Tardiva richiesta di fallimento da parte degli amministratori – Bancarotta impropria
TRIBUNALE MILANO, TRIBUNALE PAVIA, TRIBUNALE VENEZIA, TRIBUNALE VICENZA, TRIBUNALE TREVISO , TRIBUNALE MONZA,TRIBUNALE BERGAMO, TRIBUNALE BRESCIA, CORTE APPELLO VENEZIA, CORTE APPELLO BOLOGNA, CORTE APPELLO MILANO, CORTE APPELLO GENOVA,CORTE APPELLO TORINO CORTE APPELLO BRESCIAosservandosi a tale proposito che dal bilancio e dalla relazione emergeva l’intento degli amministratori di preservare l’assetto patrimoniale della società nella prospettiva del risanamento della stessa, che veniva specificamente indicata. Né in tale argomentazione è ravvisabile il vizio di contraddittorietà lamentato dal ricorrente nella dedotta confusione fra i diversi elementi del movente e del dolo specifico Il primo di detti elementi veniva invero nella specie coerentemente valutato nel suoi riflessi sulla ravvisabilità, in concreto esclusa, della finalità di ingiusto profitto.
La sentenza impugnata veniva congruamente motivata con riferimento in primo luogo alla mancanza del dolo specifico costituito dal fine di trarre in inganno i soci e i terzi e, soprattutto, di conseguire un ingiusto profitto, necessario per la compiuta realizzazione del reato di false comunicazioni sociali anche in quanto presupposto del delitto di bancarotta impropria (Sez. 5, n. 854 del 18/02/1999, Galli, Rv. 212857; Sez. 5, n. 28508 dei 12/04/2013, Mannino, Rv. 255575); osservandosi a tale proposito che dal bilancio e dalla relazione emergeva l’intento degli amministratori di preservare l’assetto patrimoniale della società nella prospettiva del risanamento della stessa, che veniva specificamente indicata. Né in tale argomentazione è ravvisabile il vizio di contraddittorietà lamentato dal ricorrente nella dedotta confusione fra i diversi elementi del movente e del dolo specifico. Il primo di detti elementi veniva invero nella specie coerentemente valutato nel suoi riflessi sulla ravvisabilità, in concreto esclusa, della finalità di ingiusto profitto.
A prescindere da queste considerazioni, la sentenza impugnata conteneva comunque un’adeguata motivazione in ordine all’assenza dell’ulteriore componente costitutiva del reato contestato, rappresentata dal rapporto di causalità fra la condotta di false comunicazioni sodali e l’evento. Pur dando correttamente atto che quest’ultimo può essere rappresentato, oltre che dal dissesto della società fallita, anche dal mero aggravamento dello stesso, la Corte territoriale evidenziava tuttavia, senza incorrere in vizi logici, come il nesso causale fosse stato nel caso in esame interrotto dall’essersi gli amministratori attivati, successivamente all’esposizione del bilancio con i dati contestati, per la ristrutturazione dell’attività produttiva del gruppo e del debito bancario, con un intervento protrattosi per due anni attraverso la riduzione del personale ed il ricorso alla cassa integrazione, da un lato, e costanti trattative con gli istituti di credito dall’altro, il cui esito negativo finale non consentiva comunque di far rivivere il legame di causalità fra i pregressi fatti di false comunicazioni sodali e l’aggravamento del dissesto in conseguenza del proseguimento dell’attività della società.
Ed anche a questo proposito, peraltro con evidenza ancor maggiore rispetto al profilo precedentemente trattato, appare insussistente la contraddittorietà lamentata dal ricorrente in un’indebita utilizzazione probatoria del movente degli imputati, laddove l’argomentazione del giudici di merito veniva invece condotta sul diverso plano dell’incidenza sul rapporto causale di un’attività materiale, quale la complessa e prolungata operazione di risanamento produttivo e finanziarlo effettivamente realizzata nel periodo intermedio fra l’approvazione del bilancio oggetto dell’imputazione e la dichiarazione di fallimento.
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 ottobre 2013, n. 43414
Ritenuto in fatto
Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Pordenone del 13/01/2010, veniva confermata l’affermazione di responsabilità di (…) e (…) per il reato di cui all’art. 217 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, commesso da (…) quale presidente del consiglio di amministrazione, da (…) quale consigliere delegato e dal (…) e dalla (…) quali consiglieri della (…) s.p.a., dichiarata fallita in Pordenone il 12/03/2007, omettendo di richiedere il fallimento fino al 05/03/2007 e così aggravando il dissesto della società, in stato di insolvenza dal 31/12/2005. I predetti false comunicazioni venivano invece assolti per insussistenza del fatto dall’imputazione del reato di cui agli artt. 2621 cod. civ. e 223 legge fall., loro contestato nell’aver concorso a cagionare il dissesto della società esponendo fatti non rispondenti al vero nel bilancio al 2004, in particolare omettendo di svalutare una partecipazione nella (…) s.r.l., iscritta per €. 210.000 a fronte di un patrimonio netto della partecipata ridotto ad €. 78.595, e di conseguenza un credito vantato nel confronti delle (…) per €. 1.380.928, ed omettendo altresì di svalutare crediti iscritti per €. 550.328 nei confronti della (…) s.p.a., sottoposta ad amministrazione straordinaria, e per €. 600.000 della (…) s.r.l., il cui patrimonio netto era ridotto ad un passivo di €. 982.232.
La pena inflitta agli imputati era di conseguenza rideterminata in mesi otto di reclusione per ciascuno.
il Procuratore generale e gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati.
Sull’assoluzione dall’imputazione di bancarotta impropria da reato societario, il Procuratore generale ricorrente deduce contraddittorietà della motivazione, nell’esclusione del fine di ingannare i soci o il pubblico e di conseguire un ingiusto profitto in base al ritenuto intento degli amministratori di preservare l’assetto patrimoniale della società nelle auspicate prospettive di crescita, censurando la confusione in tal modo ingenerata fra il movente della speranza nel miglioramento patrimoniale ed il dolo specifico inevitabilmente derivante dalla consapevolezza delle alterazioni del bilancio. Ulteriore contraddittorietà della motivazione è dedotta con riferimento all’esclusione del rapporto causale fra il reato societario e l’aggravamento del dissesto alla luce dell’essersi gli imputati attivati nel 2006 per ristrutturare il capitale e ridurre gli oneri finanziari, lamentando il ricorrente anche a questo proposito la confusione fra il movente che animava gli imputati e la consapevolezza dell’aggravamento del dissesto in conseguenza degli artifici contabili.
Sull’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta semplice, gli imputati ricorrenti deducono violazione di legge in merito al presupposti della fattispecie contestata, che deve ritenersi incriminare il ritardo nella richiesta di fallimento non in quanto tale, ma rispetto al momento del conclamato stato di insolvenza. Lamentano illogicità della motivazione in quanto fondata sulle altrettanto illogiche conclusioni del perito contabile, in ordine alla sussistenza dello stato di insolvenza della fallita al 31/12/2005, tratte all’esito di un ragionamento meramente ipotetico sull’insorgenza della necessità di ricapitalizzare o scegliere la società a quella data ove fosse stata data un’esatta rappresentazione della situazione finanziarla della stessa, e non su un’analisi reale delle condizioni effettive della (…). Denunciano mancanza di motivazione sull’assenza, alla data indicata, del dati tipicamente sintomatici di uno stato di insolvenza, ossia dell’impossibilità di far fronte alle obbligazioni, piuttosto che di un mero squilibrio patrimoniale fra attivo e passivo; nonché su quanto riferito dal teste (…), incaricato dagli amministratori della redazione di un progetto di ristrutturazione aziendale, dal consulente della difesa e perfino dal curatore e dal perito in ordine alla serietà del predetto piano e di quello di ristrutturazione del debito bancario, venuto meno solo alla fine del 2006 per la mancata adesione della Banca (…) all’esistenza di plusvalenze immobiliari ed al convincimento degli amministratori di poter risanare la situazione della società. Deducono infine violazione di legge ed illogicità della motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di bancarotta semplice in quanto individuato nella colpa consistita nella mera imprudenza nel confidare sulla disponibilità degli istituti di credito ad aderire al piano di ristrutturazione del debito, tale da non configurare la colpa grave richiesta dalla norma incriminatrice.
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