STALKING BOLOGNA PROCESSO, OBBLIGO NON AVVICINAMENTO

STALKING BOLOGNA PROCESSO, OBBLIGO NON AVVICINAMENTO

In Italia, lo stalking è un reato disciplinato dall’articolo 612-bis del Codice Penale. La legge definisce lo stalking come una serie di comportamenti reiterati, come minacce o molestie, che causano nella vittima un grave stato d’ansia o paura, oppure un fondato timore per la propria incolumità o quella di una persona a lei vicina, o che la costringono a cambiare le proprie abitudini di vita.

Quando viene denunciato un caso di stalking, le autorità possono adottare diverse misure cautelari per proteggere la vittima. Una di queste misure è l’obbligo di non avvicinamento. Questa misura può essere disposta dal giudice e prevede che l’accusato di stalking non possa avvicinarsi alla vittima, ai suoi familiari o a determinate località frequentate dalla vittima, come la sua abitazione o il luogo di lavoro.

Procedure e conseguenze

  1. Denuncia: La vittima deve presentare una denuncia presso le autorità competenti (Polizia, Carabinieri, Procura della Repubblica).
  2. Indagine: Dopo la denuncia, le autorità avviano un’indagine per verificare i fatti denunciati.
  3. Misure cautelari: Se durante l’indagine emergono elementi sufficienti per ritenere che l’accusato possa continuare a molestare la vittima, il giudice può disporre l’obbligo di non avvicinamento come misura cautelare.
  4. Violazione dell’obbligo: Se l’accusato viola l’obbligo di non avvicinamento, può essere arrestato e può essere applicata una misura cautelare più restrittiva, come la custodia cautelare in carcere.

Obblighi dell’accusato

  • Non avvicinarsi a una determinata distanza dalla vittima.
  • Non comunicare con la vittima attraverso qualsiasi mezzo (telefono, email, social media, ecc.).
  • Eventuali ulteriori restrizioni specifiche stabilite dal giudice.

Diritti della vittima

  • Ricevere protezione dalle autorità.
  • Essere informata sulle misure adottate nei confronti dell’accusato.
  • Eventualmente ottenere assistenza psicologica e legale.

Consigli per la vittima

  • Tenere un diario dettagliato di tutti gli episodi di stalking.
  • Conservare prove come messaggi, email o lettere minacciose.
  • Informare amici, familiari e colleghi della situazione per aumentare il livello di sicurezza.

Conclusioni

Il reato di stalking e l’obbligo di non avvicinamento rappresentano strumenti legali importanti per proteggere le vittime di comportamenti persecutori. È fondamentale denunciare tempestivamente tali comportamenti alle autorità competenti per poter ottenere le misure di protezione necessarie

 

 

Nel delitto di atti persecutori, che è reato abituale, il termine finale di consumazione, nel caso di contestazione cosiddetta aperta, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado, che cristallizza l’accertamento processuale e dal quale decorre il termine di prescrizione del reato in mancanza di una specifica contestazione che delimiti temporalmente le condotte frutto della reiterazione criminosa. (Annulla senza rinvio, CORTE APPELLO NAPOLI, 24/09/2020)
In relazione al reato di atti persecutori (stalking) e all’applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, le videoriprese registrate in luogo di pertinenza condominiale sono videoriprese non effettuate dalla polizia giudiziaria e non possono essere assimilate, quanto ai presupposti di ammissibilità, ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui all’art. 266 c.p.p., sicché nel caso di immagini registrate derivanti da videoregistrazioni provenienti da privati, installate a fronte anche di esigenze di sicurezza delle parti comuni, poi acquisite come documenti ex art. 234 c.p.p., e non quale prova atipica, i fotogrammi estrapolati da detti filmati non possono essere considerati prove illegittimamente acquisite e non ricadono nella sanzione processuale di inutilizzabilità.

L’attenuante della provocazione è incompatibile con il delitto di atti persecutori, che è reato abituale, caratterizzato dalla reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici di analoga natura, in quanto quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva ad un fatto ingiusto costituisce, in realtà, espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta al quale l’ordinamento non può dare riconoscimento alcuno. (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO MESSINA, 08/07/2019)

 

 

In tema di liquidazione equitativa del danno morale

 

conseguente al reato di atti persecutori, è sindacabile in sede di legittimità, come violazione dell’art. 1226 c.c., norma di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, e, nel contempo, come ipotesi di assenza di motivazione, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, la valutazione del giudice di merito che non abbia indicato, nemmeno sommariamente, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum”. La liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento. Nel consegue che, allorché non siano indicate le ragioni dell’operato apprezzamento e non siano richiamati gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6) sia nel vizio di violazione dell’art. 1226 c.c. Integra il delitto di atti persecutori la reiterata ed assillante comunicazione di messaggi di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio, oggettivamente irridenti ed enfatizzanti la patologia della persona offesa, diretta a plurimi destinatari ad essa legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l’agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO FIRENZE, 16/09/2019) Nei procedimenti relativi al reato di atti persecutori, anche il riavvicinamento o la riappacificazione tra vittima e persecutore possono costituire un “elemento concreto” idoneo, ai sensi dell’art. 500, comma 4, cod. proc. pen., ad incidere sulla genuinità della deposizione testimoniale della persona offesa, che, ove non possa rimettere la querela, perché irrevocabile, potrebbe essere indotta a circoscrivere, limitare o revocare le dichiarazioni accusatorie in precedenza rese. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima l’acquisizione e l’utilizzazione delle originarie dichiarazioni della persona offesa che, dopo aver denunciato le reiterate condotte di violenza e minaccia subite, per paura di future ulteriori ritorsioni aveva ritrattato e ridimensionato in dibattimento le accuse). (Rigetta, CORTE APPELLO TRIESTE, 04/03/2019) In tema di atti persecutori, l’evento, consistente nell’alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell’ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che fossero state legittimamente valutate non solo le minacce o molestie rivolte alla persona offesa dall’imputato, dopo l’interruzione di una relazione extraconiugale, ma anche le minacce e le denunce calunniose proposte nei confronti del marito e del padre della persona offesa, in quanto si inserivano nell’unitaria condotta persecutoria). (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO PALERMO, 28/11/2019)
In tema di atti persecutori, ai fini della irrevocabilità della querela ai sensi dell’art. 612-bis, comma quarto, cod. pen., è necessario che nella imputazione sia contestato in modo chiaro e preciso che la condotta è stata realizzata con minacce reiterate ed integranti i caratteri della circostanza aggravante di cui all’art. 612, comma secondo, cod. pen. (Annulla senza rinvio, CORTE APPELLO NAPOLI, 03/02/2020)

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Originally posted 2021-10-10 17:05:26.