Superbonus 110 SI AL sequestro conto professionista art 640 cp
- Con ordinanza 21.03.2022, il tribunale del riesame di Napoli confermava il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP in data 3.03.2022 nei confronti dell’indagato A.A.
- , in via diretta, fino alla concorrenza della somma pari ad Euro 83.517.108,4 corrispondente al profitto del reato di cui all’art. 640, comma 1 e comma 2 n. 1 c.p. da rinvenirsi nella disponibilità, tra gli altri indagati, del A.A., nella sua qualità di professionista abilitato che avrebbe partecipato al meccanismo fraudolento meglio descritto nel capo di imputazione cautelare.
Svolgimento del processo
- Con ordinanza 21.03.2022, il tribunale del riesame di Napoli confermava il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP in data 3.03.2022 nei confronti dell’indagato A.A., in via diretta, fino alla concorrenza della somma pari ad Euro 83.517.108,4 corrispondente al profitto del reato di cui all’art. 640, comma 1 e comma 2 n. 1 c.p. da rinvenirsi nella disponibilità, tra gli altri indagati, del A.A., nella sua qualità di professionista abilitato che avrebbe partecipato al meccanismo fraudolento meglio descritto nel capo di imputazione cautelare.
Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 13/10/2022) 08/11/2022, n. 42010
Intestazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente –
Dott. ACETO Aldo – Consigliere –
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –
Dott. ZUNICA Fabio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., n. (Omissis);
avverso l’ordinanza del 21/03/2022 del Tribunale del riesame di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GIORDANO Luigi, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
- Con ordinanza 21.03.2022, il tribunale del riesame di Napoli confermava il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP in data 3.03.2022 nei confronti dell’indagato A.A., in via diretta, fino alla concorrenza della somma pari ad Euro 83.517.108,4 corrispondente al profitto del reato di cui all’art. 640, comma 1 e comma 2 n. 1 c.p. da rinvenirsi nella disponibilità, tra gli altri indagati, del A.A., nella sua qualità di professionista abilitato che avrebbe partecipato al meccanismo fraudolento meglio descritto nel capo di imputazione cautelare.
- Propone ricorso per cassazione il A.A., a mezzo del difensore fiduciario, deducendo un unico, articolato, motivo, di seguito illustrato.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge sostanziale e processuale contestando sia l’insussistenza del fumus del reato di truffa ipotizzato che del periculum in mora, instando per la revoca del sequestro preventivo quanto al c/c dell’indagato e la restituzione della liquidità giacente pari a poco più di 5.000 Euro.
In sintesi, premesso che già in sede di udienza camerale 21.03.2022 era stata denunciata l’assenza del fumus del contestato reato di truffa, la difesa, nel descrivere a pag. 4 sinteticamente gli elementi in base ai quali l’indagato era stato ritenuto compartecipe del meccanismo fraudolento meglio descritto nell’imputazione cautelare (l’aver svoltò in 139 pratiche le funzioni di tecnico asseveratore, dall’aprile all’ottobre 2021; l’essere stati reperiti presso il General contractor tre contratti assicurativi ed il premio di uno di essi sarebbe stata pagato dal committente; mancato rinvenimento di fatture emesse dall’indagato a fronte di pagamenti ricevuti dal Consorzio SGAI, documenti nemmeno versati in sede di udienza camerale; asserita non autografia della firma apposta sulle asseverazioni, in quanto apparentemente apposta attraverso un file immagine, come affermato in una nota GdF del 18.03.2022), sostiene quanto al fumus, che, alla luce di quanto accertato dal CTP B.B. e riportato nel suo elaborato depositato agli atti, in realtà la liquidità esistente sul c/c ed oggetto del sequestro non sarebbe riconducibile ai reati ipotizzati, in particolare quello di truffa, risultando invece utilizzata dall’indagato anche per fini personali, quali ad esempio il pagamento di utenze domestiche. Non sarebbe peraltro rispondente al vero che gli emolumenti ricevuti dal Consorzio SGAI non sarebbero stati fatturati dall’indagato una volta ricevuti i bonifici di pagamento delle prestazioni professionali; si duole quindi la difesa dell’errore investigativo commesso dalla G.d.F. nell’affermare che non sarebbero state emesse fatture a fronte dei compensi ricevuti dal General contractor nonchè dell’omesso esame della fatturazione fiscale allegata alla CTP B.B., decisiva per dimostrare l’estraneità ai fatti dell’indagato; si contesta, inoltre, l’affermazione dei giudici del riesame i quali avrebbero ritenuto che tutte le asseverazioni emesse dai professionisti sarebbero false in quanto dal controllo eseguito dalla G.d.F. della contabilità del Consorzio SGAI, non risulterebbero annotati i costi relativi a tale attività tecnica e, quindi, anche quelle riconducibili all’indagato sarebbero mendaci per l’omessa fatturazione, circostanza che invece sarebbe stata smentita proprio dalla regolare fatturazione fiscale (si tratta di 5 fatture) in seguito ai bonifici bancari ricevuti sul c/c dal General Contractor. Quanto, poi, al rinvenimento dei tre contratti presso il Consorzio SGAI ed alla circostanza che uno dei premi di tali contratti assicurativi risulterebbe pagato dal committente, la difesa rileva che l’aver aderito l’indagato al c.d. regime fiscale di vantaggio ex L. n. 244 del 2007 art. 1, comma 96/117, che non prevede la detrazione di alcuna spesa per l’attività professionale svolta e, dunque, nemmeno l’importo corrisposto ai fini assicurativi, escluderebbe la rilevanza di tale elemento. Quanto sopra, pertanto, escluderebbe l’esistenza del fumus, considerando peraltro che le firme apposte sulle pratiche asseverate non sono state disconosciute dall’indagato (asseritamente non autografe perchè inserite con file immagine, secondo la G.d.F.), escludendo quindi qualsiasi condotta compartecipativa dell’indagato al predetto meccanismo fraudolento, non essendovi alcun collegamento tra il reato di truffa e quanto caduto in sequestro. In merito, poi, all’inesistenza del periculum in mora, premesso che il giudice del riesame ritiene che il denaro ricevuto dall’indagato dal Consorzio costituirebbe il profitto che l’indagato ha tratto dall’attività criminosa, si contesta l’errore investigativo commesso dalla G.d.F. che non avrebbe acquisito le 5 fatture emesse dall’indagato a fronte dei bonifici ricevuti dal Consorzio SGAI in pagamento delle prestazioni professionali svolte dall’indagato nell’interesse del committente. Non sussisterebbe quindi alcun collegamento tra il denaro sequestrato e il delitto di truffa per cui il sequestro è stato disposto, dovendo peraltro il periculum presentare i requisiti della concretezza ed attualità, nella specie mancanti.
- Con requisitoria scritta del 31.08.2022, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.
In particolare, in relazione al primo motivo, come è noto, ai sensi dell’art. 325, comma 1, c.p.p., il ricorso per cassazione contro i provvedimenti emessi in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sià gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129). Nel caso di specie, nessuna mancanza di motivazione o motivazione apparente è ravvisabile con riguardo alla integrazione del fumus boni iuris in ordine all’incolpazione elevata nei confronti del ricorrente, solidamente poggiata dai giudici della cautela reale sulle denunce e su plurimi elementi documentali raccolti nelle indagini, tra cui le mail di protesta dei clienti. Il Tribunale, tra l’altro, ha rilevato che la firma apposta dal professionista appaia “prima facìe non autografa”, apposta tramite un file immagine, sempre identica, espressione di una modalità “automatica” di asseverazione compiuta in difetto dei necessari controlli e delle verifiche previste dalla legge. In dette asseverazioni, poi, sono state rinvenute le anomalie descritte nel provvedimento.
Quanto al secondo motivo, il Tribunale ha precisato che si tratta del sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato, nella parte rinvenuta nella disponibilità del ricorrente, profitto da egli percepito per le asseverazioni e comunque rinvenuto in misura minima rispetto a quanto effettivamente percepito.
- La difesa, con richiesta depositata telematicamente in data 21.09.2022, ha chiesto la trattazione orale del ricorso, richiesta non accolta con provvedimento del presidente titolare del 23.09.2022.
Motivi della decisione
- Il ricorso, trattato cartolarmente ex D.L. n. 137 del 2020art. 23, comma 8, e successive modifiche ed integrazioni, è inammissibile.
- Sul punto, deve rilevarsi che il provvedimento genetico descrive la condotta dell’indagato e riporta le dichiarazioni dei denuncianti che fanno riferimento a fatti nei quali anche il A.A. risulta implicato (occupandosi il medesimo, quale professionista abilitato che rilasciava – unitamente ad altri indicati nel capo di imputazione cautelare – l’asseverazione richiesta dalla legge al termine dei lavori e/o per ogni SAL ai fini dell’attestazione dei requisiti tecnici sulla base del progetto predisposto e dell’effettiva realizzazione dell’intervento).
In particolare, il provvedimento impugnato (pag. 3) evidenzia chiaramente che lo stesso “attiene al profitto del solo reato di truffa aggravata”, precisando peraltro che, per una sua valutazione, non potesse prescindersi dall’esaminare la complessa vicenda nella sua interezza, atteso che tutti i reati in contestazione (oltre alla truffa aggravata, per cui il provvedimento è stato emesso, anche per il reato di falso, contestato nel medesimo capo 2), nonchè per il delitto associativo contestato al capo 1) nonchè per il delitto di tentata indebita compensazione contestato al capo 4), tutti ascritti parimenti al A.A.) sono tra loro collegati, essendo i reati finanziari ed i reati di falso finalizzati, tra l’altro, anche alla commissione della truffa ai danni dei cessionari dei crediti di imposta inesistenti.
La stessa struttura del provvedimento impugnato, del resto, rende ragione della valutazione del fumus del reato di cui si discute (truffa aggravata), di cui in particolare si occupa alle pagg. 3 ss. dell’ordinanza qui ricorsa, sottolineandone la sussistenza non solo in termini di fumus, ma persino di qualificata gravità indiziaria, idonea come è noto a giustificare anche l’emissione di un provvedimento custodiale, ricostruendo nel dettaglio la vicenda criminosa che ha dato avvio alle attività di indagine della Guardia di Finanza.
Con particolare riferimento, poi, alla posizione dell’indagato A.A., l’ordinanza impugnata dedica uno specifico approfondimento alle pagg. 17 ss.; i giudici del riesame, dopo aver premesso il contenuto dei motivi di riesame (che, come è agevole rilevare dal loro tenore, sono stati sostanzialmente riprodotti nell’impugnazione in sede di legittimità, senza alcuna apprezzabile elemento di novità critica), dedicano un particolare approfondimento al tema del fumus del reato di truffa aggravata, osservando come dagli atti in possesso del Tribunale si evincesse il fumus del coinvolgimento dell’odierno indagato nella vicenda criminosa innanzi descritta. In particolare, come risulta dal prospetto riepilogativo delle asseverazioni trasmesse sul portale dell’ENEA in relazione ai lavori del Consorzio SGAI inerenti alle agevolazioni del cd. superbonus 110%, il A.A. risulta aver svolto il compito di tecnico asseveratore in ben 139 casi, dall’aprile all’ottobre del 2021. Tale dato, peraltro, si legge nell’ordinanza, trova conforto anche nella consulenza di parte, prodotta all’udienza, che analizza i versamenti. Inoltre, tra gli atti rinvenuti presso il Consorzio, l’ordinanza valorizza tre contratti assicurativi effettuati dal consorzio al A.A., proprio in relazione a tale attività. Ebbene, precisano i giudici del riesame, il premio di almeno uno di questi risulta pagato dal Consorzio stesso, circostanza che appare anomala, atteso che è il tecnico asseveratore a dover sottoscrivere la polizza assicurativa a garanzia di eventuali danni provocati dalla sua attività (tanto che, puntualizza l’ordinanza, il relativo premio può essere dedotto ai fini del pagamento delle imposte sui redditi) e non l’impresa che effettua i lavori sui quali si svolge la verifica del tecnico. Altra anomalia rilevata dai giudici del riesame sta nel fatto che nessuna fattura è stata emessa dal A.A. a fronte dei pagamenti ricevuti dal Consorzio, nè tali fatture si afferma nell’ordinanza sono state prodotte in sede di riesame. L’ordinanza, peraltro, valorizza in particolare quanto evidenziato in una nota della G.d.F. in atti, ossia la circostanza che anche la firma del A.A. apposta alle asseverazioni appare prima facie non autografa, ma apposta attraverso un file immagine, tanto che su diversi documenti tale firma appare innaturalmente del. tutto identica. Quanto sopra, aggiungono i giudici del riesame, considerato che il A.A. non ha disconosciuto dette firme, ammettendo di aver anche ricevuto il pagamento per l’attività professionale espletata, farebbe pensare ad una modalità automatica di asseverazione, operata in assenza di quegli accertamenti e quelle verifiche che sono alla base dell’attività in questione. Sul punto, i giudici del riesame si soffermano a valorizzare il ruolo dell’asseverazione nel meccanismo introdotto dalla normativa del c.d. superbonus, in particolare evidenziando come nelle asseverazioni esaminate dall’ENEA e relative al Consorzio SGAI sono state riscontrate varie anomalie, come il fatto che queste si riferiscono tutte al primo SAL del 30%, che in esse non viene dichiarato il numero di protocollo del deposito in comune, prima dell’inizio lavori, della relazione tecnica della L. 10 del 1991 ex art. 28 del D.Lgs. n. 192 del 2005 ed ex art. 8, ma solo la dizione “PEC”, che non viene allegato l’APE post intervento. Inoltre, il computo metrico allegato è quasi sempre non pertinente e il relativo importo complessivo dei lavori non coincide con quanto dichiarato nell’asseverazione. A ciò si aggiunga che, in alcuni casi, viene dichiarato erroneamente che il comune di ubicazione dell’edificio oggetto dell’intervento è compreso nell’elenco dei comuni di cui al D.L. n. 34/2020 art. 119 comma 4 ter. Con la conseguenza che gli importi massimi ammissibili sono incrementati del 50%. Si tratta di anomalie, queste, che i giudici del riesame sottolineano essere state tutte riscontrate nelle dichiarazioni dei tecnici che hanno operato quali asseveratori per il Consorzio, tra i quali l’odierno indagato A.A., autore di ben 139 asseverazioni delle 1381 totali effettuate in relazione a lavori del Consorzio SGAI. Tutto ciò, per i giudici del riesame, consente di ritenere sussistente il fumus in ordine alla partecipazione del A.A. al sistema illecito in contestazione, atteso che il suo è senza dubbio un ruolo fondamentale per la riuscita del piano criminoso e la realizzazione della truffa ai danni dello Stato.
Quanto, poi, al periculum in mora, correttamente i giudici del riesame puntualizzano che il denaro ricevuto dal Consorzio costituisce, per quanto sin qui esposto, il profitto che il A.A. ha ricavato dall’attività criminosa posta in essere. In quanto tale ne viene giustificato il sequestro, ai fini della successiva confisca. L’ammontare del profitto, si precisa nell’ordinanza impugnata, è stato correttamente individuato anche nella consulenza difensiva ed è sicuramente superiore alla somma rinvenuta sul conto intestato al A.A. e posta in sequestro. Del resto, aggiungono i giudici del riesame, la stessa difesa ha ammesso che i proventi dell’attività in favore del consorzio sono transitati su quel conto sebbene detta circostanza non sia determinante, attesa la fungibilità del denaro e la pacifica sequestrabilità del quantum che costituisce profitto illecito anche in mancanza di diretta derivazione delle somme effettivamente vincolate dalla contestata attività illecita. In tal senso del tutto correttamente i giudici del riesame ricordano come le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 27 maggio 2021 n. 42415), hanno affermato il principio per cui “la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta e che rappresenti I ‘effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione”.
2.1. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze difensive circa la asserita assenza di qualsiasi argomentazione in ordine al fumus ed al periculum del reato ipotizzato a carico del A.A. perdono di qualsiasi spessore argomentativo, avendo diversamente i giudici del riesame focalizzato attentamente la propria attenzione sul ruolo assunto dal A.A. nel meccanismo fraudolento, individuando il ruolo assunto dall’indagato nella vicenda, segnalando tutte le “anomalie” che rendevano evidente la compartecipazione del A.A. nella vicenda criminosa descritta.
Nella valutazione complessiva della condotta serbata dall’indagato per il raggiungimento del reato oggetto di volontà comune, peraltro, non incidono le presunte erronee o omesse valutazioni denunciate dalla difesa del ricorrente, trattandosi di argomentazioni che, lungi dal denunciare l’esistenza di un vizio di violazione di legge, tendono diversamente a sviluppare una non consentita critica dei passaggi argomentativi dell’ordinanza impugnata (ad esempio, contestando che la liquidità esistente sul c/c ed oggetto del sequestro non sarebbe riconducibile ai reati ipotizzati, in particolare quello di truffa, risultando invece utilizzata dall’indagato anche per fini personali; od, ancora, tacciando di falsità l’ordinanza laddove sostiene che gli emolumenti ricevuti dal Consorzio SGAI non sarebbero stati fatturati dall’indagato una volta ricevuti i bonifici di pagamento delle prestazioni professionali, ciò che sarebbe il frutto non di un travisamento probatorio – peraltro nemmeno denunciabile in questa sede in considerazione dei ristretti limiti imposti dall’art. 325, c.p.p. – ma di un errore investigativo commesso dalla G.d.F. nell’affermare che non sarebbero state emesse fatture a fronte dei compensi ricevuti dal General contractor).
Analogamente è a dirsi quanto al presunto omesso esame della fatturazione fiscale allegata alla CTP B.B., asseritamente decisiva per dimostrare l’estraneità ai fatti dell’indagato, avendo diversamente i giudici del riesame dato atto nell’ordinanza impugnata di aver tenuto conto delle risultanze della CTP come, parimenti tendente a contestare la motivazione dell’ordinanza e non la sua legittimità, è la critica rivolta all’ordinanza impugnata quanto all’affermazione della falsità delle asseverazioni non avendo peraltro il ricorrente provveduto a disconoscere la firma apposta con file digitale. Ancora, irrilevante, nell’economia della motivazione del provvedimento impugnato, si appalesa la critica all’ordinanza impugnata per aver valorizzato il rinvenimento dei tre contratti presso il Consorzio SGAI e la circostanza che uno dei premi di tali contratti assicurativi risulterebbe pagato dal committente, per aver aderito l’indagato al c.d. regime fiscale di vantaggio L. n. 244 del 2007 ex art. 1, comma 96/117, che non prevede la detrazione di alcuna spesa per l’attività professionale svolta, con la conseguenza, dunque, che nemmeno l’importo corrisposto ai fini assicurativi, escluderebbe la rilevanza di tale elemento, trattandosi all’evidenza di argomentazione che tende a censurare la logicità dell’apparato argomentativo, non consentita in questa sede.
Infine, quanto al periculum, ancora una volta si critica l’ordinanza non per un error iuris, ma si contesta l’errore investigativo commesso dalla G.d.F. che non avrebbe acquisito le 5 fatture emesse dall’indagato a fronte dei bonifici ricevuti dal Consorzio SGAI in pagamento delle prestazioni professionali svolte dall’indagato nell’interesse del committente, argomento che, come già in precedenza sottolineato, è palesemente inidoneo a scalfire la tenuta dell’ordinanza impugnata).
2.2. Deve, pertanto, conclusivamente concordarsi con il PG, il quale ha condivisibilmente argomentato sottolineando come, nel caso di specie, nessuna mancanza di motivazione o motivazione apparente è ravvisabile con riguardo alla integrazione del fumus boni iuris in ordine all’incolpazione elevata nei confronti del ricorrente, solidamente poggiata dai giudici della cautela reale sulle denunce e su plurimi elementi documentali raccolti nelle indagini, tra cui le mail di protesta dei clienti. Lo stesso PG, correttamente, valorizza proprio la circostanza per la quale il Tribunale del riesame ha rilevato che la firma apposta dal professionista appaia “prima facie non autografa”, apposta tramite un file immagine, sempre identica, espresgione di una modalità “automatica” di asseverazione compiuta in difetto dei necessari controlli e delle verifiche previste dalla legge (questione di assoluta rilevanza, su cui, non casualmente, nessuna argomentazione in senso contrario è stata sviluppata dalla difesa del ricorrente) e, ancora, che in dette asseverazioni, poi, sono state rinvenute le anomalie descritte nel provvedimento.
Quanto al periculum, infine, altrettanto correttamente il PG ricorda che si tratta del sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato, nella parte rinvenuta nella disponibilità del ricorrente, profitto da egli percepito per le asseverazioni e comunque rinvenuto in misura minima rispetto a quanto effettivamente percepito, donde nessun dubbio può esservi in ordine alla legittimità del provvedimento su tale aspetto.
- Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila Euro in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2022