SANZIONI DOGANALI NAZIONALI E COMUNITARIE
Comunitario sanzioni doganali
Non esiste, a livello UE, un sistema armonizzato di sanzioni doganali.
Quindi vi è piena liberta’ di ogni stato di applicar ele sue norme , almeno fin oa ora, in futuro a mio avvidso saranno unificate. La Corte di giustizia dell’Unione europea (anche “CGUE”) si è pronunciata diverse volte sulla conformità al diritto comunitario delle sanzioni doganali adottate degli Stati membri.
ARTICOLO 42 DEL CDU (REG.952/2013)SANZIONI DOGANALI NAZIONALI E COMUNITARIE
- Ciascuno Stato membro prevede sanzioni applicabili in caso di violazione della normativa doganale. Tali sanzioni devono essere: effettive, proporzionate e dissuasive.
- In caso di applicazione di sanzioni amministrative, esse possono avere tra l’altro la forma di:
a) un onere pecuniario imposto dalle autorità doganali, se del caso anche applicato in
sostituzione di una sanzione penale;
b) b)revoca,sospensione o modifica di qualsiasi autorizzazione posseduta dall’interessato.
Dalla lettura di tali pronunce emerge chiaramente che gli Stati membri devono vigilare affinché le sanzioni applicabili al proprio interno siano uniformi a quelle applicabili all’interno degli altri stati membri e, soprattutto, devono fare in modo che tali sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive in conformità ai principi generali del diritto comunitario
COME SONO REGOLATE LE SANZIONI IN ITALIA
SANZIONI DOGANALI NAZIONALI E COMUNITARIE
Il sistema di sanzioni applicabili in Italia alle violazioni della normativa doganale è regolamentato dal DPR n. 43 del 21.01.1943 “Testo Unico delle Disposizioni legislative in materia doganale”.
Se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il cinque per cento, la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca più grave reato, è applicata come segue:
- a) per i diritti fino a 500 euro si applica la sanzione amministrativa da 103 a 500 euro;
b) per i diritti da 500,1 a 1.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro;
c) per i diritti da 1000,1 a 2.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro;
d) per i diritti da 2.000,1 a 3.999,99 euro, si applica la sanzione amministrativa da 15.000 a 30.000 euro;
e) per i diritti pari o superiori a 4.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 30.000 euro a dieci volte l’importo dei diritti.
SANZIONI DOGANALI – MODIFICHE L. EU 2018 – POSSIBILI RIMEDI PREVENTIVI
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ART.12 1° COMMA D.LGS 472/1997 SANZIONI DOGANALI NAZIONALI E COMUNITARIE
- E’ punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata fino al doppio, chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni della medesima disposizione.
- Alla stessa sanzione soggiace chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo.
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, si applica, quale sanzione base cui riferire l’aumento, quella più grave aumentata fino a un terzo. - Se le violazioni riguardano periodi di imposta diversi, la sanzione base può essere aumentata fino al triplo.
5. La continuazione è interrotta dalla contestazione delle violazioni.
6. Nei casi previsti dal presente articolo la sanzione non può essere comunque superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni.
Per ragioni di completezza, va sottolineato che vi sono una serie di sanzioni penali che vengono regolarmente applicate anche in ambito doganale. Nel presente contributo ci concentreremo esclusivamente sulle sanzioni amministrative previste dal TULD ed in particolare sull’articolo 303 del TULD, che è stato recentemente oggetto di interpretazione dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza No.1397/2013.
L’articolo 303 del TULD dispone che al momento dell’importazione, se le dichiarazioni riguardanti la qualità, la quantità e il valore delle merci importate, di deposito doganale o di spedizione, non corrispondono alla dichiarazione doganale, l’importatore è punito con la multa da euro 10.000 a Euro 25.000.
In particolare, la gravità della violazione e la natura dell’infrazione commessa sono alla base del c.d. principio di proporzionalità delle sanzioni amministrative, il quale mira a garantire che i provvedimenti sanzionatori non superino la misura di quanto appaia assolutamente necessario al conseguimento dell’obiettivo da raggiungere.
Come già affermato dalla Corte di Giustizia, infatti, “in mancanza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle condizioni previste da un regime istituito da tale normativa, gli Stati membri possono scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate.
Essi sono tuttavia tenuti a esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità”.
Nella disciplina nazionale applicabile in via generale a tutte le sanzioni amministrative, il legislatore ha codificato il principio di proporzionalità all’art. 7 del D.Lgs. n. 472/1997, stabilendo che “Nella determinazione delle sanzioni si ha riguardo alla gravità delle violazioni”.
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 ottobre 2019, n. 26004
Tributi – Importazione – Dazi doganali – Irregolare dichiarazione doganale – Riclassificazione merci – Recupero imposta
Rilevato che
La CTR della Liguria, con sentenza in data 21 marzo 2017, si è pronunciata in sede di giudizio di rinvio a seguito delle sentenze di questa Corte in data 24 maggio 2013, nn. 12958, 12959, 12960, con le quali sono state riformate sentenze emesse dalla CTR della Liguria, per nullità delle sentenze a termini dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.;
che l’oggetto del contendere è costituito dalla rideterminazione della classificazione di merci importate dalla contribuente tra il 2002 e il 2005, costituite da «fogli e nastri su supporto di rame rinforzati con fibre vetro» di provenienza taiwanese, merci dichiarate sotto la voce di nomenclatura combinata 7410 2100 con codice TARIC 10 e riclassificate dall’Ufficio sotto la diversa voce tariffaria 7410 2100 TARIC 90, in quanto contenenti resina epossidica anziché teflon, con ulteriore irrogazione di sanzioni;
che la CTR, adita in sede di giudizio di rinvio, ha ritenuto corretta la riclassificazione operata dall’Ufficio, accertando che non può farsi applicazione del principio della buona fede di cui all’art. 220 Regolamento (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 (CDC), sia in quanto non sono state ritenute decisive le analisi effettuate su campioni prodotte dalla contribuente, in quanto riguardanti importazioni differenti, sia in quanto non è stato ritenuto alcun errore attivo a carico dell’Amministrazione finanziaria, essendo preciso obbligo del dichiarante quello di fornire indicazioni esatte sia in relazione alla voce, sia in relazione alla sottovoce al momento della classificazione doganale, al quale non si è accompagnata alcuna istanza di interpello all’autorità doganale;
che, inoltre, il giudice di appello ha ritenuto che il contribuente doveva ritenersi operatore esperto, essendosi avvalso di uno spedizioniere doganale e che, sulla base della professionalità del contribuente e dell’assenza di buona fede, ha ritenuto corretta l’irrogazione delle sanzioni, ritenendo che potesse applicarsi al caso della mancanza di qualità di cui all’art. 303 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 l’erronea classificazione nella nomenclatura combinata;
che propone nuovamente ricorso parte contribuente affidato a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’amministrazione finanziaria;
SANZIONI DOGANALI NAZIONALI E COMUNITARIE che
con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 220, par. 2, Reg. (CEE) n. 2913/1992, nella parte in cui la CTR ha ritenuto insussistente la buona fede di parte contribuente; ritiene il ricorrente sussistere errore attivo nel comportamento omissivo dell’Ufficio, che per un lungo periodo di tempo non avrebbe mai sollevato alcuna obiezione in ordine alla correttezza delle dichiarazioni doganali per prodotti identici a quelli di causa; rileva, in proposito, che l’errore non fosse riconoscibile neanche per un operatore esperto, stante la complessità della normativa riguardante i prodotti consimili; ritiene, infine, esservi stato il rispetto delle disposizioni normative in materia di dichiarazione doganale, evidenziando come la CTR non avrebbe verificato in concreto, a tutela della contribuente, tale circostanza; ritiene, pertanto, ascrivibile (come ribadito in memoria) al comportamento dell’Ufficio l’erronea classificazione tariffaria;
che con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 303, comma 1, d.P.R. n. 43/1973 (TULD), nonché in relazione all’art. 3, comma 1, d. Igs. 18 dicembre 1997, n. 472, nella parte in cui il giudice di appello ha ricondotto alla sanzionabilità per mancanza di qualità, quantità e valore il caso della errata indicazione della sottovoce di tariffa applicabile al caso di specie;
che il primo motivo di ricorso è infondato, posto che solo gli errore imputabili a un comportamento attivo delle autorità competenti fanno sorgere il diritto a che i dazi doganali non vengano recuperati a posteriori (Corte di Giustizia UE, 18 ottobre 2007, Agrover, 0173/06, punto 31; Corte di Giustizia UE, 15 dicembre 2011, Afasia Knits Deutschland, C04O9/1O, punto 54; Corte di Giustizia UE, 16 marzo 2017, Valsts iepémumu dienests, C-47/16, punto 28);
che va esclusa la configurabilità (in termini puramente astratti, atteso che la circostanza non sussiste nel caso di specie), di un comportamento attivo nel caso di un comportamento meramente omissivo tenuto dall’autorità doganale, ove questa si sia astenuta in passato dal procedere alla riclassificazione della merce;
che, in ogni caso, è onere dell’importatore, ai fini della sussistenza dello stato soggettivo di buona fede richiesto dall’art. 220, n. 2, lett. b), Reg. (CEE) n. 2913/1992 ai fini dell’esenzione della contabilizzazione a posteriori dei dazi, la prova da parte dell’importatore (oltre che del rispetto delle prescrizioni normative), del fatto che l’errore dell’autorità sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore di buona fede, sicché quando l’errore dell’Amministrazione sia consistito nella mera ricezione delle dichiarazioni inesatte tale buona fede non sussiste (Cass., Sez. V, 6 luglio 2016, n. 13770);
che il secondo motivo di ricorso è ugualmente infondato, posto che in tema di dazi doganali la sanzione ex art. 303 TULD, prevista per l’irregolare dichiarazione doganale, si applica anche in caso di erronea indicazione della voce (sottovoce) di tariffa, salvo che il dichiarante abbia indicato con esattezza il tipo di merce in transito, principio affermato, peraltro, proprio nel caso di erronea indicazione della medesima sottovoce oggetto di causa (Cass., Sez. V, 20 marzo 2019, n. 7790);
che il ricorso va rigettato, con spese del giudizio di legittimità regolate dal principio della soccombenza e che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna O.I. SPA al pagamento delle spese processuali in favore di AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, che liquida in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito; attesta ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17 I. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13.
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 aprile 2017, n. 10118
Accertamento – Importazione – Diritti doganali – Sanzioni
Ritenuto in fatto
La Commissione tributaria provinciale di Trieste accoglieva l’impugnazione proposta da T.P.I. Spa (poi I. Spa, ora F.I. Spa), rappresentante indiretto della società importatrice, avverso 69 avvisi di accertamento con cui l’Ufficio, rettificate n. 412 bollette doganali emesse tra il 2001 e il 2003 a seguito dell’intervenuta revoca, con efficacia retroattiva, dei certificati EURI, recuperava i diritti doganali per l’importazione di zucchero dalla Croazia, oltre agli interessi, ed irrogava le conseguenti sanzioni.
La Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in riforma della decisione, riteneva legittima la pretesa doganale per gli accertamenti successivi al 26 giugno 2002, mentre confermava l’annullamento per quelli anteriori, nonché delle sanzioni.
Il contribuente ricorre per cassazione sulla base di nove motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane, che propone, con un unico motivo, autonomo ricorso, cui resiste con controricorso il contribuente.
Ragioni della decisione
- Preliminarmente va disposta, ex art. 335 c.p.c., la riunione del procedimento n. 10359/12 R.G. a quello n. 9776/12 R.G., essendo proposti distinti ricorsi per cassazione avverso la medesima decisione della C.T.R. del Friuli Venezia Giulia.
- Il ricorrente principale, con il primo motivo denuncia, ex art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 3, I. n. 241 del 1990, 7, comma 1, Statuto del contribuente, 7, comma 1, d.lgs. n. 542 del 1992, nonché 24, comma 2, e 97, comma 1, Cost. per aver la CTR, con l’esame dei motivi d’appello dell’Agenzia delle dogane, consentito l’integrazione della motivazione dell’accertamento in ordine alla buona fede dello spedizioniere e all’avviso della Commissione europea del 26 giugno 2002.
2.1. Il motivo è infondato.
L’avviso di accertamento – riprodotto dall’Agenzia delle dogane per la parte rilevante – individuava già esattamente, richiamando l’art. 201 CDC, il dichiarante (ossia, nella specie, lo spedizioniere quale rappresentante indiretto) quale debitore dell’obbligazione doganale, il cui operato, ai sensi dell’art. 220 CDC, deve essere informato a criteri di diligenza, tant’è che, in caso di errore, la buona fede costituisce parametro esonerativo dell’obbligo stesso (v. Cass. n. 3977 del 1997; Cass. n. 13770 del 2016).
Il mero richiamo alle specifiche disposizioni regolanti la diligenza professionale dello spedizioniere, dunque, a fronte della immutazione delle originarie allegazioni in fatto non comporta una modifica né della prospettazione giudiziale, né, tantomeno, dell’originaria motivazione dell’atto di accertamento.
Né assume un diverso rilievo l’indicazione, nell’atto di appello e non anche nell’avviso di accertamento, dell’avviso emanato dalla Commissione europea il 26 giugno 2002 (con cui si informavano “gli operatori della Comunità che sussiste un ragionevole dubbio in ordine alla corretta applicazione degli accordi preferenziali relativi allo zucchero … dichiarato al momento dell’importazione come originario” di paesi della Balcania, tra cui la Croazia), trattandosi di atto destinato alla generalità degli operatori del settore pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, e, dunque, di pubblica conoscibilità, senza necessità di alcuna allegazione all’avviso di accertamento.
- Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di motivare sulla carenza di motivazione degli atti impositivi quanto alla mancata allegazione dei documenti a cui rinviava la relazione O. posta a fondamento dell’accertamento.
3.1. Il motivo è infondato.
La CTR, nel precisare che la nota ispettiva O. è stata allegata agli avvisi di accertamento, ha affermato che “non è stato minimamente pregiudicato il diritto di difesa della società”, così implicitamente rispondendo anche alla dedotta doglianza di mancata allegazione degli ulteriori allegati.
- Con il terzo motivo denuncia, in via subordinata, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 3, I. n. 241 del 1990, 7, comma 1, Statuto del contribuente, 7, comma 1, d.lgs. n. 542 del 1992, nonché degli artt. 24, comma 2, e 97, comma 1, Cost. per aver la CTR ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento nonostante l’indicata omessa allegazione.
4.1. Il motivo è infondato.
L’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso va inteso, ai sensi dell’art. 3, comma 3, I n. 241 del 1990, in relazione alla finalità “integrativa” delle ragioni che sorreggono l’atto impositivo: il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare la motivazione, ma non anche di tutti quelli cui, comunque, vi sia un riferimento ove la motivazione sia già sufficiente oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (nella parte rilevante ai fini della motivazione) sia già riportato nell’atto noto, spettando ad egli provare che almeno una parte del contenuto di tali atti sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. n. 26683 del 2009 Rv. 610991).
Inoltre, l’avviso di accertamento in materia doganale, che si fondi su verbali ispettivi O., i quali hanno carattere riservato (art. 8 del Reg. CE n. 1073 del 1999) ma possono essere utilizzati dall’Amministrazione nei procedimenti giudiziari per inosservanza della regolamentazione doganale, è legittimamente motivato ove risponda alle prescrizioni dell’art. 11, comma 5 bis, d.lgs. n. 374 del 1990, ossia riporti nei tratti essenziali, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, il contenuto di quegli atti presupposti richiamati per relationem ancorché non allegati (Cass. n. 23985 del 2008 Rv. 605081), dovendosi ritenere la produzione del rapporto finale O. non inclusa tra i requisiti di validità della motivazione dell’atto impositivo (Cass. n. 8399 del 2013 Rv. 626109).
Tali principi trovano applicazione, a maggior ragione, con riguardo ai documenti cui fa rinvio il rapporto O., allegato all’avviso di accertamento, tanto più che è del tutto omessa una indicazione, non meramente ipotetica, di un pregiudizio o di una insufficienza motivazionale in relazione alla dedotta documentazione.
- Con il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 24, comma 2, Cost. e dei principi generale in materia di onere della prova in merito all’omessa produzione in giudizio dei medesimi atti.
5.1. Il motivo è infondato.
Gli accertamenti compiuti dagli organi esecutivi dell’O. ai sensi del Reg. n. 1073/99 hanno piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari; spetta al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria (Cass. n. 5892 del 2013).
- Con il quinto motivo censura, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., omessa motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, identificati nel certificato delle analisi di laboratorio sulla partita del 17 agosto 2002, da cui risulta che lo zucchero era di barbabietola, e nella sentenza del Tribunale di Osijek del 2006, da cui risultava che 12 consegne tra giugno ed agosto 2002 erano regolari.
6.1. Il motivo è infondato.
La CTR ha preso in specifica considerazione l’analisi chimica sullo zucchero, valutandola irrilevante a fronte “dell’oggettiva irrilasciabilità dei certificati EUR1 … a fronte della mancata osservanza da parte della Ditta esportatrice IPK della condicio procedurale sine qua non … della separatezza, senza alcun frammischiamento, delle lavorazioni di zucchero di canna da quelle di zucchero di barbabietole”, argomentazione non censurata e logicamente adeguata anche con riguardo alla dedotta sentenza del Tribunale di Osijek, rimasta espressamente assorbita.
- Con il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art. 220 CDC, 110 del Reg. n. 2193/92/CE (ndr110 del Reg. n. 2913/92/CE), 17, par. 5, dell’Accordo tra la CE e la Repubblica di Croazia, e 1737 c.c. per aver escluso la buona fede a seguito della pubblicazione dell’avviso emanato dalla Commissione europea e pubblicato sulla GUCE il 26 giugno 2006 diretto agli importatori.
7.1. Il motivo è infondato.
Come emerge univocamente dal testo dell’avviso – riprodotto in ricorso – l’informativa era rivolta a tutti “gli operatori comunitari che presentano delle prove documentali dell’origine allo scopo di ottenere un trattamento preferenziale per lo zucchero” e, dunque, ai sensi dell’art. 201 CDC, in primis, il dichiarante in dogana, ossia, nella specie, la Tomaso P. Spa (ora F.I. Spa), quale rappresentante indiretto dell’importatore A.. Entrambi, peraltro, sono espressamente indicati dalla norma come solidalmente obbligati al pagamento dell’obbligazione doganale. Trova dunque applicazione l’art. 220, par. 2, CDC, ai sensi del quale la buona fede – la cui prova incombe sul contribuente – se, in termini generali,- può escludere la contabilizzazione a posteriori dei dazi, non può essere invocata dal debitore “qualora la Commissione europea abbia pubblicato nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee un avviso in cui sono segnalati fondati dubbi circa la corretta applicazione del regime preferenziale da parte del paese beneficiario”, norma che va intesa – come affermato dalla Corte di Giustizia, ordinanza 1 ottobre 2009 – nel senso che non ne è ammessa la dimostrazione.
Tale conclusione, del resto, è coerente con la natura derogatoria ed eccezionale del rimborso e dello sgravio dei dazi all’importazione, per cui “essendo la «buona fede» un presupposto essenziale per poter chiedere un rimborso o uno sgravio dei dazi all’importazione o dei dazi all’esportazione, tale nozione deve conseguentemente essere interpretata in modo che il numero dei casi di rimborso o di sgravio resti limitato” (Corte Giustizia cit., § 53).
Ne deriva che tutte le ulteriori circostanze dedotte dal contribuente
– lo svincolo delle polizze, il mancato pregresso rilievo da parte delle autorità doganali, l’assenza di rilievi in sede di primo controllo a posteriori, le stesse analisi chimiche – sono irrilevanti, come pure è irrilevante la verifica dei presupposti della buona fede.
- Con il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione del principio dell’affidamento ex art. 10 Statuto del contribuente, dell’art. 1, I. n. 241 del 1990 e dell’art. 97, comma 1, Cost. per aver la CTR ritenuto irrilevante lo svincolo delle polizze ai fini di un legittimo affidamento.
8.1. Il motivo resta assorbito in relazione al punto 7.1.; in ogni caso lo svincolo delle polizze, evento successivo all’importazione, costituiva – come rilevato dalla CTR – mero atto procedurale dovuto in esito al primo controllo a posteriori negativo.
- Con l’ottavo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 5, par. 3, Trattato CE, degli artt. 201 e 213 CDC, 53, comma 1, Cost., 64, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 e 1737, nonché la violazione del principio generale di non imputabilità per fatto altrui e del principio comunitario di proporzionalità, essendosi addossata al rappresentante indiretto la responsabilità di un fatto illecito commesso dall’importatore.
9.1. Il motivo è infondato.
L’art. 201 CDC pone sullo stesso piano il rappresentante indiretto e del suo rappresentato e, anzi, individua quale primo soggetto chiamato a rispondere dell’obbligazione doganale “il dichiarante in dogana”, ossia, nella specie, lo spedizioniere.
Altra e diversa questione, non pertinente al presente giudizio, è invece quella dei rapporti interni tra gli obbligati solidali e, quindi, all’eventuale proposizione dell’azione di regresso.
- Con il nono motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 98 del Reg. n. 2193/92 (ndrartt. 98 del Reg. n. 2913/92), 4, par. 1, dell’Accordo tra la CE e la Repubblica di Croazia e degli artt. 2699 e 2700 c.c. per non aver ammesso al regime preferenziale la partita risultata, alle analisi chimiche, zucchero di barbabietola, attesa la natura originaria del prodotto.
10.1. Il motivo è infondato.
Il regime preferenziale è subordinato al rilascio del certificato EURI, nella specie revocato con efficacia retroattiva per la carenza dei presupposti da parte della impresa croata, la quale, senza alcuna differenziazione sul piano produttivo e operativo, trattava congiuntamente le lavorazioni di zucchero sia di barbabietola che di canna da zucchero. Sono dunque irrilevanti gli esiti delle analisi chimiche.
- Con l’unico motivo del ricorso incidentale l’Agenzia delle dogane denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 303, d.P.R. n. 43 del 1973 per aver ritenuto non rientrare nella previsione della norma anche l’ipotesi di merci aventi origine diversa da quella dichiarata al momento dell’importazione.
11.1. Con il controricorso il contribuente deduce l’inammissibilità del ricorso per essersi riferito, in appello, al solo comma 3 dell’art. 303 con esclusione del comma 1 della norma.
11.2. Il motivo è fondato, non sussistendo l’eccepita inammissibilità avendo questa Corte già affermato che in tema di sanzioni per violazione delle disposizioni in materia doganale, l’art. 303 TULD contempla un’unica fattispecie sanzionatola.
Il comma 3 non prevede una fattispecie legale diversa rispetto a quella di cui al comma 1, ma ne configura una mera circostanza aggravante che comporta soltanto una maggiorazione dell’entità della stessa sanzione comminata per “le dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità ed al valore delle merci” non corrispondenti all’accertamento degli Uffici finanziari, sicché i termini adoperati dall’art. 303, comma 1, del d.P.R. n. 43 del 1973 (qualità, quantità, valore) costituiscono una esemplificazione dell’elemento oggettivo destinato all’importazione e specificamente considerato ai fini del pagamento del dazio e sottointendono la relazione di necessaria corrispondenza sostanziale che deve sussistere tra l’oggetto della dichiarazione doganale e l’oggetto dell’accertamento.
E poiché nel concetto di “qualità” di una merce rientra qualsiasi caratteristica, proprietà o condizione che serva a determinarne la natura e a distinguerla da altre simili, vi rientra anche l’origine (o la provenienza), in quanto elemento sintomatico delle specificità del prodotto (Cass. n. 3467 del 2014, rv. 630066; Cass. n. 15872 del 2016, rv. 640663).
Tale soluzione, del resto, è coerente con gli orientamenti della Corte di Giustizia, secondo la quale nella materia doganale “la finalità del controllo a posteriori è di verificare l’esattezza dell’origine indicata nel certificato”, che costituisce elemento costitutivo del diritto (sentenza 15 dicembre 2011, in C-409/10, § 43 e ss; sentenza 9 marzo 2006, in C-293/04, § 32).
- Il ricorso principale va pertanto rigettato, mentre va accolto quello incidentale, riguardo al quale, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti in fatto, va respinto il ricorso introduttivo del contribuente nei limiti degli accertamenti in rettifica dichiarati legittimi dalla CTR. Le spese, regolate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Compensa le spese dei gradi di merito attesa la novità e complessità della questione.
P.Q.M.
Rigettato il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale in relazione al quale cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente nei limiti degli accertamenti in rettifica dichiarati legittimi dalla CTR. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 20.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito.
SANZIONI DOGANALI NAZIONALI E COMUNITARIE
Originally posted 2020-05-01 18:11:32.