effetti, nelle pronunce di questa Corte, si è affermato più volte che le operazioni dolose in commento possono consistere nel mancato versamento dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità (Sez. 5 – , n. 43562 del 11/06/2019, Vigna, Rv. 4 Corte di Cassazione – copia non ufficiale 277125; Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, De Mattia e altri, Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046; in senso analogo, Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Belleri, Rv. 260492; Sez. 5 n. 12426 del 29/11/21013, dep. 2014, Rv. 259997) . Si è detto, altresì, che integra il reato di fallimento cagionato per effetto di operazioni dolose la condotta dell’amministratore che ometta il versamento delle imposte dovute, gravando così la società da ingenti debiti nei confronti dell’erario, e successivamente proceda alla distribuzione dei predetti utili a favore dei soci, in quanto, allorché l’assegnazione dell’utile avvenga senza la pre-deduzione dell’onere tributario e della conseguente penalità tributaria – che sorge al momento dell’erogazione della ricchezza – si concreta una manomissione della ricchezza sociale, trattandosi di distribuzione che eccede quanto di pertinenza dei soci (Sez. 5, n. 17355 del 12/03/2015, Rv. 264080). Invece, nel fallimento conseguente a operazioni dolose, esso è solo l’effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio che esso si verifichi. La prima fattispecie è, dunque, a dolo diretto di evento, mentre la seconda è a dolo generico. Si afferma, infatti, che non è necessaria la volontà diretta a provocare il dissesto, essendo sufficiente la consapevolezza di porre in essere un’operazione che, concretandosi in un abuso o in un’infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità della decozione ( Sez. 5 n. n. 45672 del 1/10/2015, Rv. 265510; conf,. Sez. 5 n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207; Sez. 5, n. 17690/2010 cit.). In alcune pronunce, si è fatto riferimento a una ipotesi di bancarotta preterintenzionale, per sottolineare che il collegamento con l’evento è puramente causale, come lascia intendere la formula “per l’effetto di”, in cui il dolo è riferito alle sole operazioni che cagionano il dissesto, e l’onere dell’Accusa resta assolto dalla dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione recante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri, a fronte degli interessi della società, pur inserendosi nel solco della citata necessità dell’astratta prevedibilità dell’evento di dissesto quale effetto dell’azione antidoverosa ( Sez. 5 n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247315; Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998„ Rv. 212613). Non cade, pertanto, in contraddizione il giudice di merito che ritenga insussistente il dolo (specifico) diretto alla causazione del fallimento, ed, al contempo, ravvisi il dolo (generico) in relazione a singole operazioni i –, che hanno determinato il fallimento (Sez. 5, n. 11945 del 22/09/1999, Rv. 214856); la nozione di operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, del RD 16 marzo 1942 n. 267, prevede il comportamento degli amministratori che cagionino il dissesto con abusi o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero con atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della impresa; l’elemento soggettivo richiesto, pertanto, non è la volontà diretta a provocare lo stato di ( insolvenza, essendo sufficiente la coscienza e volontà del comportamento sopra indicato (Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, dep. 1999, Carrino G, Rv. 212613). 3.2. In tale ottica, condivisibilmente i giudici di merito hanno ritenuto che il complessivo, protratto, sistematico inadempimento dei debiti erariali e/o contributivi, se, da un lato, arreca sicuri vantaggi all’impresa, sotto forma di risparmio dei relativi costi, dall’altro, aumenta ingiustificatamente l’esposizione nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali, così rendendo “prevedibile il conseguente dissesto della società” (Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046), poiché è un fatto, incontestato, che il 6 Corte di Cassazione – copia non ufficiale I Presidente Mar ricorrente abbia, per anni, omesso di adempiere ai predetti versamenti, a cui era tenuto per legge, sicchè egli non può non essersi rappresentato le possibili conseguenze di tale condotta, mentre le condotte distrattive degli amministratori che gli sono succeduti, lungi dall’affrancare l’imputato, danno conto— come efficacemente osservato dalla Corte di appello – della consapevolezza che essi hanno acquisito fin da subito della situazione di irrimediabile compromissione in cui versava la società. 4. Sono infondate anche le doglianze riguardanti il trattamento sanzionatorio, dal momento che la Corte di appello ha giustificato la scelta di confermare la pena — base ( anni quattro e mesi sei di reclusione) individuata dal primo giudice, facendo riferimento, con argomentazioni assolutamente ragionevoli, sia all’entità dell’importo evaso che alla dimostrata determinazione dell’imputato per lungo tempo. 4.1. Non coglie nel segno neppure la doglianza riguardante la decisione con la quale la Corte di appello ha confermato la durata ( massima) delle pene accessorie fallimentari, che resiste al vaglio di legittimità, poiché allineata al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite” Suraci” le quali hanno affermato che “La durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 cod. pen. (Sez. U – , n. 28910 del 28/02/2019 Ud. (dep. 03/07/2019) Rv. 276286).

  • reati tributari e fallimentari;
  • illeciti amministrativi degli enti dipendenti da reato ex D. Lvo 2001/231;
  • reati societari e finanziari;
  • frodi e sofisticazioni alimentari;
  • responsabilità professionale del medico e della struttura sanitaria;
  • infortuni e tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro ex D. Lvo 2008/81;
  • lesioni personali colpose ed omicidio stradale;
  • contraffazione e tutela penale della proprietà industriale o intellettuale;
  • computer crimes e diffamazione a mezzo stampa o web;
  • reati ambientali e violazioni edilizie.