CYBERSTALKING.

STALKING AGGRAVANTI RECIDIVA

il cambiamento delle abitudini di vita può essere un sintomo della condotta illecita ma non è un requisito essenziale" è errata in considerazione della stessa lettera dell'art. 612 bis c.p. che prevede come, per configurare il delitto di atti persecutori, alla condotta, reiterata, di minaccia o molestia, debba derivare uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma: un perdurante e grave stato d'ansia o di paura, o il fondato timore per l'incolumità della vittima o di un suo prossimo congiunto o di una persona a questa legata da vincoli affettivi o, infine, il mutamento delle sue abitudini di vita.
il cambiamento delle abitudini di vita può essere un sintomo della condotta illecita ma non è un requisito essenziale” è errata in considerazione della stessa lettera dell’art. 612 bis c.p. che prevede come, per configurare il delitto di atti persecutori, alla condotta, reiterata, di minaccia o molestia, debba derivare uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma: un perdurante e grave stato d’ansia o di paura, o il fondato timore per l’incolumità della vittima o di un suo prossimo congiunto o di una persona a questa legata da vincoli affettivi o, infine, il mutamento delle sue abitudini di vita.

STALKING AGGRAVANTI RECIDIVA

TRIBUNALE BOLOGNA ,TRIBUNALE MILANO, TRIBUNALE RAVENNA, TRIBUNALE FORLI, TRIBUNALE MODENA, TRIBUNALE RAVENNA DIFESA REATO STALKING

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AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA INFO
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TRIBUNALE BOLOGNA ,TRIBUNALE MILANO, TRIBUNALE RAVENNA, TRIBUNALE FORLI, TRIBUNALE MODENA, TRIBUNALE RAVENNA DIFESA REATO STALKING

cambiamento delle abitudini di vita può essere un sintomo della condotta illecita ma non è un requisito essenziale” è errata in considerazione della stessa lettera dell’art. 612 bis c.p. che prevede come, per configurare il delitto di atti persecutori, alla condotta, reiterata, di minaccia o molestia, debba derivare uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma: un perdurante e grave stato d’ansia o di paura, o il fondato timore per l’incolumità della vittima o di un suo prossimo congiunto o di una persona a questa legata da vincoli affettivi o, infine, il mutamento delle sue abitudini di vita.

denunce querela bologna
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Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale.

La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA INFO
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IL FATTO Ordinanza 14 gennaio – 6 febbraio 2020, n. 5092

 

la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, disapplicando la recidiva e ritenendo le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante del vincolo di coniugio, rideterminava la pena inflitta ad V.A. per il delitto di atti persecutori consumato ai danni della moglie separata D.G.L., dal (OMISSIS), nella misura indicata in dispositivo.

on riferimento alle sole minacce inviate tramite messaggi telefonici non aveva affrontato il punto dell’evento che l’imputato avrebbe cagionato, il perdurante stato d’ansia, o il fondato timore per la propria incolumità o il mutamento delle abitudini di vita.Andava considerato  che la persona non aveva mostrato particolare timore del prevenuto: quando era intervenuta in una udienza del procedimento di separazione, presente anche l’imputato, e quando aveva riferito al cognato come, nel corso del litigi coniugali, entrambi passassero alle vie di fatto.

LA CASSAZIONE AFFERMA

“il cambiamento delle abitudini di vita può essere un sintomo della condotta illecita ma non è un requisito essenziale” è errata in considerazione della stessa lettera dell’art. 612 bis c.p. che prevede come, per configurare il delitto di atti persecutori, alla condotta, reiterata, di minaccia o molestia, debba derivare uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma: un perdurante e grave stato d’ansia o di paura, o il fondato timore per l’incolumità della vittima o di un suo prossimo congiunto o di una persona a questa legata da vincoli affettivi o, infine, il mutamento delle sue abitudini di vita.

L’evento in questione si pone così come elemento essenziale del contestato reato e non appare sufficiente a colmare il vuoto motivazionale della Corte d’appello l’affermazione fatta dal giudice di prime cure circa la “realizzazione (in capo alla persona offesa) dell’evento costituito dal progressivo accumulo di disagio degenerato in uno stato di prostrazione psicologica della vittima”, sia perchè non si comprende se l’accennato “disagio” si sia trasfuso in uno degli eventi previsti dalla norma (pur apparendo prospettare “un perdurante e grave stato d’ansia”), sia perchè, pur in presenza di specifico motivo di appello, la Corte territoriale, come si è visto, non aveva fornito adeguata risposta ed anzi, meramente ipotizzando un diverso evento (“il mutamento delle abitudini di vita”), ne escludeva, tuttavia (ed erroneamente), la rilevanza.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta, come si è detto, l’assorbimento delle censure sulla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, che va, infatti, investigato alla luce di quanto dovesse emergere, innanzitutto, dal dato fattuale, dalle condotte consumate e dall’evento cagionato.

LA DECISIONE

“ed anche che, in tema di atti persecutori, quando la condotta sia realizzata mediante minacce gravi e reiterate, non spiega alcun effetto sulla regola di irrevocabilità della querela la modifica del regime di procedibilità del delitto di minaccia grave (art. 612 c.p., comma 2) introdotta dal D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 (Sez. 5, n. 12801 del 21/02/2019, Rv. 275306).

Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza anche sul punto della giudicata irrevocabilità della querela, non avendo la Corte territoriale valutato se le minacce reiterate consumate dall’imputato avessero altresì concretato le ipotesi previste dall’art. 612 c.p., comma 2.

Con sentenza del 15.4.2010 il tribunale di Torino, in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato F.C. per il reato di atti persecutori aggravati commessi in danno di S.C., alla pena di giustizia, previo assorbimento in esso delle altre due ipotesi di reato di minaccia grave e di porto ingiustificato di strumenti atti ad offendere pure in contestazione, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, che venivano liquidati in Euro 5000,00. Con sentenza del 15.11.2011 la corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminava la pena inflitta in senso più favorevole per l’imputato, previo riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravante e recidiva, confermando nel resto la menzionata sentenza di primo grado.

 

Manifestamente infondato e, quindi, inammissibile appare il secondo motivo di ricorso, in quanto, come si evince dal testo della sentenza impugnata, l’imputato non ha riportato condanna per il reato di porto ingiustificato di strumenti atti ad offendere, di cui al capo C) dell’imputazione, ritenuto dal giudice di primo grado assorbito in quello di cui all’art. 612 bis. c.p.. Infondato appare, invece, il primo motivo di ricorso. Ed invero la corte territoriale, con motivazione approfondita ed immune da vizi, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni escussi, ha evidenziato come i comportamenti posti in essere dal F. in danno della S., a lui in precedenza legata da una relazione affettiva, si inquadrano nella tipologia del c.d. stalking, essendo consistiti in “una nutrita serie di episodi di pesante interferenza dell’imputato” nella vita privata della persona offesa, “con caratteristiche di assillante insistenza ed ossessiva ripetitività” (“frequentissime telefonate, massiccio invio di sms, appostamenti e pedinamenti, scenate di gelosia, con intollerabile esercizio di potere di veto sulle scelte di frequentazione sociale della vittima, intrusioni moleste nella vita privata di persone vicine alla vittima”), che si sono susseguiti, senza soluzione di continuità sino alla fine del 2009, costringendo la F. in tale periodo “a modificare le sue abitudini di vita quotidiana – rarefazione delle uscite da casa e delle frequentazioni sociali, messa in atto di manovre diversive, sensazione costante di essere seguita ed osservata e conseguente predisposizione di cautele difensive (nella scelta degli orari, nei percorsi da compiere, etc.), diversa gestione dei rapporti con i familiari”, pure coinvolti nelle moleste attività dell’imputato (cfr. pp. 4-10 dell’impugnata sentenza).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Sentenza 27 novembre 2012 (udienza), n. 20993

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           

Dott. ZECCA            Gaetani –  Presidente   –                    

Dott. SAVANI           Piero   –  Consigliere  –                    

Dott. SABEONE          Gerardo –  Consigliere  –                    

Dott. GUARDIANO        A. –  rel. Consigliere  –                    

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G –  Consigliere  –                    


ha pronunciato la seguente:

sentenza                                       

sul ricorso proposto da:


F.C., nato a (OMISSIS);

avverso  la sentenza pronunciata dalla corte di appello di Torino  il 15.11.2011;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Alfredo Guardiano;

udito  il  pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore generale  Dott.  GAETA Pietro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito per l’imputato il difensore di fiducia, avv. Violante Francesca del Foro di Torino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

FATTO

Con sentenza del 15.4.2010 il tribunale di Torino, in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato F.C. per il reato di atti persecutori aggravati commessi in danno di S.C., alla pena di giustizia, previo assorbimento in esso delle altre due ipotesi di reato di minaccia grave e di porto ingiustificato di strumenti atti ad offendere pure in contestazione, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, che venivano liquidati in Euro 5000,00. Con sentenza del 15.11.2011 la corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rideterminava la pena inflitta in senso più favorevole per l’imputato, previo riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravante e recidiva, confermando nel resto la menzionata sentenza di primo grado.

Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per Cassazione, attraverso il proprio difensore, personalmente, l’imputato, articolando distinti motivi di impugnazione.

Con il primo motivo il F. eccepisce i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in quanto nella sua condotta non sono ravvisabili gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa di cui all’art. 612 bis c.p., sia sotto il profilo oggettivo (con particolare riferimento all’evento del reato), che soggettivo, ma solo quelli della fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 660 c.p. Con il secondo egli lamenta la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’affermazione di penale responsabilità per il delitto di cui al capo C) dell’imputazione.

Con il terzo motivo, infine, il F., eccepisce i vizi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al diniego della sospensione condizionale della pena inflitta, che, invece, andava concessa tenuto conto: che il precedente penale considerato ostativo è molto risalente nel tempo; che il ricorrente, al quale veniva contestato di avere proseguito nella condotta persecutoria anche nel corso del procedimento penale, all’udienza del 15.4.2010 aveva formalizzato una dichiarazione di resipiscenza, astenendosi da ulteriori comportamenti molesti, come riconosciuto dalla stessa persona offesa all’udienza del 15.11.2011; che la sospensione della pena poteva essere concessa una seconda volta, ai sensi dell’art. 165, comma 2, avendo il F. manifestato segnali di ravvedimento e provveduto a corrispondere alla parte civile, a titolo di parziale ristoro del danno subito, la somma di mille Euro.

DIRITTO

Il ricorso proposto nell’interesse di F.C. non può essere accolto.

Manifestamente infondato e, quindi, inammissibile appare il secondo motivo di ricorso, in quanto, come si evince dal testo della sentenza impugnata, l’imputato non ha riportato condanna per il reato di porto ingiustificato di strumenti atti ad offendere, di cui al capo C) dell’imputazione, ritenuto dal giudice di primo grado assorbito in quello di cui all’art. 612 bis. c.p.. Infondato appare, invece, il primo motivo di ricorso. Ed invero la corte territoriale, con motivazione approfondita ed immune da vizi, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni escussi, ha evidenziato come i comportamenti posti in essere dal F. in danno della S., a lui in precedenza legata da una relazione affettiva, si inquadrano nella tipologia del c.d. stalking, essendo consistiti in “una nutrita serie di episodi di pesante interferenza dell’imputato” nella vita privata della persona offesa, “con caratteristiche di assillante insistenza ed ossessiva ripetitività” (“frequentissime telefonate, massiccio invio di sms, appostamenti e pedinamenti, scenate di gelosia, con intollerabile esercizio di potere di veto sulle scelte di frequentazione sociale della vittima, intrusioni moleste nella vita privata di persone vicine alla vittima”), che si sono susseguiti, senza soluzione di continuità sino alla fine del 2009, costringendo la F. in tale periodo “a modificare le sue abitudini di vita quotidiana – rarefazione delle uscite da casa e delle frequentazioni sociali, messa in atto di manovre diversive, sensazione costante di essere seguita ed osservata e conseguente predisposizione di cautele difensive (nella scelta degli orari, nei percorsi da compiere, etc.), diversa gestione dei rapporti con i familiari”, pure coinvolti nelle moleste attività dell’imputato (cfr. pp. 4-10 dell’impugnata sentenza).

Tanto premesso non può non riconoscersi come, attraverso tale apparato motivazionale, la corte territoriale, concludendo per la configurabilità dell’ipotesi di reato oggetto della contestazione, si sia inserita nel consolidato alveo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, condiviso da questo Collegio, secondo cui è configurabile il delitto di “stalking” quando, come previsto dall’art. 612 bis c.p., comma 1, il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima o un grave e perdurante stato di turbamento emotivo ovvero abbia ingenerato un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero ancora (ed è l’ipotesi verificatasi nel caso in esame secondo la corte territoriale) abbia costretto lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, bastando, inoltre, ad integrare la reiterazione quale elemento costitutivo del suddetto reato, anche due sole condotte di minaccia o di molestia (cfr. Cass., sez. 5, 01/12/2010, n. 8832, R.,, rv 250202; Cass., sez. 5, 11/01/2011, n. 7601, O.; Cass., sez. 5, 10/01/2011, n. 16864, C, rv 250158; Cass., sez. 5, 19/05/2011, n. 29872, L, rv 250399; Cass., sez. 5, 09/05/2012, n. 24135, G.).

Trattasi, in tutta evidenza, di un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è, dunque, idonea ad integrarlo (cfr. Cass., sez. 5, 19/05/2011, n. 29872, L, rv. 250399), dovendosi, in particolare, intendere per alterazione delle proprie abitudini di vita, ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell’ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima, come nel caso in esame, dalla condotta persecutoria altrui (quali la utilizzazione di percorsi diversi rispetto a quelli usuali per i propri spostamenti;

la modificazione degli orari per lo svolgimento di certe attività o la cessazione di attività abitualmente svolte; il distacco degli apparecchi telefonici negli orari notturni et similia), finalizzato ad evitare l’ingerenza nella propria vita privata del molestatore.

Anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, le doglianze difensive non appaiono condivisibili.

Trattandosi di reato abituale di evento, è sufficiente ad integrare l’elemento soggettivo il dolo generico, quindi la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l’integrazione della fattispecie legale, che risultano dimostrate proprio dalle modalità ripetute ed ossessive della condotta persecutoria compiuta dal F. e delle conseguenze che ne sono derivate sullo stile di vita della persona offesa.

Invece, come affermato da una dottrina condivisibile non occorre una rappresentazione anticipata del risultato finale, ma, piuttosto, la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell’apporto che ciascuno di essi arreca all’interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa.

Inammissibile, infine, è il terzo motivo di ricorso con il quale vengono prospettate mere censure in fatto, non consentite in sede di legittimità.

Ed invero la concessione o il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena sono rimessi alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale, nell’esercizio del relativo potere, deve formulare la prognosi di ravvedimento di cui all’art. 164 c.p., comma 1.

La sospensione condizionale della pena può, essere concessa una seconda volta, ma il giudice ben può negare la reiterazione del beneficio formulando un giudizio prognostico sfavorevole sulla futura recidiva dell’imputato, desunto, come nel caso in esame, da un giudizio negativo sulla personalità del reo fondato su di un grave precedente penale specifico per atti di libidine violenti, lesioni personali e danneggiamento (commessi nel (OMISSIS)) e dalla circostanza che il F. abbia proseguito nella condotta persecutoria anche nel corso del procedimento penale instaurato nei suoi confronti (cfr. p. 11 della motivazione dell’impugnata sentenza).

Il giudizio operato sul punto dalla corte territoriale, apparendo immune da vizi logici o di motivazione, è, pertanto, insindacabile in Cassazione (cfr. Cass., sez. 3, 09/01/1991, Greco). Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse di F.C. va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2013

Originally posted 2020-03-13 08:51:57.