Consulenza Penale
Redazione atto d’appello e processo davanti alla Corte d’Appello
Ricorso in cassazione
Revisione del processo
Redazione denunce querele
Salvo quanto previsto dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, l’imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pubblico ministero può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.
2. Il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di proscioglimento. L’imputato può appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso.
3. Sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda e le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa
In base al principio devolutivo che caratterizza il giudizio di appello ed in base alle norme sulle formalità dell’impugnazione, che richiedono, tra gli altri requisiti previsti a pena di inammissibilità del gravame, quello della specificità dei motivi (artt. 581, lett. c), e 591, primo comma, lett. c), cod. proc. pen.), deve escludersi che l’impugnazione della sentenza di primo grado in punto di responsabilità possa ritenersi implicitamente comprensiva anche della doglianza concernente il trattamento sanzionatorio. (In motivazione, la S.C. ha ulteriormente evidenziato che, in mancanza di uno specifico motivo, il giudice d’appello non può procedere d’ufficio alla riduzione della pena, anche perchè la facoltà riconosciutagli dal quinto comma dell’art. 597 cod. proc. pen. è circoscritta all’applicazione di ufficio dei benefici e delle attenuanti ivi indicate).
In tema di impugnazioni, la specificità che deve caratterizzare i motivi di appello va intesa alla luce del principio del “favor impugnationis”, in virtù del quale, in sede di appello, l’esigenza di specificità del motivo di gravame può essere valutata con minore rigore rispetto al giudizio di legittimità, avuto riguardo alle peculiarità di quest’ultimo.
I motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art. 581, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., nel senso di statuizioni suscettibili di autonoma considerazione. A tal fine costituiscono distinte statuizioni la questione relativa all’affermazione di responsabilità dell’imputato, investita dall’appello originario e quella inerente la configurabilità dell’aggravante del danno di speciale gravità, ex art. 219 l. fall., oggetto di motivo nuovo proposto in sede di legittimità. (Fattispecie in cui la difesa aveva sostenuto che la richiesta di assoluzione dell’imputato proposta con l’atto di appello ricomprendeva implicitamente anche la contestazione dell’aggravante del danno di speciale gravità, ritenuta dal giudice di primo grado; la S.C. ha ritenuto la diversità della statuizione sulla predetta aggravante rispetto a quella relativa all’affermazione di responsabilità, ritenendo la prima oggetto di motivo di ricorso proposto per la prima volta in sede di legittimità e, pertanto, inammissibile).
In tema di impugnazioni, la specificità necessaria per la valida formulazione dei motivi di appello deve essere valutata con minore rigore rispetto al giudizio di legittimità, in considerazione della natura del mezzo proposto, avente natura di gravame di tipo devolutivo, atto a provocare un nuovo esame del merito, in relazione al quale è sufficiente che la parte indichi i punti della sentenza di primo grado da riesaminare e le ragioni della richiesta.
In tema di impugnazioni, la specificità che deve caratterizzare i motivi di appello, seppur valutata alla luce del principio del “favor impugnationis”, deve comunque contrapporre alle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata argomentazioni che attengano agli specifici passaggi della motivazione della sentenza ovvero concreti elementi fattuali pertinenti a quelli considerati dal primo giudice, e non può quindi limitarsi a confutare semplicemente il “decisum” del primo giudice con considerazioni generiche ed astratte. (Fattispecie in cui l’imputato, condannato per il reato – commesso in carcere – previsto dall’art. 337 c.p., aveva chiesto il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, l’esclusione della recidiva e l’applicazione del minimo della pena, limitandosi a delineare una generica ed indistinta situazione di difficoltà e di disagio patita nell’ambiente carcerario).
L’inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi deve essere esclusa quando sono identificabili, con accettabile precisione, i punti cui si riferiscono le doglianze e le ragioni essenziali delle medesime, in considerazione della natura di tale specifico mezzo di impugnazione, nonchè del principio del “favor impugnationis”. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che la genericità dell’appello va valutata confrontando le censure articolate nell’impugnazione con le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato).
Il motivo d’appello è inammissibile per mancanza di specificità quando la deduzione che lo sorregge, in sé considerata (e quindi prescindendo dalla motivazione del provvedimento impugnato), non è pertinente al caso concreto e non è formulata in termini tali da indicare al giudice di secondo grado la direzione verso la quale deve indirizzarsi la sua verifica autonoma e da consentire al medesimo, sulla base di quanto dedotto, un apprezzamento tendenzialmente idoneo ad orientare la decisione del punto devoluto.
In tema di impugnazioni, la specificità che deve caratterizzare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del “favor impugnationis”, in virtù del quale, in sede di appello, l’esigenza di specificità del motivo di gravame ben può essere intesa e valutata con minore rigore rispetto al giudizio di legittimità, avuto riguardo alle peculiarità di quest’ultimo. (Fattispecie nella quale la S.C. ha censurato l’ordinanza di inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte territoriale ancorché la difesa nell’atto di impugnazione avesse dedotto, in relazione alla pena irrogata, la mancata applicazione del minimo edittale e della più mite e favorevole pena pecuniaria prevista in alternativa all’arresto)
È ammissibile l’appello quando la parte indichi specificamente i punti della sentenza di primo grado che richiede che siano riesaminati, indicandone le ragioni. (Fattispecie nella quale la Corte ha annullato l’ordinanza che dichiarava inammissibile per genericità l’appello del ricorrente, con il quale era stata richiesta la derubricazione del reato nell’ipotesi tenue prevista dall’art. 648 comma secondo cod. pen.).
È inammissibile l’atto di appello che, pur individuando il punto della sentenza censurato che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello nonché la diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame, sia privo dell’indicazione dei motivi di dissenso rispetto alla decisione appellata.
È legittimo il provvedimento con il quale il tribunale, nell’esaminare l’appello contro la decisione del giudice che abbia respinto l’istanza di revoca di misura cautelare (nella specie obbligo di dimora), richiami, facendola propria, la motivazione della decisione in precedenza emessa ed avente ad oggetto le medesime questioni; del pari la motivazione dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 310 c.p.p. può far riferimento a quanto indicato in altri provvedimenti, pronunciati dallo stesso organo giudicante, sempre nell’ambito della stessa controversia e sulle medesime questioni.
Atto d’opposizione alla richiesta d’archiviazione
La sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007 della Corte Costituzionale — con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 1 L. n. 46 del 2006, nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 c.p.p., escludeva che il pubblico ministero potesse appellare contro le sentenze di proscioglimento, e dell’art. 10, comma secondo, stessa legge, nella parte in cui prevedeva l’inammissibilità dell’appello proposto dal pubblico ministero prima della entrata in vigore della legge — ha effetto retroattivo sulle impugnazioni pendenti contro le sentenze pronunciate all’esito del giudizio di primo grado e fa rivivere l’originario atto di appello proposto dal pubblico ministero. Ne consegue che la Corte di cassazione, investita del ricorso del pubblico ministero dopo l’ordinanza d’inammissibilità dell’appello, deve annullare senza rinvio la medesima ordinanza e trasmettere gli atti alla Corte di appello per il giudizio.
In caso di riforma in appello, su impugnazione del P.M., di una sentenza di assoluzione, l’annullamento della sentenza di condanna solo sul punto della mancata concessione della sospensione condizionale della pena, determina il rinvio al giudice di appello in conformità con la disposizione transitoria di cui all’art. 10, comma 4, legge 20 febbraio 2006, n. 46 secondo cui il divieto della restituzione al giudice di appello opera solo qualora l’annullamento investa punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza.
Nell’ambito della recente novella introdotta con la L. n. 46 del 2006, che ha reso inappellabili le sentenze di proscioglimento, la disciplina transitoria della citata legge, che impone la dichiarazione di inammissibilità dell’appello nel caso di annullamento nel giudizio di cassazione, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, di una sentenza di condanna che in appello abbia riformato una sentenza di assoluzione, preclude l’annullamento con rinvio ed obbliga all’annullamento senza rinvio, con contestuale declaratoria di inammissibilità dell’appello e conseguente notifica della sentenza di annullamento al pubblico ministero competente, affinché valuti l’eventualità di proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado.
La disciplina transitoria prevista dall’art. 10, comma quarto, L. 20 febbraio 2006 n. 46, secondo cui l’inammissibilità dell’appello del P.M. contro una sentenza di assoluzione opera anche nel caso in cui venga annullata una sentenza di condanna che abbia riformato una sentenza di assoluzione, non è affetta da illegittimità costituzionale rispetto agli artt. 3 e 111 Cost. nella parte in cui non è applicabile ai processi pendenti davanti alla Corte di Cassazione, in quanto la deroga al principio tempus regit actum contenuta in tale regime transitorio trova una sua giustificazione solo per quelle situazioni che regrediscono alla fase dell’impugnazione in conseguenza di un annullamento con rinvio, ma non è applicabile al caso in cui la fase dell’impugnazione del P.M. si è già consumata e la conseguente decisione di condanna pronunciata dal giudice di appello deve essere confermata.
Nell’ambito della recente novella introdotta con la L. n. 46 del 2006, che ha reso inappellabili le sentenze di proscioglimento, la disciplina transitoria della citata legge, che impone la dichiarazione di inammissibilità dell’appello nel caso di annullamento nel giudizio di cassazione, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, di una sentenza di condanna che in appello abbia riformato una sentenza di assoluzione, comporta l’annullamento senza rinvio quale che sia il motivo di annullamento, e quindi ancorché la sentenza sia affetta da vizi di motivazione, con la contestuale dichiarazione di inammissibilità dell’appello e conseguente notifica della sentenza di annullamento al pubblico ministero competente ai fini di quanto previsto dall’art. 10, comma terzo, L. n. 46 del 2006.
La novella dell’art. 593 c.p.p. ad opera della legge n. 46 del 2006, con la previsione della inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, non ha fatto venire meno in capo alla parte civile il potere di appello, ai soli effetti della responsabilità civile, delle sentenze di proscioglimento, secondo quanto previsto dall’art. 576 c.p.p.
Alla luce della novella introdotta con la L. n. 46 del 2006 che ha reso inappellabili le sentenze di proscioglimento, la disciplina transitoria della citata legge, che impone la dichiarazione d’inammissibilità dell’appello nel caso di annullamento nel giudizio di cassazione, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, di una sentenza di condanna che in appello abbia riformato una sentenza di assoluzione, trova applicazione anche nell’ipotesi di annullamento senza rinvio, per estinzione del reato per prescrizione, della sentenza di condanna in appello, in ragione della prevalenza del principio del favor rei, che induce a preferire il proscioglimento nel merito della sentenza di primo grado alla pronuncia applicativa della causa di estinzione del reato.
La disciplina transitoria della legge n. 46 del 2006 in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, anche emesse in esito al giudizio abbreviato, che impone la dichiarazione d’inammissibilità dell’appello nel caso di annullamento nel giudizio di cassazione, su punti diversi dalla pena o dalla misura di sicurezza, di una sentenza di condanna che in appello abbia riformato una sentenza di assoluzione, trova applicazione, in base al principio dell’eadem ratio, nel caso non disciplinato dell’annullamento della sentenza di assoluzione resa su appello della sentenza di assoluzione di primo grado.
In tema di conversione del ricorso per cassazione in appello, il presupposto della conversione è costituito dalla pertinenza dei due mezzi di impugnazione alla «stessa sentenza», da intendersi come unica statuizione del giudice, della stessa natura e sul medesimo oggetto, rispetto alla quale si profili l’eventualità di decisioni incompatibili per il caso di celebrazione dei diversi giudizi di impugnazione. Non è pertanto applicabile la conversione quando ricorso ed appello siano proposti con riferimento ad una decisione unitaria solo dal punto di vista grafico, e perà riguardanti imputati diversi, per taluno dei quali sia stata applicata la pena, in esito al dibattimento e sul presupposto del carattere ingiustificato del dissenso del P.M. o del provvedimento di rigetto della richiesta, mentre per altri sia stata pronunciata condanna.
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Non è appellabile dall’imputato la sentenza di applicazione della pena pronunciata dal giudice che, in chiusura del dibattimento, ritenga ingiustificato il dissenso espresso dal P.M. o il provvedimento di rigetto della richiesta, poiché tutte le sentenze che applicano la pena su richiesta delle parti hanno analoga natura e, salvo particolari disposizioni normative, esplicano i medesimi effetti.
Sussiste l’interesse ad impugnare e deve pertanto ritenersi ammissibile il gravame nei confronti di provvedimento che sospende condizionalmente la pena dell’ammenda concernente contravvenzioni per le quali è ammessa l’oblazione in quanto, conseguendone l’iscrizione nel casellario giudiziale, la concessione del beneficio si risolve in un pregiudizio per l’imputato, stante la maggiore stigmatizzazione della pena irrogata a seguito dell’iscrizione nel casellario (peraltro immediata), molto più grave rispetto al lieve vantaggio rappresentato dall’esenzione (condizionata) dal pagamento.
Ai sensi dell’art. 593, terzo comma, c.p.p. sono inappellabili le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa. Ne consegue che, proposta impugnazione dal P.M. avverso una di tali sentenze, la corte di merito deve astenersi dal pronunciare la decisione di secondo grado e limitarsi a qualificare come ricorso l’impugnazione stessa; ove la corte d’appello pronunci invece la sentenza di secondo grado e venga poi presentato ricorso per cassazione, detta sentenza deve essere annullata senza rinvio e la Suprema Corte deve ritenere il giudizio, qualificando come ricorso per cassazione l’appello proposto dal P.M. avverso la sentenza di primo grado.
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Anche se l’art. 593, terzo comma, c.p.p. prevede l’inappellabilità della sentenza nell’ipotesi di proscioglimento da contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, qualora il P.G. proponga appello, lamentando l’erroneo proscioglimento dalla contravvenzione e nel contempo da un delitto, l’impugnazione non è inammissibile in quanto ricorre l’ipotesi di cui all’art. 580 c.p.p. (già art. 514 c.p.p. 1930), e cioè quella di connessione di reati.
Originally posted 2017-11-27 17:49:29.