RECENSIONI SOCIAL DIFFAMAZIONE?

RECENSIONI SOCIAL DIFFAMAZIONE?

La diffamazione su social media, o in qualsiasi altro contesto, si verifica quando qualcuno pubblica informazioni false che danneggiano la reputazione di un’altra persona. Ecco alcuni criteri che possono aiutare a determinare se una recensione sui social media costituisce diffamazione:

  1. Falsità: La dichiarazione deve essere falsa. Se la recensione contiene informazioni vere, anche se negative, non può essere considerata diffamazione.
  2. Danno alla reputazione: La dichiarazione deve danneggiare la reputazione della persona o dell’azienda. Questo significa che deve essere di natura tale da far perdere la stima o il rispetto degli altri.
  3. Identificabilità: La persona o l’azienda deve essere chiaramente identificabile dalla recensione. Se non è possibile capire di chi si sta parlando, non si può parlare di diffamazione.
  4. Pubblicazione: La dichiarazione deve essere stata resa pubblica. Una conversazione privata non può essere considerata diffamazione.
  5. Malizia: In alcuni ordinamenti giuridici, può essere necessario dimostrare che chi ha pubblicato la recensione lo ha fatto con l’intento di danneggiare (malizia).

In Italia, la diffamazione è regolata dall’articolo 595 del Codice Penale, che punisce chiunque offenda l’onore o la reputazione di una persona mediante comunicazione con più persone. Nel contesto dei social media, è particolarmente rilevante la diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità, che prevede pene più severe.

Se ritieni che una recensione sui social media sia diffamatoria, potresti considerare le seguenti azioni:

  1. Contattare l’autore: Chiedere gentilmente all’autore di rimuovere o modificare la recensione.
  2. Segnalare il contenuto: Utilizzare gli strumenti di segnalazione forniti dalla piattaforma social.
  3. Consultare un legale: Rivolgiti a un avvocato per ottenere consulenza legale specifica sul tuo caso e valutare l’opportunità di agire per vie legali.

È importante considerare anche la libertà di espressione e il diritto di critica, che consentono alle persone di esprimere le loro opinioni, anche se negative, purché non superino i limiti della verità e del rispetto reciproco.

 

 

Il linguaggio, figurato e gergale, nonchè i toni, aspri e polemici, utilizzati dall’agente sono funzionali alla critica perseguita, senza trasmodare nella immotivata aggressione ad hominem. Il requisito della continenza non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo del quale occorre tenere conto anche alla luce del contesto complessivo e del profilo soggettivo del dichiarante (Sez. 5 n. 42570 del 20/06/0218, Concadoro, non massimata).

 

 

La Corte di appello enfatizza, con l’impiego del termine “truffatore”, la carica diffamatoria delle espressioni utilizzate dall’imputato, le quali, in realtà, alla luce del contesto in cui si inseriscono, riguardano, per la prima parte, la pretesa esorbitanza dei prezzi praticati dalla gastronomia (OMISSIS) e, per altra parte, sulla circostanza, considerata vera dalla Corte di appello, di aver nutrito dubbi sulla conformità del quantitativo pagato a quello effettivo.

E’ vero che l’esercizio del diritto di critica trova un limite immanente nel rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale (tra le altre Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Simeone, Rv. 249239).

 

 

 

 

 

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 19/11/2018) 23-01-2019, n. 3148

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere –

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere –

Dott. MOROSINI E. Maria – rel. Consigliere –

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Z.D. nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 11/09/2017 della CORTE di APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Elisabetta Maria Morosini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa LORI Perla, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità;

udito il difensore della parte civile, avv. Giuseppe De Napoli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; deposita conclusioni e nota spese;

udito il difensore dell’imputato, avv. DLP, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Messina ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di Z.D. per avere offeso la reputazione di G.L., titolare dell’attività gastronomica “(OMISSIS)”, pubblicando sulla pagina Facebook “(OMISSIS)” un commento negativo in cui si parla di: “persone che maldestramente vorrebbero tentare di metterla in quel posto agli abitanti di (OMISSIS), scambiando persone cortesi per persone fesse” e del fatto che: “neanche il peso dichiarato ci ha molto convinto“.
  2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, per il tramite del difensore, articolando un unico motivo, con il quale denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di operatività della scriminante del diritto di critica.

Come risulterebbe dal testo della sentenza impugnata, il fatto storico sarebbe vero, in quanto dalla deposizione della teste B. sarebbe emerso che la persona offesa avrebbe “consegnato 750 grammi di ravioli, facendosene pagare un chilogrammo“.

Di conseguenza il ricorrente si sarebbe limitato a pubblicare un commento riferito a uno specifico accadimento.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso è fondato.
  2. Va brevemente contestualizzato il fatto.

Sul profilo Facebook “(OMISSIS), La piazza di quattro generazioni di (OMISSIS)”, all’interno nella pagina intitolata “(OMISSIS). I peggiori ristoranti di (OMISSIS) e dintorni”, l’imputato pubblica un finto volantino della gastronomia “(OMISSIS)” con il quale, in modo satirico, si promuove la vendita di pasta a prezzi esorbitanti.

Questo innesca un vivace dibattito con altro utente, tale R.A., il quale invece sostiene il valore del predetto esercizio commerciale.

  1. domanda se il sito è la “guida ai peggiori abitanti di (OMISSIS)”. L’imputato risponde sostenendo di riferirsi a “persone che maldestramente vorrebbero tentare di metterla in quel posto agli abitanti di (OMISSIS), scambiando persone cortesi per persone fesse”.

Dopo un ulteriore scambio di battute, l’imputato scrive: “neanche il peso dichiarato ci ha molto convinto”.

  1. La causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., sub specie dell’esercizio del diritto di critica, ricorre quando i fatti esposti siano veri o quanto meno l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente, ancorchè erroneamente, convinto della loro veridicità.

Il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l’esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purchè tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, Surano, Rv. 261122).

Il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica, un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica. (Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, dep. 2017, Volpe, Rv. 270284).

Nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione (Sez. 5, n.4853 del 18/11/2016, dep. 2017, Fava, Rv. 269093).

  1. Nel caso di specie, sul carattere diffamatorio della condotta in contestazione nulla dice il Tribunale, che si ferma alla mera asserzione per cui il reato risulta provato dai documenti.

La Corte di appello risolve la questione facendo leva sulla circostanza che la consegna di 750 grammi di ravioli facendosene pagare un chilogrammo non significa che l’esercente abbia “agito volontariamente”, nè che lo stesso sia “aduso a porre in essere condotte truffaldine nei confronti della generalità dei clienti” (pag. 3); inoltre, secondo la Corte di appello, la critica legittima postula una manifestazione del pensiero argomentata e fondata su elementi concreti così da lasciare al pubblico dei lettori la possibilità di apprezzare il fatto, mentre l’imputato sarebbe colpevole perchè “ha dapprima apoditticamente additato G. come truffatore e ha indicato il suo locale come uno dei peggiori della zona e solo nella parte finale del commento, (…) ha fatto un vago riferimento, per di più in termini ipotetici, all’acquisto dei ravioli che lo aveva visto protagonista” (pag. 3).

  1. La decisione muove da una impostazione erronea sotto plurimi profili.

5.1 La Corte di appello enfatizza, con l’impiego del termine “truffatore”, la carica diffamatoria delle espressioni utilizzate dall’imputato, le quali, in realtà, alla luce del contesto in cui si inseriscono, riguardano, per la prima parte, la pretesa esorbitanza dei prezzi praticati dalla gastronomia (OMISSIS) e, per altra parte, sulla circostanza, considerata vera dalla Corte di appello, di aver nutrito dubbi sulla conformità del quantitativo pagato a quello effettivo.

E’ vero che l’esercizio del diritto di critica trova un limite immanente nel rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale (tra le altre Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Simeone, Rv. 249239).

Tuttavia, in tale ottica, non è consentito al giudice di merito sintetizzare un discorso assegnandogli il significato di un attacco alla persona (“truffatore“) che lo stesso non ha, visto che nel post viene criticata l’attività di un esercizio commerciale e non l’etica del privato, in quanto uomo, che la gestisce.

5.2 Il giudice di merito incorre, poi, in una petizione di principio, oltre che in un errore giuridico (cfr. paragrafo 3), laddove impone all’imputato di valutare l’errore dell’esercente nella pesatura, errore prospettato dallo stesso giudice come meramente ipotetico ed eventuale.

5.3 Inoltre si pongono a carico di un soggetto che pubblica un post su un social network – caratterizzato da aspetti satirici per la stessa denominazione assunta “(OMISSIS)” (“(OMISSIS)” in antitesi alla nota “Guida Michelin”) – oneri informativi (manifestazione del pensiero argomentata e fondata su elementi concreti così da lasciare al pubblico dei lettori la possibilità di apprezzare il fatto) analoghi a quelli gravanti su di un giornalista professionista, senza tener conto della profonda diversità tra le due figure per ruolo, funzione, formazione, capacità espressive, spazio divulgativo e relativo contesto.

5.4 L’interpretazione offerta dal giudice dì merito, di fatto, finisce per ridurre la facoltà di critica alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta rappresentazione.

Come già ricordato in premessa (paragrafo 3), a differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un’opinione. E’ vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che è assunto ad oggetto o a spunto del discorso critico, ma il giudizio valutativo, in quanto tale, è diverso dal fatto da cui trae spunto e a differenza di questo non può pretendersi che sia “obiettivo”. La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioè, normalmente, un contenuto di veridicità limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse, ma non può pretendersi che si esaurisca in essi. In altri termini al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata è sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perchè, se la materialità dei fatti può essere provata, l’esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014, Surano, in motivazione).

  1. Gli elementi a disposizione consentono alla Corte di cassazione di riconoscere l’operatività della scriminante invocata dal ricorrente.

Le espressioni incriminate, inserite nel contesto in cui si sono sviluppate, concernono la critica ai prezzi praticati dalla gastronomia “(OMISSIS)” e al dubbio manifestato circa la rispondenza, in una specifica occasione, tra peso effettivo della merce e prezzo applicato.

E’ la stessa sentenza impugnata ad offrire un “sufficiente riscontro fattuale” (Corte EDU, sent. del 27.10.2005 caso Wirtshafts-Trend Zeitschriften-Verlags Gmbh c. Austria ric. n 58547/00, sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo, ric. N. 75088/01) idoneo a fungere da base per il giudizio valutativo espresso dall’imputato.

Sussiste un interesse pubblico derivante dal fatto che si parla di un esercizio commerciale aperto al pubblico.

Il linguaggio, figurato e gergale, nonchè i toni, aspri e polemici, utilizzati dall’agente sono funzionali alla critica perseguita, senza trasmodare nella immotivata aggressione ad hominem. Il requisito della continenza non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo del quale occorre tenere conto anche alla luce del contesto complessivo e del profilo soggettivo del dichiarante (Sez. 5 n. 42570 del 20/06/0218, Concadoro, non massimata).

  1. Dalla riconosciuta sussistenza della scriminante di cui all’art. 51 c.p., discende l’annullamento della sentenza senza rinvio, perchè il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non costituisce reato.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019