DIFESA SEI IMPUTATO PER BANCAROTTA? TRIBUNALE MILANO, TRIBUNALE PAVIA, TRIBUNALE BOLOGNA, TRIBUNALE RAVENNA TRIBUNALE RIMINI, TRIBUNALE FORLI, TRIBUNALE VICENZA ,TRIBUNALE PADOVA, CHIAMA UN AVVOCATO ESPERTO SUBITO 

VIOLENZA SESSUALE SE LA VITTIMA SI FA RIACCOMPAGNARE A CASA? LA RIFORMA DELLA SENTENZA ASSOLUTORIA DA PARTE  CORTE APPELLO MILANO

VIOLENZA SESSUALE SE LA VITTIMA SI FA RIACCOMPAGNARE A CASA?

LA RIFORMA DELLA SENTENZA ASSOLUTORIA DA PARTE  CORTE APPELLO MILANO

la mancanza di segni esteriori della violenza subita con lo stato di paura in cui la vittima era venuta a trovarsi a seguito della aggressione a scopo sessuale da parte dell’imputato, che le aveva impedito una concreta opposizione, anche in considerazione della maggior prestanza fisica dell’imputato

La Corte d’appello, nel riformare la decisione assolutoria del primo giudice, ha, infatti, evidenziato l’identità della descrizione del fatto da parte della persona offesa in occasione della descrizione dello stesso a diversi soggetti e in differenti contesti (sia nella prima rivelazione ai vicini di casa, sia nelle successive confidenze alla propria compagna, sia nella denuncia, sia nell’esame in primo e in secondo grado), spiegando la mancanza di segni esteriori della violenza subita con lo stato di paura in cui la vittima era venuta a trovarsi a seguito della aggressione a scopo sessuale da parte dell’imputato, che le aveva impedito una concreta opposizione, anche in considerazione della maggior prestanza fisica dell’imputato (grazie alla quale questi la aveva sollevata, portata su un lettino posto nello spogliatoio della palestra nella quale entrambi lavoravano e la aveva bloccata con il peso del proprio corpo), traendone, in modo logico, la prova della attendibilità della vittima e così superando, in modo motivato, l’opposta valutazione compiuta dal Tribunale.

 

Con sentenza del 22 gennaio 2019 la Corte d’appello di Milano, provvedendo sulle impugnazioni proposte dal pubblico ministero e dalla parte civile nei confronti della sentenza del 14 novembre 2013 del Tribunale di Lodi, con cui Ab. Ha. Ba. Re. era stato assolto dal reato di cui all’art. 609 bis cod. pen., ha riformato tale sentenza, dichiarando l’imputato responsabile del reato contestato e condannandolo alla pena di cinque anni di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.

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CASSAZIONE  PENALE AVVOCATO ESPERTO CHIAMA SUBITO PER LA TUA DIFESA

051 6447838

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E SULL’ IPOTESI TERZO COMMA ART 609 CP?

L’ipotesi di cui al terzo comma dell’art, 609 bis cod. pen., secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, è configurabile solamente quando non vi sia stata una intensa lesione del bene protetto, e cioè una significativa compromissione della libertà sessuale, tenendo conto del grado di coartazione esercitato sulla vittima, delle sue condizioni fisiche e mentali, delle caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età (Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516; Sez. 3, n. 39445, del 1/7/2014, S., Rv. 260501).

Nel caso in esame la gravità della invasione della sfera di libertà sessuale della vittima è stata ricavata, in modo del tutto logico e conforme a detto orientamento interpretativo, dalle conseguenze psicofisiche riportate dalla vittima, giudicate di entità tale da impedire di ritenere il fatto di minore gravità.

Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea, essendo state indicate le ragioni in base alle quali l’invasione della sfera sessuale della vittima non sono è stata giudicata modesta o di scarsa entità, con la conseguente manifesta infondatezza della, peraltro generica, censura sollevata dal ricorrente su tale punto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Corte di Cassazione

sez. III Penale, sentenza 16 ottobre 2019 – 12 febbraio 2020, n. 5512
Presidente Izzo – Relatore Liberati

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 22 gennaio 2019 la Corte d’appello di Milano, provvedendo sulle impugnazioni proposte dal pubblico ministero e dalla parte civile nei confronti della sentenza del 14 novembre 2013 del Tribunale di Lodi, con cui Ab. Ha. Ba. Re. era stato assolto dal reato di cui all’art. 609 bis cod. pen., ha riformato tale sentenza, dichiarando l’imputato responsabile del reato contestato e condannandolo alla pena di cinque anni di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.
  2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

2.1. In primo luogo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa alla valutazione delle prove, che sarebbe avvenuta in violazione dei criteri stabiliti dagli artt. 192, commi 1, 2 et 3, e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento, in particolare, al giudizio di attendibilità della persona offesa, costituitasi parte civile, fondato, tra l’altro, in modo illogico, sul divario fisico esistente tra l’imputato e la persona offesa, non essendo stato tenuto conto della brevissima durata della congiunzione carnale e anche della assenza di tracce di lesioni o violenze sul corpo della persona offesa (sul quale non sono stati riscontrati graffi, ecchimosi o tumefazioni), oltre che della inverosimiglianza, alla luce delle modalità del fatto riferite dalla persona offesa, della assenza di consenso di quest’ultima al rapporto sessuale (che non avrebbe potuto essere portato a compimento con i pantaloni della donna solo in parte abbassati e in brevissimo tempo se non con la partecipazione volontaria della donna); sono state, in proposito, sottolineate sia l’anomalia della condotta della vittima successiva alla condotta, risultando logicamente incompatibile con una violenza l’essersi fatta riaccompagnare a casa dall’imputato dopo il rapporto sessuale, sia le diverse versioni del fatto dalla stessa fornite alle persone con le quali si era confidata (Ca. e Ip.). Ha prospettato anche la possibile calunniosità della accusa, mossa allo scopo di giustificare con la compagna il rapporto sessuale con l’imputato.

2.2. Con un secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione e l’errata applicazione dell’art. 609 bis, comma 3, cod. pen., con riferimento al mancato riconoscimento della ipotesi di minore gravità, di cui era stata esclusa la configurabilità omettendo di considerare la mancanza di tracce di lesioni sulla persona offesa e la modesta entità del turbamento conseguito alla violenza, che si era anche fatta riaccompagnare a casa dall’imputato.

2.3. Infine con un terzo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. per il mancato riconoscimento delle generiche, fondato esclusivamente sulla mancanza di elementi di positiva considerazione, non essendo, tra l’altro, emersi comportamenti sleali dell’imputato sleali.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è inammissibile.
  2. Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata l’illogicità della motivazione, nella parte relativa alla valutazione della attendibilità della persona offesa, per le plurime contraddizioni e inverosimiglianze presenti nelle sue dichiarazioni, è inammissibile, essendo volto a censurare tale giudizio sul piano del merito, proponendo una lettura alternativa degli elementi a disposizione e delle dichiarazioni della persona offesa, non consentita, in presenza di motivazione idonea e immune da vizi logici, nel giudizio di legittimità (v., ex plurimis, Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massi mata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

La Corte d’appello, nel riformare la decisione assolutoria del primo giudice, ha, infatti, evidenziato l’identità della descrizione del fatto da parte della persona offesa in occasione della descrizione dello stesso a diversi soggetti e in differenti contesti (sia nella prima rivelazione ai vicini di casa, sia nelle successive confidenze alla propria compagna, sia nella denuncia, sia nell’esame in primo e in secondo grado), spiegando la mancanza di segni esteriori della violenza subita con lo stato di paura in cui la vittima era venuta a trovarsi a seguito della aggressione a scopo sessuale da parte dell’imputato, che le aveva impedito una concreta opposizione, anche in considerazione della maggior prestanza fisica dell’imputato (grazie alla quale questi la aveva sollevata, portata su un lettino posto nello spogliatoio della palestra nella quale entrambi lavoravano e la aveva bloccata con il peso del proprio corpo), traendone, in modo logico, la prova della attendibilità della vittima e così superando, in modo motivato, l’opposta valutazione compiuta dal Tribunale.

Altrettanto logicamente la Corte territoriale ha spiegato il comportamento della vittima successivo alla violenza (allorquando accettò di farsi accompagnare a casa in automobile dall’imputato), giudicato dal Tribunale logicamente incompatibile con un rapporto non consensuale, sottolineando, a sostegno della attendibilità della persona offesa e della compatibilità tra tale condotta e la violenza appena prima subita, la portata traumatica dell’episodio e le conseguenze psicologiche che lo stesso aveva prodotto sulla vittima. E’ stato, poi, evidenziato che la persona offesa non aveva mai taciuto la sua relazione con la Ip., con la quale all’epoca dei fatti conviveva, sottolineando l’irrilevanza, nella valutazione della sua credibilità, della mancata spontanea rivelazione di tale rapporto di convivenza e della relazione sentimentale che all’epoca esisteva con la Ip., trattandosi di questione relativa alla vita privata della vittima, priva di attinenza con la vicenda oggetto della contestazione.

Sulla base di tali rilievi la Corte d’appello, richiamando anche le modalità della prima rivelazione dell’abuso, ai vicini di casa e alla compagna, indice di genuinità e spontaneità delle dichiarazioni, ha ritenuto attendibile la persona offesa, le cui dichiarazioni sono risultate riscontrate, oltre che dalle confidenze con i vicini e la compagna, anche dagli esiti della visita ginecologica cui la vittima era stata sottoposta (in occasione della quale era emerso un eritema del vestibolo vaginale), anche dalle condizioni di prostrazione e dalle difficoltà di relazione della persona offesa nelle settimane successive al fatto, evidenziando anche l’assenza di ragioni plausibili per ritenere calunniose le accuse.

Si tratta di motivazione idonea, caratterizzata dal necessario confronto critico con la motivazione della sentenza assolutoria di primo grado, e immune da vizi logici, peraltro non individuati dal ricorrente, essendo la sentenza impugnata fondata su una corretta e approfondita analisi delle dichiarazioni della persona offesa, dichiarazioni di cui il ricorrente ha proposto una mera rivalutazione sul piano del merito, onde giungere a conclusioni alternative a proposito della consensualità del rapporto, in tal modo proponendo una censura non consentita nel giudizio di legittimità, non essendo ravvisabili nella motivazione della sentenza impugnata proposizioni tra loro contrastanti o illogicità manifeste, essendo invece state correttamente applicate le regole razionali e le massime di comune esperienza (tra cui quelle relative alle possibili reazioni delle vittime di violenze sessuali dopo la loro commissione e alle loro condizioni fragilità psichica, in considerazione delle quali è stato ritenuto compatibile con la violenza appena subito il fatto che la vittima si fece riaccompagnare a casa in automobile dall’imputato).

Ne consegue, in definitiva, l’inammissibilità delle censure formulate con il primo motivo di ricorso, volte a conseguire una non consentita rivisitazione sul piano del merito delle risultanze istruttorie, in particolare delle dichiarazioni della persona offesa, onde pervenire a diverse conclusioni circa la sua attendibilità, che è stata giustificata in modo pienamente logico dalla Corte d’appello, dando conto adeguatamente della diversa valutazione rispetto a quella compiuta dal Tribunale.

  1. Il secondo motivo, mediante il quale è stata prospettata una violazione di legge penale, a causa della esclusione della configurabilità della ipotesi di minore gravità contemplata dal terzo comma dell’art. 609 bis cod. pen., è manifestamente infondato.

L’ipotesi di cui al terzo comma dell’art, 609 bis cod. pen., secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, è configurabile solamente quando non vi sia stata una intensa lesione del bene protetto, e cioè una significativa compromissione della libertà sessuale, tenendo conto del grado di coartazione esercitato sulla vittima, delle sue condizioni fisiche e mentali, delle caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età (Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516; Sez. 3, n. 39445, del 1/7/2014, S., Rv. 260501).

Nel caso in esame la gravità della invasione della sfera di libertà sessuale della vittima è stata ricavata, in modo del tutto logico e conforme a detto orientamento interpretativo, dalle conseguenze psicofisiche riportate dalla vittima, giudicate di entità tale da impedire di ritenere il fatto di minore gravità.

Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea, essendo state indicate le ragioni in base alle quali l’invasione della sfera sessuale della vittima non sono è stata giudicata modesta o di scarsa entità, con la conseguente manifesta infondatezza della, peraltro generica, censura sollevata dal ricorrente su tale punto.

  1. Il terzo motivo, relativo alla indebita esclusione delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato, in quanto, anche a questo proposito, la Corte territoriale, attraverso la sottolineatura della gravità del fatto e della negativa personalità dell’imputato (che non ha mostrato alcun segnale di revisione critica del proprio comportamento), oltre che della mancanza di elementi di positiva considerazione valutabili al fine del riconoscimento di tali circostanze, ha dato conto, sia pure implicitamente, degli elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., ritenuti di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato.

La ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell’imputato (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142).

L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre.

E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purché congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. Essa, inoltre, può, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nel giudizio di gravità del fatto e nella valutazione negativa della personalità dell’imputato, essendo compresa in tale giudizio l’indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la riconoscibilità di dette attenuanti.
Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza anche di tale censura.

  1. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, stante il contenuto non consentito del primo motivo e la manifesta infondatezza del primo e del secondo.
    Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile, con liquidazione in favore dello Stato.

Originally posted 2022-06-16 09:16:44.