OMICIDIO STRADALE, AUTO CAMION PEDONI, AVVOCATO DIFENDE
Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni.
Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni.
La stessa pena si applica al conducente di un veicolo a motore di cui all’articolo 186-bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 285 del 1992, cagioni per colpa la morte di una persona.
CHIAMA SUBITO AFFRETTATI URGENTE 051 6447838
IL TEMPO E’ IMPORTANTE NELLA DIFESA
Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
La pena di cui al comma precedente si applica altresì:
1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona;
2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona;
3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto.
Il reato di omicidio stradale aggravato dalla fuga può concorrere con quello di omessa prestazione di assistenza stradale, in quanto le fattispecie di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 189 cod. strada costituiscono due distinte ipotesi di reato e soltanto la condotta di fuga dopo un incidente stradale è assorbita nella fattispecie complessa di cui al combinato disposto degli artt. 589-bis e 589-ter cod. pen.
Massime relative all’art. 589 bis Codice Penale
Cass. pen. n. 16609/2019
Il reato di omicidio stradale (art. 589 bis c.p.), introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 23 marzo 2016 n. 41, costituisce una figura autonoma di reato e non una fattispecie circostanziata del comune reato di omicidio colposo, la cui applicabilità come norma sopravvenuta più favorevole nel caso di cui al comma VII, (che prevede la riduzione fino alla metà della pena ordinaria della reclusione da due a sette anni “qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole”) non potrebbe tuttavia aver luogo nell’ipotesi che siano state riconosciute al colpevole le attenuanti generiche, valutate come equivalenti all’aggravante di cui all’allora vigente terzo comma dell’art. 589 c.p., giacché per effetto di tali attenuanti la pena minima applicabile sarebbe quella di mesi sei di reclusione, prevista per il reato non aggravato dal primo comma di detto ultimo articolo, mentre quella applicabile ai sensi del comma VII dell’art. 589 bis sarebbe quella di mesi otto.
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Le fattispecie tipizzate negli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen. (omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi e gravissime), introdotti dall’art. 1 della legge 23 marzo 2016, n. 41, costituiscono fattispecie autonome e non ipotesi aggravate dei reati di omicidio colposo e lesioni colpose
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 589-bis, comma settimo, cod. pen., per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede l’applicazione della relativa circostanza attenuante ai fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, trattandosi di norma frutto di una scelta di politica criminale volta a temperare il più rigoroso trattamento sanzionatorio della novella che ha introdotto le norme in tema di omicidio stradale .
Secondo la Cass. pen. n. 13587/2019 Nell’ omicidio stradale, la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis, comma settimo, cod. pen.
non ricorre nel caso in cui sia stato accertato un comportamento della vittima perfettamente lecito e completamente estraneo al decorso causale dell’evento colposo. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza che aveva escluso l’attenuante in relazione ad un tamponamento violento che aveva causato la morte di una persona che, munita di cintura di sicurezza, si trovava alla guida di un’autovettura ferma al semaforo rosso, escludendo che potesse considerarsi fattore concausale, cui rapportare la minore gravità della condotta, il tipo di autovettura della vittima – d’epoca e priva di “air bag”, con telaio leggero e assetto estremamente basso – dotata, comunque, dei requisiti di sicurezza previsti dalla legge per circolare).
Secondo Cass. pen. n. 13103/2019 Nell’omicidio stradale omicidio stradale, la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis, comma settimo, cod. pen., che fa riferimento all’ipotesi in cui l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione od omissione del colpevole, ricorre non solo nelle ipotesi costituite dal contributo concorrente fornito dalla vittima nella determinazione dell’evento, ma anche in ogni altra ipotesi che sia dipesa dalla condotta di altri conducenti e da altri fattori esterni da individuarsi di volta in volta.
In tema di omicidio stradale, il testo dell’art. 589-bis, comma 2, c.p. non riconduce la fattispecie aggravata all’ipotesi in cui lo stato di ebbrezza sia la causa del sinistro mortale, ma indica nello stato di ebbrezza il presupposto di applicazione dell’aggravante. Il legislatore, infatti, stabilisce l’aggravamento per l’ipotesi in cui il conducente, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica, cagioni, per la violazione delle norme sulla circolazione stradale, la morte di una persona.
Del resto, che la guida in stato di ebbrezza costituisca di per sé il presupposto applicativo dell’aggravante, ancorché non incidente sulla causazione del sinistro, si desume anche dalla scelta legislativa di introdurre con la fattispecie autonoma dell’omicidio stradale un reato complesso in cui la contravvenzione di cui all’art. 186 c. strad. perde la propria autonomia.
V
OMICIDIO STRADALE BOLOGNA , AUTO CAMION PEDONI, AVVOCATO DIFENDE
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OMICIDIO STRADALE TREVISO , AUTO CAMION PEDONI, AVVOCATO DIFENDE
Cassazione Penale, Sez. 4, 14 marzo 2022, n. 8442 – Caduta mortale durante le operazioni di carico del camion dal silo. Responsabilità nei confronti del terzo estraneo all’azienda
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 16/12/2021
Fatto
- Con sentenza del 18.2.2020, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado – che aveva assolto gli amministratori della ditta Molino Mangimificio O. S.n.c. (Angelo, Matteo e Luigi O.) e condannato l’amministratore della ditta AgriG. S.r.l. (E.G.) per il reato di cui all’imputazione – ha dichiarato Angelo O. e Matteo O. responsabili civilmente, in accoglimento dell’appello proposto dalle parti civili, e confermato la condanna di E.G. in ordine al reato di omicidio colposo in danno di E.P., aggravato per la violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
2. La vicenda è stata ricostruita, in sintesi, come segue dai giudici di merito. Verso le ore 15.00 del 22.4.2011, E.P., autista della ditta Molino Mangimificio O. (d’ora in poi, Molino), nel corso di una ordinaria procedura di carico di granaglie da un silo (della ditta AgriG., amministrata dal G.) all’autocisterna condotta dal E.P., era caduto dalla sommità del veicolo, da un’altezza di alcuni metri, riportando gravi lesioni che ne avevano cagionato il decesso. L’autista aveva collocato l’autocisterna sotto il silo per effettuare il carico, e due sezioni della cisterna risultavano già riempite quando era caduto (mentre altre due erano ancora vuote), a riprova del fatto che l’infortunio era avvenuto in occasione delle operazioni di carico. La motrice del veicolo era stata posizionata con il silo sul lato destro (invece che sul lato sinistro): in tal modo, l’asta di ferro di 3 metri che era manovrata dal pulpito, al fine di consentire la discesa dei cereali nei boccaporti, andava ad interferire con il lato della cisterna sulla sommità della quale era collocata la passerella antisdrucciolo, non consentendo neanche di sollevare la ringhiera che fungeva da parapetto a quella passerella (cui il lavoratore si sarebbe potuto agganciare con l’imbragatura appositamente predisposta ma non utilizzata). La decisione di operare in tal modo era stata ricondotta alla riscontrata presenza di un tronchetto in ferro ortogonale, agganciato alla sbarra di 3 metri, che aveva in pratica la stessa funzione del volante posto sul pulpito, consentendo di eseguire la rotazione dell’asta di comando della saracinesca della tramoggia, stando direttamente sulla parte superiore del camion e quindi senza che alcuno dovesse salire sul pulpito. Se ne era desunto che l’autista era caduto proprio nel mentre si accingeva ad agire su quel tronchetto al fine di aprire la tramoggia ed iniziare così il carico sotto i comparti ancora vuoti. Al momento dell’incidente era presente sul posto, per la ditta AgriG., solo E.G., il quale, dopo aver pesato a vuoto il camion prima dell’inizio delle operazioni di carico, non aveva seguito l’autista, lasciando che questi provvedesse in autonomia a caricare l’autocisterna, servendosi appunto del sopra descritto marchingegno.
3. La Corte di appello ha quindi confermato il profilo di responsabilità del G., delineato nell’aver consentito lo svolgimento delle operazioni di carico al E.P. senza l’assistenza di altro operatore incaricato di azionare l’apertura della tramoggia a mezzo del volante situato sul pulpito e in difetto delle condizioni di sicurezza, a causa dell’impossibilità, derivante palla conformazione del silo, di avvalersi della barriera anticaduta posta alla sommità della cisterna.
I giudici territoriali hanno anche ritenuto fondato l’appello proposto dalle parti civili nei confronti degli O.. Partendo dal presupposto della continuità e intensità dei rapporti in essere tra le ditte Molino e AgriG. (in relazione alla regolare fornitura di cereali ma anche di affidamento delle granaglie nei silos per l’essiccazione), la Corte di merito ha ritenuto che l’area aziendale di AgriG. fosse uno di quei luoghi ove i camionisti della Molino svolgevano con frequenza il loro lavoro, addebitando agli O. l’omessa verifica preliminare delle condizioni di sicurezza garantite da quel luogo di lavoro, onde verificare che vi fossero le condizioni perché le misure di prevenzione esistenti sui camion potessero essere correttamente poste in funzione e perché fosse esclusa qualsiasi interferenza operativa dei propri dipendenti con attività di esclusiva spettanza del personale di AgriG..
4. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione gli imputati di seguito indicati, a mezzo dei rispettivi difensori.
5. E.G. lamenta quanto segue.
I) Violazione di legge, in relazione alla mancata dichiarazione di nullità/invalidità della notificazione del decreto di differimento dell’udienza di trattazione, per omesso avviso e conseguente assenza del difensore di fiducia alle udienze dibattimentali del 23.4.2017 e del 5.5.2017, nonché degli atti procedimentali conseguenti.
Si deduce che, con provvedimento fuori udienza del 24.1.2017, il Tribunale disponeva il differimento della prima udienza dibattimentale del 7.2.2017 alla diversa data del 24.3.2017. Il decreto di differimento veniva notificato a mezzo posta al difensore di fiducia del G., con raccomandata spedita in data 8.2.2017 e recapitata senza esito il 14.2.2017, indicante come destinatario l’avv. Pierluigi Soprani (in luogo del nominativo esatto: Pierguido Soprani). Ne è conseguita l’assenza del difensore dalle udienze del 24.3.2017 e del 5.5.2017 e la relativa nullità degli atti successivi.
II) Violazione di legge, per violazione del principio di immutazione del fatto e del principio di correlazione tra imputazione e sentenza.
Si deduce che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto non fondata l’eccezione di mutatio libelli, per avere il Tribunale, rispetto all’originaria contestazione di violazione dell’art. 26, comma 3 e dell’art. 71, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008, contestato la diversa condotta della “cessione in uso”, corrispondente alla violazione dell’art. 72, comma 2, d.lgs. n. 81/2008, e l’ulteriore condotta violativa dell’art. 73 d.lgs. n. 81 cit., per non avere il ricorrente “vietato l’uso” delle attrezzature della AgriG. agli autisti di altre ditte.
III) Violazione del diritto dell’imputato ad essere informato in ordine alla riqualificazione giuridica dell’imputazione operata dai giudici di merito.
Si deduce che la diversa qualificazione giuridica del fatto di reato operata dal Tribunale appare contraria ai principi espressi nell’art. 6 della CEDU, non avendo consentito un’adeguata difesa all’imputato, quantomeno in relazione all’addebito del c.d. “divieto di uso”.
IV) Vizio di motivazione, in relazione alla mancata utilizzazione delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato G. nel corso del sopralluogo di p.g. del 29.4.2011.
Si deduce che in tale occasione il ricorrente ebbe modo di dichiarare agli ispettori dell’ASL di Mantova che, dopo aver eseguito la pesatura a vuoto dell’autocisterna guidata dal E.P., si era recato presso il quadro comandi dei silos per caricare il piccolo silo di carico con il mais immagazzinato nei silos principali; cinque minuti dopo, recatosi nella zona di carico, si era accorto che l’autista era a terra. Tali dichiarazioni sono state ingiustificatamente ignorate dai giudici di merito, nonostante dimostrino che al momento di verificazione del sinistro egli si trovasse in altra area dell’azienda agricola, intento a riempire il silo.
V) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di profili di colpa specifica.
Quanto all’art. 71, si deduce che difetta la prova che il G. abbia messo a disposizione del E.P. il silo quale attrezzatura di lavoro, in assenza di una relazione assimilabile al binomio “datore di lavoro-lavoratore”. Al più si potrebbe trattare di un profilo di colpa generica, per cui il reato sarebbe estinto per intervenuta prescrizione.
Quanto all’art. 73, nonostante l’assenza della necessaria e imprescindibile relazione “datore di lavoro-lavoratore”, si deduce che la Corte territoriale ha indebitamente assimilato il E.P. ad un vero e proprio “operatore” utilizzante l’attrezzatura di lavoro; si aggiunge che l’art. 73 cit. afferisce all’obbligo della “informazione, formazione e addestramento” del lavoratore dipendente da parte del datore di lavoro, relazione nel caso insussistente. In ogni caso il E.P. era adeguatamente formato ed era perfettamente a conoscenza della funzione del “tronchetto” che fungeva da comando manuale aggiuntivo della barra che azionava la tramoggia del silo.
VI) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla selezione dei garanti ex art. 40 cpv. cod. pen.
Si deduce che la sentenza impugnata, contraddittoriamente, da un lato ha individuato il ricorrente quale gestore del rischio di caduta dall’alto cui fu esposto il E.P.; dall’altro, in relazione alla stessa tipologia di rischio, ha chiamato in causa la concorrente responsabilità dei coimputati O., titolari della ditta Molino, quali datori di lavoro dell’infortunato. Non spettava al G. sostituirsi ai titolari naturali della posizione di garanzia di ambito prevenzionistico, tali essendo i titolari della ditta Molino. Il G. non ha mai messo a disposizione, né concesso all’infortunato, l’uso dell’attrezzatura, né aveva un obbligo di intervenire in supplenza dei titolari della ditta Molino. Era semmai compito della Molino promuovere, nella sua qualità di committente, la cooperazione e il coordinamento con la ditta AgriG..
VII) Violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ricostruzione del nesso causale.
Si deduce l’illogicità dell’affermazione secondo cui il mancato utilizzo della cintura di sicurezza da parte del E.P. è stato un effetto necessitato da una scelta imputabile al G., senza interrogarsi se le modalità dell’ingresso fossero state a loro volta necessitate in ragione della conformazione dei luoghi oppure frutto di una decisione autonoma del E.P.. Quest’ultimo salì sulla sommità dell’autocisterna senza indossare i prescritti dispositivi di sicurezza, ma non perché costretto ma per una scelta volontaria di autoesposizione al rischio, in violazione dell’art. 20, comma 2, lett. b), c), d) d.lgs. n. 81/2008. Solo l’adesione volontaria dell’autista all’obiettivo di tutela della propria sicurezza avrebbe scongiurato l’evento infortunistico, rendendolo concretamente evitabile.
VIII) Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale.
Si deduce che l’apprezzamento delle condizioni economiche del ricorrente è stata effettuata in maniera tautologicamente assertiva, con analisi generica quanto all’entità delle “immobilizzazioni immateriali” della società AgriG..
6. Matteo O. e Angelo O. lamentano quanto segue.
I) Violazione di legge, per erronea applicazione dell’art. 26 d.lgs. n. 81/2008. Si evidenzia che la sentenza impugnata abbia sostanzialmente ritenuto che i rapporti tra le due ditte coinvolte integrino nel caso di specie un rischio interferenziale ai fini del decreto legislativo n. 81, così deducendone in capo alla Molino tutti i conseguenti obblighi giuridici di garanzia e tutela connessi. Tale rischio è stato desunto in via esclusiva dall’asserita continuità e intensità dei rapporti in essere tra le due ditte, da cui deriverebbe l’individuazione quale “luogo di lavoro” dei locali della ditta AgriG..
Si contesta che la ditta AgriG. possa essere considerata luogo di lavoro o luogo assimilabile ad un cantiere, in relazione alla natura dei rapporti commerciali sussistenti fra le due aziende. La Molino non aveva la disponibilità giuridica dei luoghi e l’infortunio si è verificato fuori dall’azienda del “preteso” committente Molino. L’unico soggetto che aveva la disponibilità giuridica dei luoghi dell’infortunio era la ditta AgriG. ed il suo amministratore E.G., il quale aveva modificato lo stato dei luoghi, montando un comando diverso e nascosto rispetto a quello originario.
Si deduce che nessuna indagine è stata svolta dalla Corte territoriale sulla qualificazione giuridica del rapporto fra le imprese AgriG. e Molino proprio ai fini della sussistenza dell’art. 26 d.lgs. n. 81/2008. Non vi era alcun appalto o alcuna lavorazione che i dipendenti della Molino dovessero eseguire presso la AgriG.. Si trattava semplicemente del carico di merce presso un’impresa fornitrice. Le manovre di carico avrebbero dovuto essere eseguite dal solo personale della AgriG..
Si osserva che il comando di Molino ai propri autisti era quello di effettuare la propria mansione di autista, ma non quella di sostituirsi nelle mansioni di addetti delle altre ditte né di utilizzare la loro attrezzatura. Il lavoratore era stato adeguatamente formato sull’uso dei presidi di sicurezza e sul divieto di salire sulla sommità dell’autocisterna senza che fossero utilizzate le misure previste (cintura di sicurezza e ringhiera parapetto aperta).
II) Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al nesso causale.
Si ribadisce che la ditta Molino aveva comandato al E.P. di svolgere solo la propria mansione di autista e di usare i presidi di sicurezza. Nel caso la condotta del lavoratore ha palesemente violato le istruzioni ricevute dal proprio datore di lavoro; la AgriG. aveva artatamente modificato le attrezzature per aprire il silo e far scendere le granaglie, tramite il tronchetto in ferro ortogonale che consentiva di aprire la saracinesca dalla sommità del camion; non risulta provato che i ricorrenti sapessero della modifica in questione e quindi della pratica di procedere al carico da parte dello stesso autista; gli stessi ufficiali di p.g. non hanno notato subito il dispositivo in questione, ma solo nel corso di un sopralluogo successivo; il G. non ha seguito il E.P. dopo la pesatura a vuoto del camion, lasciando che l’autista provvedesse da solo al carico, mediante l’uso del tronchetto. Tali condotte abnormi non erano in alcun modo controllabili ed evitabili da parte dei ricorrenti.
Diritto
- Il ricorso proposto da E.G. non è fondato e va, pertanto, respinto; consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
1.1. Il primo motivo – con cui si deduce la mancata dichiarazione di nullità/invalidità della notificazione del decreto di differimento dell’udienza di trattazione, per omesso avviso e conseguente assenza del difensore di fiducia alle udienze dibattimentali del 23.4.2017 e del 5.5.2017, nonché degli atti procedimentali conseguenti – è inammissibile, in quanto reiterativo di questione già affrontata ed esaminata correttamente dalla Corte territoriale, secondo argomentazioni rispetto alle quali la doglianza non si confronta, peccando sotto questo profilo anche di aspecificità.
I giudici territoriali hanno evidenziato come nelle due udienze dianzi indicate, alle quali il difensore non aveva partecipato, il processo era stato rinviato per motivi di astensione di categoria, per cui non si era svolta alcuna attività processuale. Alla terza udienza, di apertura del dibattimento, il difensore era presente e non sollevò questioni. La Corte distrettuale, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, ha escluso che l’eventuale nullità derivante dall’assenza del difensore si fosse trasmessa agli atti successivi, ai sensi del 185 cod. proc. pen., non essendosi verificata, nel caso, alcuna lesione del diritto di difesa. Infatti, va qui ribadito che quando una violazione processuale non determina, in concreto, alcun pregiudizio ai diritti di difesa, deve escludersi che la eventuale nullità possa estendersi anche agli atti successivi, ai sensi dell’art. 185 cod. proc. pen., in quanto tale effetto si produce solo quando sia stato effettivamente condizionato il compimento degli atti che sono conseguenza necessaria ed imprescindibile di quello nullo e non degli atti che si pongono semplicemente in obbligata sequenza temporale con quest’ultimo (cfr. Sez. 6, n. 33261 del 03/06/2016, Rv. 267670 – 01). Peraltro, in tema di legittimo impedimento del difensore, l’omesso rinvio dell’udienza determina la nullità assoluta degli atti, soltanto nei casi in cui all’udienza, alla quale il difensore non ha potuto partecipare, sia stata compiuta attività processuale rilevante ed incidente sulla decisione finale (cfr. Sez. 1, n. 479 del 17/11/2015 – dep. 2016, Rv. 265854 – 01). Nella specie, come si è detto, nessuna attività processuale era stata compiuta nelle due udienze svoltesi in assenza del difensore.
1.2. Il secondo motivo – con cui si deduce violazione del principio di immutazione del fatto e del principio di correlazione tra imputazione e sentenza – e privo di pregio, alla luce del costante insegnamento della Corte regolatrice, secondo cui, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere, agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (cfr. Sez. 4, n. 7940 del 25/11/2020, dep. – 2021, Rv. 280950 – 01). Inoltre, nei procedimenti per reati colposi, il mutamento dell’imputazione, e la relativa condanna, per colpa generica a fronte dell’originaria formulazione per colpa specifica non comporta mutamento del fatto e non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l’imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell’addebito (cfr. Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Rv. 274500 – 02), condizione certamente ricorrente nel caso di specie.
1.3. Il terzo motivo – con cui si lamenta violazione del diritto dell’imputato ad essere informato in ordine alla riqualificazione giuridica dell’imputazione operata dai giudici di merito – è infondato per le stesse ragioni rappresentate nel paragrafo che precede; né risulta dimostrato che, sul punto specifico, sia stato concretamente violato il diritto di difesa dell’imputato. Peraltro, si tratta di motivo non decisivo, in quanto, anche a volerlo ritenere fondato in relazione all’addebito del c.d. “divieto di uso”, rimarrebbero comunque in piedi gli altri profili di colpa individuati dai giudici di merito.
1.4. Il quarto motivo – con cui si deduce vizio di motivazione in relazione alla mancata utilizzazione delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato G. nel corso del sopralluogo di p.g. del 29.4.2011 – è inammissibile, trattandosi di censura che sviluppa considerazioni di merito non consentite in questa sede. Peraltro, la doglianza non è decisiva, trattandosi di dichiarazioni spontanee dell’imputato che rappresentano una situazione non incompatibile con le accuse mosse nei suoi confronti, che sono essenzialmente quelle di aver “lasciato solo” l’autista del camion nel corso delle operazioni di carico.
1.5. Il quinto motivo – con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei riscontrati profili di colpa specifica di cui agli artt. 71 e 73 d.lgs. n. 81/2008- sviluppa rilievi inconsistenti e non decisivi, inidonei a fondare l’annullamento della decisione impugnata, posto che il rispetto della regola cautelare di tipo infortunistico vale anche nei confronti di soggetti terzi che si trovino ad operare nell’azienda, non essendo allo scopo necessaria la sussistenza del rapporto datore di lavoro-dipendente.
Va precisato che, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante del “fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”, é necessario e sufficiente che venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori, e che l’evento sia concretizzazione di tale rischio “lavorativo” (cfr. Sez. 4, n. 32899del 08/01/2021, Rv. 281997 — 01).
In materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, appartiene al gestore del rischio connesso all’esistenza di un cantiere (o di un’azienda, come nella specie) anche la prevenzione degli infortuni di soggetti a questo estranei, ancorché gli stessi tengano condotte imprudenti, purché non esorbitanti il tipo di rischio definito dalla norma cautelare violata (cfr. Sez. 4, n. 38200 del 12/05/2016, Rv. 267606 — 01). In tema di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa, di talché, ove in tali luoghi si verifichino, a danno del terzo, i reati di lesioni o di omicidio colposi, é ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, purché sussista, tra siffatta violazione e l’evento dannoso, un legame causale e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi, e sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all’attività e all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell’infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico (cfr. Sez. 4, n. 32178 del 16/09/2020, Rv. 280070 — 01). Se é vero, infatti, che la qualifica di lavoratore, creditore della sicurezza sul luogo di lavoro, nella disposizione dettata dall’art.2, d.lgs. n. 626/1994, era imperniata sull’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, é però anche vero che la giurisprudenza di legittimità aveva già evidenziato nella vigenza del d.lgs. n. 626 (Sez. F, 21 agosto 2007, n. 34995, Nacci, n.m.) che il testo dell’art. 2 modificato nel 1996 aveva posto l’accento, ai fini dell’individuazione della figura del datore di lavoro, non tanto sulla titolarità del rapporto di lavoro, quanto sulla responsabilità dell’impresa, sull’esistenza di poteri decisionali, facendo sostanzialmente leva sul parallelismo fra la titolarità di poteri di organizzazione e gestione e il dovere di predisporre le necessarie misure di sicurezza. Tale ordine concettuale é stato poi accentuate dal venir meno, nella definizione di <<lavoratore>> presente nell’art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2008, di ogni riferimento al rapporto di subordinazione; la normativa in tema di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro é stata, conseguentemente, in più occasioni ritenuta operante in relazione a tutte le forme di lavoro, anche nelle ipotesi in cui non sussistesse un formale rapporto di lavoro (Sez. 4, n. 17581 del 01/04/2010, Montrasio, Rv. 247093), fino ad ampliare l’ambito di esplicazione della posizione di garanzia a favore di terzi che frequentino le strutture aziendali (Sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010 , Quaglierini, Rv. 248850).
Si tratta di insegnamenti che valgono, a maggior ragione, anche nel caso di specie, in cui il G. (imprenditore) ha consentito al E.P. (terzo estraneo all’azienda) di avvalersi delle strutture aziendali, ed in particolare di accedere al silo in modo da potervi operare autonomamente, senza però assicurare al E.P. le condizioni di sicurezza nell’utilizzo delle attrezzature stesse, in tal modo violando i profili di colpa specifica dianzi accennati, che devono trovare applicazione a prescindere dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti in causa.
1.6. Il sesto motivo – con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla selezione dei garanti ex art. 40 cpv. cod. pen. – è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale correttamente individuato il ricorrente quale gestore del rischio di caduta dall’alto cui fu esposto il E.P., trattandosi delle attrezzature di lavoro della propria ditta, in nessun modo riconducibile agli O. (sulla cui posizione v. infra). Non sussiste, quindi, alcuna manifesta illogicità o errore in diritto in relazione alla individuata posizione di garante del G. rispetto all’infortunio sul lavoro per cui è processo.
1. 7. Il settimo motivo – con cui si contesta la ricostruzione operata dai giudici di merito in punto di nesso causale – è privo di pregio e ai limiti della inammissibilità, sviluppando in parte censure di merito non consentite in questa sede, a fronte di una sentenza che ha adeguatamente motivato in punto di responsabilità del G., trattandosi di evento dannoso verificatosi in ragione delle specifiche condotte colpose addebitate al medesimo, avendo costui consentito e non impedito che l’autista agisse da solo nell’operazione di riempimento dell’autocisterna dal silo, esponendolo al rischio di caduta che non è stato adeguatamente gestito dal ricorrente nell’ambito del suo spazio aziendale.
1.8 L’ottavo motivo – in tema di apprezzamento delle condizioni economiche del ricorrente in relazione alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale – è infondato, atteso che la motivazione della sentenza impugnata sul punto non è manifestamente illogica e parte ricorrente non adduce alcun concreto elemento a sostegno della dedotta incapacità del G. di soddisfare la condizione imposta. Del resto, il giudice di appello, pronunciandosi su impugnazione della parte civile, può subordinare la sospensione condizionale al pagamento di una provvisionale, essendo tale istituto funzionale a soddisfare le esigenze di anticipazione della liquidazione del danno in favore della parte civile, causate dalla durata del processo (Sez. 5, n. 11738 del 30/01/2020, Rv. 278929 – 01).
2. Il ricorso proposto dagli O. è, invece, fondato.
2.1. Coglie nel segno la difesa dei ricorrenti, là dove evidenzia come la sentenza impugnata incorra in violazione di legge e non abbia adeguatamente motivato in ordine alla circostanza che la ditta AgriG. possa essere considerata luogo di lavoro o luogo assimilabile ad un cantiere della Molino, in relazione alla natura dei rapporti commerciali sussistenti fra le due aziende.
Dalla lettura della sentenza non è dato comprendere come possa essere affermato che la ditta Molino avesse la disponibilità giuridica dei luoghi; in realtà, sembra essere vero il contrario, con la conseguenza che, in tal caso, l’infortunio si sarebbe verificato fuori dall’azienda del “preteso” committente Molino.
Sulla base dei fatti accertati, in effetti (ed anche sulla base della riconosciuta posizione di responsabilità del G.), sembra piuttosto evincersi che l’unico soggetto che aveva la disponibilità giuridica dei luoghi dell’infortunio fosse la ditta AgriG. ed il suo amministratore E.G., tanto che il medesimo aveva modificato lo stato dei luoghi, montando, per l’apertura del silo, un comando diverso e nascosto rispetto a quello originario.
I giudici territoriali non hanno svolto alcun approfondimento in ordine al tipo di rapporto esistente fra le due ditte, dando per scontato che gli O. avrebbero dovuto verificare di persona le condizioni di lavoro della ditta AgriG., senza però specificare sulla base di quale norma di legge o disposizione contrattuale si sarebbe fondato un tale obbligo giuridico a carico dei ricorrenti.
Sulla base di quanto accertato, gli autisti della ditta Molino si limitavano a caricare i camion presso la ditta AgriG.: apparentemente si trattava di un normale rapporto cliente-fornitore, per cui non è dato comprendere il rilievo della sentenza impugnata, nella parte in cui afferma che gli O. avrebbero dovuto effettuare una verifica preliminare delle condizioni di sicurezza garantite dalla ditta AgriG., al fine di escludere “la possibilità di una qualche interferenza operativa dei propri dipendenti con attività invece di esclusiva spettanza del personale di AgriG.”. Al di là della genericità di un simile argomento, l’iter motivazionale appare illogico e contraddittorio, oltre che erroneo in diritto, laddove individua un presunto rischio interferenziale gravante sugli O. mentre, allo stesso tempo, esso viene di fatto escluso in relazione alla posizione di responsabilità del G., correttamente individuato quale unico gestore del rischio attinente alle operazioni di carico del camion dal silo teatro dell’incidente.
2.2. I vizi logico-giuridici da cui è affetta la sentenza impugnata in relazione alla posizione di O. Angelo e O. Matteo ne giustifica l’annullamento in parte qua, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale provvederà anche alla regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di O. Angelo ed O. Matteo e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Rigetta il ricorso di G. Ernesto che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 dicembre 2021
Originally posted 2021-11-27 11:04:41.