PEDOPORNOGRAFIA CASSAZIONE del reato di cui al capo B), art. 61 c.p., n. 9, artt. 56 e 81 c.p., art. 600-bis c.p., commi 2 e 3
Se ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1, con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, sia ancora necessario, stante la formulazione introdotta dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale, come richiesto dalla sentenza a Sezioni unite 31.5.2000 (dep. 5.7.2000), n. 13, confermata dalla giurisprudenza di questa Sezione, anche dopo la modifica normativa citata”.
AVVOCATO PENALISTA
Come già ricordato, la materia della pornografia minorile è stata affrontata ex professo per la prima volta in Italia con la L. n. 269 del 1998. Vero è che già nella L. n. 66 del 1996 in materia di violenze sessuali, v’era stata una speciale attenzione al minore, ma solo dopo due anni è arrivata al traguardo la legge recante le “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale, in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, che al suo primo articolo richiama l’adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata ai sensi della L. 27 maggio 1991, n. 176, ed a quanto sancito dalla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31.8.1996, proclamando che la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, costituisce obiettivo primario perseguito dall’Italia.
Successivamente, l’Italia ha ratificato, con la L. n. 46 del 2002, il Protocollo opzionale alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernente la vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini, fatto a New York il 6.9.2000, protocollo nascente dall’esigenza degli Stati di contrastare, con strumenti sempre più articolati ed omogenei, anche dal punto di vista internazionale, i gravi fenomeni ivi menzionati. Questa legge ha, tra l’altro, impartito delle disposizioni processuali per la salvaguardia del minore vittima e testimone di tali reati, integrando sul punto la L. n. 66 del 1996.
Di fondamentale importanza per l’evoluzione normativa è stata però la Decisione quadro GAI 2004/68/GAI del Consiglio del 22.12.2003 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile. L’Unione Europea ritiene lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile gravi violazioni dei diritti dell’uomo e del diritto fondamentale di tutti i bambini ad una crescita, un’educazione ed uno sviluppo armoniosi (par. 4 dei considerando), particolarmente pericolosa la pornografia infantile, a causa della diffusione a mezzo internet (par. 5 dei considerando), sicchè l’importante opera portata avanti da organizzazioni internazionali deve essere integrata da quella dell’Unione Europea (par. 6 dei considerando) ed è necessario affrontare reati gravi quali lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia infantile con un approccio globale comprendente quali parti integranti elementi costitutivi della legislazione penale comuni a tutti gli Stati membri, tra cui sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, e una cooperazione giudiziaria più ampia possibile (par. 7 dei considerando).
In questo contesto, sono state dettate delle regole minime a cui gli Stati membri avrebbero dovuto attenersi. L’Italia, in realtà, aveva già recepito queste regole nel 1998, ma nel 2006, con la L. n. 38, è ulteriormente intervenuta con modifiche o inserti, per vero più di forma che di sostanza. Interessante è al proposito la lettura della relazione di presentazione del disegno di legge della Camera dei deputati n. 4599, prodromico all’adozione della L. n. 38 del 2006, nella quale, con riferimento all’art. 600-ter c.p., si dà espressamente atto dell’esigenza di uniformarsi all’adottanda decisione quadro (quella del 2004, i cui lavori non erano stati completati) e si dà conto dell’interpretazione delle Sezioni unite n. 13/2000 della nozione di “sfruttamento”.
5.2. Confrontando i testi normativi, in particolare la Decisione quadro ed il pacchetto di norme sulla pornografia minorile introdotto dalla L. n. 269 del 1998, modificato nel 2006, ci si avvede che la normativa nazionale ha recepito integralmente la normativa sovranazionale ed anzi la modifica del 2006 ha consentito un’integrale sovrapposizione della normativa nazionale su quella Europea perchè l’art. 600-ter c.p., vigente al 2009, ha riprodotto integralmente l’art. 2 della Decisione quadro.
5.3. Dal punto di vista teleologico non v’è nessun dubbio che la politica criminale in tema di pornografia minorile, sia a livello nazionale che internazionale, si imperni sulla prevenzione del crimine, sul presupposto ideologico dell’intrinseca pericolosità delle possibili manifestazioni della pedofilia, anche a prescindere dal contatto tra l’adulto ed il bambino ed è animato il dibattito scientifico anche in altri Paesi, e soprattutto negli Stati Uniti d’America, sull’irrilevanza del consenso in questi casi del minore che invece abbia la relativa legittimazione rispetto alla relazione sessuale e sulla presunzione che il pedofilo sia un soggetto che dalla “fantasia” erotica passi certamente all’azione. Ciò nondimeno è netta la scelta di tutelare tutti i minori di anni 18, senza distinzioni, rispetto a condotte relative alla pornografia, di per sè ritenute degradanti. A ben vedere, sia nella normativa sovranazionale che in quella nazionale si prescinde dal pericolo della diffusione del materiale, perchè le condotte della produzione, detenzione, divulgazione, cessione etc. sono tutte autonomamente distinte e tutte di danno, sebbene ispirate sistematicamente da una generale idea di pericolo (forse più in astratto che in concreto nonostante le enunciazioni dei Giudici). Lo stesso disegno di legge n. 4599 ha ribadito, infatti, l’esigenza che non vi fossero lacune nei testi, di modo da reprimere tutti i possibili comportamenti dei pedofili, anche potenziali.
5.4. E’ già stato detto che, nel 1998 come nel 2006, la scelta del legislatore nazionale è stata quella di prevedere una vasta gamma di condotte, eterogenee tra di loro, ma tutte volte a reprimere lo stesso fenomeno con il medesimo spirito. Così, per quel che qui interessa, ritornando all’esame della lettera dell’art. 600-ter c.p., questo punisce chiunque, utilizzando minori di anni 18, realizzi esibizioni pornografiche o produca materiale pornografico ovvero induca gli stessi a partecipare ad esibizioni pornografiche (comma 1), chi faccia commercio del suddetto materiale (comma 2), chi, al di fuori dei casi dei primi due commi, con qualsiasi mezzo, anche telematico, distribuisca, divulghi, diffonda o pubblicizzi il materiale pornografico o distribuisca o divulghi notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale dei minori (comma 3), chiunque, al di fuori delle ipotesi dei commi 1, 2 o 3, offra o ceda ad altri, anche a titolo gratuito, il suddetto materiale (comma 4), con aggravamento di pena nei casi del terzo e comma 4 ove il materiale sia di ingente entità. Il sistema è stato poi ulteriormente affinato con la Convenzione di Lanzarote e, come si è detto, la legislazione nazionale ha mostrato nel corso degli anni un rigore crescente.
Dalla lettura dell’art. 600-ter c.p., si evince che ai fini dell’integrazione delle condotte del comma 1, non è necessario il pericolo nè astratto nè concreto della diffusione del materiale, profilo del quale si occupano specificamente i commi successivi con autonome fattispecie di reato, punite con pene inferiori, ad eccezione del comma 2, relativo al commercio per il quale si applica la stessa pena del comma 1. E ciò è rimasto inalterato in tutte le versioni della norma. Ciò conferma la tesi, secondo cui la realizzazione dell’esibizione pornografica, la produzione del materiale pornografico e l’induzione alla partecipazione ad esibizioni pornografiche costituiscono di per sè condotte criminose, per giunta le più gravi. Nè è sostenibile che, laddove non vi sia il pericolo di diffusione, scatti la detenzione dell’art. 600-quater c.p., perchè questa norma è applicabilei laddove sia esclusa ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 600-ter c.p..
Già sono stati esposti i motivi per i quali non appaiono condivisibili gli argomenti delle Sezioni unite n. 13/2000, tutti viziati da un errore di fondo, che lo sfruttamento o l’utilizzazione, che dir si voglia, del minore, pur prescindendo dallo scopo lucrativo, presuppongano pur sempre un “uso esterno” del materiale.
Non è così. Anche la produzione ad uso personale è reato, perchè la stessa relazione, sia pure senza contatto fisico, tra adulto e minore di anni 18, contemplata dall’art. 600-ter c.p., è considerata come degradante e gravemente offensiva della dignità del minore in funzione del suo sviluppo sano ed armonioso.
Avvocato penale a Bologna reati contro l’onore:diffamazione
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Ordinanza 30 novembre 2017 – 6 marzo 2018, n. 10167
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente –
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere –
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere –
Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
M.D., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 21.10.2016 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ubalda Macrì;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dr. Fimiani Pasquale, che ha concluso chiedendo per il capo A) l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione nei confronti di B.M.M. e P.A., e l’inammissibilità del ricorso nel resto; per il capo B) l’inammissibilità del ricorso; per il capo C) l’annullamento con rinvio limitatamente all’omessa valutazione del concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto;
udito per l’imputato l’avv. Antonino Agnello, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso ed il prof. avv. Giovanni Aricò, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio con le conseguenti statuizioni.
Svolgimento del processo
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M.D. è stato chiamato a rispondere del reato di cui al capo A), art. 61 c.p., n. 9, art. 81 c.p., art. 600-bis c.p., commi 2 e 3, perchè, in qualità di parroco della basilica di (OMISSIS), aveva indotto alla prostituzione ragazzi minori di anni 18, in particolare aveva compiuto atti sessuali con quattro minori, di età compresa tra i 14 ed i 17 anni, facendoli denudare, per guardarli anche mentre visionavano video erotici, palpeggiando i loro organi genitali, masturbandoli e praticando loro dei rapporti orali, con l’aggravante di cui al comma 3, rispetto a tre delle persone offese di età inferiore ad anni 16, e di aver commesso il fatto con l’abuso di potere e violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di culto; del reato di cui al capo B), art. 61 c.p., n. 9, artt. 56 e 81 c.p., art. 600-bis c.p., commi 2 e 3, per aver tentato il compimento di atti sessuali con altri due minori, verso il corrispettivo di denaro ed altra utilità economica, in particolare, dopo averli denudati, aveva avvicinato la bocca ai genitali di uno, tentato di toccare i genitali di un altro, ed inviato messaggi telefonici in tema, non riuscendo nell’intento della consumazione del rapporto sessuale orale per il diniego opposto dagli stessi minori, con l’aggravante che uno dei due ragazzi aveva un’età inferiore agli anni 16; del reato di cui al capo C), art. 81, comma 2 e art. 600-ter, comma 1, con riferimento all’art. 600-sexies c.p., comma 2, perchè, utilizzando minori di anni 18, aveva realizzato e prodotto materiale pornografico, o comunque aveva indotto minori di anni 18 a partecipare ad esibizioni pornografiche, in particolare, dietro compenso di danaro o altra utilità economiche come le ricariche telefoniche, a posare nudi per le foto da lui realizzate, aventi ad oggetto gli organi genitali, con le aggravanti di aver commesso i fatti in danno di minori e con l’abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di culto.
I minori sono stati compiutamente identificati nei capi d’imputazione ed i fatti sono stati contestati come commessi in (OMISSIS). Solo tre dei ragazzi si sono costituti nei gradi di merito come parti civili. I difensori delle parti civili non si sono presentati all’udienza del 30.11.2017 innanzi a questa Corte.
1.1. Il Tribunale di Sciacca con sentenza in data 12.6.2015 ha condannato l’imputato alla pena di anni 9, mesi 8 di reclusione, oltre spese anche di custodia cautelare in carcere e pene accessorie, per il reato di cui al capo A), qualificata la condotta di prostituzione minorile nei confronti di una delle persone offese come tentativo; per il reato di cui al capo B), con esclusione del reato nei confronti di una sola delle persone offese; per il reato di cui al capo C), con esclusione del reato di pornografia minorile nei confronti di una sola delle persone offese, delitti tutti avvinti dal vincolo della continuazione; lo ha assolto dai residui reati e lo ha condannato al risarcimento dei danni, oltre spese, a favore di due delle parti civili (per i reati relativi alla terza parte civile è stata pronunciata l’assoluzione) 1.2. La Corte di appello di Palermo con sentenza in data 21.10.2016 ha confermato la sentenza di primo grado.
1.3. I Giudici di merito hanno accertato che l’imputato, sacerdote, ha ricevuto vari ragazzi minorenni in parrocchia e, con la scusa di un contratto con la televisione, vantando una parentela importante e predisponendo dei falsi moduli di ingaggio, verso corrispettivo, ha realizzato dei ritratti fotografici o video dei loro genitali e, laddove possibile, li ha palpeggiati nelle parti intime e/o ha avuto con loro dei rapporti orali. Ad un certo punto, alcuni dei ragazzi hanno raccontato i fatti ad un giovane che frequentava la chiesa perchè interessato ad intraprendere la via del sacerdozio, il quale ha provveduto a svolgere delle indagini in proprio, realizzando un video con il suo cellulare del percorso seguito per raggiungere la stanza in cui vi erano i dispositivi elettronici dell’imputato, computer e cellulare, trovando le foto compromettenti e sporgendo denuncia, subito dopo, all’autorità di polizia. Le persone offese hanno confermato i fatti, le autorità ecclesiastiche hanno allontanato il sacerdote il quale, al momento del dibattimento in primo e secondo grado, risultava detenuto agli arresti domiciliari.
2. L’avv. Antonino Agnello ha presentato un ricorso sulla base di sette motivi, mentre il prof. avv. Giovanni Aricò sulla base di due motivi. Il secondo ricorso ha ad oggetto il solo capo C), siccome il primo ricorso riguarda gli altri motivi.
In data 9.11.2017, l’avv. Agnello ha presentato una memoria contenente un motivo nuovo.
Al fine di una migliore comprensione delle questioni agitate, l’esposizione dei motivi inizia con il ricorso dell’avv. Agnello.
2.1. Con il primo motivo, l’imputato deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), a) per omessa motivazione sui motivi nuovi in appello in ordine alla mancanza assoluta della sussistenza del pericolo di diffusione del materiale presuntivamente prodotto in relazione al reato di cui all’art. 600-ter c.p.: il reato è integrato se l’attività si rivolga, anche solo potenzialmente, ad un numero più o meno ampio di fruitori, cosicchè colui che produce il materiale pornografico, che non circoli al di fuori delle mura della sfera privata, commette piuttosto il reato di detenzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600-quater c.p., b) per mancanza e manifesta illogicità della motivazione sulle gravi e deleterie omissioni del Commissariato di (OMISSIS) nella fase delle indagini preliminari, in particolare, con riferimento, b1) all’omesso sequestro degli apparecchi telefonici in dotazione alle persone offese, b2) all’omessa verifica dei tabulati telefonici, b3) all’omesso sequestro del telefonino del denunciante utilizzato per girare i due filmati che erano stati riversati sul CD01, smarrito e non trasmesso in Procura, ma poi acquisito in udienza come copia di una copia effettuata da un ispettore di Polizia, b4) alla differenza di contenuto del CD01 rispetto alle sommarie informazioni del denunciante perchè mancava uno dei filmati contenuti nell’originaria chiavetta nonchè del materiale mai analizzato e verbalizzato, b5) all’uso del computer della madre dell’imputato, durante la perquisizione, per redigere il verbale, contaminando il reperto, c) per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’attendibilità delle persone offese ed ai riscontri delle dichiarazioni stesse, siccome cl) con ragionamento circolare era stata ritenuta la veridicità del narrato accusatorio a partire dalle sue relazioni omosessuali con maggiorenni, c2) era stato valorizzato il giudizio dei periti, senza confutare in modo convincente gli argomenti critici del perito di parte, c3) erano stati valorizzati alcuni profili discutibili delle dichiarazioni delle persone offese, c4) non era stata offerta una spiegazione sufficiente dell’incompatibilità logica dell’episodio collocato in data (OMISSIS) rispetto alle prove testimoniali e documentali, delle contraddizioni dei narrati, dell’assenza di traumi nelle persone offese, delle censure sulle altre testimonianze, delle artificiosità emerse nella verbalizzazione delle sommarie informazioni testimoniali di parte, attraverso il metodo del copia ed incolla, come emerso in dibattimento, d) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla testimonianza ed all’apporto offerto dal denunciante, ritenuto attendibile, nonostante avesse girato il filmino volto a precostituire la prova del reato con condotta considerata dagli stessi Giudici ai limiti dell’illecito, e) per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sull’analisi della perizia relativa al computer dell’imputato e della consulenza di parte: il perito aveva affermato di aver trovato solo un link con il nome di un file uguale ad un’immagine che si vedeva nel filmato, ma non aveva mai detto di aver trovato l’immagine o altre immagini, sicchè aveva errato la sentenza nell’assimilazione del file al link, perchè la presenza di un link non includeva la presenza del file, inoltre nel cellulare sequestrato non era stata trovata la foto inquadrata nel video dei genitali nè vi era traccia informatica che potesse ricondurre a quel file; gli argomenti che avevano escluso la tesi difensiva del complotto non erano convincenti, f) per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla sussistenza di ipotesi alternative, in particolare sul complotto, quando f1) tale emergenza processuale derivava dalle dichiarazioni di alcuni testi oltre che dello stesso denunciante, f2) le persone offese erano legate tra di loro da rapporti di conoscenza ed amicizia, f3) vi era stato certamente un effetto propagativo della notizia, f4) vi era un conflitto con il denunciante che aveva interrotto il suo percorso vocazionale e con la persona offesa responsabile di furti in parrocchia e coinvolta in episodi per cui era stata pronunciata l’assoluzione.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), ed e), con riferimento alla mancata rinnovazione dell’audizione del denunciante. A seguito della perizia informatica era sorta infatti la necessità di risentire il teste per comprendere meglio la dinamica della formazione del video, anche perchè il denunciante aveva dichiarato di aver installato un software sul computer di esso imputato per recuperare file cancellati e poi l’aveva disinstallato, il perito aveva verificato che il (OMISSIS), alle ore 15,35 era stato installato ed alle ore 15,53 era stato rimosso il “PC inspector file recovery”, programma che consentiva di recuperare i file, a meno dell’uso in mala fede.
Sostiene che non v’era la prova che i dispositivi, computer e cellulare, inquadrati nei diversi filmati girati dal denunciante con il suo cellulare erano proprio i suoi, posto anche che i predetti dispositivi elettronici non erano protetti da password e v’era la prova che ben 28 dispositivi erano stati collegati al suo computer, di cui solo due di sua proprietà.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riferimento alla corretta applicazione dell’art. 600-ter c.p., giacchè le foto, ritenute esistenti nel computer, non erano destinate alla pubblica fruizione, ma vi si trovavano per il soddisfacimento dei propri bisogni sessuali; sicuramente egli non aveva interesse alla diffusione del materiale che lo riguardava per evitare il naufragio del proprio ministero sacerdotale; il computer si trovava nella sua stanza senza possibilità di connessione ad internet; il numero di sei foto, presuntivamente rinvenuto, non era tale da validare la sussistenza della condotta criminosa dell’art. 600-ter c.p., e ciò a prescindere dalla circostanza che di tale sequenza fotografica non era stata provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la provenienza e la riconducibilità al suo computer. Ai fini della “diffusione” richiesta dall’art. 600-ter c.p., era necessario accertare se il comportamento del presunto autore del reato fosse suscettivo di creare un fenomeno diffusivo o fosse limitato a costituire il malsano hobby di un singolo individuo. Ribadisce l’omessa motivazione sul tema.
2.4. Con il quarto motivo, deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in relazione all’art. 191 c.p.p., perchè la prova decisiva era costituita dalle “investigazioni” illecite del denunciante, introdottosi arbitrariamente nella sua abitazione, per accedere al suo computer manipolandolo.
2.5. Con il quinto motivo, assume la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 191 c.p.p., art. 197 c.p.p., lett. d), art. 222 c.p.p., lett. d), art. 225 c.p.p., comma 3, art. 233 c.p.p., comma 3, con riferimento all’assunzione della qualità di testimoni dei Consulenti della Procura ed all’inutilizzabilità dei risultati della deposizione dibattimentale dell’1.10.2014 nonchè della relativa consulenza depositata. I Consulenti avevano partecipato all’assunzione delle sommarie informazioni nel corso delle indagini preliminari, poi erano stati nominati ausiliari dal Pubblico ministero, quindi sentiti come testimoni. Ritiene inconferenti i precedenti giurisprudenziali citati a sostegno della legittimità della deposizione testimoniale dei Consulenti tecnici, siccome, nella fattispecie, gli stessi soggetti erano stati anche ausiliari nella fase delle indagini. Essi non potevano essere considerati come soggetti che prestavano di fatto e solo occasionalmente determinate funzioni previste dalla legge. Era di tutta evidenza la natura stabile, imprescindibile ed “istituzionale” del suddetto professionista e lo svolgimento delle funzioni di ausiliario. La ratio dell’art. 197 c.p.p. era quella di assicurare la genuinità e spontaneità della fonte testimoniale al fine di scongiurare il pericolo che il deponente potesse rappresentare i fatti secondo una sua elaborazione soggettiva influenzata dall’opinione che si era fatta.
2.6. Con il sesto motivo, deduce la violazione dell’art. 600 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 2 c.p., comma 4 e artt. 157 e 600-bis c.p., con riferimento alle condotte poste in essere nei confronti delle due parti civili a favore delle quali era stato riconosciuto il risarcimento del danno. Le condotte contestate tra il 2008 ed il 2009 erano prescritte, al più tardi per B.M.M. nell’aprile 2016 e per P.A. nell’agosto 2016.
2.7. Con il settimo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 62-bis c.p., giacchè non erano stati valutati a suo favore il comportamento collaborativo tenuto in sede processuale, l’assenza di precedenti, la piena osservanza della misura cautelare, il silenzio mediatico dinanzi ad accuse gravi ed infamanti, l’impegno profuso durante lo stato detentivo in altre attività, tra cui la frequentazione di un corso di laurea, lo stato di salute. Del tutto incomprensibilmente, la Corte aveva menzionato quali elementi ostativi alla concessione del beneficio l’esistenza di un precedente per i reati di falsa informazione al Pubblico ministero e simulazione di reato, fatti risalenti ad oltre 20 anni prima.
2.8 Quanto al ricorso del prof. avv. Aricò, con il primo motivo, l’imputato denuncia la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 600-ter c.p., comma 1, con riferimento alla prova informatica, svolgendo dettagliati argomenti tecnici. Lamenta che la Corte territoriale aveva ritenuto provata l’imputazione sub C), non sulla base della prova informatica in sè, siccome nessun contenuto rilevante era stato rinvenuto sui suoi dispositivi, ma sulla base di una prova indiziariamente “rappresentativa” della prima, e cioè sulla base della rappresentazione di una prova informatica assunta come presente nel momento in cui sarebbe stata immortalata da quella rappresentativa, ma della quale non v’era più traccia all’atto dell’accertamento sui dispositivi stessi, siccome le uniche tracce riscontrate erano quelle relative all’accesso del denunciante. Si duole altresì del fatto che i Giudici non avevano considerato: a) che nel suo telefono cellulare non era stata rinvenuta la foto inquadrata nel video prodotto dal denunciante nè alcuna traccia informatica che potesse ricondurre alla previa esistenza e cancellazione del predetto file, b) che le analisi tecniche eseguite non erano riuscite a risalire al file madre cui quello di collegamento avrebbe dovuto indirizzare e quindi non v’era alcuna prova circa il contenuto e la tipologia del suddetto file e non era stata trovata sui suoi dispositivi alcuna delle foto ritratte nei filmati nè v’era certezza che le avesse cancellate volontariamente o che l’intervento del denunciante fosse stato di ripristino e cancellazione invece che di mera cancellazione o di immissione e successiva cancellazione, c) che il link ritrovato nei “punti di ripristino” del computer aveva dati temporali incoerenti, d) che il rinvenimento della traccia, solo parzialmente riconducibile ad una delle sei fotografie, appariva incongruente, siccome le foto erano contenute nella medesima partizione del disco rigido e quindi sarebbero dovute sparire contestualmente. La sentenza si era limitata a considerare illogica l’eventuale rimozione incompleta dei dati da parte del denunciante, ma non aveva motivato sulle questioni tecniche emerse dagli accertamenti.
2.9. Con il secondo motivo, censura la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 600-ter c.p., comma 1 e art. 600-quater c.p. per omessa motivazione sulle devoluzioni difensive negli atti di impugnazione sul tema della qualificazione giuridica del fatto. Lamenta che la sentenza non aveva affrontato il tema del pericolo concreto della divulgazione del materiale.
2.10. Con il motivo nuovo redatto dall’avv. Agnello, deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 2 c.p., comma 4 e artt. 157 e 600-bis c.p., stante la prescrizione dei reati di cui ai capi A) e B).
Motivi della decisione
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Come emerge dai ricorsi, la difesa dell’imputato è molto articolata perchè ha avuto ad oggetto, tra l’altro, l’attendibilità delle persone offese e la correttezza e genuinità dei mezzi di prova raccolti sotto il profilo informatico; ha puntato sulle ragioni di risentimento del denunciante, al quale lo stesso imputato aveva comunicato serie perplessità sulla sua vocazione, e di altro propalante, coinvolto in episodi per i quali era stata pronunciata l’assoluzione, perchè accusato di furto in parrocchia. Tuttavia, tra le molteplici questioni agitate volte a dimostrare l’illogicità del percorso motivazionale ed il travisamento della prova, emerge un tema di diritto rilevante ai fini del decidere che è quello relativo alla qualificazione giuridica dei fatti di cui al capo C), consistenti nella realizzazione e produzione del materiale pornografico e nell’induzione dei minori a partecipare ad esibizioni pornografiche, in particolare a posare nudi per consentire all’imputato di ritrarre i loro organi genitali.
Le Difese assumono, in subordine rispetto alla tesi pienamente assolutoria, che la condotta contestata sia sussumibile sotto l’art. 600-quater c.p., di detenzione del materiale pornografico, mentre i Giudici d’appello, senza affrontare ex professo la questione, hanno ritenuto implicitamente corretta la qualificazione dei fatti contestati ai sensi dell’art. 600-ter c.p., comma 1.
Se dovesse condividersi la tesi difensiva, rispetto al capo C) dovrebbe prendersi atto della sopravvenuta prescrizione nel periodo tra il deposito della sentenza d’appello e la discussione del ricorso per cassazione: il reato è stato contestato come commesso fino al (OMISSIS) e la prescrizione sarebbe maturata al 30.6.2017.
3.1. Il tema è quindi decisivo ed involge l’interpretazione dell’art. 600-ter c.p., comma 1, di cui è necessario ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale anche alla luce delle modifiche normative.
3.2. Va subito detto che la costante interpretazione giurisprudenziale, fin dall’introduzione della norma con L. 3 agosto 1998, n. 269, è stata nel senso della necessità del pericolo della diffusione del materiale pedopornografico.
Tale circostanza, nel caso in esame, non è stata specificamente esplorata ed, anzi, dalla lettura delle sentenze di merito, sembrerebbe addirittura da escludersi, visto che la promessa del contratto con la televisione e la presentazione dei moduli di richiesta di immagini, era in realtà un espediente per attirare i ragazzi alla relazione omosessuale o al soddisfacimento di esigenze voyeuristiche e che non erano emersi elementi indiziari del pericolo di diffusione.
3.3. Il Collegio dubita, tuttavia, della correttezza di tale interpretazione giuridica.
Di qui la necessità di approfondire l‘esegesi dell’art. 600-ter c.p., comma 1, e d’indagare a fondo i rapporti tra questa norma e l’art. 600-quater c.p..
3.4. Nella formulazione originaria del 1998, l’art. 600-ter c.p. così recitava: “Art. 600-ter. – (Pornografia minorile). – 1. Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Lire cinquanta milioni a Lire cinquecento milioni. 2. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al comma 1. 3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1 e al comma 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Lire cinque milioni a Lire cento milioni. 4. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 1, 2 e 3, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da Lire tre milioni a Lire dieci milioni”.
A seguito della modifica della L. 6 febbraio 2006, n. 38, con vigenza dal 2.3.2006, applicabile al caso in esame, la formulazione dell’articolo è stata così modificata: “1. Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 25.822 a Euro 258.228.
2. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al comma 1. 3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1 e al comma 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645. 4. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 1, 2 e 3, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al comma 1, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 1.549 a Euro 5.164. 5. Nei casi previsti dal comma 3 e dal comma 4 la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità”.
L’art. 600-quater c.p., invece, nella sua formulazione originaria aveva il seguente tenore “Art. 600-quater – (Detenzione di materiale pornografico). Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’art. 600-ter, consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a Lire tre milioni”.
A seguito della modifica del 2006, la norma è stata così riformulata: “1. Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a Euro 1.549. 2. La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità”.
L’evoluzione normativa del 2006 ha seguito quella giurisprudenziale ma non è stata decisiva nè ha comportato una modificazione dell’approccio culturale ai reati di pedopornografia, approccio fondato sulla necessità di prevenire e reprimere il fenomeno duramente, senza possibilità di introdurre elementi di distinguo con riferimento all’età ed al consenso, a differenza di quanto previsto nei reati di violenza sessuale.
Va precisato che l’art. 600-ter c.p. ha subito ulteriori interventi per effetto del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. con modificazioni nella L. 23 aprile 2009, n. 38, del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modificazioni nella L. 15 ottobre 2013, n. 119, ma soprattutto della L. 1 ottobre 2012, n. 172 che ha ratificato ed eseguito la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25.10.2007. In particolare, la Convezione di Lanzarote ha previsto all’art. 21, quanto ai reati relativi alla partecipazione di un minore a spettacoli pornografici, che ciascuna delle parti adotti le misure legislative o di altra natura necessarie per prevedere come reato le seguenti condotte intenzionali: a) reclutare un minore per partecipare a spettacoli pornografici o favorire la partecipazione di un minore a tali spettacoli, b) costringere un minore a partecipare a spettacoli pornografici, trarne profitto o sfruttare un minore in altra maniera per tali fini, c) assistere, con cognizione di causa, a spettacoli pornografici che comportano la partecipazione di minori, mentre può riservarsi il diritto di limitare l’applicazione della predetta lettera c), ai casi in cui i minori sono stati reclutati o costretti nei casi della lett. a) o b).
In virtù della L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4, lett. h), per quanto qui interessa, l’art. 600-ter c.p., comma 1, è stato modificato come segue: “Pornografia minorile. – E’ punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 24.000 a Euro 240.000 chiunque 1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto”.
La Convenzione di Lanzarote e la successiva legge nazionale di ratifica ed esecuzione non hanno inciso sostanzialmente sulle condotte incriminate, ma sulle sanzioni, sui termini di prescrizione e su altri profili procedurali, come emerge dai successivi commi e da altre norme, anche del codice di procedura penale. La formulazione dell’art. 600-quater c.p. è rimasta invariata.
3.5. La Corte di cassazione ha avuto l’occasione di occuparsi tempestivamente dell’interpretazione dell’art. 600-ter c.p., nella sua formulazione originaria entrata in vigore l’11.8.1998, perchè, a seguito del ricorso del Pubblico ministero avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Biella che aveva escluso il reato, in un caso di produzione di materiale pornografico minorile per “uso personale”, proprio questa Sezione, con ordinanza del 13.2.1999, n. 3903, aveva sollecitato l’intervento delle Sezioni unite con riferimento al problema dell’interpretazione della voce verbale “sfrutta”, trattandosi di questione nuova e di particolare importanza. Aveva osservato che il reato di pornografia minorile prevedeva quattro ipotesi tipiche. Secondo una prima interpretazione, il verbo usato al comma 1 avrebbe evidenziato la necessità dello scopo di lucro, realizzato da una pur rudimentale struttura organizzativa, con una certa continuità e con l’impiego di più minori, con la conseguenza di escludere dalla punibilità le ipotesi di impiego di minori per realizzare esibizioni pornografiche o produzioni di materiale pornografico per appagare occasionali e privati istinti lussuriosi. Secondo altra interpretazione, avrebbe, invece, portato alla condanna di quelle condotte consistenti nell’impiego di uno o più minori degli anni 18 al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico, a prescindere da una finalità di lucro, quali attività iniziali di un percorso perverso da reprimere in modo oggettivo ed esemplare.
Come enunciato nell’ordinanza, questa seconda opinione poggiava su alcuni argomenti: a) il bene giuridico tutelato nella normativa anti-pedofilia era la dignità della persona umana ed in particolare dei minori, alla luce dei principi costituzionali ed anche degli indirizzi internazionali nella materia; in questo quadro, la produzione di materiale pornografico, riducendo a “mezzo” e non a “fine” anche un solo minore, aveva una potenzialità offensiva e diffusiva, oggettiva ed autonoma, per la lotta contro la pedofilia, a prescindere da una connessa utilità economica dell’autore; b) la legge già prevedeva nell’art. 600-bis c.p. l’induzione, il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione minorile (a scopo di lucro) e nell’art. 609-quater c.p. analoga ipotesi criminosa anche in assenza di utilità economiche, sicchè lo “sfruttamento” del minore per appagare istinti privati doveva ritenersi coperto nel sistema e non doveva essere oggetto dell’art. 600-ter c.p. in esame; c) l’art. 600-ter c.p. era intitolato “pornografia minorile” con finalità generale da assicurare anche in relazione a comportamenti non ispirati da finalità di lucro, tant’era vero che il comma 4 puniva anche la cessione ad altri, pur se a titolo gratuito; d) le ipotesi criminose tipiche dell’art. 600-ter c.p. erano utilizzate in una sequenza che faceva perno in successione sulle seguenti condotte: dl) realizzazione di esibizioni pornografiche o produzione di materiale pornografico (momento iniziale o genetico); d2) commercio di materiale pornografico; d3) distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione di materiale pornografico oppure distribuzione o divulgazione di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o sfruttamento sessuale di minori; d4) cessione – anche a titolo gratuito – ad altri di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale; ipotesi costruite sullo stesso termine, cioè materiale pornografico in progressione: la prima era diversa dalla seconda (anche se accomunate della stessa pena); la terza e la quarta presupponevano la non applicazione delle precedenti: l’espressione “sfrutta minori” era come idealmente ripetuta anche nelle ipotesi 2, 3, e 4 ed era utilizzata anche per comportamenti posti in essere “a titolo gratuito” (comma 4), sicchè la connotazione nel senso di “impiego” di minore appariva ragionevole (al di là della equivocità del termine), perchè era l’impiego del minore che la legge voleva impedire nella produzione del materiale pornografico, senza pregiudizio per le successive operazioni (ispirate o meno a finalità di lucro); d5) il testo dell’art. 600 c.p. intendeva colpire alcuni fenomeni in modo oggettivo, come la sequenza di una catena: la produzione di materiale pornografico in sè, a prescindere dalla finalità di lucro realizzava uno sfruttamento del minore o dei minori coinvolti, ma, soprattutto, costituiva la base per lo sfruttamento del minore o dei minori coinvolti nonchè lo sfruttamento potenziale degli altri minori attraverso le possibili fasi successive; il commercio (in cui la finalità economica era in re ipsa), del materiale pornografico comunque e da chiunque prodotto; la distribuzione divulgativa o pubblicizzazione di materiale pornografico o notizie (fatte anche senza finalità di lucro, altrimenti si sarebbe ricaduti nel commercio); la cessione ad altri a titolo gratuito.
Aveva quindi considerato che, in questo tipo di lettura, la produzione del materiale pornografico sembrava svincolato dagli sfruttamenti sessuali personali, per assurgere a condotta pericolosa in sè, anche se non accompagnata dal fine di lucro. Il materiale pornografico, ovunque custodito, era suscettibile di utilizzazione sociale successiva, anche al di là della previsione e volontà di chi lo avesse prodotto. Nel contempo il termine “sfruttamento di minore” veniva utilizzato in una accezione non tecnica, come avveniva, invece, per lo sfruttamento della prostituzione, compresa quella minorile.
3.6. In sostanza, questa Sezione aveva chiesto alle Sezioni unite di chiarire la nozione di “sfruttamento” e di validare l’idea del pericolo in sè per l’immanente potenzialità dell’uso, anche da parte di soggetto estraneo al produttore.
3.7. Le Sezioni unite, con sentenza 31.5.2000, n. 13, PM, Rv 216337, hanno seguito quest’impostazione, affermando il principio di diritto così massimato: “Poichè il delitto di pornografia minorile di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1 – mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia – ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto”.
I criteri ermeneutici utilizzati per pervenire a tale risultato sono stati quello letterale, quello teleologico e quello sistematico.
Con riferimento alla lettera della norma, i Giudici hanno precisato che il legislatore aveva adottato il termine “sfruttare” nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicchè sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anzichè rispettarli come fine e come valore in sè: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata.
Con riferimento allo scopo della norma – menzionate le condotte eterogenee dell’art. 600-ter c.p. -, hanno osservato che, per contrastare il fenomeno sempre più allarmante dell’abuso e dello sfruttamento sessuale in danno di minori, il legislatore del 1998 aveva voluto punire, oltre alle attività sessuali compiute con i minori o alla presenza di minori, anche tutte le attività che, in qualche modo, erano prodromiche e strumentali alla pratica preoccupante della pedofilia, come l’incitamento della prostituzione minorile, la diffusione della pornografia minorile e la promozione del c.d. turismo sessuale relativo a minori. Del resto, che di tale natura fosse la intentio legis è fatto palese dallo stesso art. 1 della L. n. 269, laddove proclama come obiettivo primario “la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale”, in adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20.11.1989, e ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176, nonchè alla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31.8.1996.
Significativo al riguardo è il preambolo della predetta Convenzione, laddove viene sottolineata la necessità di prestare al fanciullo protezioni e cure particolari “a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale”; nonchè soprattutto il testo dell’art. 34 della stessa Convenzione, secondo cui gli Stati parti “si impegnano a proteggere “il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale”, adottando in particolare misure “per impedire che i fanciulli a) siano incitati o costretti a dedicarsi ad un’attività sessuale illegale; b) siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali; e) siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico”.
Hanno, quindi, concluso che era possibile qualificare la fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1 come reato di pericolo concreto. Per conseguenza il reato è integrato quando la condotta dell’agente che sfrutta il minore per fini pornografici abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto.
Hanno, infine, rinforzato il proprio convincimento con ulteriori argomenti, apparentemente di ordine sistematico: il criterio semantico sembra confermare ulteriormente questo risultato interpretativo, giacchè non appare possibile realizzare esibizioni pornografiche, cioè spettacoli pornografici, se non “offrendo” il minore alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili; così come, per attrazione di significato, produrre materiale pornografico sembra voler dire produrre materiale destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia. Ma anche il criterio logico – sistematico concorre all’interpretazione qui sostenuta.
Si consideri che la L. n. 269 del 1998, art. 14, nel disciplinare le attività e gli strumenti di contrasto contro la pedofilia, prevede che, in relazione ai delitti di cui all’art. 600 bis c.p., comma 1, art. 600 ter c.p., commi 1, 2 e 3, e art. 600 quinquies c.p., gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti alle apposite unità specializzate possono procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico e alle relative attività di intermediazione, nonchè partecipare alle iniziative del c.d. turismo sessuale; e che, sempre in relazione ai detti delitti, l’autorità giudiziaria può ritardare l’emissione, o disporre che sia ritardata l’esecuzione, di provvedimenti di cattura, arresto o sequestro, quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori o per identificare o catturare i responsabili.
Hanno sostenuto, poi, che il legislatore non avrebbe pensato a strumenti straordinari di contrasto, quali l’acquisto simulato del materiale ed il ritardo nell’emissione o esecuzione delle misure cautelari, se non avesse ritenuto come scopo della tutela penale quello di impedire la diffusione nel mercato della pornografia minorile; o più esattamente non avrebbe logicamente introdotto gli anzidetti strumenti di contrasto se il reato che intendeva reprimere fosse stato solo quello della produzione di pornografia minorile indipendentemente dal pericolo concreto che questa pornografia fosse immessa nel circuito dei pedofili.
Di qui la tesi secondo la quale l’art. 600-ter c.p., comma 1, puniva chiunque impiegasse uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici con il pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico prodotto, sicchè il giudice era tenuto ad accertare di volta in volta se ricorresse il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico, facendo riferimento ad elementi sintomatici della condotta, come l’esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale, atta a corrispondere alle esigenze del mercato dei pedofili; il concreto collegamento dell’agente con soggetti pedofili, potenziali destinatari del materiale pornografico; la disponibilità materiale di strumenti tecnici (di riproduzione e-o di trasmissione, anche telematica) idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari; l’utilizzo, contemporaneo o differito nel tempo, di più minori per la produzione del materiale pornografico (in questo senso la pluralità di minori impiegati non è elemento costitutivo del reato, ma indice sintomatico della pericolosità concreta della condotta); i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando siano connotati dalla diffusione commerciale di pornografia minorile; altri indizi significativi che l’esperienza può suggerire.
Ove, invece, non integrato il reato di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1, anche per l’inesistenza del pericolo di diffusione del materiale, era configurabile altro reato, ivi compreso quello di detenzione di materiale pornografico di cui all’art. 600-quater c.p. (nella specie il ricorso del Pubblico ministero era stato rigettato perchè erano emersi indizi di un uso puramente “affettivo”, anche se perverso, delle poche fotografie che ritraevano il minorenne e che l’imputato, insegnante di sostegno del ragazzo, era molto “geloso” delle foto scattategli e verosimilmente non l’aveva mostrate a terzi).
3.8. A commento della sentenza, parte della dottrina, pur plaudendo al superamento della visione “economicistica” della norma, non ha mancato di rilevare una serie di criticità quanto alla tenuta logica del ragionamento.
3.9. Innanzi tutto, il contestuale riferimento sia alla Convenzione di New York che a quella di Stoccolma (peraltro frutto del riferimento alla L. n. 269 del 1998, art. 1) non aveva contribuito a lumeggiare la questione, ma semmai ad intorbidarla, perchè i due atti internazionali si trovavano “ai fuochi opposti di un’ellisse”: la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo auspicava una tutela del minore verso qualsiasi forma di sfruttamento a prescindere dalle finalità che l’autore si proponeva di realizzare, mentre la dichiarazione finale della Conferenza di Stoccolma adottava una soluzione più restrittiva, impegnando i legislatori a reprimere lo sfruttamento sessuale di minori solo se realizzato a scopo commerciale. In secondo luogo, ha evidenziato che, in modo apodittico, la Corte aveva qualificato in termini di pericolo concreto la condotta di chi utilizzava i minori nella produzione di materiale pornografico, siccome l’interesse tutelato era da individuarsi nel “libero sviluppo personale del minore”, giacchè lo sfruttamento di quest’ultimo nella realizzazione di materiale o spettacoli pornografici comprometteva, di per sè, il bene giuridico, consumando l’offesa che il legislatore mirava a prevenire. In altre parole, l’impiego del minore era evento di danno e non di pericolo, evento che concentrava su di sè l’intero disvalore del fatto. Ha ritenuto, poi, ancor meno condivisibile il passaggio argomentativo secondo il quale, per integrare il delitto, era necessario che “la condotta dell’agente abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto”. Infatti, in questo modo, la Corte aveva finito per spostare il baricentro dall’evento all’azione, senza però argomentare in modo esauriente l’inatteso cambio di referente. Non si capiva infatti perchè la pericolosità della azione doveva essere postulata in relazione non già alla sua iterazione con il bene tutelato, ma al contesto generale entro cui maturava. Se la ratio della legge era quella di introdurre una tutela penale anticipata “volta a reprimere condotte prodromiche che mettono a repentaglio” un interesse di esclusiva pertinenza della persona, il riferimento “all’esistenza di una struttura anche rudimentale, atta a corrispondere alle esigenze del mercato, la disponibilità materiale di strumenti tecnici idonei a diffondere il materiale” non aggiungeva nulla, o quasi, all’offesa consumata con il coinvolgimento del minore nella preventiva attività di produzione. In quest’ottica, scarsamente convincente era anche il riferimento alle speciali attività investigative, giacchè pure nella repressione del traffico di stupefacenti erano previsti eccezionali strumenti investigativi, nonostante la liceità della detenzione ad uso personale.
3.10. La stessa dottrina ha poi segnalato la contraddizione intrinseca della sentenza che, da una parte, aveva escluso il carattere lucrativo dello sfruttamento, dall’altra, nel richiedere il pericolo concreto della diffusività, aveva implicitamente avallato un sistema in cui doveva essere presente un’organizzazione di mezzi e persone che chiaramente aveva interessi economici.
3.11. A completamento di quest’analisi, va aggiunto che altra dottrina, subito dopo la modifica normativa ad opera della L. n. 38 del 2006, non ha avuto alcun dubbio nel definire il reato in esame come di danno e nel ritenere irrilevante come elemento costitutivo il pericolo concreto della diffusione del materiale.
4. Le considerazioni della dottrina citata appaiono convincenti e sollecitano importanti interrogativi sulla correttezza dell’interpretazione delle Sezioni unite su un sistema normativo in materia di pedopornografia, mirante ad anticipare la repressione delle condotte già alla produzione del materiale, indipendentemente dall’uso personale o meno. E’ probabile che i Giudici avessero la preoccupazione, pure condivisa da una parte della dottrina, di restringere, in qualche misura, la portata applicativa della norma per evitare che l’eccessiva anticipazione della tutela prestasse il fianco ad istanze d’incostituzionalità, per mancanza di offensività.
Sennonchè nè nel 1998 nè nei successivi interventi normativi si è introdotto l’elemento del pericolo di diffusione ed anzi le scelte sovranazionali e nazionali sono state chiare e sempre più nette e specifiche nella direzione di una tutela integrale del minore rispetto ai reati di prostituzione e pornografia.
4.1. Scorrendo il repertorio delle massime delle sentenze successive all’arresto delle Sezioni unite, la ricerca restituisce un risultato univoco: non vi sono casi in cui l’interpretazione dell’art. 600-ter c.p., comma 1, prescinde dal pericolo in concreto della diffusione, ed anzi quest’elemento è sovente utilizzato come discriminante rispetto alla fattispecie del successivo art. 600-quater c.p..
4.2. Si vedano in proposito le seguenti sentenze di questa Sezione: sent. 29.3.2017, n. 37835, DC, Rv 270906, in cui il rischio della diffusione derivava dai messaggi di whatsApp; sent. 16.11.2016, n. 33298, DCC, Rv 270418, in un caso in cui la Corte ha ritenuto integrati gli estremi della diffusione nell’inserimento di materiale pedopornografico in una cartella informatica accessibile da parte di terzi attraverso l’uso del programma di condivisione “emule”; sent. 12.4.2016, n. 35295, R e altro, Rv 267546, che ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva desunto il pericolo di diffusione dal fatto che la videoripresa, coinvolgente una minore, era stata conservata dall’imputato nella memoria del telefono cellulare e successivamente sottoposta in visione a terzi; sent. 12.3.2015, n. 16340, M., Rv. 263355, in un caso in cui la Corte – richiamati i precedenti sul pericolo della diffusione di Cass. sez. 3^, 21 gennaio 2005 n. 5774; Cass. sez. 3^, 1 dicembre 2009 n. 49604; Cass. sez. 3^, 20 novembre 2007 – 14 gennaio 2008 n. 1814, Cass. sez. 3^, 11 marzo 2010 n. 17178 e Cass. sez. 3^, 5 giugno 2007 n. 27252 – ha ritenuto integrati gli estremi della diffusione nell’inserimento di materiale pedopornografico all’interno del social network “Facebook”; sent. 25.3.2015, n. 16616, T., Rv 263116, che ha ritenuto sufficiente ai fini del rischio di diffusione delle immagini il gran numero di relazioni intrattenute dall’imputato con le minori, la natura e modalità di sviluppo di tali relazioni, lo scambio di video, ma anche di fotografie, il tono delle conversazioni; sent. 19.5.2010, n. 34201, G., Rv 248226, che ha ritenuto integrati nel caso esaminato tutti i presupposti indicati dalle Sezioni unite; sent. 11.3.2010, n. 17178, Flak, Rv 246982, secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, le nozioni di “produzione” e di “esibizione” ivi contemplate richiedevano l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi; nella specie la Corte ha escluso che un tale contesto organizzativo e di destinazione potesse essere desunto dalla circostanza della mera detenzione di un computer da parte del soggetto agente; sent. 1.12.2009, n. 49604, PM in proc. MM e altro, Rv. 245749, secondo cui il reato di pornografia minorile di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1 richiedeva il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto; fattispecie di riprese fotografiche, mediante telefono cellulare, di minore nudo; sent. 28.5.2009, n. 26256/09, Malena e altri, Rv 244440, che ha precisato che lo “sfruttamento” non implica reiterazione della condotta ed anzi prescinde da essa, se è vero com’è vero, che anche il legislatore del 1998 – non solo quello del 2006- ha inteso, con la introduzione nel codice penale degli artt. 600 bis e 600 septies, tutelare anche in modo assolutamente significativo, anche sotto l’aspetto sessuale, la fragile personalità del minore; sent. 20.11.2007, n. 1814, Marchionni, Rv. 238566, secondo cui ai fini dell’integrazione del reato di pornografia minorile di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1, era necessario che la condotta del soggetto agente avesse una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, sì che esulavano dall’area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica fosse destinata a restare nella sfera strettamente privata dell’autore; nella specie il pericolo di diffusione era stato desunto dai giudici dal fatto che parte del materiale, per la cui produzione erano state utilizzate contemporaneamente molte minorenni e per il cui utilizzo l’imputato aveva avuto il consenso di queste, era detenuto in auto ed in alcune occasioni era stato mostrato a terzi; sent. 5.6.2007, n. 27252, Aquili, Rv. 237204, secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1, il concetto di “utilizzazione” comportava la degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni, non assumendo valore esimente il relativo consenso, mentre le nozioni di “produzione” e di “esibizione” richiedevano l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi; sent. 21.1.2005, n. 5774, Milazzo, Rv. 230732, che ha sostenuto che, poichè il delitto di pornografia minorile di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1 mediante il quale l’ordinamento apprestava una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettevano a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia- ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impiegasse uno o più minori per produrre spettacoli e materiali pornografici era punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando avesse una consistenza tale da implicare un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto; nel caso di specie la Corte aveva ritenuto congrua la motivazione del giudice di merito il quale aveva dato atto, oltre che dell’imponente apparato informatico e dell’ingente materiale pedopornografico rinvenuto nella disponibilità dell’imputato, del fatto che lo stesso aveva effettuato con una macchina digitale numerose riprese fotografiche delle parti intime di una bimba, alla quale era stato celato il volto, foto che erano state scaricate nell’hard disk del computer in vista dell’uso diffusivo delle immagini pornografiche.
4.3. Meritano di essere segnalate ulteriori sentenze di questa Sezione, non massimate: la n. 16340/15, M.A., ad avviso della quale, il principio di diritto delle Sezioni unite citate, a distanza di quindici anni, doveva nutrirsi del ricorso al fatto notorio che l’inserimento del materiale in un social network come Facebook non necessitava di alcuno specifico accertamento della potenzialità diffusiva; la n. 52306/14, P.D.B., secondo cui non c’è dubbio che il reato di cui all’art. 600-ter sia configurabile quando la condotta dell’agente che sfrutta il minore per fini pornografici abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto (cfr. Cass. sez.un.n. 13/2000). Non è necessaria, però, l’effettiva diffusione…E’ estranea, pertanto, alla condotta descritta nella fattispecie la non episodicità della condotta o l’esistenza di una struttura organizzativa; la n. 40781/14, D.M.M., che ha affermato che il reato di pornografia minorile di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1, con il quale l’ordinamento ha apprestato una tutela anticipata della libertà sessuale del minore, reprime comportamenti prodromici, che, anche se non necessariamente a fini di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia; si tratta di un reato di pericolo concreto; è compito del giudice accertare di volta in volta la configurabilità del detto pericolo, facendo ricorso agli elementi sintomatici segnalati dalle Sezioni unite n. 13/2000; le nozioni di “produzione” ed “esibizione” richiedono l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte dei terzi sicchè, al fine, non basta il mero possesso del computer, citando il precedente conforme n. 17178/10, Rv 246982; la n. 35695/11, L.T., secondo cui, anche nell’art. 600-quater c.p., lo sfruttamento va inteso come approfittamento del minore, per cui rientra nella fattispecie il coinvolgimento del minore nella realizzazione del materiale pornografico.
4.4. Nella sentenza n. 27373/12, PG c. Z.I., A.L., M.A., e nella sentenza 22265/17, PG c. Zanetti, entrambe non massimate, si ravvisano però degli interessanti spunti di riflessione ai fini della ricostruzione della tesi che s’intende propugnare in questa sede. Infatti, la prima ha affermato che la condotta dell’art. 600-ter c.p., comma 1, non richiedeva il pericolo di diffusione, mentre la seconda, a proposito della pedopornografia virtuale, dopo la ricostruzione storica dell’evoluzione normativa sovranazionale e nazionale, ha ritenuto scorretta l’interpretazione della disposizione sulla pedopornografia virtuale nel senso che, in mancanza di minori reali, non sussisteva alcun concreto pericolo per la personalità e lo sviluppo del minore, atteso che il bene giuridico tutelato non era costituito unicamente dalla libertà sessuale del bambino, le cui sembianze fossero state impresse nella foto o riprese nel filmato, giacchè il minore era vittima di reati ben più gravi che ledevano, anzichè mettere solo in pericolo, tali beni giuridici. In queste sentenze, si affaccia quindi l’idea che, non solo non sia richiesto il pericolo di diffusione come quid pluris individuato interpretativamente dalle Sezioni unite, ma che i reati di pedopornografia, nel colpire comportamenti anche prodromici, sono in realtà, a ben vedere, ascrivibili alla categoria dei reati di danno e non di pericolo.
4.5. Altresì consolidata è la giurisprudenza sui rapporti tra la fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p. e di cui all’art. 600-quater c.p..
Si vedano, al proposito, la sent. 22.10.2014, n. 2011, B, Rv. 261597, secondo cui non è configurabile il concorso tra il reato di detenzione di materiale pornografico ed il reato di pornografia minorile, dovendo applicarsi, in virtù della clausola di riserva di cui all’art. 600-quater c.p., la più grave fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p., rispetto alla quale la detenzione costituisce, quindi, un “post factunn” non punibile; la sent. 2.4.2014, n. 20429, Malagoli, Rv 259632, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 600-quater c.p. in relazione agli artt. 3, 27 e 117 Cost. e art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, laddove assoggettava a sanzione penale le condotte consistenti nella mera detenzione di materiale pedopornografico a fini di consultazione personale e senza divulgazione a terzi, in quanto la fattispecie incriminatrice non si pone in contrasto con gli obblighi internazionali, che si limitavano a fissare un livello “minimale” di tutela, e lungi dall’essere irragionevole, si inserisce in un sistema organico che punisce, in via decrescente, ogni condotta relativa allo sfruttamento sessuale dei minori; nè, ai fini della dedotta illegittimità costituzionale, può assumere rilievo la mancata inclusione nel catalogo degli illeciti dei comportamenti di consultazione senza detenzione di immagini di identica natura; nel testo della sentenza la Corte ha ribadito la distinzione tra art. 600-ter c.p. e 600-quater c.p. sulla base della necessaria presenza nel primo caso del pericolo di diffusione; la sent. 2.2.2011, n. 11997, L.F., Rv 249656, secondo cui la responsabilità per il reato di detenzione di materiale pedopornografico è esclusa in capo al soggetto che detto materiale avesse prodotto, sempre che questi fosse concretamente punibile per la condotta di produzione; fattispecie di ritenuta applicabilità del reato di detenzione a fronte della non ricorribilità del reato di produzione per mancanza del pericolo di diffusione; la sent. 11.11.2010, n. 43246, M., Rv 248761, secondo cui il reato di detenzione di materiale pedopornografico non richiede, ai fini della sua configurabilità, un concreto pericolo di diffusione del predetto materiale, essendo sufficiente la mera consapevole detenzione del medesimo; la sent. 9.12.2009, n. 8285, R., Rv. 246232, secondo cui la detenzione di materiale pornografico di cui all’art. 600 quater c.p. non riguarda il materiale prodotto dallo stesso soggetto agente, contemplando tale norma, di carattere residuale, tutte quelle condotte consistenti nel procurarsi o detenere materiale pornografico fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter c.p.; in applicazione di tale principio la Corte ha escluso, in relazione all’art. 600 ter c.p., la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 con riguardo al fine di detenere il materiale in precedenza prodotto; la sent. 7.6.2006, n. 20303, Palomba e altri, Rv. 234699, per la quale, in tema di reati relativi alla pornografia minorile, mentre il delitto di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1, ha natura di reato di pericolo concreto, la fattispecie di cui all’art. 600-quater c.p.. (anche nella formulazione applicabile al caso di specie, anteriore a quella introdotta con la L. n. 38 del 2006), richiede la mera consapevolezza della detenzione del materiale pedopornografico, senza che fosse necessario il pericolo della sua diffusione ed infatti tale fattispecie aveva carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa della produzione di tale materiale a scopo di sfruttamento.
5. Orbene, la rassegna delle sentenze citate dimostra l’accettazione, più o meno consapevole, dell’assioma delle Sezioni unite 13/2000 della necessità del pericolo di diffusione, che, in questa sede, si ritiene invece di rimettere in discussione, alla luce del dato normativo sovranazionale e nazionale. Ed invero, ad eccezione del segnalato passaggio nella sentenza n. 27373/12 e della riflessione più meditata in materia di pedopornografia virtuale, nella sentenza n. 22265/17, per il resto non è in discussione che la condotta dell’art. 600-ter c.p., comma 1, richieda il pericolo di diffusione come indicato dalle Sezioni unite, il dibattito giurisprudenziale essendosi concentrato sugli elementi sintomatici di questo pericolo, sia pure aggiornati alla luce dell’evoluzione informatica.
5.1. Il Collegio ritiene invece che l’impostazione tradizionale non trovi riscontro nel dato normativo ed anzi finisca per contraddire lo spirito dei numerosi interventi che si sono avuti in questi anni.
Come già ricordato, la materia della pornografia minorile è stata affrontata ex professo per la prima volta in Italia con la L. n. 269 del 1998. Vero è che già nella L. n. 66 del 1996 in materia di violenze sessuali, v’era stata una speciale attenzione al minore, ma solo dopo due anni è arrivata al traguardo la legge recante le “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale, in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, che al suo primo articolo richiama l’adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata ai sensi della L. 27 maggio 1991, n. 176, ed a quanto sancito dalla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31.8.1996, proclamando che la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, costituisce obiettivo primario perseguito dall’Italia.
Successivamente, l’Italia ha ratificato, con la L. n. 46 del 2002, il Protocollo opzionale alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernente la vendita di bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini, fatto a New York il 6.9.2000, protocollo nascente dall’esigenza degli Stati di contrastare, con strumenti sempre più articolati ed omogenei, anche dal punto di vista internazionale, i gravi fenomeni ivi menzionati. Questa legge ha, tra l’altro, impartito delle disposizioni processuali per la salvaguardia del minore vittima e testimone di tali reati, integrando sul punto la L. n. 66 del 1996.
Di fondamentale importanza per l’evoluzione normativa è stata però la Decisione quadro GAI 2004/68/GAI del Consiglio del 22.12.2003 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile. L’Unione Europea ritiene lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile gravi violazioni dei diritti dell’uomo e del diritto fondamentale di tutti i bambini ad una crescita, un’educazione ed uno sviluppo armoniosi (par. 4 dei considerando), particolarmente pericolosa la pornografia infantile, a causa della diffusione a mezzo internet (par. 5 dei considerando), sicchè l’importante opera portata avanti da organizzazioni internazionali deve essere integrata da quella dell’Unione Europea (par. 6 dei considerando) ed è necessario affrontare reati gravi quali lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia infantile con un approccio globale comprendente quali parti integranti elementi costitutivi della legislazione penale comuni a tutti gli Stati membri, tra cui sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, e una cooperazione giudiziaria più ampia possibile (par. 7 dei considerando).
In questo contesto, sono state dettate delle regole minime a cui gli Stati membri avrebbero dovuto attenersi. L’Italia, in realtà, aveva già recepito queste regole nel 1998, ma nel 2006, con la L. n. 38, è ulteriormente intervenuta con modifiche o inserti, per vero più di forma che di sostanza. Interessante è al proposito la lettura della relazione di presentazione del disegno di legge della Camera dei deputati n. 4599, prodromico all’adozione della L. n. 38 del 2006, nella quale, con riferimento all’art. 600-ter c.p., si dà espressamente atto dell’esigenza di uniformarsi all’adottanda decisione quadro (quella del 2004, i cui lavori non erano stati completati) e si dà conto dell’interpretazione delle Sezioni unite n. 13/2000 della nozione di “sfruttamento”.
5.2. Confrontando i testi normativi, in particolare la Decisione quadro ed il pacchetto di norme sulla pornografia minorile introdotto dalla L. n. 269 del 1998, modificato nel 2006, ci si avvede che la normativa nazionale ha recepito integralmente la normativa sovranazionale ed anzi la modifica del 2006 ha consentito un’integrale sovrapposizione della normativa nazionale su quella Europea perchè l’art. 600-ter c.p., vigente al 2009, ha riprodotto integralmente l’art. 2 della Decisione quadro.
5.3. Dal punto di vista teleologico non v’è nessun dubbio che la politica criminale in tema di pornografia minorile, sia a livello nazionale che internazionale, si imperni sulla prevenzione del crimine, sul presupposto ideologico dell’intrinseca pericolosità delle possibili manifestazioni della pedofilia, anche a prescindere dal contatto tra l’adulto ed il bambino ed è animato il dibattito scientifico anche in altri Paesi, e soprattutto negli Stati Uniti d’America, sull’irrilevanza del consenso in questi casi del minore che invece abbia la relativa legittimazione rispetto alla relazione sessuale e sulla presunzione che il pedofilo sia un soggetto che dalla “fantasia” erotica passi certamente all’azione. Ciò nondimeno è netta la scelta di tutelare tutti i minori di anni 18, senza distinzioni, rispetto a condotte relative alla pornografia, di per sè ritenute degradanti. A ben vedere, sia nella normativa sovranazionale che in quella nazionale si prescinde dal pericolo della diffusione del materiale, perchè le condotte della produzione, detenzione, divulgazione, cessione etc. sono tutte autonomamente distinte e tutte di danno, sebbene ispirate sistematicamente da una generale idea di pericolo (forse più in astratto che in concreto nonostante le enunciazioni dei Giudici). Lo stesso disegno di legge n. 4599 ha ribadito, infatti, l’esigenza che non vi fossero lacune nei testi, di modo da reprimere tutti i possibili comportamenti dei pedofili, anche potenziali.
5.4. E’ già stato detto che, nel 1998 come nel 2006, la scelta del legislatore nazionale è stata quella di prevedere una vasta gamma di condotte, eterogenee tra di loro, ma tutte volte a reprimere lo stesso fenomeno con il medesimo spirito. Così, per quel che qui interessa, ritornando all’esame della lettera dell’art. 600-ter c.p., questo punisce chiunque, utilizzando minori di anni 18, realizzi esibizioni pornografiche o produca materiale pornografico ovvero induca gli stessi a partecipare ad esibizioni pornografiche (comma 1), chi faccia commercio del suddetto materiale (comma 2), chi, al di fuori dei casi dei primi due commi, con qualsiasi mezzo, anche telematico, distribuisca, divulghi, diffonda o pubblicizzi il materiale pornografico o distribuisca o divulghi notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale dei minori (comma 3), chiunque, al di fuori delle ipotesi dei commi 1, 2 o 3, offra o ceda ad altri, anche a titolo gratuito, il suddetto materiale (comma 4), con aggravamento di pena nei casi del terzo e comma 4 ove il materiale sia di ingente entità. Il sistema è stato poi ulteriormente affinato con la Convenzione di Lanzarote e, come si è detto, la legislazione nazionale ha mostrato nel corso degli anni un rigore crescente.
avvocato penale BolognaDalla lettura dell’art. 600-ter c.p., si evince che ai fini dell’integrazione delle condotte del comma 1, non è necessario il pericolo nè astratto nè concreto della diffusione del materiale, profilo del quale si occupano specificamente i commi successivi con autonome fattispecie di reato, punite con pene inferiori, ad eccezione del comma 2, relativo al commercio per il quale si applica la stessa pena del comma 1. E ciò è rimasto inalterato in tutte le versioni della norma. Ciò conferma la tesi, secondo cui la realizzazione dell’esibizione pornografica, la produzione del materiale pornografico e l’induzione alla partecipazione ad esibizioni pornografiche costituiscono di per sè condotte criminose, per giunta le più gravi. Nè è sostenibile che, laddove non vi sia il pericolo di diffusione, scatti la detenzione dell’art. 600-quater c.p., perchè questa norma è applicabilei laddove sia esclusa ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 600-ter c.p..
Già sono stati esposti i motivi per i quali non appaiono condivisibili gli argomenti delle Sezioni unite n. 13/2000, tutti viziati da un errore di fondo, che lo sfruttamento o l’utilizzazione, che dir si voglia, del minore, pur prescindendo dallo scopo lucrativo, presuppongano pur sempre un “uso esterno” del materiale.
Non è così. Anche la produzione ad uso personale è reato, perchè la stessa relazione, sia pure senza contatto fisico, tra adulto e minore di anni 18, contemplata dall’art. 600-ter c.p., è considerata come degradante e gravemente offensiva della dignità del minore in funzione del suo sviluppo sano ed armonioso.
5.5. La tesi propugnata dalla Cassazione in tutti questi anni appare fuori dal sistema: contraddice la ratio dello stesso art. 600-ter c.p., del successivo art. 600-quater c.p. – che ha ad oggetto la diversa ipotesi della detenzione del materiale pedopornografico prodotto da altri, mentre l’interpretazione attuale finisce con il ricomprendervi anche il materiale prodotto per fini personali, con un’equiparazione irragionevole, siccome le condotte dell’art. 600-ter c.p., comma 1, sono ben più gravi -, nonchè dell’art. 600-quater.1 c.p., sulla pedopornografia virtuale; non risponde all’art. 34 della Convenzione di New York ratificata dall’Italia con L. n. 176 del 1991, nè all’art. 2 del Protocollo opzionale recepito dall’Italia con L. n. 46 del 2002 nè può considerarsi in linea con la lettera della norma del 1998, nè, a maggior ragione, dopo la Decisione quadro del Consiglio, le modifiche normative del 2006 e del 2012.
5.6. Questo Collegio ravvisa pertanto la necessità di una revisione dell’orientamento consolidato della giurisprudenza, dopo le Sezioni unite n. 13/2000. Sebbene il caso riguardi fatti contestati come commessi nel 2009, sotto la vigenza della norma come riformulata nel 2006, l’esame della giurisprudenza della Sezione ha dimostrato come l’interpretazione non sia mutata nonostante l’intentio legis nazionale e sovranazionale in materia di pedopornografia sia diventata sempre più stringente.
5.7. Sennonchè, a decorrere dal 3.8.2017, per effetto della L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 66, che ha introdotto il comma 1-bis nel corpo dell’art. 618 c.p.p. sulle decisioni delle sezioni unite, “se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza la decisione del ricorso”. Tale scelta si impone, vieppiù, nel caso in esame, perchè la Corte di Strasburgo ha censurato la cd overruling interpretativa in malam partem per violazione dell’art. 7 CEDU: si vedano tra le più recenti Corte EDU, III sezione, 17.10.2017, Navalnyye c/Russia, e Grande Camera EDU, 21.10.2013, Del Rio Prada c. Spagna. Non constano precedenti nazionali sulle ricadute della giurisprudenza di Strasburgo nel nostro sistema in subiecta materia, mentre nel caso dell’overruling in bonam partem, le Sezioni unite della Cassazione con sentenza 21.1.2010, n. 18288 PG in proc. Beschi, Rv 246651 hanno affermato che il mutamento di giurisprudenza, intervenuto con decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione, integrando un nuovo elemento di diritto, rende ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell’indulto in precedenza rigettata: la Corte ha precisato che tale soluzione è imposta dalla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con i principi della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, il cui art. 7, come interpretato dalle Corti Europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale. La Corte costituzionale, però, con sentenza n. 230/2012, in un caso in cui il Giudice aveva dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 673 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva la possibilità della revoca del giudicato a seguito di mutamento della giurisprudenza, ha ritenuto non manifestamente irrazionale che il legislatore, per un verso, valorizzasse, anche in ossequio ad esigenze di ordine costituzionale, la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, e delle Sezioni unite in particolare – postulando, con ciò, che la giurisprudenza successiva si uniformasse “tendenzialmente” alle decisioni di queste ultime – e, dall’altro, omettesse di prevedere la revoca delle condanne definitive pronunciate in relazione a fatti che, alla stregua di una sopravvenuta diversa decisione dell’organo della nomofilachia, non erano previsti dalla legge come reato, col risultato di consentire trattamenti radicalmente differenziati di autori di fatti analoghi. Secondo la Corte costituzionale, in altri termini, nel nostro ordinamento, nonostante l’orientamento della Corte di Strasburgo, il cosiddetto diritto vivente non può avere la stessa funzione della legge, sicchè non è idoneo a mettere in discussione il giudicato, soggiungendo, peraltro, che la citata sentenza delle Sezioni unite n. 18288 del 2010 e la sentenza della seconda Sezione 6 maggio 2010-25 maggio 2010, n. 19716 non avevano mancato, infatti, di porre adeguatamente in risalto il netto iato che separava gli istituti esaminati, e riconducibili più correttamente a preclusioni, rispetto al giudicato vero e proprio.
In questo contesto, si appalesa la necessità d’interpellare le Sezioni unite per verificare“Se, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1, con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, sia ancora necessario, stante la formulazione introdotta dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale, come richiesto dalla sentenza a Sezioni unite 31.5.2000 (dep. 5.7.2000), n. 13, confermata dalla giurisprudenza di questa Sezione, anche dopo la modifica normativa citata”.
P.Q.M.
Rimette il procedimento alle Sezioni unite.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2018.
Originally posted 2018-08-06 17:15:48.