VIOLENZA SESSUALE GRUPPO MODENA APPELLO BOLOGNA CASSAZIONE

VIOLENZA SESSUALE GRUPPO MODENA APPELLO BOLOGNA CASSAZIONE

La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis.

Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da otto a quattordici anni 2.

Si applicano le circostanze aggravanti previste dall’articolo 609-ter 3.

La pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato quando concorrono le condizioni stabilite dai numeri 3) e 4) del primo comma e dal terzo comma dell’articolo 112 [c.p. 602-bis, 734-bis; c.p.p. 392, 398] 4.

L’elemento della partecipazione di più soggetti riuniti vale a qualificare la fattispecie di violenza sessuale di gruppo come reato necessariamente plurisoggettivo proprio (dunque, con punibilità estesa a tutti i concorrenti nel reato) e a distinguerla da quella di cui all’articolo 609-bis Codice Penale.

La previsione di un trattamento sanzionatorio più grave rispetto a quest’ultima disposizione si giustifica proprio in ragione del riconoscimento di un peculiare disvalore alla partecipazione simultanea di più persone, in quanto “una tale condotta partecipativa imprime al fatto un grado di lesività più intenso sia rispetto alla maggiore capacità di intimidazione del soggetto passivo ed al pericolo della reiterazione di atti sessuali violenti (anche attraverso lo sviluppo e l’incremento di capacità criminali singole) sia rispetto ad una più odiosa violazione della libertà sessuale della vittima nella sua ineliminabile essenza di autodeterminazione”. La contemporanea presenza di più di un aggressore è idonea a produrre, da una parte, un rafforzamento del proposito criminoso dell’autore materiale della condotta e, dall’altra, effetti fisici e psicologici particolari nella parte lesa, eliminandone o riducendone la forza di reazione.

. Il Tribunale di Modena, pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti M.S. e C.A., con sentenza del 21/10/2015, li ha condannati alla pena, rispettivamente, di otto e quattro anni e due mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, da liquidarsi in sede civile e con assegnazione di provvisionale provvisoriamente esecutiva, per il reato di violenza sessuale di gruppo continuata di cui all’art. 81 c.p., comma 2 e art. 609 octies c.p. (così riqualificate le originarie imputazioni ex art. 609 quater c.p.), per avere il primo compiuto atti sessuali con la figlia minorenne (nata il (OMISSIS)) della seconda, sua convivente, e per avere quest’ultima preso parte a tali atti sessuali in due occasioni e comunque non impedito ulteriori atti, pur essendone a conoscenza (in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, a partire dal (OMISSIS) e fino a data prossima al (OMISSIS)).

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 28/2/2018, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riqualificava i fatti alla stregua delle originarie imputazioni ex art. 609 quater c.p., ritenendo la sussistenza della circostanza attenuante della minore gravità, e rideterminava in diminuzione il trattamento sanzionatorio (anni tre di reclusione per il M. ed anni due di reclusione per la C., con concessione della sospensione condizionale della pena per quest’ultima), confermando nel resto la sentenza di primo grado.

Si rileva che l’art. 108 c.p.p. prevede la concessione di un congruo termine a difesa, nel caso di difensore nominato d’ufficio o di fiducia in sostituzione del precedente nei casi di “rinunzia, revoca o incompatibilità”, con conseguente nullità in caso di violazione, stante l’incidenza sull’assistenza e sui diritti di difesa dell’imputato.

Il ricorrente precisa che la richiesta non integrava alcun abuso delle facoltà processuali, rilevato che la nomina veniva depositata lo stesso giorno dell’udienza. Del resto, si aggiunge, le ragioni di urgenza relative all’imminente prescrizione, avrebbero potuto essere superate con una sospensione dei termini di prescrizione. Mentre la mancata concessione del rinvio avrebbe vanificato l’effettività del diritto di difesa, ritenuto inviolabile dalla Costituzione.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni eventuale conseguente provvedimento.

  1. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza camerale senza discussione orale (D.L. n. 137 del 2020art. 23, comma 8), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.

Motivi della decisione

  1. I proposti ricorsi si palesano inammissibili in quanto il motivo processuale dedotto è manifestamente infondato.

  2. Ed invero, come si evince dagli atti, all’udienza del 1/10/2019 compariva il difensore oggi ricorrente, avv. Valter Biscotti, il quale depositava atto di nomina, quale difensore di fiducia, in sostituzione, dell’avvocato Alessandro Pellegrini, che fino a quel momento aveva difeso gli odierni ricorrenti.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente –

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

M.S., nato a (OMISSIS);

C.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 01/10/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. Dott. PERELLI SIMONE, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi.

Svolgimento del processo

  1. Il Tribunale di Modena, pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti M.S. e C.A., con sentenza del 21/10/2015, li ha condannati alla pena, rispettivamente, di otto e quattro anni e due mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, da liquidarsi in sede civile e con assegnazione di provvisionale provvisoriamente esecutiva, per il reato di violenza sessuale di gruppo continuata di cui all’art. 81c.p., comma 2 e art. 609 octiesc.p. (così riqualificate le originarie imputazioni ex art. 609 quater c.p.), per avere il primo compiuto atti sessuali con la figlia minorenne (nata il (OMISSIS)) della seconda, sua convivente, e per avere quest’ultima preso parte a tali atti sessuali in due occasioni e comunque non impedito ulteriori atti, pur essendone a conoscenza (in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, a partire dal (OMISSIS) e fino a data prossima al (OMISSIS)).

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 28/2/2018, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riqualificava i fatti alla stregua delle originarie imputazioni ex art. 609 quater c.p., ritenendo la sussistenza della circostanza attenuante della minore gravità, e rideterminava in diminuzione il trattamento sanzionatorio (anni tre di reclusione per il M. ed anni due di reclusione per la C., con concessione della sospensione condizionale della pena per quest’ultima), confermando nel resto la sentenza di primo grado.

Avverso quella sentenza proponevano ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna e gli imputati e la Terza Sezione Penale di questa Corte, con sentenza 12904/19 del 13/11/2018, annullava la sentenza impugnata, limitatamente alla ritenuta sussistenza della circostanza attenuante della minore gravità, rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna e dichiarando inammissibili ricorsi degli imputati.

La Corte di Appello di Bologna, pronunciando in sede di rinvio, con sentenza dell’1/10/2019, ha escluso l’attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 4, rideterminando la pena inflitta a M.S. in anni 6 di reclusione e a C.A. in anni 4 e mesi 6 di reclusione, con revoca della sospensione condizionale della pena concessa a C.A. e con conferma delle pene accessorie e delle statuizioni civili contenute nella sentenza del Tribunale di Modena del 21/10/2015, con condanna al pagamento delle spese di parte civile.

  1. Avverso tale provvedimento hanno proposto nuovamente ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio comune difensore di fiducia, con due distinti atti identici tra loro, M.S. e C.A., deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173disp. att. c.p.p., comma 1 violazione di legge in relazione all’art. 108c.p.p., per nullità dell’ordinanza con la quale non è stato concesso al nuovo difensore un termine a difesa e per nullità della sentenza derivante dalla mancata concessione del termine a difesa.

Ci si duole che all’udienza del 1/10/2019, all’atto della costituzione di nuovo difensore, con revoca di ogni altro patrocinio, veniva negata la richiesta di concessione del termine a difesa, pregiudicando così ogni possibilità alla difesa di conoscere pienamente gli atti del procedimento, vista la rilevante complessità degli atti del processo dove da una lettura molto sommaria di alcuni atti si evincevano identiche circostanze, luoghi e addirittura persone, con altre inchieste di clamore nazionale dove (altri) imputati risultavano dagli atti dell’inchiesta essere stati accusati ingiustamente da una sorta di perverso sistema istituzionale.

Da tale circostanza derivava, ad avviso del ricorrente, l’assoluta necessità di un termine a difesa per fare luce su tutti gli atti del procedimento.

Si rileva che l’art. 108 c.p.p. prevede la concessione di un congruo termine a difesa, nel caso di difensore nominato d’ufficio o di fiducia in sostituzione del precedente nei casi di “rinunzia, revoca o incompatibilità”, con conseguente nullità in caso di violazione, stante l’incidenza sull’assistenza e sui diritti di difesa dell’imputato.

Il ricorrente precisa che la richiesta non integrava alcun abuso delle facoltà processuali, rilevato che la nomina veniva depositata lo stesso giorno dell’udienza. Del resto, si aggiunge, le ragioni di urgenza relative all’imminente prescrizione, avrebbero potuto essere superate con una sospensione dei termini di prescrizione. Mentre la mancata concessione del rinvio avrebbe vanificato l’effettività del diritto di difesa, ritenuto inviolabile dalla Costituzione.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni eventuale conseguente provvedimento.

  1. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza camerale senza discussione orale (D.L. n. 137 del 2020art. 23, comma 8), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.

Motivi della decisione

  1. I proposti ricorsi si palesano inammissibili in quanto il motivo processuale dedotto è manifestamente infondato.

  2. Ed invero, come si evince dagli atti, all’udienza del 1/10/2019 compariva il difensore oggi ricorrente, avv. Valter Biscotti, il quale depositava atto di nomina, quale difensore di fiducia, in sostituzione, dell’avvocato Alessandro Pellegrini, che fino a quel momento aveva difeso gli odierni ricorrenti.

Il nuovo difensore chiedeva un termine a difesa, per studiare gli atti processuali, anche in ragione della rilevante complessità del processo, assumendo, a sostegno della stessa, la presenza di simili procedimenti a carico di altri imputati risultati infondati, allorquando la dichiarazione di penale responsabilità era già passata in giudicato stante l’annullamento pronunciato da questa Corte relativo alla sola esclusione dell’aggravante.

Con una decisione corretta in punto di diritto, la Corte territoriale glielo negava, ritenendo l’evidente scopo dilatorio, dando atto motivatamente di avere valutato a tal fine sia la vicinanza del termine massimo di prescrizione del reato sia la circostanza che gli imputati erano a conoscenza della data di rinvio del processo sin dal 20/6/2019, quindi da oltre tre mesi, il che avrebbe potuto dare loro modo di nominare per tempo il nuovo difensore e a quest’ultimo di dedicarsi altrettanto per tempo allo studio dell’incarto processuale, senza dimenticare, peraltro, che il thema decidendi, dopo l’annullamento in sede di legittimità, era ormai legato al solo possibile riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di minore gravità.

Peraltro, come rileva correttamente il PG presso questa Corte, vi è un orientamento consolidato in questa sede di legittimità secondo cui la mancata concessione del termine a difesa previsto dall’art. 108 c.p.p. determina una nullità generale a regime intermedio (in quanto attiene all’assistenza dell’imputato e non all’assenza del difensore), che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 182 c.p.p., comma 2, dal difensore presente – e, quindi, al più tardi, immediatamente dopo il compimento dell’atto che nega il termine o lo concede in misura che si sostiene incongrua – sicchè essa non può essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione (così Sez. 1, n. 13401 del 5/02/2020, Garrach Rv. 278823; conf. Sez. 1, n. 11030 del 25/2/2010, Del Gaudio, Rv. 246777; Sez. 5, n. 20475 del 14/2/2002, Avini, Rv. 221905; Sez. 5, n. 15098 del 7/3/2002, Braccini, Rv. 221685).

Già nel 2011 le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità avevano precisato che il diniego di termini a difesa, ovvero la concessione di termini ridotti rispetto a quelli previsti dall’art. 108 c.p.p., comma 1, non possono dar luogo ad alcuna nullità quando la relativa richiesta non risponda ad alcuna reale esigenza difensiva e l’effettivo esercizio del diritto alla difesa tecnica dell’imputato non abbia subito alcuna lesione o menomazione (Sez. Un., n. 155 del 29/09/2011 dep. 2012, Rossi ed altri, Rv. 251497 in una fattispecie relativa ad un reiterato avvicendamento di difensori – posto in essere in chiusura del dibattimento, secondo una strategia non giustificata da alcuna reale esigenza difensiva, ma con la sola funzione di ottenere una dilatazione dei tempi processuali con il conseguente effetto della declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione – in cui le SSUU hanno ravvisato un abuso delle facoltà processuali, inidoneo a legittimare ex post la proposizione di eccezioni di nullità). E il principio è stato ribadito di recente, laddove si è affermato, che il diniego di termini a difesa, ovvero la concessione di termini ridotti rispetto a quelli previsti dall’art. 108 c.p.p., comma 1, non dà luogo ad alcuna nullità quando la relativa richiesta non risponda ad alcuna esigenza difensiva (nel senso che la difesa non abbia subito alcuna lesione o menomazione), ma integri un’evidente tattica dilatoria con “abuso del processo”, in contrasto con il principio di ragionevole durata dello stesso e in violazione dei doveri di lealtà e correttezza che devono orientare l’esercizio del mandato difensivo e delle facoltà processuali (Sez. 5, n. 23884 dell’1/3/2019, Trevisan, Rv. 277244; Sez. 2, n. 5773 del 10/1/2019, Ciervo, Rv. 275523; Sez. 2, n. 12306 del 15/3/2016, P.G. in proc. Acciari, Rv. 266772; Sez. 5, n. 32135 del 7/3/2016, Di Mauro ed altro, Rv. 267804).

Ciò posto, risulta dagli atti processuali che all’udienza del 1.10.2019, nel corso della quale la Corte territoriale rigettò la richiesta difensiva, il difensore presente non articolò alcuna deduzione critica sul punto (cfr. verbale in atti).

Il motivo è, dunque, infondato, essendo maturata, nel giudizio di merito, la decadenza prevista dall’art. 182 c.p.p..

  1. In ogni caso, peraltro, l’ordinanza di rigetto impugnata opera un buon governo della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui il difensore non ha diritto in ogni caso al rinvio dell’udienza per tardività della nomina, in quanto la facoltà riconosciuta all’imputato di nominare l’avvocato in qualsiasi momento del processo, deve essere bilanciata con il principio della sua ragionevole durata ed esercitata in modo da non trasformare le nomine e le revoche dei difensori in un sistema per controllare le scansioni ed i tempi del processo. (così Sez. 5, n. 32135 del 07/03/2016, Di Mauro ed altro, Rv. 267804, in un caso in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito di non concedere termine a difesa, in caso di revoca e nomina di nuovo difensore di fiducia cinque giorni prima dell’udienza fissata per la celebrazione di un processo di modesta complessità; conf. Sez. 6, n. 47533 del 14/11/2013, Fonzo, Rv 257390).

Nello stesso solco altre pronunce hanno affermato che, in materia di diritto di difesa, il termine previsto dall’art. 108 c.p.p. è funzionale ad assicurare una difesa effettiva, e, tuttavia, non determina il diritto dell’imputato ad ottenere il rinvio dell’udienza in ogni caso di nomina tardiva rispetto all’udienza, dovendo lo stesso essere bilanciato con il principio della ragionevole durata del processo (così Sez. 4, n. 48020 del 12/7/2018, W. Rv. 274036 in relazione ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito di non concedere termine a difesa al difensore di fiducia nominato il giorno prima dell’udienza, risultando agli atti, già da alcuni mesi, una istanza per la definizione del processo con il rito del patteggiamento, ed avendo l’imputato, anche successivamente, sempre confermato l’intenzione di volere definire il procedimento in questa forma).

In materia di diritto di difesa, il giudice legittimamente non accoglie l’istanza di rinvio avanzata ai sensi dell’art. 108 c.p.p. dal nuovo difensore, nominato ex art. 97 c.p.p., comma 1, in sostituzione di altro revocato, quando l’istanza sia un espediente per procrastinare la definizione del procedimento in violazione dei doveri di lealtà e correttezza che devono orientare l’esercizio del mandato difensivo e delle facoltà processuali. (Sez. 5, n. 23884 del 1/3/2019, Trevisan, Rv. 277244 Nella specie, l’imputato dopo avere saputo che l’udienza del processo, fissata da tempo per la rinnovazione dell’esame da lui stessa richiesta di numerosi testi presenti in aula, era stata rinviata al pomeriggio, in tarda mattinata aveva presentato in cancelleria la revoca del mandato al suo difensore di fiducia).

  1. Va rilevato che il presente processo non presenta problemi di prescrizione in quanto è assolutamente unanime l’orientamento di questa Corte di legittimità nel ritenere che, in caso di annullamento parziale della sentenza, qualora, come nel caso che ci occupa, siano rimesse al giudice del rinvio le questioni relative al riconoscimento di circostanze attenuanti o aggravanti, alla determinazione della pena e/o alla concessione della sospensione condizionale, il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d’annullamento (così Sez. 4 n. 114 del 28/11/2018 dep. 2019, Malventi, Rv. 274828; conf. Sez. 2, 4109 del 12/1/2016, Serafino, Rv. 265792; conf. Sez. 2, n. 8039 del 9/2/2010, Guerriero, Rv. 246806; Sez. 3, n. 15472 del 20/2/2004, Ragusa, Rv. 228499; Sez. 3, n. 47579 del 23/10/2003, Arici, Rv. 226646; Sez. 4, n. 2843 del 20/11/2008 dep. 2009, Talarico, Rv. 242494; ed ancora Sez. 6, n. 25977/2010; Sez.5, n. 211/2008). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito che, in caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio questioni relative al riconoscimento di una circostanza aggravante, il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, sopravvenuta alla pronuncia di annullamento (Sez. 6, n. 12717 del 31/1/2019, Cintoi) Rv. 276378 Sez. 1, n. 43710 del 24/9/2015, Catanese, Rv. 264815).

  2. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003art. 52 in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Oscuramento dati.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2020

Originally posted 2021-08-16 15:21:04.