SUCCESSIONE CONTO COINTESTATO A CHI VANNO LE SOMME?

SUCCESSIONE CONTO COINTESTATO A CHI VANNO LE SOMME?

Nel caso in cui il conto sia intestato a più persone(1), con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente(2), gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto.

L’intestazione del conto a più persone produce anche rispetto ai contratti bancari, e specialmente nei confronti di quelli regolati in conto corrente, l’attuale effetto dell’unitarietà disciplinatrice del rapporto e la presenza una comunione di interessi tra coobbligati. Quindi la logica conseguenza del vincolo solidale che lega i diversi intestatari in riferimento all’ attivo ed a quello passivo discendente dalle operazioni poste in essere con la banca (cfr. art. 1292 seg. cod.).

Cass. civ. n. 5071/2017

Il contratto di conto corrente bancario svolge, a differenza di quello ordinario, una semplice funzione di servizio di cassa per il correntista, sicché, in caso di contestazione del conto, non rileva chi dei titolari sia beneficiario dell’accredito o chi abbia utilizzato la somma accreditata. Pertanto, quando una certa somma sia affluita sul conto, la stessa rientra nella disponibilità di tutti i correntisti, i quali, ex art. 1854 c.c., ne divengono condebitori, restando irrilevante che taluno dei cointestatari non abbia in concreto compiuto operazioni sul conto, atteso che è sufficiente, ai fini della norma suddetta, che avesse titolo per compierle.

La cointestazione di una cassetta di sicurezza o di un conto corrente bancario autorizza ciascuno degli intestatari, rispettivamente, all’apertura della cassetta e al relativo prelievo, ovvero al compimento di tutte le operazioni consentite sul conto, ma non attribuisce al medesimo cointestatario, che sia consapevole dell’appartenenza ad altri degli oggetti custoditi o delle somme risultanti a credito, il potere di disporne come proprietario.

In caso di cointestazione del deposito bancario di titoli (nella specie, appartenenti a coniugi), ove non vi sia, o non sia provata, una clausola contrattuale che dia facoltà al singolo di operare separatamente sul conto, è chi invoca gli effetti dell’atto individuale di disposizione ad avere l’onere di dimostrare che esso è riferibile anche agli altri intestatari o che, comunque, costoro lo hanno approvato, trattandosi altrimenti di un atto di per sé privo della possibilità di produrre effetti; infatti, il disposto dell’art. 1854 c.c., riguardante il conto corrente, ma analogicamente applicabile anche ai conti di deposito titoli, considera i relativi contitolari creditori o debitori solidali dei saldi, se è prevista la facoltà per i medesimi di compiere operazioni anche separatamente, facoltà che non può essere però presunta per il sol fatto che il conto risulti intestato a più persone, anche perché il titolo per fondare una solidarietà attiva deve essere inequivocabilmente convenzionale e quindi, in mancanza, le singole operazioni individuali non risultano efficaci se non attuate con il consenso, che non può essere presunto, di tutti i cointestatari; inoltre, l’esigenza formale che caratterizza i contratti bancari, ai sensi dell’art. 117 del d.l.vo 1° settembre 1993, n. 385, preclude il rinvenimento della menzionata clausola dal mero comportamento, processuale o extraprocessuale, delle parti.

Cass. civ. n. 19305/2006

Il saldo di conto corrente bancario cointestato, con facoltà di disposizione disgiunta di ciascuno dei contitolari, non può costituire credito «contratto nell’interesse esclusivo» di alcuno dei contitolari del credito stesso, ai sensi del primo comma dell’art. 1298 c.c., perché ciò contrasterebbe con la funzione del contratto a quo, finalizzato all’espletamento del servizio di cassa in favore (e dunque nell’interesse) di tutti i contitolari, i quali possono liberamente disporre del saldo attivo.

La cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi di conto (art. 1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi, sia nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto, salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa.

Cass. civ. n. 13663/2004

L’art. 1854 c.c. stabilisce che, nel caso di conto corrente intestato a più persone, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto e ciò anche nell’ipotesi in cui, alle persone alle quali il conto è intestato, sia riconosciuta la facoltà di compiere operazioni separatamente.

La dizione dell’art. 1854 c.c. in tema di conto corrente bancario cointestato a più persone, nel prevedere anche la facoltà, per i singoli titolari, di operare anche separatamente sul conto, implica che tale eventualità sia subordinata alla condizione che tale facoltà sia espressamente menzionata nel contratto attraverso il rispetto di rigorosi requisiti formali, e non rende ammissibile che essa facoltà venga desunta, in via interpretativa, dall’analisi del tenore complessivo della convenzione.

AVVOCATO SERGIO ARMAROLI BOLOGNA

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AFFERMA LA SENTENZA DI CASSAZIONE

considerato che con la sentenza di cui in rubrica il Tribunale di Roma ha accolto la domanda avanzata da C.U. e C.A. nei confronti di R.F. e della Banca P., domanda avanzata nella qualità di eredi ab intestato del proprio fratello C.G., defunto coniuge della R. e volta ad ottenere l’attribuzione pro quota della metà delle somme giacenti sul conto corrente n. (OMISSIS), intrattenuto presso l’agenzia di Roma n. (OMISSIS) della Banca P. dai coniugi C. a R. all’epoca del decesso del proprio congiunto (avvenuto il (OMISSIS)); che a sostegno della domanda gli attori riferivano di aver appreso come il conto, al momento del decesso, presentasse un saldo attivo di Euro 271.307,24, la metà dei quali, il giorno stesso della morte, erano stati trasferiti dalla R. su altro conto corrente a lei intestato presso la medesima banca; che all’esito del giudizio – nel quale la R. aveva chiesto respingersi la domanda attorea sul presupposto che l’intera somma depositata nel conto corrente fosse per lo più di sua esclusiva pertinenza, poichè per la quasi totalità proveniente dalle successioni della propria madre e della propria sorella, e la Banca l’inammissibilità della domanda svolta nei propri confronti, essendo del tutto estranea alla vicenda ereditaria – il Tribunale, in accoglimento della domanda avanzata dagli attori, ha dichiarato caduto nella successione di C.G., il 50% delle somme esistenti sul conto corrente al momento del decesso e, per l’effetto, ha attribuito a ciascuno degli attori la somma pari a 1/3 del saldo attivo del conto (al netto delle somme di proprietà della R., pari alla metà), condannando inoltre la R. a rimborsare le spese di lite sia agli attori, sia alla banca; che a fondamento della decisione il tribunale ha ritenuto, da un lato, che le produzioni documentali effettuate dalla R. non consentissero di dimostrare la provenienza personale delle somme versate nel conto corrente (in assenza, tra l’altro, delle dichiarazioni di successione della madre e della sorella), dall’altro che, in ogni caso, la convenuta avesse deciso di riversarle nel conto cointestato con il marito, mediante un comportamento concludente espressivo della volontà di attribuire le somme alla comunione legale, elemento quest’ultimo di valenza assorbente e dirimente della lite”. Contro la sentenza R.F. proponeva appello davanti alla Corte d’appello di Roma, che accoglieva il gravame, condannando gli attori al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio sia nei confronti della R., sia nei confronti della Banca

MOTIVAZIONE

La corte di merito ha negato ogni possibile connessione fra le vicende del conto cointestato e la vendita intercorsa fra i coniugi, in relazione alla quale ha affermato non esserci prova che il prezzo non fosse stato pagato e “soprattutto in assenza di un’azione volta a dimostrare la simulazione del negozio”. La corte d’appello non ha tenuto conto che la deduzione di parte, trascritta a pag. 10 del ricorso, non era finalizzata a sostenere che la compravendita mascherasse un trasferimento di diritto senza corrispettivo. I ricorrenti avevano infatti sottolineato che le parti contrattuali avevano rispettivamente dichiarato di avere versato e ricevuto prima dell’atto il prezzo della vendita (come consentito dalle norme all’epoca in vigore). Essi, proprio partendo dal fatto che nella compravendita il prezzo era stato dato per pagato prima dell’atto, avevano sollecitato una diversa considerazione della vicenda, in primo luogo nel senso che una parte delle rimesse provenienti dalla R. fosse da imputare al prezzo, che il venditore aveva dichiarato di avere già riscosso. Diversamente, la corte d’appello, supponendo erroneamente che la deduzione avrebbe richiesto che fosse stata fatta valere la simulazione del negozio, attraverso la proposizione della relativa azione, ha ignorato la deduzione, così incorrendo nello stesso tempo nel vizio di omesso esame del fatto e di violazione delle norme sulla simulazione

Cass. civ., sez. II, ord. 23 febbraio 2021, n. 4838;

 Di Virgilio Presidente – Tedesco Relatore (Omissis) FATTO I fatti sono così riassunti nella sentenza impugnata: “considerato che con la sentenza di cui in rubrica il Tribunale di Roma ha accolto la domanda avanzata da C.U. e C.A. nei confronti di R.F. e della Banca P., domanda avanzata nella qualità di eredi ab intestato del proprio fratello C.G., defunto coniuge della R. e volta ad ottenere l’attribuzione pro quota della metà delle somme giacenti sul conto corrente n. (OMISSIS), intrattenuto presso l’agenzia di Roma n. (OMISSIS) della Banca P. dai coniugi C. a R. all’epoca del decesso del proprio congiunto (avvenuto il (OMISSIS)); che a sostegno della domanda gli attori riferivano di aver appreso come il conto, al momento del decesso, presentasse un saldo attivo di Euro 271.307,24, la metà dei quali, il giorno stesso della morte, erano stati trasferiti dalla R. su altro conto corrente a lei intestato presso la medesima banca; che all’esito del giudizio – nel quale la R. aveva chiesto respingersi la domanda attorea sul presupposto che l’intera somma depositata nel conto corrente fosse per lo più di sua esclusiva pertinenza, poichè per la quasi totalità proveniente dalle successioni della propria madre e della propria sorella, e la Banca l’inammissibilità della domanda svolta nei propri confronti, essendo del tutto estranea alla vicenda ereditaria – il Tribunale, in accoglimento della domanda avanzata dagli attori, ha dichiarato caduto nella successione di C.G., il 50% delle somme esistenti sul conto corrente al momento del decesso e, per l’effetto, ha attribuito a ciascuno degli attori la somma pari a 1/3 del saldo attivo del conto (al netto delle somme di proprietà della R., pari alla metà), condannando inoltre la R. a rimborsare le spese di lite sia agli attori, sia alla banca; che a fondamento della decisione il tribunale ha ritenuto, da un lato, che le produzioni documentali effettuate dalla R. non consentissero di dimostrare la provenienza personale delle somme versate nel conto corrente (in assenza, tra l’altro, delle dichiarazioni di successione della madre e della sorella), dall’altro che, in ogni caso, la convenuta avesse deciso di riversarle nel conto cointestato con il marito, mediante un comportamento concludente espressivo della volontà di attribuire le somme alla comunione legale, elemento quest’ultimo di valenza assorbente e dirimente della lite”. Contro la sentenza R.F. proponeva appello davanti alla Corte d’appello di Roma, che accoglieva il gravame, condannando gli attori al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio sia nei confronti della R., sia nei confronti della Banca. La corte di merito riconosceva che la R. aveva fornito elementi idonei a superare la presunzione di pari appartenenza del saldo, posta dall’art. 1854 c.c., avendo provato che il conto corrente fu alimentato per la quasi totalità con proprie risorse, essendo modesti gli importi versati dal coniuge, titolare della sola pensione Inps. A questo fine poneva l’accento su una pluralità di rimesse di consistente importo per le quali si poteva ragionevolmente riconoscere la provenienza personale della provvista, in quanto derivanti dalla successione della madre e della sorella della R.. Nello stesso tempo la corte di merito negava che la cointestazione fu voluta con l’intento di realizzare una liberalità; negava inoltre, in relazione a una compravendita con la quale il defunto aveva trasferito al coniuge la quota del 50% di una proprietà immobiliare, che la medesima costituisse una donazione volta, appunto, al riequilibrio dei rapporti a seguito delle rimesse precedentemente operate dalla R. con il denaro acquistato per l’eredità dei congiunti. Non erano stati forniti elementi idonei a dimostrare che il prezzo non fosse stato corrisposto dall’acquirente R., nè i fratelli C. avevano proposto azione volta a dimostrare la simulazione del negozio. Per la cassazione della sentenza C.U. e C.A. hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi. R.F. e la Banca P. hanno resistito con controricorso. I ricorrenti e la Banca P. hanno depositato memoria. DIRITTO Il primo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Le rimesse considerate dalla corte d’appello non erano state le uniche affluite sul conto corrente cointestato, essendocene state altre e plurime, provenienti dal C., il che impediva di riconoscere la titolarità esclusiva del conto. A questo effetto si richiede la prova che la totalità delle somme affluite nel tempo siano di spettanza di uno solo dei titolari. Il secondo motivo, suddiviso in due diversi profili, denuncia omesso esame di un fatto decisivo e violazione dell’art. 1414 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte d’appello ha negato la connessione fra le rimesse operate dalla R. e la compravendita della quota dell’immobile intercorsa fra i coniugi con atto del 23 settembre 2005. Si sostiene che le precedenti rimesse operate dalla R. sul conto comune costituivano, in parte, il pagamento del prezzo della stessa vendita, che nell’atto il venditore dichiarava di avere già in precedenza ricevuto. La corte d’appello non ha compreso che tale deduzione non costituiva implicita denuncia della simulazione del negozio, ma aveva la finalità di sostenere che le vicende del conto corrente avrebbero dovuto essere considerate in questa più ampia prospettiva di rapporti. Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 2729, 1101, 1298 e 1854 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c, comma 1, n. 3. La pacifica esistenza di rimesse effettuate dal C. sul conto, se da un lato impediva di riconoscere la esclusiva titolarità del conto in capo alla R., dall’altro, imponeva di considerare, sotto una luce diversa, anche le rimesse valorizzate dalla corte d’appello, effettuate sul conto cointestato proprio con l’intento di rendere comune le relative somme. Sarebbe stato più ragionevole, se diversa fosse stata l’intenzione della R., versare le somme su un conto personale. La corte d’appello aveva così ritenuto superata la presunzione di pari appartenenza del saldo sulla base di elementi privi dei requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c. Si impone in via prioritaria l’esame del primo e del terzo motivo, nella parte in cui quest’ultimo denuncia la violazione dell’art. 1854 c.c.. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati. La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. n. 18777/2015). Pertanto, ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo (Cass. n. 3248/1989; n. 4066/2009). Nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 c.c., comma 2, in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente; sicchè, non solo si deve escludere, ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto (Cass. n. 77/2018). La corte d’appello, nel caso di specie, ha riconosciuto la titolarità esclusiva del saldo esistente al momento della morte in capo alla R., sulla base della considerazione di alcune cospicue rimesse operate dalla stessa, pur dando atto che sul conto era accreditata la pensione del coniuge: il che, in linea di principio, imponeva per ciò solo una ricostruzione più articolata dei fatti, che avesse riguardo allo svolgimento dell’intero rapporto, mentre tale accertamento non risulta compiuto dalla corte d’appello, che ha considerato solo le singole rimesse provenienti dalla R.. Nel controricorso si deduce che il saldo finale, riconosciuto per intero di pertinenza della sola R., era stato valutato dalla corte d’appello al netto di operazioni di deposito e prelievo delle somme di provenienza diversa. In questo modo i controricorrenti sembrano dare per implicito che la movimentazione del conto in corso di rapporto, in entrata e in uscita, fosse imputabile al solo C., in guisa da potersi ritenere la titolarità esclusiva del saldo residuo in capo all’altro correntista. Ciò tuttavia non emerge dalla sentenza impugnata, che è fondata sulla modesta entità delle somme apportate dal C. e non anche sul fatto che il modesto apporto era stato neutralizzato da prelievi di pari importo imputabili solo al medesimo. È fondato anche il secondo motivo. La corte di merito ha negato ogni possibile connessione fra le vicende del conto cointestato e la vendita intercorsa fra i coniugi, in relazione alla quale ha affermato non esserci prova che il prezzo non fosse stato pagato e “soprattutto in assenza di un’azione volta a dimostrare la simulazione del negozio”. La corte d’appello non ha tenuto conto che la deduzione di parte, trascritta a pag. 10 del ricorso, non era finalizzata a sostenere che la compravendita mascherasse un trasferimento di diritto senza corrispettivo. I ricorrenti avevano infatti sottolineato che le parti contrattuali avevano rispettivamente dichiarato di avere versato e ricevuto prima dell’atto il prezzo della vendita (come consentito dalle norme all’epoca in vigore). Essi, proprio partendo dal fatto che nella compravendita il prezzo era stato dato per pagato prima dell’atto, avevano sollecitato una diversa considerazione della vicenda, in primo luogo nel senso che una parte delle rimesse provenienti dalla R. fosse da imputare al prezzo, che il venditore aveva dichiarato di avere già riscosso. Diversamente, la corte d’appello, supponendo erroneamente che la deduzione avrebbe richiesto che fosse stata fatta valere la simulazione del negozio, attraverso la proposizione della relativa azione, ha ignorato la deduzione, così incorrendo nello stesso tempo nel vizio di omesso esame del fatto e di violazione delle norme sulla simulazione. Sono assorbite le restanti censure di cui al terzo motivo. La sentenza deve essere cassata in relazione al primo, al secondo e, nei limiti di cui sopra, anche al terzo motivo, con rinvio della causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che liquiderà le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M. – accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso; – cassa la sentenza impugnata; – rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per le spese. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 25 novembre 2020. Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021

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Originally posted 2021-11-30 15:17:28.