STALKING TRA VICINI BOLOGNA SAN LAZZARO CASALECCHIO PENALISTA ESPERTO

STALKING TRA VICINI BOLOGNA SAN LAZZARO CASALECCHIO PENALISTA ESPERTO

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Alla luce delle suesposte risultanze processuali -e soprattutto non sussistendo elementi di prova attestanti inequivocabilmente la sussistenza di un reale intento persecutorio da parte prevenuto nei confronti del Ca. – ritiene, pertanto, il Tribunale che non possa fondatamente escludersi che le condotte poste in essere dal predetto nei confronti della persona offesa (sicuramente lesive dei diritti fondamentali della stessa e, come tali, sanzionabili autonomamente dall’ordinamento giuridico) – in quanto traenti origine da una conflittualità tra vicini (originata da un episodio specifico, ovvero dalla denuncia del Ve. per spaccio di droga) –

 

ùpossano essere qualificati quali meri “atti di ripicca” posti in essere da un uomo (il Ve.) che, pieno di risentimento nei confronti di colui che lo aveva denunciato agli inquirenti per un reato molto grave, non comprendendo le motivazioni del suo operato, non ha perso occasione per dimostrargli il suo disprezzo, senza tuttavia volere consapevolmente ingenerare nel predetto un perdurante e grave stato di ansia o di paura o far insorgere in lui un timore fondato per la propria incolumità ovvero costringerlo a modificare le proprie abitudini di vita; elementi questi ultimi la cui sussistenza è, invece, necessaria – per costante giurisprudenza, condivisa anche da questo Tribunale – per ritenersi integrato il delitto di “stalking”.

Alla luce delle suesposte risultanze processuali -e soprattutto non sussistendo elementi di prova attestanti inequivocabilmente la sussistenza di un reale intento persecutorio da parte prevenuto nei confronti del Ca. – ritiene, pertanto, il Tribunale che non possa fondatamente escludersi che le condotte poste in essere dal predetto nei confronti della persona offesa (sicuramente lesive dei diritti fondamentali della stessa e, come tali, sanzionabili autonomamente dall’ordinamento giuridico) – in quanto traenti origine da una conflittualità tra vicini (originata da un episodio specifico, ovvero dalla denuncia del Ve. per spaccio di droga) – possano essere qualificati quali meri “atti di ripicca” posti in essere da un uomo (il Ve.) che, pieno di risentimento nei confronti di colui che lo aveva denunciato agli inquirenti per un reato molto grave, non comprendendo le motivazioni del suo operato, non ha perso occasione per dimostrargli il suo disprezzo, senza tuttavia volere consapevolmente ingenerare nel predetto un perdurante e grave stato di ansia o di paura o far insorgere in lui un timore fondato per la propria incolumità ovvero costringerlo a modificare le proprie abitudini di vita; elementi questi ultimi la cui sussistenza è, invece, necessaria – per costante giurisprudenza, condivisa anche da questo Tribunale – per ritenersi integrato il delitto di “stalking“.

Tribunale Frosinone, 02/08/2022, n.1214

La mancanza di vessatorietà delle condotte e la non idoneità ad ingenerare timore esclude la configurabilità del reato di stalking

Non sono idonei ad integrare il reato di stalking gli atteggiamenti e frasi proferite dall’imputato nei confronti della persona offesa, in un contesto di aspro conflitto tra vicini di casa, senza che vi sia una reale capacità vessatoria sia nei gesti che nelle parole e pertanto non idonee ad ingenerare un timore per la propria incolumità, tale da determinare un mutamento dell’emotività ed un radicale mutamento per paura.

Tribunale Ferrara, 04/09/2024, n.988

Gli atti posti in essere per il forte conflitto tra le parti, senza la volontà di perseguire la vittima non possono integrare lo stalking

Se gli atti persecutori hanno come causa scatenante un episodio specifico che ha turbato profondamente il prevenuto ed ingenerato dell’ astio nei confronti del destinatario, se non vi sono elementi di prova attestanti inequivocabilmente la sussistenza di un reale intento persecutori o da parte prevenuto nei confronti della vittima le condotte poste in essere sicuramente lesive dei diritti fondamentali della stessa e, come tali, sanzionabili autonomamente dall’ordinamento giuridico, traenti origine da una conflittualità tra vicini possano essere qualificati quali meri “atti di ripicca” posti in essere da un uomo che, pieno di risentimento nei confronti di colui che lo aveva denunciato agli inquirenti per un reato molto grave, non comprendendo le motivazioni del suo operato, non ha perso occasione per dimostrargli il suo disprezzo, senza tuttavia volere consapevolmente ingenerare nel predetto un perdurante e grave stato di ansia o di paura o far insorgere in lui un timore fondato per la propria incolumità ovvero costringerlo a modificare le proprie abitudini di vita.

Fonte:

Tribunale Ferrara, 04/09/2024, (ud. 18/06/2024, dep. 04/09/2024), n.988

Massime

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con decreto emesso in data 5.10.2022 il Giudice dell’Udienza Preliminare presso questo Tribunale ha disposto il giudizio nei confronti di Ve.Al. in ordine ai reati specificati in epigrafe.

Il processo, celebrato in assenza dell’imputato – il quale, sebbene regolarmente citato, non è comparso, senza addurre alcun legittimo impedimento – è stato istruito con prova per testi (audizione di Ca.Mi.) e documentale.

Su accordo delle parti sono stati, altresì, acquisiti tutti gli atti di indagine afferenti al prevenuto.

Terminata l’istruttoria dibattimentale, Pubblico Ministero e Difesa hanno, infine, formulato le conclusioni sopra trascritte.

Ricostruiti gli elementi in fatto per come emersi dalle carte processuali ritiene il Tribunale che non possa affermarsi la penale responsabilità dell’odierno imputato in ordine al reato a lui ascritto al capo A) dell’imputazione. L’unico elemento deponente per la colpevolezza del predetto si trae, invero, dalle dichiarazioni accusatorie, rese nei suoi confronti, da Ca.Mi.; asserita vittima delle condotte illecite poste in essere dal medesimo. Quest’ultimo, sentito in sede dibattimentale, ha, infatti, preliminarmente riferito di aver subito plurimi atti persecutori (quali meglio descritti nelle querele allegate in atti) da parte di Ve.Al.; atti che gli avevano cagionato un perdurante stato di ansia e di paura ed un fondato timore per la propria incolumità, tanto da costringerlo ad alterare le proprie abitudini di vita, onde evitare di incontrarlo.

Lo stesso ha, quindi, aggiunto che tali condotte erano iniziate da quando aveva denunciato il Ve. alle Forze dell’Ordine, perché ritenutolo responsabile di episodi di spaccio avvenuti nel suo condominio, scatenando, pertanto, la sua ira che quest’ultimo sfogava, conseguentemente, su di lui, ogni qualvolta lo incontrava, aggredendolo sia verbalmente che fisicamente.

Il Ca. ha, tuttavia, precisato che tali atti persecutori erano definitivamente cessati, allorquando aveva avuto modo di confrontarsi con il Ve. e di chiarirsi con lui. Da quel momento, infatti, il predetto- che aveva compreso le ragioni del suo operato- si era sempre comportato bene, cessando ogni ostilità nei suoi confronti; ragion per cui lo aveva perdonato ed aveva, pertanto, rimesso tutte le querele sporte, a suo tempo, contro il medesimo.

Orbene, ritiene il Tribunale che le dichiarazioni rese da Ca.Mi. in merito agli atti persecutori subiti da Ve.Al. debbano reputarsi credibili, non solo perché esposte da quest’ultimo in modo preciso, coerente e circostanziato (e, quindi, già di per sé intrinsecamente attendibile), ma soprattutto perché provenienti da soggetto totalmente disinteressato (quale è sicuramente un uomo costretto, per disperazione, a denunciare il proprio vicino di casa, al solo fine di salvaguardare la propria incolumità fisica) in ordine al quale non sussistono, dunque, elementi di sospetto, ovvero circostanze dalle quali poter desumere eventuali ragioni di inattendibilità tali da imporre la ricerca di riscontri esterni alle sue affermazioni (quali, per esempio, motivi di attrito con l’imputato o comunque rapporti pregressi con quest’ultimo che possano far pensare ad un intento calunniatorio verso il denunciato).

Deve, tuttavia, rilevarsi che (sempre secondo quanto riferito dalla stessa persona offesa) tali atti persecutori ebbero come causa scatenante un episodio specifico che turbò profondamente il prevenuto ed ingenerò dell’astio nei confronti del suo vicino: ovvero il fatto di essere stato da lui denunciato per spaccio di stupefacenti.

Alla luce delle suesposte risultanze processuali -e soprattutto non sussistendo elementi di prova attestanti inequivocabilmente la sussistenza di un reale intento persecutorio da parte prevenuto nei confronti del Ca. – ritiene, pertanto, il Tribunale che non possa fondatamente escludersi che le condotte poste in essere dal predetto nei confronti della persona offesa (sicuramente lesive dei diritti fondamentali della stessa e, come tali, sanzionabili autonomamente dall’ordinamento giuridico) – in quanto traenti origine da una conflittualità tra vicini (originata da un episodio specifico, ovvero dalla denuncia del Ve. per spaccio di droga) – possano essere qualificati quali meri “atti di ripicca” posti in essere da un uomo (il Ve.) che, pieno di risentimento nei confronti di colui che lo aveva denunciato agli inquirenti per un reato molto grave, non comprendendo le motivazioni del suo operato, non ha perso occasione per dimostrargli il suo disprezzo, senza tuttavia volere consapevolmente ingenerare nel predetto un perdurante e grave stato di ansia o di paura o far insorgere in lui un timore fondato per la propria incolumità ovvero costringerlo a modificare le proprie abitudini di vita; elementi questi ultimi la cui sussistenza è, invece, necessaria – per costante giurisprudenza, condivisa anche da questo Tribunale – per ritenersi integrato il delitto di “stalking”.

E che questa possa essere una lettura corretta della vicenda per cui è processo, sembra essere dimostrato anche dal fatto che, una volta avvenuto il confronto e chiarite le rispettive posizioni, i rapporti tra il prevenuto ed il Ca. siano tornati ad essere sereni, tanto che da indurre quest’ultimo a ritirare tutte le accuse proferite nei confronti del suo vicino. A non difformi conclusioni deve, altresì, pervenirsi anche in merito al reato ascritto a Ve.Al. al capo B) imputazione, considerato che, essendo quest’ultimo vicino di casa del Ca., non può fondatamente escludersi che il fatto di trovarsi insieme a lui nello stesso supermercato (ubicato, peraltro, di fronte alla loro abitazione) ovvero di trovarsi a transitare con il cane sotto la finestra del predetto (condotte entrambe integranti il reato di cui all’imputazione), possa essere stato riconducibile ad una mera causalità piuttosto che alla consapevole violazione – da parte del medesimo – degli obblighi della misura cautelare della quale risultava gravato. Permanendo, dunque, per quanto sopra esposto, seri dubbi in merito alla sussistenza dell’elemento soggettivo di entrambi i reati contestati all’odierno imputato e considerato, altresì, che, secondo i principi del nostro ordinamento processuale (quali acclarati, peraltro, dall’art. 5 della Legge n. 46/2006) il dubbio non può non risolversi che in favore del prevenuto e che un soggetto va condannato solo quando emerga dagli atti la prova piena ed inequivoca della sua responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio”, si impone, dunque, una pronuncia assolutoria nei confronti di questi ultimo. Ve.Al. deve, pertanto, essere mandato assolto da entrambi i reati a lui ascritti, perché il fatto non costituisce reato.

PQM

P.Q.M.

IL TRIBUNALE

Visto l‘art. 530 c.p.p., assolve l’imputato dai reati a lui ascritti, perché il fatto non costituisce reato.

Giorni 90 il termine per il deposito della sentenza.

Così deciso in Ferrara il 18 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria il 4 settembre 2024.

Cassazione penale sez. III, 30/06/2023, n.42217

L’occasionalità degli episodi non permette di catalogare come stalking i comportamenti inurbani di una persona nel contesto di un condominio

Non rientrano nella ipotesi di stalking i comportamenti inurbani di una persona che, nel contesto di un palazzo, occasionalmente rivolge parole ingiuriose ai vicini di casa e spruzza verso il loro balcone una sostanza disinfettante (nella specie, i fatti contestati-ingiuria e spargimenti e spruzzi di disinfettanti – non erano tali da trasmodare nel reato di atti persecutori, in ragione della loro scarsa frequenza e della loro modesta intensità.

Cassazione penale sez. III, 30/06/2023, (ud. 30/06/2023, dep. 17/10/2023), n.42217

Massime

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 18 gennaio 2023, la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha riformato la sentenza di primo grado – con la quale l’imputato era stato condannato, anche al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, per il reato di atti persecutori (contestato come commesso l'(Omissis)) – riqualificando le condotte ai sensi degli artt. 594674 c.p.e assolvendo l’imputato dalle prime, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, nonché dichiarando non doversi procedere nei confronti dello stesso per la seconda, per estinzione del reato per intervenuta prescrizione già prima della pronuncia della sentenza di primo grado, con conseguente revoca delle statuizioni civili.
  2. Avverso la sentenza le parti civili hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento agli effetti civili.

2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione degli artt. 612-bis e 674 c.p., nonché vizi della motivazione in relazione alla riqualificazione del reato. Si sostiene che, nella denuncia del (Omissis), si fa riferimento ad episodi di spargimento di sostanza disinfettante, da parte dell’imputato, avvenuti nell’estate del (Omissis), nonché a due episodi di ingiuria dell'(Omissis); vi erano stati poi altri episodi di “spruzzamento” il (Omissis), il (Omissis) come indicato nell’integrazione di querela del (Omissis). Si afferma che la diffusione della sostanza disinfettante da parte dell’imputato era frequente ed era stata sostanzialmente da questo ammessa, non essendovi dubbi, in ogni caso, sulla credibilità generale delle parti civili. Si lamenta il fatto che la Corte di appello ha ritenuto scollegati tra loro i vari episodi, non ritenendo credibili le parti civili sulle conseguenze che le condotte avevano provocato, quali stato d’ansia e timore per l’incolumità.

2.2. In via subordinata, si lamentano vizi della motivazione con riferimento all’esclusione della punibilità della condotta di cui all’art. 674 c.p., per gli episodi accaduti il (Omissis). Ad avviso della difesa, la prescrizione dell’ultimo reato si sarebbe verificata il (Omissis), in presenza di una sospensione della prescrizione per giorni 497.

  1. I ricorrenti hanno depositato conclusioni scritte e nota spese.

La difesa dell’imputato ha depositato memoria, con cui rileva l’inammissibilità del ricorso, l’erronea interpretazione dell’art. 612-bis c.p. da parte dei ricorrenti, l’erroneità della determinazione del termine prescrizionale dedotta con il secondo motivo di doglianza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. I ricorsi sono infondati.

1.1. Il primo motivo di doglianza – riferito alla riqualificazione del reato di atti persecutori – è inammissibile.

In punto di diritto, va premesso che, con il ricorso per cassazione, non si può richiedere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, attraverso una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A ciò deve aggiungersi che l’interpretazione e la valutazione delle prove costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784). E la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico-argomentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (ex plurimis, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021; Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280589-02).

Tali principi si attagliano alla prima doglianza proposta nel presente ricorso, la quale appare diretta a richiedere alla Corte di legittimità un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale circa la riqualificazione del reato.

Deve comunque rilevarsi che la sentenza impugnata ha correttamente chiarito che i fatti contestati (ingiuria e spargimenti e spruzzi di disinfettanti) non sono tali da trasmodare nel reato di atti persecutori, in ragione della loro scarsa frequenza e della loro modesta intensità. Si è trattato di episodi non minacciosi né violenti, la cui frequenza si è diradata nel tempo, comunque inidonei a ingenerare un perdurante e grave stato di ansia o paura, peraltro meramente asserito dalle parti civili o, comunque riconducibile a fatti anteriori, rispetto a quelli oggetto dell’imputazione.

1.2. La seconda doglianza, riferita alla prescrizione del reato come riqualificato ex art. 674 c.p., è infondata.

Con motivazione pienamente logica e coerente, la Corte d’appello ha chiarito che i due episodi avvenuti nel pianerottolo – e richiamati dalla difesa per sostenere che la prescrizione del reato sarebbe maturata dopo la pronuncia della sentenza di primo grado – sono estranei al capo di imputazione, che fa riferimento allo spargimento di sostanza disinfettante in direzione del balcone dell’abitazione delle parti civili, adiacente a quello dell’imputato, evidenziando che il pianerottolo è invece una zona d’uso comune, destinata ad un numero indeterminato di soggetti (Sez. 5, n. 34151 del 30/5/2017, Rv. 217679). E’ stata esclusa, quindi, la rilevanza penale di tale condotta, perché verificatasi in un luogo diverso (pianerottolo) da quello indicato nel capo di imputazione (balcone), nonché esterno all’abitazione delle parti civili e destinato all’uso di una pluralità di soggetti. Correttamente, dunque, il reato come riqualificato ex art. 674 c.p., è stato ritenuto prescritto prima della pronuncia della sentenza di primo grado, essendo stato ritenuto commesso il (Omissis) e non in momenti successivi, tenuto conto dei giorni di sospensione del corso della prescrizione (pag. 5 della sentenza impugnata).

  1. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

PQM

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2023