Bancarotta fraudolenta – Condanna – ex artt. 223 – 216 – 219

Bancarotta fraudolenta – Condanna – ex artt. 223 – 216 – 219 fraudolenta – Condanna – Presupposti – Articoli 530 e 603 cpp – Rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – Articolo 217 legge fallimentare – Trattamento sanzionatorio – Parametri – Circostanze attenuanti generiche – Diniego – Articolo 133 cp – Criteri – Sentenza della corte costituzionale 222 del 2018 – Pene accessorie

Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|24 marzo 2021| n. 11390

Bancarotta fraudolenta – Condanna – ex artt. 223 – 216 – 219

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. DE GREGORIO Eduardo – rel. Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 25/09/2019 della CORTE APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. EDUARDO DE GREGORIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. GIORDANO LUIGI;

udito il difensore.

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Messina ha confermato la sentenza di primo grado di condanna alla pena di giustizia nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo amministratore di fatto della societa’ (OMISSIS), la seconda legale rappresentante di (OMISSIS) srl in liquidazione, rispettivamente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, consistita nel tenere le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione dei movimenti del patrimonio aziendale ed il movimento degli affari, e per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di risorse finanziarie. Epoca dei due fallimenti: (OMISSIS).

  1. Ha presentato ricorso l’imputato (OMISSIS) tramite difensore di fiducia che, con il primo motivo, ha lamentato la manifesta illogicita’ di motivazione. La Corte avrebbe confermato la responsabilita’ del giudicabile senza tener conto del breve periodo, dal 2009 al 2011, data del fallimento, nel quale questi si era ingerito nella gestione societaria, essendo per gli anni precedenti, dal 2005 al 2009 estraneo all’amministrazione della societa’.

1.1 Per altro verso era rimasta senza adeguata risposta la richiesta della difesa di riqualificare il fatto come bancarotta semplice.

  1. Nel secondo motivo ci si e’ doluti della motivazione mancante ed illogica quanto alla richiesta di attendere la determinazione della Corte Costituzionale sulla durata prefissata per legge delle pene accessorie fallimentari. La Corte territoriale non avrebbe giustificato il mantenimento delle pene accessorie nella misura di dieci anni.

  2. Tramite il terzo motivo e’ stato dedotto il vizio di manifesta illogicita’, quanto al trattamento sanzionatorio anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

  3. Ha presentato ricorso l’imputata (OMISSIS), tramite il medesimo difensore fiduciario che, con il primo motivo, ha lamentato la mancanza ed illogicita’ di motivazione riguardo alla richiesta di assoluzione ex articolo 530 cpv c.p.p.dal reato di bancarotta per distrazione e per il rigetto dell’istanza ex articolo 603 c.p.p.volta ad accedere alla documentazione allegata alla relazione della Polizia Giudiziaria. La contestazione elevata nei confronti della ricorrente era riferita a uscite dai conti correnti societari e per versamenti ai soci di risorse finanziarie senza documentazione giustificativa; la Corte d’appello aveva ritenuto superflua la richiesta istruttoria, valutando che il materiale probatorio fosse completo e tuttavia aveva confermato l’affermazione di responsabilita’ di (OMISSIS), poiche’ l’imputata non aveva esibito alcuna fattura per prestazioni ricevute. 3.1 Ha sostenuto, pertanto, la ricorrente, che il vuoto documentale era stato lesivo per la conoscenza effettiva delle modalita’ distrattive sia per la difesa che per il Giudice.

  4. Nel secondo e terzo motivo sono state riproposte le doglianze di cui al secondo e terzo motivo del ricorso (OMISSIS).

Con requisitoria scritta a norma del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, articolo 83, comma 12-ter, convertito, con modificazioni, con la L. 24 aprile 2020, n. 27, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, dr Giordano, ha concluso per l’inammissibilita’ dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono inammissibili.

Ricorso (OMISSIS).

  1. Il primo motivo di ricorso, avente ad oggetto la qualita’ di amministratore di fatto attribuita all’imputato pecca all’evidenza di genericita’ estrinseca, in quanto non ha relazione con la motivazione che intenderebbe censurare, essendo la critica incentrata solo sul tema del breve periodo nel quale il giudicabile si era ingerito nella gestione della societa’, cioe’ nel biennio dal 2009 al 2011, epoca della dichiarazione di fallimento; la difesa non si accorge di aver in tal modo ammesso lo svolgimento di funzioni di amministrazione se pure – a suo dire – per un tempo che considera limitato.

Per altro verso la tesi difensiva non si confronta con la motivazione, che ha posto in luce adeguatamente gli elementi per i quali l’attuale ricorrente e’ stato ritenuto amministratore di fatto, riferendosi alle attivita’ da egli svolte di procacciare clienti, di selezionare e gestire il personale da delocalizzare presso le sedi dei clienti; si sono, inoltre, razionalmente valorizzati elementi di prova inequivocabilmente conducenti verso la soluzione adottata dai Giudici del merito, quali il conferimento della delega per operare sui conti correnti societari e la procura per agire in ordine alle sorti della societa’, fin dal 2006; infine, si e’ sottolineato che i dipendenti della societa’ avevano sempre avuto a che fare nei rapporti di lavoro con l’imputato, non avendo mai conosciuto la defunta Laccisaglia, come emerso da una sentenza del Tribunale del lavoro acquisita nel corso del giudizio.

Sulla base dei suindicati plurimi elementi la Corte territoriale ha coerentemente opinato che l’imputato avesse rivestito la qualifica di amministratore di fatto della fallita, ponendo in luce lo svolgimento in modo non occasionale ma continuativo delle relative funzioni gestorie.

1.1 La pronunzia e’, quindi, coerente con il consolidato orientamento espresso da questa Corte regolatrice, che, nel definire la nozione di amministratore di fatto, ha piu’ volte chiarito come in proposito occorra aver riguardo alla presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico dell’agente con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attivita’ della societa’, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita’, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare e che il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita’, ove sostenuta da congrua e logica motivazione. Ex multis: Sez. 5, Sentenza n. 8479 del 28/11/2016 Ud. (dep. 22/02/2017) Rv. 269101, Sez. 5, Sentenza. 35346 del 20/06/2013 Ud. (dep. 22/08/2013) Rv. 256534.

  1. Quanto alla specifica censura attinente la fattispecie di bancarotta documentale, unico addebito di cui il giudicabile deve rispondere, deve, in primis, precisarsi che nella fase del merito e’ stata ritenuta l’ipotesi di bancarotta documentale per irregolare tenuta della documentazione contabile, ad integrare la quale la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ritiene necessario e sufficiente l’elemento psicologico del dolo generico, bastando ad integrarla la consapevolezza che la lacunosa o confusa o in parte omessa tenuta delle scritture contabili possa impedire la ricostruzione dei movimenti finanziari e patrimoniali della societa’.

Sez. 5, Sentenza n. 26613 del 22/02/2019 Ud. (dep. 17/06/2019) Rv. 276910.

Si tratta di uno degli elementi di differenziazione tra le ipotesi di bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta documentale, come piu’ volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimita’, per la quale l’elemento soggettivo della bancarotta semplice L.Fall., ex articolo 217, comma 2, puo’ essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volonta’ o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, L.Fall., ex articolo 216, comma 1, n. 2), l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volonta’ dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che cio’ renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’impresa. Sez. 5 Sentenza n. 2900 del 02/10/2018 Ud. (dep. 22/01/2019) Rv. 274630.

Un secondo e diverso profilo di distinzione tra le due fattispecie incriminatrici e’ dato dall’evento dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito, che caratterizza l’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale per irregolare tenuta delle scritture contabili e che non e’ requisito necessario a perfezionare la diversa fattispecie di bancarotta semplice descritta dalla L.Fall., articolo 217, comma 2, Sez. 5, Sentenza n. 32051 del 24/06/2014 Ud. (dep. 21/07/2014) Rv. 260774.

2.1 La Corte sicula ha fatto buon governo del suindicato sistema di principi, avendo logicamente desunto il dolo generico dalle complessive modalita’ della condotta accertata ed in tal senso si e’ sottolineata anche l’acquisizione proveniente dalle indagini, secondo la quale il giudicabile era un evasore totale, non avendo presentato dichiarazioni dei redditi per gli anni di imposta dal 2006 al 2009, ne’ aveva esibito libri, registri e scritture contabili; se ne e’ coerentemente ricavata, quindi, la consapevolezza che la frammentarieta’ delle scritture contabili, infine consegnate agli investigatori, impedisse, come in realta’ verificatosi, la ricostruzione dei movimenti patrimoniali e finanziari della societa’.

  1. Il secondo motivo del ricorso riguardo la mancata giustificazione della durata delle pene accessorie mantenute nella misura di dieci anni, e’ anch’esso inammissibile, in quanto la Corte territoriale ha preso atto della pronunzia 222/2018 della Corte Costituzionale ed ha inteso modulare le pene accessorie fallimentari tramite i criteri indicati nell’articolo 133 c.p., correttamente seguendo i principi fissati dal piu’ autorevole Collegio di questa Corte nella sentenza Sez. U -, Sentenza n. 28910 del 28/02/2019 Ud. (dep. 03/07/2019) Rv. 276286, Suraci. E’ ormai noto, invero che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex articolo 37 c.p..

La Corte d’appello nel fissare le pene accessorie in dieci anni ha fatto riferimento ai precedenti specifici gravanti sull’imputato e la determinazione appare esattamente resa ai sensi degli articoli 132 e 133 c.p. ed adeguatamente, se pur sinteticamente motivata, essendo pertanto insindacabile in questa sede. Cosi’ in un caso analogo a questo oggetto dell’attuale giudizio, in presenza di pene accessorie definite nella misura del massimo edittale: Sez. 5, Sentenza n. 7034 del 24/01/2020 Ud. (dep. 21/02/2020) Rv. 278856.

4.11 terzo motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio e’ inammissibile, avendo svolto censure generiche circa l’entita’ del trattamento sanzionatorio principale, definito eccessivo ed ingiustificato, anche in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti ex articolo 62 bis c.p. Ignora la difesa che sul punto i Giudici del merito hanno correttamente valorizzato le complessive e gravi modalita’ dell’azione, i motivi della perpetrazione degli illeciti ed i precedenti specifici di entrambi gli imputati.

Ricorso (OMISSIS).

  1. Con il primo motivo di ricorso, unico dotato di autonomia rispetto alle doglianze proposte nella precedente impugnazione, si vuole affermare l’incompletezza della documentazione acquisita nel corso del processo e l’insufficienza delle prove a fondare la conferma della responsabilita’ dell’imputata riguardo al delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva di risorse finanziarie della societa’; allo scopo si ripete l’argomento della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale gia’ proposto in grado di appello.

Nel caso in esame i Giudici del merito hanno ritenuto plausibilmente che gli elementi acquisiti alla loro cognizione fossero sufficienti a decidere, avendo posto rilievo il dato probatorio per il quale le uscite di denaro avvenute tra il 2005 ed il 2007 verso il fornitore (OMISSIS) srl con causa pagamento fatture, erano in toto prive di giustificazione, non essendo state reperite le fatture di riferimento dagli organi fallimentari, fatture che neppure l’imputata aveva prodotto in giudizio. La giustificazione appare razionalmente resa ed adeguatamente motivata e la sua tenuta logico-argomentativa non e’ incrinata dalla generica affermazione della ricorrente circa l’ipotizzato deficit di conoscenza documentale, che sia la difesa sia il Giudice avrebbero patito.

  1. La scelta della Corte d’appello e’, altresi’, coerente con i principi sul punto affermati da questa Corte secondo i quali la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’articolo 603 c.p.p., comma 1, e’ subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento e’ rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’ se correttamente motivata, come nel caso in esame. Sez. 6, Sentenza n. 48093 del 10/10/2018 Ud. (dep. 22/10/2018) Rv. 274230.

5.2 Per quanto riguarda la seconda parte della condotta distrattiva contestata all’imputata, relativa alla cosiddetta restituzione finanziamento soci, la motivazione ha evidenziato come dal giudizio fosse emerso che l’erogazione di liquidita’ da parte dei soci era contabilizzata come finanziamento esclusivamente per evitare l’esposizione a rischio di impresa che sarebbe derivata dalla appropriata contabilizzazione come conferimento al capitale. In ogni caso e’ stato correttamente opinato che, in ragione del principio di postergazione ex articolo 2467 c.c., comma 1, il rimborso dei finanziamenti non avrebbe potuto essere effettuato se non dopo il soddisfacimento degli altri creditori, cosa pacificamente non avvenuta.

Anche in tal caso la soluzione adottata dai Giudici del merito e’ in linea con i principi stabiliti in proposito da questa Corte, che ha ritenuto integrato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione a carico dell’amministratore di una societa’ che proceda al rimborso di finanziamenti erogati dai soci, in violazione della regola della postergazione, di cui all’articolo 2467 c.c., o di versamenti effettuati in conto capitale, in quanto le somme versate devono essere destinate al perseguimento dell’oggetto sociale e possono essere restituite solo quando tutti gli altri creditori siano stati soddisfatti.

Sez. 5, Sentenza n. 50188 del 10/05/2017 Cc. (dep. 03/11/2017) Rv. 271775.

  1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono in sostanza identici ai corrispondenti motivi presentati dal comune difensore di fiducia nell’interesse di (OMISSIS) e, pertanto, si rimanda agli apprezzamenti gia’ svolti in proposito.

Alla luce delle considerazioni e dei principi che precedono i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e ciascun ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|8 marzo 2021| n. 9316

Bancarotta fraudolenta ex artt. 223 – 216 – 219 legge fallimentare – Notifiche successive a imputato non detenuto presso il difensore in assenza di domicilio dichiarato da parte dell’imputato ex art. 157 comma 8 bis cpp – Gruppi societari ex art. 2359 cc – Depauperamento della impresa nei reati fallimentari – Fatti di distrazione e di dissesto rilevanti in qualsiasi momento – Dolo del concorrente extraneus – Liquidazione di provvisionale – Sufficienza della esistenza del danno e non della sua quantificazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. SESSA Renata – rel. Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 23/09/2019 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RENATA SESSA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ODELLO LUCIA, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ dei ricorsi;

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ di tutti e tre i ricorsi.

udito il difensore;

L’avvocato (OMISSIS), riportandosi ai motivi di ricorso ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

  1. Consentenza del 23 settembre 2019 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa in data 17 marzo 2016 dal Tribunale della medesima citta’, ha rideterminato le pene accessorie fallimentari inflitte agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in anni cinque per ciascuno di essi, confermando nel resto l’affermazione di responsabilita’, e la relativa condanna, per i reati di cui all’articolo 110 c.p. L.Fall., articoli 223, 216 e 219.

  2. Avverso la predetta sentenza ricorrono per cassazione gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) Giorno e (OMISSIS), allegando i seguenti motivi.

  3. Nell’interesse di (OMISSIS) vengono dedotti due motivi di ricorso.

3.1. Con il primo motivo si deduce l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’, ex articolo 606 c.p.p., lettera c) in relazione all’articolo 157 c.p.p..

Il giudizio di appello e’ stato si celebrato in assenza dell’imputato, al quale non e’ mai pervenuta la notifica del decreto di citazione innanzi alla Corte territoriale, senza che sussistessero tuttavia le condizioni affinche’ cio’ potesse essere validamente ammesso.

Tale circostanza e’ stata dedotta nel corso dell’udienza del 23 settembre 2019 dalla difesa, tramite un’eccezione che veniva poi respinta dalla Corte con ordinanza emessa lo stesso giorno, con cui si g e’ affermata la validita’ della notifica in forza di due argomentazioni.

Da un lato, si sostiene che il (OMISSIS) non avesse ne’ eletto ne’ indicato domicilio.

Tuttavia, tale argomento non coglie nel senso se si considera che, ai sensi dell’articolo 157 c.p.p., “la prima notificazione all’imputato non detenuto e’ eseguita mediante consegna di copia alla persona. Se non e’ possibile consegnare personalmente la copia, la notificazione e’ eseguita nella casa di abitazione”, e che il (OMISSIS) ha sempre vissuto presso l’abitazione indicata nella sentenza di primo grado, senza mai trasferire, nelle more del processo, la residenza, il domicilio o l’abitazione altrove, e che di tutto cio’ si dava atto nell’atto di appello.

Dall’altro lato, si assume che la notifica all’imputato dell’avviso emesso in occasione dello spostamento dell’udienza in data 27 giugno 2019 sarebbe stata legittimamente omessa in virtu’ della rilevata ritualita’ di quella gia’ intervenuta, mentre il successivo differimento era stato disposto a causa dell’impedimento del difensore.

Sotto questo ulteriore profilo, il ricorrente fa notare che, per la celebrazione del giudizio d’appello, veniva fissata in prima battuta udienza in data 29 marzo 2019; nelle more, veniva notificato avviso di differimento alla data del 28 giugno 2019 e, con successivo avviso, si anticipava l’udienza al 27 giugno 2019. Orbene, nessuna di tali comunicazioni veniva notificata al (OMISSIS); solo il decreto di citazione a giudizio veniva notificato al difensore non domiciliatario.

La relativa eccezione e’ stata sollevata, tempestivamente, alla prima udienza nella quale il difensore ha potuto presenziare, in quanto per l’udienza del 27 giugno 2019 era stato richiesto il rinvio per legittimo impedimento dello stesso – istanza che e’ stata accolta sussistendone i requisiti.

3.2. Con il secondo motivo si deduce la mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e), con riferimento alla valutazione dell’elemento soggettivo in capo al (OMISSIS).

Tale vizio emerge chiaramente dalla comparazione fra l’atto di appello e la sentenza di secondo grado. Nei motivi di gravame, la difesa ha chiesto alla Corte di valutare determinati fatti e circostanze emersi nel corso del dibattimento dai quali si ricava che il (OMISSIS) non ha consapevolmente commesso i reati ascrittigli, avendo lo stesso instaurato un rapporto di rappresentanza solo formale della societa’, la quale veniva gestita dal solo (OMISSIS).

Nella sentenza si afferma che, invece, il (OMISSIS) fosse perfettamente a conoscenza della natura gratuita e quindi pregiudizievole delle garanzie prestate dalla societa’ (OMISSIS), in quanto avrebbe sottoscritto delle cambiali che sapeva essere state avallate da quest’ultima; inoltre, il (OMISSIS) aveva ricevuto una fideiussione omnibus per 500.000,00 Euro.

L’avallo e la fideiussione predetti, nella ricostruzione operata dalla Corte, costituiscono i due elementi nodali, che dimostrerebbero la ritenuta e consapevole partecipazione del (OMISSIS) all’attivita’ criminosa di altri soggetti facenti parte della c.d. “(OMISSIS)”.

Tuttavia, tali circostanze non furono mai conosciute dal (OMISSIS), e non vi e’ nessun atto del dibattimento che dimostri il contrario; piuttosto il dibattimento ha messo in luce come i rapporti con le banche furono intrattenuti dal solo (OMISSIS).

La motivazione non giunge a spiegare, poi, l’irrazionalita’ del comportamento del (OMISSIS), il quale avrebbe accettato, secondo la ricostruzione operata dalla Corte, un incarico con assunzione illimitata di rischi, al seguito di un soggetto di cui avrebbe pienamente conosciuto e condiviso le malefatte, per il pagamento di uno stipendio modesto e relativo ad un periodo limitato di tempo.

Si chiede dunque l’annullamento della sentenza affinche’ la Corte di merito valuti il materiale probatorio emerso in dibattimento per dare una motivata risposta in ordine ai quesiti posti nell’atto di appello dalla difesa.

  1. Nell’interesse di (OMISSIS) vengono dedotti due motivi di ricorso.

4.1. Con il primo motivo si lamenta la nullita’ della sentenza per mancanza della motivazione in relazione alla affermata sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, con specifico riguardo alle garanzie concesse dalla fallita e al ruolo dell’imputato.

Invero, la Corte di Appello di Milano ha confermato la condanna del (OMISSIS) sulla scorta di una motivazione solo apparente. La difesa, infatti, in sede di impugnazione della sentenza di primo grado, aveva rilevato come non fosse possibile configurare la penale responsabilita’ dell’imputato in quanto le garanzie rilasciate dalla societa’ fallita ((OMISSIS) s.r.l.) rispondevano ad un concreto interesse della medesima che, in tal modo, garantiva la prosecuzione dell’attivita’ produttiva delle societa’ collegate, beneficiarie delle fideiussioni ( (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.), che potevano in tal modo corrispondere i relativi canoni di locazione all’ (OMISSIS) s.r.l. (invero, la (OMISSIS) operava nel campo della commercializzazione all’ingrosso dello zucchero e, per quanto riguarda l’acquisto della materia prima, intratteneva rapporti soprattutto con fornitori tedeschi che chiedevano il pagamento anticipato della merce, con conseguente necessita’ di ricorrere al credito bancario, mentre la (OMISSIS) svolgeva attivita’ inerente la gestione di un’area attrezzata per camionisti e viaggiatori – albergo, ristoro etc. -, area anch’essa di proprieta’ della (OMISSIS), fallita).

Tuttavia, la Corte di Appello si limita ad osservare, astrattamente e, dunque, con motivazione solo apparente, che il ricorrente fosse colpevole in quanto, avendo curato le richieste di mutuo per conto della (OMISSIS), era consapevole che le garanzie non erano inerenti all’oggetto sociale della societa’ fallita. Motivando in tal modo, si e’ del tutto omesso di considerare che l'(OMISSIS), collegata alle altre attraverso il controllo di (OMISSIS), ltretutto anche amministratore di fatto di tutte e tre le societa’, aspirava ad ottenere il pagamento dei canoni di locazione dei suoi immobili proprio grazie alla prosecuzione delle attivita’ delle beneficiarie delle garanzie.

In tale contesto, non si comprende per quale ragione (OMISSIS) avrebbe dovuto escludere la sussistenza di vantaggi compensativi, specie se si considera che gli stessi devono essere valutati non solo in un’ottica globale, ma anche in una prospettiva a lungo termine.

Ancora, la qualifica di extraneus di (OMISSIS) rispetto alle vicende distrattive avrebbe dovuto indurre la Corte a procedere ad un ancor piu’ rigoroso accertamento dell’elemento soggettivo; a tal proposito, era stato osservato come l’imputato non godesse di alcuna autonomia, essendo la gestione operativa della societa’ di esclusiva spettanza del (OMISSIS), e rileva come le richieste di finanziamento risalissero agli anni (OMISSIS), epoca molto lontana nel tempo, non solo in riferimento alla dichiarazione di fallimento ((OMISSIS)), ma anche rispetto al momento in cui la societa’ era entrata in sofferenza ((OMISSIS)).

Fintantoche’ (OMISSIS) e’ rimasto nella societa’ ((OMISSIS)), i mutui, seppur a fatica, erano stati rimborsati; prova ne e’ che, se cosi’ non fosse stato, le banche non avrebbero continuato a erogare credito. Tuttavia, con riguardo a tale aspetto, la Corte di Appello, ignorando ancora una volta i vantaggi compensativi, anche sotto il profilo delle ragionevoli aspettative di (OMISSIS) e, dunque, la dimensione soggettiva, si e’ limitata ad affermare che e’ “irrilevante (…) che l’attivita’ concorrente di (OMISSIS) sia avvenuta anni prima della dichiarazione di fallimento di (OMISSIS) perche’ egli ha comunque concorso alla commissione di fatti di bancarotta distrattiva in modo consapevole”.

4.2. Con il secondo motivo si deduce la nullita’ della sentenza impugnata per mancanza di motivazione in relazione alla determinazione della pena e alla concessione della provvisionale in favore della parte civile. Tramite l’atto di appello si era lamentata la mancata concessione delle circostanze attenuanti con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, in ragione, in primis, del comportamento processuale dell’imputato, ed in secundis, a causa della disparita’ di trattamento rispetto ai coimputati che rivestivano cariche nella societa’ fallita.

Indi si chiede l’annullamento della sentenza impugnata.

  1. Nell’interesse di (OMISSIS) si deduce un unico motivo di ricorso.

Con esso si lamenta l’erronea applicazione della legge penale e l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’ ex articolo 606 c.p.p., lettera b) e c).

Le doglianze esposte nell’atto di appello attenevano all’affrettata valutazione del giudice di primo grado, il quale non aveva approfondito l’effettiva capacita’ ex articolo 133 c.p. del (OMISSIS), relativa alla impossibilita’ da parte dello stesso di affrontare la benche’ minima operazione contabile richiesta dalla complessa conduzione della societa’ fallita, trattandosi di un giardiniere con scarsa scolarita’. A tal proposito, si segnalavano anche le sentenze della giurisprudenza di legittimita’ relative alla operazione di indagine alla quale sarebbe stato tenuto il giudice di merito; tuttavia, il Tribunale si e’ limitato ad osservare che il (OMISSIS), nella sua qualita’ di amministratore della societa’ fallita, aveva materialmente sottoscritto gli atti di ipoteca e di fidejussione, aventi portata distrattiva, e sulla base di cio’ ha concluso che dovessero, quindi, ritenersi provati tanto l’elemento oggettivo quanto quello soggettivo.

Si assume, infine, che vi sia stata la mancata trattazione della posizione del (OMISSIS), cio’ nonostante condannato alla rifusione, in solido con gli altri imputati, delle spese in favore della costituita parte civile, che e’ causa di annullamento della sentenza impugnata.

  1. Con nota pervenuta il 28.1.2021 il difensore di (OMISSIS), nel controdedurre agli argomenti esposti dal Sostituto Procuratore Generale nella requisitoria scritta, depositata ai sensi delDecreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, ha interloquito in ordine al ritenuto difetto di autosufficienza rilevato dal P.G. in relazione alla eccezione di nullita’ di cui al primo motivo di ricorso; ha altresi’ reiterato le doglianze di cui al secondo motivo, sottolineando che non si possa affermare che il (OMISSIS), come presuppone la ricostruzione della sentenza impugnata, fosse consapevole della estraneita’ delle societa’ al gruppo.

Con ulteriore atto si e’ altresi’ trasmesso il verbale del 6.11.2020 avente ad oggetto la riconosciuta invalidita’ civile del (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono inammissibili.

  1. Il ricorso nell’interesse di (OMISSIS).

1.1. Il primo motivo e’ manifestamente infondato.

Risulta agli atti che il decreto di citazione per la pubblica udienza presso la Corte di Appello di Milano, e successivo slittamento/anticipazione dell’udienza, sono stati notificati al difensore di fiducia ex articolo 157 c.p.p., comma 8-bis. Trattasi infatti non di una prima notificazione, ma di una notificazione successiva da effettuare ad imputato non detenuto.

Il disposto di cui all’articolo 157 c.p.p., comma 8-bis introdotto dal Decreto Legge 21 febbraio 2005, n. 17, articolo 2, comma 1, nel testo modificato dalla Legge di conversione 22 aprile 2005, n. 60, secondo il quale dopo la prima notificazione all’imputato non detenuto, quelle successive, qualora egli non abbia eletto un domicilio ed abbia nominato un difensore di fiducia, sono eseguite mediante consegna a quest’ultimo – salvo che lo stesso dichiari immediatamente di non accettarla -, trova fondamento in un rapporto fiduciario (e non meramente formale, come al contrario avviene nel caso della difesa d’ufficio) tra l’imputato ed il difensore.

Inoltre, tale disposizione lascia libero l’imputato di interromperne in ogni momento l’automatismo, stante la possibilita’ di eleggere domicilio, ma cio’ non e’ avvenuto nel caso di specie, come emerge anche dal ricorso (in cui solo alle fine si cita – impropriamente – una massima afferente tale ipotesi, laddove si era in premessa indicato, quale luogo presso cui ai sensi dell’articolo 157 codice di rito andava effettuata la notificazione, l’indirizzo dell’abitazione dell’imputato).

La forma di notificazione prevista dall’articolo 157 c.p.p., comma 8-bis, secondo cui le notificazioni all’imputato non detenuto, successive alla prima, sono eseguite mediante consegna al difensore di fiducia che non abbia rinunciato a riceverle, non prevale, infatti, incondizionatamente sugli altri criteri ordinari ma si aggiunge ad essi, a fini di accelerazione processuale ed in attuazione del principio di ragionevole durata del processo, fatto salvo il caso in cui consti una dichiarazione o elezione di domicilio, che ha prevalenza rispetto agli altri criteri di notificazione (Sez. 1, Sentenza n. 37076 del 16/04/2018 Cc. (dep. 31/07/2018) Rv. 273668 – 01); con la conseguenza che, ove non consti una dichiarazione o-4úzione di domicilio, le notificazioni successive alla prima ben possono essere effettuate anche – ai sensi del detto comma 8-bis.

1.2. Quanto al secondo motivo, si osserva che esso e’ del tutto aspecifico.

La corte territoriale, a differenza di quanto assume il ricorrente, ha fornito ampia motivazione in ordine ai punti toccati nell’appello, avendo innanzitutto premesso che le societa’ non potessero essere ritenute un gruppo societario in senso tecnico e che l’espressione ” gruppo ” era stata adoperata dal tribunale al solo fine di indicare che le societa’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano tutte riconducibili a (OMISSIS) (che ha definito la sua posizione col patteggiamento in appello), essendo insufficiente l’elemento della utilizzazione di beni immobili di proprieta’ della (OMISSIS) da parte dell’altra societa’ (nel caso specifico si trattava della (OMISSIS) che aveva stipulato un contratto di affitto di un capannone al prezzo di 96.000 Euro all’anno).

I gruppi societari – si spiega nella sentenza impugnata – sono disciplinati dall’articolo 2359 c.c. che definisce la societa’ controllata e quella collegata: entrambe le societa’ subiscono un controllo esterno da un’altra societa’ in presenza di precisi vincoli contrattuali o in presenza di una influenza notevole.

Indi, ha osservato che nel caso delle societa’ oggetto del presente giudizio va esclusa la influenza dominante in assemblea e l’influenza determinata da particolari vincoli contrattuali, dal momento che l’utilizzo da parte di (OMISSIS) di immobili oggetto del contratto di locazione e, in generale l’utilizzo di beni immobili della (OMISSIS), non puo’ integrare il controllo esterno in virtu’ di particolari vincoli contrattuali poiche’ non creava oggettiva dipendenza economica di una societa’ rispetto ad un’altra, essendo la (OMISSIS) libera di recedere dal contratto di locazione in qualsiasi momento.

Ha osservato che va esclusa anche l’influenza notevole dal momento che la liquidita’ veniva immessa solo da (OMISSIS) che, in danno dei propri creditori, garantiva la sopravvivenza delle altre societa’ senza alcun corrispettivo.

Le societa’ definite del gruppo (OMISSIS), non erano ne’ controllate ne’ collegate, non rappresentavano un gruppo societario.

Ha altresi’ precisato la corte territoriale che pur a voler accedere alla tesi difensiva dell’esistenza di un gruppo, le operazioni oggetto dell’imputazione rimangono distrattive poiche’ comportavano il depauperamento di una sola societa’.

Nel caso di specie la (OMISSIS) falliva per aver effettuato attivita’ di finanziamento e di concessione di garanzie, attivita’ estranee all’oggetto sociale, in favore delle societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) senza alcun corrispettivo, senza alcuna contropartita economica.

Siffatte operazioni sono distrattive anche se effettuate tra societa’ appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale poiche’ determinano per le societa’ del gruppo un vantaggio senza alcun ritorno compensativo per la (OMISSIS).

La unilateralita’ del vantaggio e’ sufficiente per affermare la natura distrattiva dell’operazione.

Si osserva altresi’ al riguardo nella motivazione impugnata che i difensori di tutti gli imputati, oltre che ribadire lungamente l’esistenza del gruppo, non hanno affatto neppure prospettato – ne’ tanto meno dimostrato – che l’operazione economica era temporaneamente svantaggiosa, che la (OMISSIS) aveva comunque ricevuto vantaggi indiretti in grado di elidere gli effetti immediatamente negativi (laddove il solo ricorrente (OMISSIS) si limita, in questa sede, a prospettare il mero ritorno, anche nel lungo periodo, in termini di assicurazione del pagamento del canone di locazione da parte delle societa’ beneficiarie in favore della locatrice (OMISSIS)).

Cio’ posto, la corte territoriale ha affermato, con particolare riferimento alla posizione del (OMISSIS), che la firma delle cambiali da parte di questi – che era stato amministratore di diritto, al pari del (OMISSIS), in tempi diversi, della (OMISSIS) ovvero della societa’ che necessitava di essere finanziata e di fatto fu finanziata con garanzie che andarono a gravare sul patrimonio immobiliare della (OMISSIS) poi fallita – e la conoscenza da parte dello stesso dell’avallo della (OMISSIS) – circostanza nota all’imputato poiche’ le banche avevano richiesto alla (OMISSIS) il rientro – costituiscono elementi che consentono di ritenere sufficientemente dimostrata la sussistenza del dolo in capo al (OMISSIS).

Ha, in altri termini, concluso la corte di appello che il (OMISSIS), firmando le cambiali avallate dalla (OMISSIS), nonche’ ricevendo da questa una fideiussione omnibus per la somma di Euro 500.000 nonche’ l’avallo di numerose cambiali, ha concorso nell’operazione distrattiva posta in essere dagli amministratori della (OMISSIS) con piena consapevolezza che si trattava di garanzie rilasciate a titolo gratuito da parte della (OMISSIS), che andavano a depauperare solo la concedente, senza alcun vantaggio o contropartita per la stessa.

A fronte di una siffatta ricostruzione, che rimanda peraltro per l’dettagli e tutti i passaggi ricostruttivo-probatori della vicenda alla conforme, lunga ed articolata, pronuncia di primo grado, i rilievi mossi dalla difesa attengono in definitiva al fatto, e si risolvono in una mera prospettazione di eventi e di valutazioni probatorie alternative, sollecitando una loro rivalutazione inammissibile in sede di legittimita’, mentre per la parte che attingono piu’ propriamente la motivazione sono aspecifici.

  1. Il ricorso nell’interesse di (OMISSIS).

2.1. Innanzitutto, deve intendersi qui richiamato quanto sopra osservato dalla corte territoriale in ordine al tema del gruppo di societa’, che i ricorrenti hanno avallato nei rispettivi atti di appello, e che esaurisce in toto anche i rilievi mossi al riguardo nell’interesse del (OMISSIS), qui pedissequamente riproposti.

Anche in tal caso, la corte territoriale, operata la premessa sulla insussistenza di un gruppo di societa’ inteso in senso tecnico, ha evidenziato come non potesse essere messa in discussione la piena consapevolezza del (OMISSIS) in ordine alla natura distrattiva dell’operazione posta in essere da (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente amministratori di fatto e di diritto della (OMISSIS), ad esclusivo vantaggio delle societa’ (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., alla quale egli ebbe a partecipare, quale extraneus, in quanto amministratore della (OMISSIS) e della (OMISSIS); rileva che le garanzie rilasciate dalla societa’ fallita (OMISSIS) s.r.l. non rispondevano affatto ad un interesse di questa, atteso che in tale modo si garantiva unicamente la prosecuzione dell’attivita’ produttiva delle societa’ beneficiarie delle fideiussioni (amministrate dal (OMISSIS)); esclusa la sussistenza di vantaggi compensativi, la fallita (OMISSIS) nel finanziare l’acquisto dello zucchero, materia prima di (OMISSIS), garantendo il mutuo contratto da (OMISSIS) con i propri immobili, perseguiva attivita’ non solo estranea all’oggetto sociale ma anche in palese danno dei propri creditori.

In particolare, la corte di appello afferma – quanto all’elemento soggettivo – che il (OMISSIS), alla stregua dei contenuti dei contratti di mutuo stipulati dalla (OMISSIS), avendo egli anche curato le richieste di finanziamento per conto di tale societa’, fu certamente al corrente del fatto che la (OMISSIS), peraltro gia’ a sua volta indebitata – come dallo stesso implicitamente ammesso in appello col riferimento ad un successivo aggravamento del suo passivo garantendo il mutuo contratto da (OMISSIS) con i propri immobili e, dunque perseguendo un’attivita’ estranea all’oggetto sociale, aveva posto in essere una condotta che non vedeva alcuna contropartita per essa ed era solo foriera di danno per i propri creditori, e che andava, invece, a tutto vantaggio della (OMISSIS).

D’altronde, come emerge dalla stessa impostazione difensiva, se e’ vero che le banche continuarono a concedere i mutui alla (OMISSIS), e’ altrettanto vero pero’ che tale circostanza non puo’ essere ritenuta indicativa della solidita’ di tale societa’ e della fiducia che sulla stessa riversavano ancora gli istituti di credito dal momento che i finanziamenti continuarono ad essere elargiti proprio – e solo – perche’ – evidentemente – vi erano le garanzie della (OMISSIS) (rilascio di ipoteche e fideiussione in favore delle societa’ (OMISSIS) e (OMISSIS) per svariati milioni di Euro in relazione a mutui poi non onorati dalle predette beneficiarie, con conseguente insinuazione al passivo della (OMISSIS) delle banche).

La corte territoriale ha anche precisato, conformemente ai principi affermati da questa Corte in materia, che nessun rilievo potrebbe peraltro avere ai fini che occupano la circostanza, qui nuovamente riproposta, secondo cui il fallimento sarebbe intervenuto dopo diversi anni rispetto a tale operazione.

Ed invero, in tema di reati fallimentari, la condotta sanzionata dal reato di bancarotta non e’ quella di avere cagionato lo stato di insolvenza o di avere provocato il fallimento della societa’, bensi’ quella di avere depauperato l’impresa, consistente nella destinazione delle risorse ad impieghi estranei alla dinamica imprenditoriale, con la conseguenza che non e’ necessario che la rappresentazione e la volonta’ dell’agente investano il fallimento o il dissesto aziendale, essendo sufficiente che si riferiscano alla sua diminuzione patrimoniale (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 38325 del 03/10/2013 Ud. (dep. 18/09/2014) Rv. 260378 – 01; nonche’ Sez. U, Sentenza n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266804 – 01 che in motivazione ha precisato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si e’ realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza.).

Ed ancora, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non e’ necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il dissesto dell’impresa, in quanto, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, detti fatti assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l’insolvenza non si era ancora manifestata (Sez. 5, Sentenza n. 11095 del 13/02/2014, Rv. 262741 – 01).

Ne’ potrebbero sussistere dubbi sulla natura distrattiva delle operazioni poste in essere. Ed invero, come ha gia’ avuto modo di affermare questa Corte, integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la concessione di un’ipoteca senza un sinallagma rispondente al fine istituzionale dell’impresa, in quanto essa realizza di per se’ ed automaticamente una diminuzione patrimoniale; inoltre, poiche’ ai fini della configurabilita’ del reato e’ postulato il dolo generico, la divergenza oggettiva dell’atto di disposizione dal fine suddetto da’ sufficientemente conto della direzione del volere dell’agente, essendo del tutto irrilevanti i motivi che hanno determinato il suo comportamento (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 45332 del 09/10/2009, Rv. 245157 – 01; nonche’, anche per l’analoga ipotesi della fideiussione, Sez. 5, Sentenza n. 32467 del 16/04/2013 Ud. (dep. 25/07/2013) Rv. 256779 – 01).

E cio’ e’ vieppiu’ evidente soprattutto se si considera che il vincolo impresso ai beni mediante la costituzione della garanzia comporta il sorgere di un’obbligazione a carico del patrimonio della fallita nei confronti di terzi, in grado di determinare un pericolo per gli interessi dei creditori preesistenti.

E’, infine, solo il caso di rammentare, con specifico riferimento al concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, che il dolo del concorrente “extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarieta’ della propria condotta di apporto a quella dell'”intraneus”, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della societa’, la quale puo’ rilevare sul piano probatorio, quale indice significativo della rappresentazione della pericolosita’ della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, Sentenza n. 4710 del 14/10/2019 Ud. (dep. 04/02/2020) Rv. 278156 02; nonche’ Sez. 5, Sentenza n. 38731 del 17/05/2017, Rv. 271123 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 54291 del 17/05/2017 Ud. (dep. 01/12/2017) Rv. 271837 – 01); rappresentazione della pericolosita’ che nel caso di specie discende, oltre che dalla evidenza della natura dell’operazione, dalla consapevolezza, da parte del (OMISSIS), della situazione di sofferenza in cui versava la societa’ da lui amministrata beneficiaria delle garanzie (piu’ che dalla conoscenza delle condizioni finanziarie della societa’ che aveva concesso le garanzie, perche’ erano piuttosto le condizioni finanziarie della prima, che ricorreva frequentemente all’indebitamento, a rendere l’operazione evidentemente pericolosa per il patrimonio della seconda).

2.2. Parimenti privo di pregio il secondo motivo.

La corte territoriale dopo aver premesso che il (OMISSIS) e’ stato condannato alla pena di anni uno di reclusione, pena posta in continuazione con quella inflitta in altra sentenza di condanna per fatti analoghi, non si e’ limitata a sottolineare che l’aumento di un solo anno a titolo di continuazione e’ da ritenersi congruo in considerazione dei fatti al medesimo ascritti e che la pena complessiva di anni tre di reclusione dovesse ritenersi anzi fin troppo mite, ma ha anche affermato che l’esistenza del precedente sul quale era stato effettuato l’aumento in continuazione avrebbe dovuto consigliare maggiore prudenza nel riconoscimento delle attenuanti generiche sebbene concesse in regime di equivalenza, in tal modo implicitamente esaurendo il profilo sul trattamento sanzionatorio, comprensivo della questione sulle attenuanti generiche, rispetto alle quali si era lamentata la mancata valutazione in termini di prevalenza (mediante la generica prospettazione del comportamento processuale del (OMISSIS), ritenuto valorizzabile per il solo fatto che avesse proposto richiesta di patteggiamento non accolta dal tribunale e avesse offerto, sulla base delle sue conoscenze, un contributo in sede di esame, e di una supposta disparita di trattamento rispetto ad altri coimputato).

E’ jus receptum, invero, che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche – e a maggior ragione il bilanciamento di esse con le aggravanti – non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899); e allorquando si tratta di valutare il solo profilo del bilanciamento e’ evidente che l’ambito valutativo si restringe ulteriormente, essendo gia’ intervenuta una valutazione positiva degli elementi, evidentemente non ritenuti pero’ tali da supportare anche una comparazione in termini di prevalenza.

La concessione delle attenuanti generiche richiede, infatti, l’apprezzamento di elementi positivi che orientino la discrezionalita’ affidata al giudice nella definizione del trattamento sanzionatorio verso l’attribuzione di una sanzione meno afflittiva; ne consegue che le determinazioni del giudice di merito in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche – e al loro bilanciamento – sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette come certamente nel caso di specie – da motivazione esente da vizi logico-giuridici (Sez. 6, n. 38780 del 17/06/2014, Morabito, Rv. 260460; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone e altri, Rv. 249163; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altro, Rv. 242419; Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003 – dep. 23/02/2004, P.G. in proc. Anaclerio ed altri, Rv. 229768).

2.2.1. La motivazione non e’ attaccabile neppure nella parte in cui e’ stata confermata la condanna al pagamento della provvisionale, avendo essa innanzitutto evidenziato come la richiesta di revoca di tale statuizione fosse a rigore proprio generica ed in quanto tale inammissibile. Si e’ poi, nondimeno, osservato che le provvisionali erano state poste nei confronti di ciascun imputato in relazione alla sola condotta per la quale era stata ritenuta la responsabilita’ (provvisionali in ogni caso quantificate nella parte ritenuta, relativamente alla fase in cui sono state riconosciute, certa, – e qui non oggetto di contestazione sotto tale profilo – essendosi pronunciata, quanto ai danni, unicamente condanna generica al risarcimento del danno derivante dalle rispettive condotte alla parte civile costituita, Fallimento (OMISSIS) s.r.l., da liquidarsi in separato giudizio).

Indi, rimarra’ compito del giudice civile, al quale sono state rimesse le parti per la quantificazione dell’esatto ammontare dei danni, quello di tener conto anche proprio delle specifiche condotte addebitate a ciascun imputato; in quell’ambito evidentemente potranno essere fatti valere tutti i profili che in sede penale non sono stati considerati in mancanza di prova del quantum complessivo.

Ed invero, in tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata e’, a sua volta, riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbligo di espressa motivazione quando, per la sua non particolare rilevanza – o per l’evidenza della sua inferiorita’ alle cifre emergenti dagli atti – l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile (Sez. 4, n. 20318 del 10/01/2017 – dep. 28/04/2017, Mazzella, Rv. 26988201, in motivazione, questa Corte ha precisato che per la liquidazione della provvisionale non e’ necessaria la prova dell’ammontare del danno, ma e’ sufficiente la certezza dello stesso sino all’ammontare della somma liquidata.).

  1. Il ricorso nell’interesse del (OMISSIS).

Il ricorso e’ manifestamente infondato. Ed invero i rilievi circa l’omesso esame, da parte della Corte, dei motivi di appello non trovano alcun riscontro, posto che la sentenza compiutamente esamina e disattende l’appello proposto dal ricorrente (OMISSIS) (v. pag. 18 e 19 della pronuncia impugnata), ritenendo, con motivazione congrua ed esente da censure di sorta, provata la penale responsabilita’ del predetto, resa palese dagli atti firmati nella qualita’ di amministratore di diritto della societa’ fallita, di inequivoca interpretazione e comprensione (tre atti di costituzione di garanzie ipotecarie sui beni della (OMISSIS) e una fideiussione in favore di due istituti di credito che avevano concesso i finanziamenti alle beneficiarie delle garanzie);con la conseguenza che il ricorso finisce col non confrontarsi con la sentenza che impugna, che aveva anche sottolineato la irrilevanza dell’asserito basso grado di scolarita’ del (OMISSIS), spiegandone le ragioni.

In punto di trattamento sanzionatorio – che sembra essere l’effettivo punto oggetto di doglianza in ricorso – la sentenza impugnata ha altresi’ in maniera congrua evidenziato che la pena inflitta, determinata in due anni di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla aggravanti dei plurimi fatti di bancarotta e del danno di rilevante gravita’, dovesse ritenersi piu’ che congrua (e anzi sin troppo benevola tenuto conto dell’entita’ del danno (essendo l’ammissione al passivo del fallimento intervenuta per complessivi Euro 1.800.000,00); a fronte della congruita’ ed esaustivita’ di tale motivazione il ricorrente si limita a censure generiche meramente ripropositive dell’argomento della incapacita’ del (OMISSIS) di “affrontare la benche’ minima operazione contabile richiesta dalla complessa conduzione della societa’ fallita”, ampiamente superato, peraltro, nella sentenza impugnata attraverso la ricostruzione della vicenda che aveva visto coinvolto a pieno titolo anche il predetto.

4, Ne discende la declaratoria di inammissibilita’ dei ricorsi, cui consegue, per legge, ex articolo 606 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di procedimento, nonche’, trattandosi di causa di inammissibilita’ determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00, per ciascuno di essi, in relazione alla entita’ delle questioni trattate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.

Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|28 dicembre 2020| n. 37525

REATI FALLIMENTARI – BANCAROTTA FRAUDOLENTA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 28/09/2018 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALFREDO GUARDIANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FILIPPI PAOLA;

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’.

udito il difensore.

FATTO E DIRITTO

  1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Brescia riformava in senso piu’ favorevole al reo, solo sotto il profilo dell’entita’ del trattamento sanzionatorio, la sentenza con cui il tribunale di Bergamo, in data 21.3.2013, aveva condannato (OMISSIS), nella sua qualita’ di amministratore della “(OMISSIS) s.r.l. unipersonale”, esercente attivita’ di intermediazione immobiliare, dichiarata fallita dal tribunale di Bergamo con sentenza del (OMISSIS), alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia, in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione in rubrica ascrittogli, confermando nel resto la sentenza impugnata.

  2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando: 1) vizio di motivazione, in quanto, in realta’ l’imputato per i fatti in contestazione e’ gia’ stato condannato con sentenze passate in giudicato, agli atti del processo, per reati commessi in danno delle stesse persone da cui, secondo l’assunto accusatorio, provengono le somme consegnate al (OMISSIS) a titolo di anticipo per l’acquisto di immobili.

La diversita’ delle qualificazioni giuridiche attribuite ad un fatto unico, che ha violato piu’ disposizioni di legge, non osta all’assorbimento del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale nei reati per i quali sono state pronunciate le sentenze passate in giudicato, stante il chiaro tenore dell’articolo 649 c.p.p.; 2) vizio di motivazione, in quanto le somme indicate come distratte non sono mai entrate a far parte del patrimonio della societa’ fallita, dunque non possono esserne uscite, trattandosi di somme provenienti da promissari acquirenti di immobili e ricevute dal (OMISSIS), non nell’interesse della societa’, ma in qualita’ di mandatario, in nome e per conto del promittente venditore.

  1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), earticolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), in quanto fondato su motivi, che, riproponendo acriticamente le stesse ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame (con la cui motivazione sul punto il ricorrente non si confronta), devono considerarsi non specifici, ed anzi, meramente apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso.

La mancanza di specificita’ del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificita’, conducente, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, rv. 236945; Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, rv. 255568; Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, rv. 277710).

3.1. Ed invero, quanto al primo motivo di ricorso, la corte territoriale, con motivazione articolata ed assolutamente condivisibile, ha evidenziato che “nel presente processo si discute di somme che, entrate nel patrimonio della societa’ poi fallita, furono distratte dall’imputato e dunque di una condotta che ha portato alla indebita fuoriuscita dalle casse sociali di quel denaro. Le condotte per le quali (OMISSIS) gia’ e’ stato condannato in via definitiva, attengono invece alle modalita’ – illecite con le quali quegli importi confluirono nel patrimonio suddetto”.

Per dedurne, con assoluta coerenza, la diversita’ dei reati contestati negli autonomi processi a carico del (OMISSIS), sia sotto il profilo del bene giuridico protetto, che dei soggetti passivi del reato, che, nei delitti di appropriazione indebita e di truffa, per i quali il ricorrente e’ stato condannato con sentenza passata in giudicato, “sono le singole persone fisiche il cui patrimonio e’ stato depauperato mediante quelle condotte ciascuna di per se stessa considerata mentre nel delitto di bancarotta soggetto passivo e’ la massa dei creditori”, sicche’, dal punto di vista logico-giuridico, la condotta di truffa o di appropriazione indebita rappresenta il necessario antecedente logico della successiva attivita’ di distrazione, conforme al modello legale del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, avente ad oggetto il patrimonio della societa’ fallita, in cui sono confluiti gli importi frutto di appropriazione indebita e di truffa (cfr. pp. 6-7 della sentenza impugnata).

La decisione cui e’ pervenuta la corte territoriale sul punto appare, del resto, assolutamente conforme ai principi affermati in materia dal costante ed uniforme insegnamento della giurisprudenza di legittimita’, da tempo sedimentato, secondo cui il delitto di truffa o di appropriazione indebita attraverso il quale il fallito ha conseguito i beni da lui successivamente distratti concorre con quello di bancarotta fraudolenta, trattandosi di ipotesi delittuose con oggettivita’ giuridiche diverse (cfr. Cass., Sez. 5, n. 10407 del 07/10/1981, Rv. 151039; Cass., Sez. 5, n. 7294 del 04/04/1978, Rv. 139294).

Il reato di bancarotta fraudolenta, invero, non e’ escluso dal fatto che i beni distratti siano pervenuti alla societa’, poi dichiarata fallita, con sistemi illeciti, come ad esempio mediante truffe o appropriazioni indebite, atteso che il patrimonio di una societa’ deve ritenersi costituito anche dal prodotto di attivita’ illecite realizzate dagli amministratori in nome e per conto della medesima, ed, altresi’, che i beni provenienti da reato, fino a quando non siano individuati e separati dagli altri facenti parte di un determinato patrimonio, non possono considerarsi ad esso estranei.

Cio’ che importa, infatti, e’ la avocazione del bene alla massa attiva e quindi la possibilita’ giuridico-materiale della sua vendita coattiva, ad incremento della liquidazione ed in vista del soddisfacimento dei creditori.

il fatto dell’imprenditore che successivamente sottrae alla garanzia patrimoniale i beni illecitamente acquisiti al suo patrimonio, costituisce, in altri termini, un’azione del tutto distinta ed autonoma, punita a titolo di bancarotta fraudolenta se viene dichiarato il fallimento (cfr. Cass., Sez. 5, n. 1401 del 25/11/1980, Rv. 147725; Cass., Sez. 5, n. 23318 del 17/03/2004, Rv. 228863).

Va pertanto ribadito in questa sede il principio di diritto secondo cui, in tema di reati fallimentari, la provenienza illecita dei beni non esclude il delitto di bancarotta per distrazione, sia che si tratti di beni fungibili, e quindi confusi nel patrimonio del fallito destinato alla soddisfazione dei creditori, sia che si tratti di beni infungibili, e quindi formalmente distinti dal patrimonio del fallito, atteso che, in quest’ultimo caso, il curatore, che ne assume la disponibilita’, ha l’obbligo di restituirli agli aventi diritto e la condotta distrattiva, rendendo impossibile la restituzione, genera a carico della procedura l’obbligo di pagarne il controvalore ai titolari (cfr. Cass., Sez. 5, n. 45372 del 18/10/2019, Rv. 276991).

Ovviamente, accertata la sussistenza di una condotta criminosa lesiva di beni aventi distinta oggettivita’ giuridica, deve ritenersi sussistere un concorso formale eterogeneo di reati, per cui nessuna preclusione processuale, derivante dal principio del “ne bis in idem”, e’ ipotizzabile quando, come nel caso in esame, vi sia stato un processo, e si sia formato il giudicato, solo in relazione ad un reato compatibile con altro reato non giudicato, non essendovi la medesimezza del fatto, richiesta dall’articolo 649 c.p.p., perche’ vi sia divieto di un secondo giudizio (cfr. Cass., Sez. n. 3354 del 24/01/1995, Rv. 200695, nonche’ Cass., Sez. 2, n. 10472 del 04/03/1997, Rv. 209022, in cui la Corte ha rigettato il ricorso con il quale l’imputato, quale agente di cambio, era stato gia’ condannato per il reato di bancarotta fraudolenta – consistita, fra l’altro, nella sottrazione di titoli e denaro della clientela – e poi sottoposto a nuovo procedimento penale per il reato di appropriazione indebita in danno di un cliente).

Risulta pertanto evidente anche la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.

3.2. Anche con riferimento al secondo motivo di impugnazione l’imputato non si confronta realmente con la motivazione della sentenza impugnata.

La corte territoriale ha correttamente evidenziato che il (OMISSIS) non ha mai agito in proprio, ma sempre nella qualita’ di amministratore unico della “(OMISSIS) s.r.l. unipersonale”, alla quale sia i promissari venditori, che i promissari acquirenti, si erano rivolti per la messa in vendita e l’acquisto di unita’ immobiliari, essendo l’intermediazione immobiliare l’oggetto sociale della menzionata compagine, deducendone, con coerente argomentare, che l’imputato in tale veste si e’ appropriato delle somme di denaro versate dai promissari acquirenti a titolo di pagamento, conferendole di fatto nel patrimonio della societa’ di cui era amministratore, senza trasmetterle ai promissari venditori.

Tali somme, di conseguenza, non sono mai entrate “nella disponibilita’ personale di (OMISSIS) ma in quella della societa’ da lui posseduta e gestita, ovviamente con l’obbligo (articolo 1713 c.c.) di riversare quelle somme a mani dei soggetti che alla societa’ stessa avevano dato mandato di procurare la vendita dei loro immobili” (cfr. pp. 7-9 della sentenza impugnata).

Anche in questo caso l’occasione e’ propizia per ribadire consolidati principi della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, violando le disposizioni impartitegli dal mandante, si appropri del denaro ricevuto, utilizzandolo per propri fini e, quindi, per scopi diversi ed estranei agli interessi del mandante, come nel caso del mandatario che, dopo aver adempiuto il mandato a vendere, trattenga definitivamente la somma ricavata dalla vendita invece di rimetterla al mandante (cfr. Cass., Sez. 2, n. 50156 del 25/11/2015, Rv. 265513; Cass., Sez. 2, n. 46586 del 29/11/2011, Rv. 251221).

Manifestamente infondato, d’altra parte, appare il rilievo difensivo incentrato sulla natura del mandato, che, oppone la difesa, venne conferito al (OMISSIS) in nome e per conto dei promittenti venditori.

Ove anche lo si volesse considerare un mandato con rappresentanza (circostanza, peraltro, dedotta ma non dimostrata dall’imputato, il quale, in violazione del principio della cd. autosufficienza, non ha allegato al ricorso ne’ trascritto integralmente in esso il contenuto degli atti processuali da cui si evincerebbe tale circostanza), cio’ non muterebbe i termini della questione, in quanto il potere di rappresentanza avrebbe semplicemente consentito al prevenuto di ritenere le somme percepite in nome e per conto del mandante a titolo di pagamento del prezzo della vendita, somme che, tuttavia, in questo caso sarebbero entrate formalmente nel patrimonio della “societa’ mandataria” per disposizione espressa del mandante, confondendosi con i beni oggetto di distrazione.

  1. Alla dichiarazione di inammissibilita’, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilita’ dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilita’ (cfr.Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Fallimento – Bancarotta – Decisione del giudice di merito di applicare le pene accessorie fallimentari nella misura massima – Pene non rapportate alla pena principale in modo automatico – Insindacabilità in sede di legittimità

Corte di Cassazione|Sezione 5|Penale|Sentenza|30 marzo 2021| n. 12052

Fallimento – Bancarotta – Decisione del giudice di merito di applicare le pene accessorie fallimentari nella misura massima – Pene non rapportate alla pena principale in modo automatico – Insindacabilità in sede di legittimità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. RICCARDI Giusepp – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 24/01/2019 della Corte di Appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere RICCARDI GIUSEPPE;

lette le richieste scritte ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8 del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale EPIDENDIO Tomaso, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza emessa il 24/01/2019 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del Gip del Tribunale di Milano del 26/10/2017 che aveva affermato la responsabilita’ penale di (OMISSIS) per il reato di concorso, quale terzo concorrente, nella bancarotta fraudolenta patrimoniale della (OMISSIS) s.r.l., per la distrazione di somme di denaro dell’importo di quasi 300 mila Euro.

E’ stato accertato che (OMISSIS), amministratore della societa’ (OMISSIS) s.a.s., aveva emesso numerose fatture per operazioni inesistenti nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., incassando gli assegni rilasciatigli proprio dalla fallita, in un periodo di tempo prossimo al fallimento, allorquando era gia’ conclamato lo stato di dissesto.

  1. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), deducendo due motivi di ricorso.

2.1. Con il primo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo della bancarotta fraudolenta patrimoniale.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla durata della pena accessoria fallimentare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il primo motivo e’ inammissibile, essendo del tutto generico ed aspecifico, oltre che manifestamente infondato.

Oltre ad avere omesso qualsivoglia concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, il motivo, nella sua estrema laconicita’ argomentativa, si limita a richiamare Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763; il richiamo, tuttavia, appare astratto ed avulso dal concreto tessuto motivazionale della sentenza impugnata, atteso che, se la sentenza citata richiede, ai fini della sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, la ricerca di “indici di fraudolenza” (“In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosita’ del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneita’ del fatto generatore dello squilibrio tra attivita’ e passivita’ rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrita’ del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volonta’ della condotta in concreto pericolosa”), non appare che, nella fattispecie concreta, sia possibile dubitare della loro ricorrenza in presenza di una condotta concorsuale caratterizzata da emissione di fatture false in numero, quantita’ e importi rilevanti e dalla ricezione di assegni senza che venisse eseguita la prestazione solo apparentemente pattuita; una condotta che, come evidenzia la sentenza impugnata, ha determinato un dissesto non insignificante.

  1. Il secondo motivo, sulla durata delle pene accessorie fallimentari, e’ inammissibile, non soltanto perche’ non dedotto in appello, ma anche perche’ del tutto generico, limitandosi ad una mera contestazione della mancata riduzione e dei presupposti di fatto.

Al contrario, la Corte di appello, pur in assenza di un motivo, ha indicato i parametri di gravita’ del fatto e di capacita’ a delinquere del ricorrente che consentono di ritenere adeguata la durata delle pene accessorie in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, in maniera coerente ai criteri valutativi evidenziati dalla decisione costituzionale ed alle precisazioni contenute nella successiva sentenza “Suraci” delle Sezioni Unite.

Giova osservare, al riguardo, che, oltre alla rilevanza della distrazione accertata, viene in rilievo, nella fattispecie, il coinvolgimento dell’imputato nel meccanismo elaborato per la distrazione delle somme di denaro della fallita, mediante un sistema di fatture false e riscossione di assegni, e la condanna gia’ subi’ta per la bancarotta fraudolenta commessa con riferimento alla propria societa’, la (OMISSIS) s.a.s.; circostanze che, ai fini della determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, caratterizzate da una spiccata finalita’ specialpreventiva, assumono un significativo rilievo, trattandosi di un operatore imprenditoriale non coinvolto in maniera del tutto occasionale, bensi’ gia’ collaudato nelle logiche di spoliazione delle imprese.

Cio’ posto, va dunque ribadito che non e’ sindacabile in sede di legittimita’ il provvedimento del giudice del merito che, avvalendosi del proprio potere discrezionale, determini, in base ai criteri di cui agli articoli 132 e 133 c.p., con specifica e adeguata motivazione, le pene accessorie fallimentari nella misura massima prevista dalla legge, senza rapportarle automaticamente alla durata della pena principale (Sez. 5, n. 7034 del 24/01/2020 Murru, Rv. 278856, con riferimento ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto adeguatamente motivata la decisione del giudice fondata sulla reiterazione delle condotte di frode in danno dei creditori, sul pregiudizio per la massa dei creditori e sui precedenti penali dell’imputato).

  1. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Originally posted 2021-09-19 15:17:36.