VIOLENZA SESSUALE MEDICO PARAMEDICO AVVOCATO DIFENDE

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VIOLENZA SESSUALE MEDICO PARAMEDICO AVVOCATO DIFENDE

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Un avvocato esperto nella difesa di imputati è un professionista specializzato nel diritto penale, il cui ruolo principale è rappresentare e tutelare i diritti di una persona accusata di un crimine durante il processo legale. Questa figura svolge un lavoro fondamentale per garantire che l’imputato riceva un processo equo e che la giustizia sia applicata in modo corretto. Ecco alcune caratteristiche principali:

Competenze professionali

  • Conoscenza approfondita del diritto penale: È esperto nelle leggi e nei procedimenti penali, incluse le norme procedurali e sostanziali applicabili.
  • Analisi delle prove: Sa esaminare e contestare le prove presentate dall’accusa, individuando eventuali irregolarità o debolezze.
  • Strategie di difesa: Sviluppa strategie personalizzate per rappresentare efficacemente l’imputato, basandosi sulle specificità del caso.
  • Abilità negoziali: È abile nel negoziare accordi o patteggiamenti con l’accusa, se questo può risultare vantaggioso per il cliente.

Caratteristiche personali

  • Eloquenza: Ha eccellenti capacità di comunicazione, fondamentali per convincere giudici e giurie.
  • Empatia: Comprende le difficoltà emotive e psicologiche che il cliente può affrontare durante il processo.
  • Resilienza: È capace di lavorare sotto pressione e affrontare situazioni complesse o ostili.

Attività principali

  1. Consulenza legale: Fornisce spiegazioni chiare sui diritti dell’imputato e le opzioni disponibili.
  2. Preparazione del caso: Analizza documenti, ascolta testimonianze e lavora con esperti per costruire una difesa solida.
  3. Rappresentanza in aula: Difende attivamente l’imputato durante il processo, presentando argomentazioni convincenti e confutando le accuse.
  4. Appelli: Se necessario, si occupa di presentare ricorsi o appelli contro le decisioni sfavorevoli.

Un avvocato difensore esperto è quindi una figura essenziale per garantire che il sistema di giustizia penale funzioni in modo equo e che l’imputato abbia la possibilità di far valere i propri diritti.

ART 408 C.P.P. –RICHIESTA ARCHIVIAZIONE PM
ART 408 C.P.P. –RICHIESTA ARCHIVIAZIONE PM

 

In plurime occasioni, questa Corte ha precisato che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L’indagine, volta ad accertare la violazione di tale principio, quindi, non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto letterale fra contestazione e sentenza. Trattandosi di garanzie e di difesa, è certo che non sussiste la violazione quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, si sia potuto difendere in ordine all’oggetto dell’imputazione (si veda su tutte, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051-01). La prevedibilità della riqualificazione mette, infatti, al riparo dalla violazione dell’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU (si veda su tutte, Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438-01).

La declinazione di tali principi nella materia sessuale ha portato a ritenere violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza allorquando si sia passati dalla costrizione all’induzione senza che nella descrizione del fatto ricorressero ambo le ipotesi (es. condanna per induzione quando la contestazione era stata per costrizione consistente nella repentinità e insidìosità del gesto, Sez. 3, n. 3951 del 28/09/2021, dep. 2022, F., Rv. 282830, dove si rinviene ampia disamina delle casistiche relative alle due ipotesi; nello stesso senso, Sez. 3, n. 30680 del 26/05/2022, L., Rv. 283643-01 e Sez. 4, n. 40340 del 21/10/2022, S., Rv. 283699-01). La violazione, invece, è stata esclusa quando la contestazione comprendeva sia gli elementi della costrizione che quelli dell’induzione (Sez. 3, n. 24598 del 03/07/2020, H., Rv. 279710-01), perchè è stato accertato in concreto che l’induzione costituiva la proiezione della costrizione per cui l’imputato si era potuto difendere su tutti i fatti ascrittigli.

5.2. Nel caso in esame, nella contestazione si parla di “costrizione”, mentre la condanna in abbreviato è stata pronunciata per “induzione” a subire atti sessuali, con abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa al momento del fatto.

I Giudici di merito hanno accertato in fatto che la persona offesa era stata sottoposta a intervento chirurgico nel pomeriggio dell’11 maggio 2017 e aveva trascorso in camera la notte tra l’11 e il 12 maggio; che l’imputato, che era l’infermiere di turno nel reparto, aveva eseguito vari accessi per verificare la spontanea ripresa della minzione e, nell’occasione, aveva praticato massaggi in zona pubica e sovra-pubica e l’aveva penetrata più volte con le dita in vagina; che la donna aveva percepito immediatamente l’abuso, aveva allertato la figlia della signora del letto accanto che faceva la notte per la madre, mantenendosi tuttavia sulle linee generali, aveva chiesto che le fosse messo il catetere (pratica eseguita da altro personale), quindi si era addormentata; che la mattina dopo aveva raccontato il fatto a una sua amica via chat, poi ne aveva parlato con il medico che era passato per la visita di controllo e, dopo il confronto con il sanitario, non aveva avuto più dubbi sull’abuso; che si era quindi confidata con la madre la quale aveva chiamato la polizia che aveva parlato con il direttore sanitario che, già allertato dal medico, aveva redatto una relazione sull’accaduto, e infine il giorno successivo aveva sporto formale querela.

Secondo il primo Giudice non vi era stata una violenza con costrizione fisica, perchè la paziente era allettata, ancora sotto gli effetti dell’anestesia per l’intervento pomeridiano, e chiaramente in condizioni di minorata difesa. Di qui, la qualificazione del fatto come induzione. Tale decisione è stata motivatamente confermata dalla Corte di appello.

Sebbene nella contestazione si usi la forma verbale “costringeva”, nella dettagliata descrizione del fatto si dà conto delle condizioni della donna, limitata nella sua libertà personale, dopo l’intervento chirurgico, nonchè della circostanza di tempo notturna, e del delicato contesto, stante il rapporto non paritario tra il paramedico e la paziente. Pertanto, non si ravvisa alcuna modifica sostanziale e “a sorpresa” nella riqualificazione della condotta da parte del giudice di merito nella forma dell’induzione.

E’ pacifico in giurisprudenza che è sempre configurabile la responsabilità civile del datore di lavoro anche per le condotte delittuose del dipendente dirette a perseguire finalità esclusivamente personali (Sez. 3, n. 33562 del 11/06/20023, Cordaro, Rv. 226132-01, in un caso di responsabilità della Pubblica amministrazione per gli atti sessuali commessi da un’insegnante; Sez. 3, n. 40613 del 05706/2013, P., Rv. 256978-01 in un caso di poliziotto che aveva commesso la violenza sessuale nelle camere di sicurezza ai danni di una detenuta; Sez. 3, n. 8968 del 07/11/2019, dep. 2020, N., Rv. 278400-01 in un caso di responsabilità della società di gestione delle linee del bus rispetto agli atti sessuali commessi dall’autista), purchè l’adempimento dei compiti e delle mansioni alle quali lo stesso è stato preposto costituiscano un’occasione necessaria che l’autore del reato sfrutta per il compimento degli atti penalmente illeciti (tra le più recenti, Sez. 1, n. 25158 del 03/02/2022, A., Rv. 283477 – 02). Tale responsabilità per fatto altrui prescinde dal modello organizzativo utilizzato come specificato nei casi di responsabilità per fatto dell’amministratore (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997-19).

 

Cassazione Penale, Sez. 3, 23 novembre 2023, n. 47018 – Violenza sessuale del paramedico su una paziente. Responsabilità civile del datore di lavoro per le condotte delittuose del dipendente

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALTERIO Donatella – Presidente –

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

Labor Spa in persona del legale rappresentante p.t., A.A., nato ad (Omissis);

avverso la sentenza in data 05/07/2022 della Corte di appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Cuomo Luigi, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata relativamente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e il rigetto dei restanti ricorsi, udito per la parte civile l’avv. Ennio Tomassoni Compagnucci Spagnoli, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del ricorso dell’imputato e la liquidazione delle spese come da nota;

udito per il responsabile civile l’avv. Loredana Camilli, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

uditi per l’imputato gli avv. Fernando Piazzolla ed Elisabetta Nicolini, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

1.Con sentenza in data 5 luglio 2022 la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Ancona che aveva condannato l’imputato, paramedico di una casa di cura privata, alle pene di legge per la violenza sessuale aggravata nei confronti di una paziente, appena uscita da un intervento chirurgico e ancora sotto anestesia, consistente in toccamenti della zona sovra-pubica e pubica con penetrazione con le dita in vagina, e aveva altresì condannato la casa di cura, in qualità di responsabile civile, al pagamento del risarcimento del danno in solido con l’imputato.

2. L’imputato ricorre per cassazione sulla base di otto motivi.

Con il primo deduce la violazione dell’art. 521 c.p.p. perchè gli era stato contestato dell’art. 609-bis, il comma 1 ma era stato condannato per il comma 2.

Con il secondo denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione per omessa risposta sulla condizione di inferiorità della donna.

Con il terzo lamenta la violazione di norme processuali e il travisamento della prova. Ribadisce che le manovre eseguite sulla persona offesa erano state corrette per favorire la minzione spontanea ed evitare il globo vescicale. Censura la tesi secondo cui la donna aveva reso un racconto lucido, perchè “raramente” l’anestesia provocava allucinazioni. Evidenzia che la denunciante aveva un forte interesse patrimoniale nella causa perchè aveva chiesto 350.000 Euro di risarcimento del danno. Insiste sul fatto che la donna avesse mal interpretato la pratica sanitaria proprio a causa dell’anestesia e ricorda che, al momento della denuncia del fatto al presidio ospedaliero, aveva parlato di toccamenti esterni.

Con il quarto, formulato in via subordinata, eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione per il diniego dell’attenuante dell’art. 609-bis c.p., u.c..

Con il quinto, formulato ancora in via subordinata, contesta, sotto il profilo della violazione di legge e sotto quello del vizio di motivazione, l’applicazione dell’art. 61 c.p., n. 5 perchè non c’erano le condizioni della minorata difesa.

Con il sesto deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione siccome l’offerta risarcitoria era stata immotivatamente considerata inadeguata.

Con il settimo lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione per il diniego delle generiche e l’eccesso di pena.

Con l’ottavo censura la decisione perchè le circostanze ritenute provate erano state usate prima come elementi costitutivi della fattispecie e delle aggravanti, una seconda volta per negare la configurabilità dell’attenuante della minorata difesa e infine per escludere le attenuanti generiche.

3. Il responsabile civile con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 2049 c.c., con il secondo la violazione di norme processuali in ordine alla motivazione, con il terzo il vizio di motivazione con riferimento ai modelli organizzativi, perchè i Giudici non avevano considerato che nel reparto era stata prevista un’infermiera per tutta la giornata.
 

Diritto

  1. Il ricorso dell’imputato è nel complesso infondato, a eccezione del motivo sulle generiche.

    5. La prima censura attiene alla violazione dell’art. 521 c.p.p..

    5.1. In plurime occasioni, questa Corte ha precisato che, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L’indagine, volta ad accertare la violazione di tale principio, quindi, non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto letterale fra contestazione e sentenza. Trattandosi di garanzie e di difesa, è certo che non sussiste la violazione quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, si sia potuto difendere in ordine all’oggetto dell’imputazione (si veda su tutte, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051-01). La prevedibilità della riqualificazione mette, infatti, al riparo dalla violazione dell’art. 111 Cost. e art. 6 CEDU (si veda su tutte, Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438-01).

    La declinazione di tali principi nella materia sessuale ha portato a ritenere violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza allorquando si sia passati dalla costrizione all’induzione senza che nella descrizione del fatto ricorressero ambo le ipotesi (es. condanna per induzione quando la contestazione era stata per costrizione consistente nella repentinità e insidìosità del gesto, Sez. 3, n. 3951 del 28/09/2021, dep. 2022, F., Rv. 282830, dove si rinviene ampia disamina delle casistiche relative alle due ipotesi; nello stesso senso, Sez. 3, n. 30680 del 26/05/2022, L., Rv. 283643-01 e Sez. 4, n. 40340 del 21/10/2022, S., Rv. 283699-01). La violazione, invece, è stata esclusa quando la contestazione comprendeva sia gli elementi della costrizione che quelli dell’induzione (Sez. 3, n. 24598 del 03/07/2020, H., Rv. 279710-01), perchè è stato accertato in concreto che l’induzione costituiva la proiezione della costrizione per cui l’imputato si era potuto difendere su tutti i fatti ascrittigli.

    5.2. Nel caso in esame, nella contestazione si parla di “costrizione”, mentre la condanna in abbreviato è stata pronunciata per “induzione” a subire atti sessuali, con abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa al momento del fatto.

    I Giudici di merito hanno accertato in fatto che la persona offesa era stata sottoposta a intervento chirurgico nel pomeriggio dell’11 maggio 2017 e aveva trascorso in camera la notte tra l’11 e il 12 maggio; che l’imputato, che era l’infermiere di turno nel reparto, aveva eseguito vari accessi per verificare la spontanea ripresa della minzione e, nell’occasione, aveva praticato massaggi in zona pubica e sovra-pubica e l’aveva penetrata più volte con le dita in vagina; che la donna aveva percepito immediatamente l’abuso, aveva allertato la figlia della signora del letto accanto che faceva la notte per la madre, mantenendosi tuttavia sulle linee generali, aveva chiesto che le fosse messo il catetere (pratica eseguita da altro personale), quindi si era addormentata; che la mattina dopo aveva raccontato il fatto a una sua amica via chat, poi ne aveva parlato con il medico che era passato per la visita di controllo e, dopo il confronto con il sanitario, non aveva avuto più dubbi sull’abuso; che si era quindi confidata con la madre la quale aveva chiamato la polizia che aveva parlato con il direttore sanitario che, già allertato dal medico, aveva redatto una relazione sull’accaduto, e infine il giorno successivo aveva sporto formale querela.

    Secondo il primo Giudice non vi era stata una violenza con costrizione fisica, perchè la paziente era allettata, ancora sotto gli effetti dell’anestesia per l’intervento pomeridiano, e chiaramente in condizioni di minorata difesa. Di qui, la qualificazione del fatto come induzione. Tale decisione è stata motivatamente confermata dalla Corte di appello.

    Sebbene nella contestazione si usi la forma verbale “costringeva”, nella dettagliata descrizione del fatto si dà conto delle condizioni della donna, limitata nella sua libertà personale, dopo l’intervento chirurgico, nonchè della circostanza di tempo notturna, e del delicato contesto, stante il rapporto non paritario tra il paramedico e la paziente. Pertanto, non si ravvisa alcuna modifica sostanziale e “a sorpresa” nella riqualificazione della condotta da parte del giudice di merito nella forma dell’induzione.

    5.3. D’altra parte, del reato per cui è intervenuta la condanna sono ravvisabili tutti gli elementi costitutivi, ovverosia le menomate capacità intellettive e/o volitive, la consapevolezza di tale menomazione da parte dell’agente, l’induzione a subire l’atto sessuale invasivo. Va al riguardo precisato che l’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, non si identifica solamente nell’attività di persuasione subdolamente esercitata sulla persona offesa per convincerla a prestare il proprio consenso all’atto sessuale, potendo estrinsecarsi in qualsiasi forma di sopraffazione posta in essere dall’agente, sia pur senza ricorrere ad atti costrittivi ed intimidatori nei confronti della vittima, la quale, non risultando in grado di opporsi, a causa della sua condizione di inferiorità, soggiace al volere dell’autore della condotta, divenendo strumento di soddisfazione delle voglie sessuali di quest’ultimo. Peraltro, la donna aveva subito la condotta violenta, anche nell’ignoranza della pratica medica, di cui aveva acquisito piena consapevolezza solo dopo il confronto con il sanitario il giorno successivo. Di qui il differenziale qualificato di potere tra il soggetto passivo e quello attivo nonchè l’attività di strumentalizzazione della suddetta condizione da parte dell’agente volta ad ottenere la prestazione sessuale, cui la vittima non si sarebbe altrimenti prestata (Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018 – dep. 23/11/2018, P, Rv. 27441702).

    La prima censura è pertanto manifestamente infondata.

    5.4. Con il secondo motivo, articolato come vizio di motivazione, e quindi logico corollario del primo motivo processuale, l’imputato ha contestato la condizione di minorata difesa della paziente, perchè ha sostenuto che la sottoposizione all’intervento chirurgico e la parziale sedazione non integrava tale circostanza che era rimasta indimostrata.

    Collegata a tale doglianza è quella del quinto motivo relativa alla possibilità di applicare anche l’aggravante dell’art. 61 c.p., n. 5. Secondo la difesa si tratterebbe di un’inammissibile duplicazione di una circostanza, valorizzata sia come elemento costitutivo della fattispecie delittuosa che come elemento di giudizio per escludere l’attenuante del fatto di minore gravità.

    La censura nel suo complesso è infondata.

    Il primo Giudice ha distinto tra la minorata difesa della paziente, che ha ritenuto assorbita nella fattispecie delittuosa dell’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, e la circostanza di tempo dell’orario notturno, che ha sussunto sotto l’art. 61 c.p., n. 5.

    Il ricorrente non ha contestato tale operazione ermeneutica, se non con l’ottavo motivo sotto il profilo dell’eccesso di pena, ma ha, innanzi tutto, negato in fatto la possibilità di configurare la minorata difesa nonchè la possibilità di dare rilevanza penale all’orario notturno, quindi, ha lamentato la duplicazione dell’uso della circostanza.

    5.5. La prospettazione della difesa nella prima parte è fattuale e come tale inammissibile nel giudizio di legittimità.

    La Corte territoriale ha motivatamente confermato l’accertamento compiuto dal Giudice di primo grado secondo cui la violenza si era consumata dopo poche ore dall’intervento chirurgico, nei confronti di una donna allettata, che stava smaltendo gli effetti dell’anestesia, che doveva recuperare la funzione della minzione, e che era pienamente affidata alla struttura di cura e protezione, per giunta senza l’assistenza della madre che aveva fatto rientro al suo domicilio.

    A differenza di quanto argomentato dal ricorrente, la condizione di inferiorità fisica e psichica è concetto ampio che colpisce qualunque condizione di menomazione permanente o transeunte della vittima che sia strumentalizzata a fini sessuali. Integrano tale condizione, a esempio, la disabilità mentale, a prescindere dall’esistenza di una vera e propria patologia, purchè il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza all’opera di coazione psicologica o di suggestione, anche se dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale (tra le più recenti, Sez. 3, n. 31776 del 13/07/2022, P., Rv. 283644-01 e n. 31512 del 14/09/2020, M., Rv. 280267-01, in un caso in cui la vulnerabilità dipendeva da credenze esoteriche); la subdola opera di persuasione o di ricatto morale dell’agente (Sez. 3, n. 6148 del 08/10/2020, dep. 2021, V., Rv. 281338-01 e n. 15412 del 20/09/2017, dep. 2018, C., Rv. 272549-01); l’abuso di alcol e stupefacenti (Sez. 3, n. 8981 del 05/12/2019, dep. 2020, H., Rv. 278401) che possono eventualmente anche annientare del tutto la percezione della violenza sessuale, come nel caso del dormiente (Sez. 3, n. 1183 del 23/11/2011, dep. 2012, E., Rv. 251203-01).

    5.6. Per ciò che riguarda l’orario notturno, i Giudici di merito hanno implicitamente disatteso le argomentazioni del ricorrente, perchè, senza soverchie motivazioni, hanno ritenuto che anche nella struttura sanitaria la notte è diversa dal giorno. E’ notorio che, sebbene durante la notte sia garantita l’assistenza, il livello di controllo sociale da parte di tutti i frequentatori della struttura – personale sanitario, operatori delle pulizie, visitatori – sia nettamente inferiore se non nullo, per cui la notte ha certamente favorito il compimento della condotta criminosa. La stessa Corte territoriale con motivazione sintetica ma sufficiente ha infatti osservato che gli altri pazienti ragionevolmente dormivano. Tale decisione è in linea con l’interpretazione avallata dalle Sezioni Unite, che, con la sentenza n. 40275 del 15/07/2021, Cardellini, Rv. 282095 – 01, hanno affermato che la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa”, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.

    5.7. L’ulteriore questione sollevata è quella della valorizzazione di un fatto, la condizione di minorata difesa, a diversi fini, sia per l’applicazione dell’aggravante che per la negazione dell’attenuante del fatto di minore gravità.

    Non c’è dubbio che uno stesso fatto materiale possa avere plurimi significati giuridici. E’ il caso dei precedenti penali che possono giustificare sia l’applicazione della recidiva che il diniego delle generiche (si veda in termini, Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, Giallombardo, Rv. 274783-01 e, più in generale, Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, Rv. 275319-01).

    5.8. Pertanto, anche l’ottavo motivo che ha riproposto la questione sulla congruità della pena per violazione del bis in idem sostanziale va disatteso.

    Non vi sono ostacoli nè logici nè giuridici a valorizzare la minorata difesa sia per la configurazione del reato, che per l’applicazione dell’aggravante specifica, che per il diniego dell’attenuante del fatto di minore gravità, che per il diniego delle generiche, sui quali ultimi due punti si tornerà in seguito.

    Considerato che il primo Giudice ha enucleato due momenti distinti di minorata difesa, uno relativo alle condizioni soggettive della donna, l’altro relativo alle circostanze di tempo, ricollegando le prime al reato e le seconde all’aggravante dell’art. 61 c.p., n. 5, e che quindi non si ravvisano ragioni di interferenza, va ricordato che la giurisprudenza ha ritenuto la compatibilità tra il reato dell’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, e l’art. 61 c.p., n. 5 con riferimento alla minore età, perchè rispetto al reato attiene al dato anagrafico, valorizzato in quanto tale da legislatore, e rispetto all’aggravante attribuisce rilievo a modalità d’azione connesse a situazioni oggettive e soggettive che prescindono dalla minore età in quanto tale (Sez. 3, n. 11509 del 15/01/2019, C., Rv. 275186 – 01) e ha ritenuto altresì la compatibilità dell’aggravante della limitazione della libertà personale di cui all’art. 609-ter c.p., comma 1, n. 4, con l’aggravante della minorata difesa dell’art. 61 c.p., n. 5, in un caso di violenza sessuale nei confronti di detenuto in una cella chiusa con il “blindato” in orario notturno (Sez. 3, 42682 del 07/05/2015, M., Rv. 265326 – 01), perchè si erano verificate circostanze ulteriori rispetto alla semplice detenzione, quali l’orario notturno e la chiusura nel blindato chiuso.

    6. Il terzo motivo è focalizzato sull’apprezzamento delle dichiarazioni della vittima. La difesa ha molto insistito sul fraintendimento dei gesti dipendente dalle allucinazioni provocate dall’anestesia. Il tema è stato ampiamente trattato in primo grado e ripreso in modo più sintetico in secondo grado. Il primo Giudice ha infatti considerato, sulla base della stessa consulenza di parte, che le allucinazioni provocate dai farmaci assunti per l’anestesia, Midalozam e Propofol, erano occasionali o non frequenti, classificazione questa escludente la possibilità di un ragionevole dubbio. Il Giudice ha anche osservato che l’abuso era stato perpetrato con quattro accessi nel corso della notte e fino alla mattina, a distanza di otto ore dall’intervento, quando l’eventuale effetto distorsivo dell’anestesia si era di certo sensibilmente ridotto. Inoltre, ha considerato ulteriori fattori: la donna aveva percepito il toccamento delle 5 del mattino in modo sempre più netto, come riferito in denuncia; nel corso della notte, le palpazioni erano state dolorose e l’uomo le aveva applicato una pomata a suo dire anestetica e aveva continuato a massaggiare, ma tale pomata era certamente inutile perchè il dolore dipendeva dalla pressione esercitata con i toccamenti; la donna aveva allertato la figlia della compagna di camera, perchè non si sentiva sicura del comportamento dell’imputato; l’uomo si era difeso con la collega che gli aveva chiesto spiegazioni dell’accaduto, dopo aver saputo il fatto, adducendo di aver praticato “la stimolazione ovarica”, nel tentativo maldestro di dare una base scientifica ai toccamenti eseguiti, così confermando la palpazione inappropriata. L’imputato si è difeso sostenendo che l’espressione usata era stata impropria e dovuta all’agitazione emotiva della situazione creatasi. La valorizzazione del complesso di tali ulteriori elementi ha giustificato l’esclusione dell’evento “raro” dell’allucinazione da anestesia. La Corte territoriale ha motivatamente confermato tale ricostruzione, ritenendo assolutamente affidabile il racconto della vittima. Il fatto che la Corte di appello abbia affermato che “raramente” i farmaci assunti per l’anestesia provocavano effetti allucinatori non apre affatto il varco al ragionevole dubbio, come sostenuto dal ricorrente, ma sta solo a significare che era stata disattesa la perizia di parte che si era limitata a prospettare tale eventualità, in termini astratti e possibilistici. Il tutto, per affermare che doveva essere esclusa, giacchè la paziente era lucida, come testimoniato dalla figlia della compagna di stanza, sebbene inibita nella reazione, sia per l’anestesia, sia per l’affidamento ai sanitari, sia per l’ignoranza del protocollo medico seguito della cui scorrettezza aveva acquisito piena consapevolezza solo al mattino seguente, dopo il colloquio con il medico. I Giudici hanno molto insistito anche sulla genuinità della rivelazione, perchè la vittima aveva allertato la figlia della compagna di stanza, già durante la notte; aveva preso alcune precauzioni, perchè si era fatta accompagnare in bagno dall’imputato e poi, constatata l’impossibilità di urinare, si era fatta applicare il catetere; di primo mattino, poi, aveva parlato con la sua amica e appena arrivato il medico si era confidata con lui e aveva chiesto spiegazioni. Proprio dopo aver ricevuto le delucidazioni del caso sulle tecniche seguite per agevolare la minzione spontanea, che escludevano le palpazioni e gli accessi vaginali, era scoppiata a piangere.

    Il ricorrente ha, inoltre, agitato il sospetto di un interesse personale della vittima al cospicuo risarcimento del danno. Sul tema, va richiamata la sentenza a Sezioni Unite Bell’Arte, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214-01, secondo cui le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Nel caso in esame, i Giudici, non solo hanno valutato con scrupolo le dichiarazioni della vittima, ma hanno analiticamente evidenziato anche gli elementi di riscontro.

    In definitiva, entrambe le decisioni recano un’analisi accurata, logica e non contraddittoria del materiale probatorio. Pertanto, non ricorre il vizio di travisamento della prova che dev’essere di macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (tra le più recenti, Sez. 6 n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 28 41665 e Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155 – 01). Pertanto, anche il terzo motivo va disatteso.

    7. Il quarto attiene alla possibilità di riconoscere l’attenuante dell’art. 609-bis c.p., u.c.. Secondo il ricorrente, l’attenuante era compatibile anche con le aggravanti della minorata difesa, dell’abuso dei poteri inerenti a un pubblico esercizio (circostanza aggravante non contestata), dell’abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della vittima. Tale premessa è certamente conforme alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è in astratto esclusa la compatibilità della violenza sessuale aggravata con l’attenuante in questione (Sez. 3, n. 6502 del 24/05/2019, C., Rv. 278543-01). Tuttavia, non è questo il punto. Il ricorrente ha inteso superare la gravità del fatto sulla base di un’interpretazione alternativa e congetturale della vicenda secondo cui la compressione della libertà sessuale della vittima era stata lieve perchè la donna, pur avendo avuto la possibilità di reagire, si era sottratta a tale scelta per il semplice timore di avere frainteso e di aver fatto una figuraccia, per cui doveva ritenersi prestato il consenso (così nel ricorso). L’assunto è manifestamente infondato. Come già spiegato nelle sentenze di merito, la reazione della vittima è un fattore imponderabile dell’estrinsecazione della personalità in quel determinato frangente e non è valutabile ai fini che qui interessano, neanche in presenza di un atteggiamento aggressivo (Sez. 3, n. 36372 del 09/04/2019, M., Rv. 277157-01, che ha escluso l’attenuante del fatto di minore gravità in un caso di violenza sessuale nei confronti una donna che aveva inferto al suo aggressore una ferita da taglio giudicata guaribile in trenta giorni). I Giudici hanno escluso l’attenuante per la gravità del fatto. Sotto questo profilo, la sentenza impugnata resiste alle censure sollevate proprio per le peculiari caratteristiche dell’episodio avvenuto in contesto sanitario e nei confronti di una paziente pienamente affidata al personale di cura (Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 2016, D., Rv. 266272-01, secondo cui per il riconoscimento deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità).

    Va ribadito, poi, rispetto a tale motivo di doglianza, quanto già detto ai par. 5.7 e 5.8, e cioè che non ricorre l’ipotesi del bis in idem per il fatto che una medesima circostanza è stata valorizzata a diversi fini.

    8. Il sesto attiene invece al diniego dell’attenuante dell’art. 62 c.p., n. 6.

    L’imputato ha offerto un assegno di Euro 20.000 prima dell’ammissione al rito abbreviato. La vittima ha però rifiutato tale offerta e i Giudici di merito hanno ritenuto quindi che non era stato riparato integralmente il danno. Infatti, hanno espresso un giudizio di notevole gravità della condotta per il contesto ambientale in cui si era consumata la violenza e hanno ritenuto congrua la provvisionale di Euro 10.000, rimettendo al giudice civile la valutazione integrale del danno.

    In giurisprudenza, la valutazione della congruità è duplice da parte dell’interessato che eventualmente può stipulare una transazione e da parte del giudice che ne verifica l’adeguatezza (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C., Rv. 278368-02). Qui, non risulta sia stato raggiunto alcun accordo nè i Giudici hanno ritenuto sufficiente l’offerta. Secondo la giurisprudenza citata dal ricorrente, che questo Collegio condivide, l’imputato non può essere soggetto agli arbitri della vittima, per cui il giudice è sempre chiamato a verificare la ragionevolezza della riparazione proposta e accettata (da ultimo, Sez. 2, n. 5252 del 09/12/2020, dep. 2021, Bona, non mass.). E’ certo che la sufficienza della somma spontaneamente versata dall’imputato per il risarcimento del danno morale cagionato alla persona offesa non può essere esclusa con valutazione sommaria, basata sulla sua esiguità, in quanto il giudice è tenuto ad accertare la gravità del nocumento arrecato e le ripercussioni del fatto lesivo nell’ambito della vita familiare e sociale della vittima (Sez. 3, n. 17827 del 05/12/2018, dep. 2019, G., Rv. 275479 – 02, conf. Sez. 2, n. 202 del 1965 Rv. 099585).

    Tuttavia, nel caso in esame, si evidenzia l’ambiguità e la genericità del motivo di appello. Infatti, il ricorrente aveva dichiarato che l’offerta era stata formulata con riserva di difendersi e di far accertare la propria innocenza, adombrando quindi la possibilità della precostituzione di un titolo restitutorio, in caso di assoluzione, ciò che è incompatibile con lo spirito dell’attenuante che richiede che la riparazione del danno, oltre che volontaria ed integrale, sia anche effettiva nel senso che la somma di danaro proposta dall’imputato come risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale deve essere offerta alla parte lesa in modo da consentire alla medesima di conseguirne la disponibilità concretamente e senza condizioni di sorta, nel rispetto delle prescrizioni civilistiche relative al versamento diretto del danaro o a forme equipollenti che rivelano la reale volontà dell’imputato di eliminare, per quanto possibile, le conseguenze dannose del reato commesso (Sez. 5, n. 21517 del 08/02/2018, Del Pizzo, Rv. 273021-01). D’altra parte, il ricorrente aveva interloquito solo sul danno psichico da disturbo post-traumatico da stress, senza nulla argomentare sul danno morale, sebbene il Giudice di primo grado avesse liquidato la provvisionale di Euro 10.000 per il danno morale subito, ritenuto rilevante e provato fino alla concorrenza di tale somma, tenuto conto di tutte le circostanze del fatto integranti la minorata difesa, mentre avesse espresso una perplessità in merito al danno psichico certificato dai medici di parte e al nesso causale, per cui aveva demandato l’accertamento definitivo del danno al giudice civile.

    Dal complesso della motivazione, si ricava dunque che il danno morale era provato nella misura di Euro 10.000 ai fini della provvisionale, potendo esservi sia un residuo danno morale che un danno psichico da accertarsi nell’an e nel quantum dal giudice civile. Considerato che il ristoro del danno deve essere effettivo e che la proposta deve intervenire prima del giudizio, è evidente che il ricorrente deve offrire una somma che comprenda tutte le voci di danno, a prescindere dalle proprie condizioni economiche (Sez. 5, n. 13282 del 17/01/2013, Sanchez Jimenez, Rv. 255187-01) e soprattutto a prescindere dalla liquidazione equitativa del Giudice, formulando una prognosi di congruità nell’interesse della vittima e di ragionevolezza rispetto alle circostanze. La giurisprudenza ha specificato che, anche se il pagamento sia effettuato da una compagnia di assicurazione, è necessario che l’imputato ne abbia conoscenza, mostri la volontà di farlo proprio e sia integrale nei confronti di tutte le persone offese. (Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018, Tupini, Rv. 273587-01).

    Il motivo di appello non si è confrontato con tale specifica motivazione, perchè, come detto, non ha dedotto concreti argomenti per sostenere la congruità della cifra offerta sia per il danno morale sia eventualmente per il danno psichico, sicchè non può ritenersi viziata nella motivazione la sentenza impugnata che si è limitata a ribadire l’omessa riparazione integrale del danno.

    9. L’infondatezza del motivo sul diniego dell’attenuante della riparazione del danno non ridonda sulla correttezza del diniego delle generiche. Infatti, salva la verifica della condizionalità dell’offerta, sta di fatto che l’imputato ha mostrato una disponibilità nei confronti della vittima che avrebbe dovuto essere specificamente valutata dalla Corte territoriale che ha invece ribadito la motivazione già resa dal primo Giudice in merito alla gravità del fatto. Sebbene sia indiscusso che rientri nelle prerogative del giudice del merito il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sta di fatto che la Corte territoriale ha disatteso con motivazione apodittica i fattori espressamente addotti in senso positivo dalla difesa, in particolare la consegna dell’assegno banco judicis e l’incensuratezza. La giurisprudenza ammette infatti l’applicazione delle generiche in presenza di un ristoro non integrale del danno (Sez. 6, n. 34522 del 27/06/2013, Vinetti, Rv. 256134-01) o anche tardivo (Sez. 2, n. 21511 del 07/04/2021, Privitera, Rv. 281233-01).

    Limitatamente a tale punto s’impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia. Nel resto, il ricorso va rigettato. Tale epilogo decisorio presuppone, da una parte, la dichiarazione di irrevocabilità dell’accertamento penale di cui all’art. 624 c.p.p. e, dall’altra, la liquidazione delle spese alla parte civile che non ha possibilità d’interloquire sulla pena. Considerato che la parte civile è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’art. 541 c.p.p. e D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 110 le spese vanno liquidate dal Giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a mezzo del decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 82 e 83 come stabilito dalle Sez. U n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760-01.

    10. Il responsabile civile ha genericamente contestato l’accertamento di responsabilità a suo carico. Si tratta di censure per lo più fattuali. Quanto invece alla questione di diritto, come argomentato già nella sentenza di primo grado, la società risponde in qualità di committente del fatto del proprio dipendente già solo per l’esistenza di un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto illecito compiuto dal dipendente e le mansioni a lui affidate, ciò che nella specie si è verificato perchè il comportamento dell’imputato è stato occasionato dallo svolgimento delle mansioni lavorative.

    E’ pacifico in giurisprudenza che è sempre configurabile la responsabilità civile del datore di lavoro anche per le condotte delittuose del dipendente dirette a perseguire finalità esclusivamente personali (Sez. 3, n. 33562 del 11/06/20023, Cordaro, Rv. 226132-01, in un caso di responsabilità della Pubblica amministrazione per gli atti sessuali commessi da un’insegnante; Sez. 3, n. 40613 del 05706/2013, P., Rv. 256978-01 in un caso di poliziotto che aveva commesso la violenza sessuale nelle camere di sicurezza ai danni di una detenuta; Sez. 3, n. 8968 del 07/11/2019, dep. 2020, N., Rv. 278400-01 in un caso di responsabilità della società di gestione delle linee del bus rispetto agli atti sessuali commessi dall’autista), purchè l’adempimento dei compiti e delle mansioni alle quali lo stesso è stato preposto costituiscano un’occasione necessaria che l’autore del reato sfrutta per il compimento degli atti penalmente illeciti (tra le più recenti, Sez. 1, n. 25158 del 03/02/2022, A., Rv. 283477 – 02). Tale responsabilità per fatto altrui prescinde dal modello organizzativo utilizzato come specificato nei casi di responsabilità per fatto dell’amministratore (Sez. 4, n.32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997-19).

    Il ricorso va pertanto rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia. Rigetta nel resto il ricorso dell’imputato. Rigetta il ricorso del responsabile civile che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato e il responsabile civile alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Perugia con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2023