PENALE BOLOGNA MILANO: REATI TRANSNAZIONALI

PENALE BOLOGNA MILANO: REATI TRANSNAZIONALI Aggravante della c.d. transnazionalità ex art. 4 L. 146/2006 -legge sui reati trasnazionali e aggravante trasnazionalit

  • Si considera reato transnazionale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché:

  • BENEFICIO INVENTARIO AVVOCATO BOLOGNA

  • sia commesso in più di uno Stato;
  • ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato;
  • ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;

    PENALE BOLOGNA MILANO: REATI TRANSNAZIONALI
    PENALE BOLOGNA MILANO: REATI TRANSNAZIONALI
  • Segnatamente, la l. n. 146 del 2006, art. 4 è circostanza “speciale”, in quanto applicabile solo a determinati reati, ritenuti gravi siccome puniti con pena non inferiore nel massimo a quattro anni di reclusione e, ad un tempo, ad effetti speciali, in ragione dell’entità dell’aumento di pena previsto, superiori ad un terzo, ai sensi dell’art. 63, comma 3 c.p. Tale norma deve essere letta – chiosa il Collegio- in combinato disposto con l’art. 3. Ora, la lettura congiunta delle due norme, 3 e 4, precedentemente richiamate, consente di affermare che, per conformazione morfologica e strutturale, la transnazionalità non è elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie delittuosa, destinata ad incrementare il già cospicuo novero di illeciti dell’universo penale. Si tratta, invece, di una peculiare modalità di espressione, o predicato, riferibile a qualsivoglia delitto(con esclusione, quindi, delle contravvenzioni) a condizione che lo stesso sia per ragioni oggettive sia per la sua riferibilità alla sfera di azione di un gruppo organizzato operante in più di uno Stato, assuma una proiezione transfrontaliera. Il reato transnazionale è dunque una nozione definitoria che si ricava dall’insieme degli elementi costitutivi di un comune delitto e di quelli specifici, positivamente previsti. In particolare, il citato articolo 3 ancora la qualificazione della transnazionalità a tre parametri: il primo è connesso alla gravità del reato, determinata in ragione della misura edittale di pena, dunque sulla base di un coefficiente di gravità non flessibile, bensì predeterminato sulla base della nozione di reato grave recepita dalla Convenzione, ai sensi della quale con tale nozione si intende la condotta sanzionabile con una pena privativa della libertà personale di almeno quattro anni nel massimo o con una pena più elevata.
  • Il secondo criterio prevede il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato. Il terzo e ultimo parametro si sostanza, invece, di uno degli elementi che la norma prevede in forma alternativa: commissione del reato offerto da uno o più adepti del gruppo criminale organizzato, in adempimento del programma criminale dello stesso sodalizio, ovvero come vantaggio che al gruppo oggettivamente derivi, comunque, dall’attività delittuosa da altri posta in essere.
  • Il concetto di transnazionalità non risponde soltanto ad un’esigenza meramente descrittiva, ma è invece foriero di rilevanti effetti sul piano della disciplina sostanziale e processuale. Si intende fare riferimento, in particolare, alla previsione della responsabilità amministrativa degli enti di cui alla L. n. 146/2006, art. 10, che proprio nel caso di commissione di uno dei reati previsti dall’art. 3, sancisce l’applicabilità di particolari sanzioni amministrative in misura determinata; alla confisca obbligatoria anche per equivalente prevista dall’art. 11 della normativa; all’estensione dei poteri del pubblico ministero allo scopo di assicurare la confisca. In buona sostanza, si assiste ad una serie di effetti “a cascata” che valgono a conferire al reato transnazionale uno specifico rilievo rispetto ad identica forma delittuosa priva di siffatta caratterizzazione. L’art. 3 dunque non prevede sanzione alcuna. Invece il successivo art. 4 introduce una speciale aggravante per il reato “grave” che sia commesso con il “contributo” di un gruppo criminale organizzato, impegnato in attività criminali in più di uno Stato.
  • Sul punto, le Sezioni Unite affermano che uno degli indici della transnazionalità cd soggettiva è il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato transnazionale: per l’intervento selettivo del legislatore, ai fini dell’aggravamento di pena è necessario un più elevato coefficiente di coinvolgimento, ossia la prestazione di un contributo causale alla commissione del reato, giacché solo siffatta situazione, per discrezionale scelta del legislatore, è ritenuto di maggiore gravità ed allarme sociale. Il generico riferimento normativo a qualsiasi reato, purché ad esso si accompagni la previsione sanzionatoria, porta allora a ritenere che l’apporto causale di un gruppo siffatto possa spiegarsi nei confronti di qualsivoglia espressione e dunque anche di quella associativa. Non esiste motivo per ritenere l’incompatibilità della speciale aggravante con quest’ultimo reato.
  • Tanto premesso, è allora evidente che ai fini della configurazione della speciale aggravante in esame, non è affatto necessario che il reato in questione venga commesso all’estero, ben potendo restare circoscritto in ambito nazionale. Né è richiesto che del sodalizio criminoso facciano parte soggetti operanti in paesi diversi.
  • Nell’individuazione dell’ambito concettuale del contributo causale non può certamente sottacersi che dal punto di vista penale interno, contribuire alla realizzazione di un reato implica compartecipazione delittuosa e, dunque, concorso nella relativa commissione. Ma siffatta evenienza non collide con la sfera dell’art. 4 poiché le due ipotesi attengono a distinti versamenti concettuali: uno afferente al gruppo in sé, l’altro, all’eventuale partecipazione e responsabilità di taluni suoi componenti. In altre parole, il gruppo organizzato può aver contribuito alla costituzione del sodalizio delittuoso senza che tutti i suoi componenti possano poi ritenersi partecipi o concorrenti esterni del reato associativo commesso in ambito nazionale. Si tratta, per vero, di un principio mutuato dalla elaborazione giurisprudenziale in tema di associazione per delinquere, secondo cui la partecipazione ad una consorteria criminale non comporta,eo ipso, l’imputabilità a tutti i sodali dei reati-fine dalla stessa pianificati. Il riferimento non deve ritenersi poco pertinente ove si consideri che il gruppo criminale organizzato transnazionale può anche essere stato costituito in Italia ed avere qui sede operativa, restando, quindi soggetto alla giurisdizione nazionale. E’ dunque pacifico che in materia di reati associativi, il ruolo di partecipe rivestito da taluno nell’ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sé solo sufficiente a far presumere la sua automatica responsabilità per ogni delitto compiuto da altri nel quadro del programma criminoso, giacché dei reati-fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta criminosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato, essendo teoricamente esclusa dall’ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di posizione o da riscontro d’ambiente.
  • Alla luce di tali principi, deriva che del contributo offerto da un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato, occorre postulare una necessaria autonomia tra la condotta che integra il reato comune e quella che vale a realizzare il contributo prestato dal gruppo transnazionale, giacché ove i due fatti si realizzassero reciprocamente all’interno di una sola condotta, mancherebbe la ragione d’essere per ipotizzare la diversa – e più grave- lesione del bene protetto. Si avrebbe, in tal caso, un’unica associazione per delinquere “transnazionale”, ossia una fattispecie complessa, secondo il paradigma dell’art. 84 c.p., comma 1, in cui la circostanza aggravante, corrispondente del resto, alla previsione della L. n. 146 del 2006, precedente all’art. 3 lett. c) verrebbe a porsi come elemento costitutivo del reato associativo transnazionale. Si tratterebbe, però, non già di un’autonoma fattispecie di reato bensì di una ordinaria associazione per delinquere cui inerisce lo speciale connotato della transnazionalità, con ogni conseguenziale applicazione. Occorre quindi verificare se e in che limiti il contributo di un gruppo organizzato transnazionale, che in sé potrebbe già presentare tutti i requisiti per realizzare la fattispecie di una associazione finalizzata alla commissione di determinati delitti, divenendo per ciò stesso perseguibile in base al quadro normativo vigente -possa rappresentare, a sua volta, quella autonoma condotta aggravatrice rispetto alla stessa fattispecie associativa. Ebbene, poiché quel contributo, ancorché realizzato in forma associativa, deve ontologicamente rappresentare una condotta materialmente scissa da quella che è necessaria per realizzare la fattispecie-base, se ne può dedurre che l’aggravante in questione non risulta compatibile con la figura dell’associazione per delinquere in tutti i casi in cui le due condotte associative coincidano sul piano strutturale e funzionale, dando luogo ad un’unica associazione transnazionale. Ove, invece, l’associazione per delinquere “basti a sé stessa” nel senso che i relativi associati o parte di essi ed il programma criminoso posto a fulcro del sodalizio realizzino il fatto-reato a prescindere da qualsiasi tipo di contributo esterno, ben può immaginarsi che, a tale condotta, altra (e autonoma) se ne possa affiancare, al fine di estendere le potenzialità l’agere del sodalizio in campo internazionale; con la conseguenza che, ove un siffatto contributo sia fornito da persone che in modo organizzato sono chiamate a prestare tale collaborazione, non potrà negarsi che il reato-base assuma dei connotati di intrinseca maggiore pericolosità, tale da giustificare l’applicazione dell’aggravante in questione. Il tutto, ovviamente, a prescindere dalla circostanza che il contributo offerto dal “gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato” renda poi quello stesso gruppo partecipe o concorrente nel reato associativo “comune”, posto che è proprio quel contributo a rappresentare ilquid pluris che giustifica la ratio aggravatrice, che non può certo ritenersi assorbita dalle regole ordinarie sul concorso nei reati.

Originally posted 2019-05-28 14:11:59.