SPACCIO STUPEFACENTI BOLOGNA,AVVOCATO PENALE DIFENDE INDAGATI Cass. pen., Sez. IV, Sent., (data ud. 05/04/2022) 02/05/2022, n. 16810

SPACCIO STUPEFACENTI BOLOGNA , AVVOCATO PENALE DIFENDE INDAGATI

Cass. pen., Sez. IV, Sent., (data ud. 05/04/2022) 02/05/2022, n. 16810

Con sentenza del Tribunale di Roma del 16/12/2015 tanto il M. che la D.P. venivano condannati, all’esito di giudizio abbreviato, qualificati i fatti ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, applicata la diminuente del rito, alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 2000 di multa ciascuno. Sull’appello proposto da entrambi gli imputati la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 1/12/2020, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto D.P.R. per non aver commesso il fatto da tutte le imputazioni e ha assolto il M. dalla coltivazione della marijuana perchè il fatto non sussiste e dalla detenzione di hashish perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, confermando nel resto la condanna per la marijuana e la cocaina, e, per l’effetto, ha ridotto la pena inflittagli a mesi 7 di reclusione ed Euro 1200 di multa, concedendogli la sospensione condizionale della pena.

Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavac-ciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608). 2. In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede La Corte territoriale, in aderenza alla pronuncia di prime cure, ha adottato una motivazione dotata di ragionevole forza persuasiva e certamente non manifestamente illogica alla luce delle circostanze emerse dall’istruttoria dibattimentale (detenzione di un quantitativo rilevante di sostanza, di un bilancino di precisione, assenza di entrate sufficienti al sostentamento del nucleo familiare) che unitariamente considerate sono risultate tali da giustificare l’affermazione di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio. Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato – va ricordato – non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata. Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonchè corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità. La sentenza impugnata opera buon governo della pluriennale giurisprudenza di questa Corte Suprema in materia di possesso di sostanze stupefacenti ad uso non esclusivamente personale. Costituisce giurisprudenza costante e consolidata da decenni, nel solco della pronuncia delle Sez. Un. 4 del 28/5/1997, Iacolare, Rv. 208217 che, in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018, Gjoka, Rv. 272463; conf. Sez. 6, n. 44419 del 13/11/2008, Perrone, Rv. 241604). E’ stato anche reiteratamente precisato che la destinazione della droga al fine di spaccio può essere dimostrata in base ad elementi oggettivi univoci e significativi, quali: il notevole quantitativo della droga, il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizzava per il confezionamento delle dosi e le modalità di detenzione della droga (così Sez. 4, n. 36755 del 4/6/2004, Vidonis, Rv. 229686 in un caso relativo a grammi 791,24 netti di hashish, contenenti mg. 34061 di principio attivo, utilizzabili per la preparazione di n. 1702 dosi, in parte nascosti nel cruscotto dell’autovettura, in parte addosso al soggetto, in parte a casa, in cui vi erano cartine e bilancino). Quanto al quantitativo di stupefacente caduto in sequestro, questa Corte di legittimità, ha dunque costantemente affermato – e va qui ribadito- che in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 bis, comma 1, lett. a), – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione (cfr. ex multis, Sez. 3, n. 46610 del 9/10/2014, Salaman, Rv. 260991). Tuttavia, va al contempo riaffermato che il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a), se da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione (così Sez. 6, n. 11025 del 6/3/2013, De Rosa ed altro, rv. 255726, fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto l’illiceità penale della detenzione dell’equivalente di 27,5 dosi di eroina anche in considerazione della accertata incapacità economica dell’imputato ai fini della costituzione di “scorte” per uso personale; conf. Sez. 6, n. 9723 del 17/1/2013, Serafino, Rv. 254695). Conclusivamente sul punto, dunque, va ribadito che il considerevole numero di dosi ricavabili, ben può essere ritenuto un indizio della destinazione della droga ad un uso non esclusivamente personale (cfr. Sez. 3, n. 43496 del 2/10/2012, Romano, Rv. 253607) e, se come nel caso che ci occupa, è accompagnato da altri elementi (il possesso del bilancino, la pluralità e diversità di sostanze detenute, la sproporzione tra le possibilità economiche dell’imputato ed una siffatta scorta) costituire valida motivazione per escludere l’utilizzo dello stupefacente, in tutto o in parte, ad uso esclusivamente personale. 3. Anche la critica relativa all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche risulta manifestamente infondata. La motivazione nel provvedimento impugnato è logica, coerente e corretta in punto di diritto anche sul punto. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto del loro diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche valutando, negativamente per l’odierno ricorrente, la mancanza di elementi positivi valutabili ai fini del riconoscimento delle stesse. Il provvedimento impugnato, pertanto, appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonchè al suo negativo comportamento processuale). In caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell’art. 62bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 2002, convertito con modif. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione va ribadito che è assolutamente sufficiente, come avvenuto nel caso che ci occupa, che il giudice si limiti a dare conto in motivazione di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza univoca di questa Corte Suprema, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (così, ex plurimis, Sez. 1, n. 29679 del 13/6/2011, Chiofalo ed altri, Rv. 219891; Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 1 n. 12496 del 21/9/1999, Guglielmi ed altri, Rv. 214570; Sez. 6, n. 13048 del 20/6/2000, Occhipinti ed altri, Rv. 217882).

Originally posted 2022-09-12 16:45:56.