OBBLIGHI ASSISTENZA FAMIGLIARE ART 570 CP? LO SAPEVI ? ATTENZIONE !!!

OBBLIGHI ASSISTENZA FAMIGLIARE ART 570 CP? LO SAPEVI ? ATTENZIONE !!!

Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale [c.c. 316], [alla tutela legale] [c.c. 348; c.p. 371, 372] o alla qualità di coniuge [c.c. 143, 147], è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032 3 4 5.

REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampa

Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:

  1. malversa o dilapida i beni del figlio minore [c.p. 540]o del pupillo [c.c. 343, 414]o del coniuge;
  2. fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti [c.c. 75]di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma 6.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge .

1 Vedi l’art. 18 , primo comma, R.D. 31 maggio 1928, n. 1334, in materia di professioni sanitarie.

2 La Corte costituzionale, con sentenza 24 febbraio-3 marzo 1972, n. 42 (Gazz. Uff. 8 marzo 1972, n. 65), ha dichiarato, tra l’altro, non fondate le questioni di legittimità del presente articolo, in riferimento, la prima, agli artt. 13, primo comma, 16, primo comma, 25, secondo comma e 29, secondo comma Cost., e la seconda agli artt. 23 e 29 Cost.

In ordine al reato di cui all’art. 570 c.p. lo stato di bisogno di un figlio minorenne non è eliso dal fatto che all’erogazione dei mezzi di sussistenza provveda l’altro genitore e gli ascendenti della stessa, perché persiste comunque l’obbligo di entrambi i genitori di provvedere al mantenimento dei figli minorenni.

REATI CONTRO LA FAMIGLIA – Delitti contro l’assistenza familiare – Violazione degli obblighi di assistenza familiare – In genere – Art. 570-bis cod. pen. – Assegno di divorzio concordato dai coniugi – Omesso versamento – Configurabilità del reato – Ragioni

Integra il delitto di cui all’art. 570-bis cod. pen. l’omessa corresponsione dell’assegno divorzile attribuito su domanda congiunta di divorzio dei coniugi, posto che gli effetti relativi ai rapporti economici tra gli stessi, anche se risultanti dagli accordi intervenuti, si producono per mezzo della pronuncia del tribunale, che decide con sentenza all’esito della valutazione dei presupposti di cui all’art. 4 legge 1 dicembre 1970, n. 898. (Annulla in parte con rinvio, CORTE APPELLO FIRENZE, 08/11/2019)

Corte d’Appello Ancona, Sentenza, 20/05/2021, n. 366

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta “in re ipsa” una condizione soggettiva dello stato di bisogno, con il conseguente obbligo per i genitori di contribuire al loro mantenimento, assicurando ad essi detti mezzi di sussistenza. In proposito, nella nozione penalistica dei mezzi di sussistenza, richiamata dall’art. 570, comma 2, n. 2 c.p., debbono, nell’attuale dinamica evolutiva degli assetti e delle abitudini di vita familiare e sociale, ritenersi compresi non più e non soltanto i mezzi per la sopravvivenza vitale, ma anche gli strumenti che consentano un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana; mezzi, i primi e i secondi, da apprezzarsi in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato.

In tema di reati contro la famiglia, ed in particolare di reati tra coniugi, occorre di volta in volta verificare se la condotta irrispettosa dell’un coniuge verso l’altro abbia carattere meramente estemporaneo ed occasionale, nel senso che sia solo l’espressione reattiva di uno stato di tensione, che comunque può sempre verificarsi nella vita di coppia, nel qual caso si dovrà eventualmente fare richiamo a figure criminose estranee ai delitti contro la famiglia e rientranti tra quelli contro la persona, oppure se la detta condotta si concreti nella inosservanza cosciente e volontaria dell’obbligo di assistenza morale ed affettiva verso l’altro coniuge, obbligo che scaturisce dal vincolo matrimoniale e che ha la finalità di garantire che l’altro coniuge – in caso di difficoltà – non sia mai lasciato solo a se stesso, nel qual caso si versa nell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 570, primo comma, cod. pen; oppure, ancora, se la condotta anti doverosa assuma connotati di tale gravità da costituire, per il soggetto passivo, fonte abituale di sofferenze fisiche e morali, nel qual caso l’ipotesi delittuosa configurabile è quella di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen..

n tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non sono configurabili i reati di cui agli articoli 12 sexies legge 1 dicembre 1970, numero 898 e 570 del codice penale qualora gli ex coniugi si siano attenuti ad accordi transattivi conclusi in sede stragiudiziale pur quando questi non siano trasfusi nella sentenza di divorzio che nulla abbia statuito in ordine alle obbligazioni patrimoniali.

‘ipotesi di reato prevista dall’art. 570, primo comma, c.p., come quella prevista dal comma secondo della medesima disposizione, presuppongono entrambe la minore età del figlio non inabile al lavoro e vengono meno con l’acquisizione della capacità di agire da parte del minore conseguente al raggiungimento della maggiore età. Conseguentemente, la violazione degli obblighi di assistenza economica nei confronti dei figli maggiorenni non autosufficienti, ove non inabili al lavoro, non solo non è punita a norma dell’art. 570, primo comma, c.p., che ha riguardo solo ai figli minori, atteso il riferimento agli obblighi inerenti la potestà genitoriale, ma è perseguibile soltanto ove ricorra la diversa ipotesi di reato previsto dall’art. 570-bis c.p.

Cass. pen., Sez. VI, Sent., (data ud. 06/09/2021) 03/11/2021, n. 39532

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISCUOLO Anna – Presidente –

Dott. GIORDANO E. – rel. Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – Consigliere –

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –

Dott. PATERNO’ RADDUSA B. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.M., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 21/7/2020 della Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Emilia Anna Giordano;

sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Lori Perla, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.

Svolgimento del processo

  1. B.M. impugna la sentenza indicata in rubrica che ne ha confermato la condanna per i reati di maltrattamenti in famiglia (art. 572c.p.) e atti persecutori (art. 612-bisc.p., commi 1 e 2), unificati ai sensi dell’art. 81, comma 2, c.p., in danno della convivente C.C.. L’imputato è stato condannato, con la diminuente del rito, alla pena finale di anni uno e mesi sei di reclusione di cui un mese di reclusione inflitto in aumento per il reato di cui all’art. 612-bis c.p..
  2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, denuncia violazione di legge in relazione al reato di cui all’art. 612-bisc.p. perchè, erroneamente, detto reato non è stato ritenuto assorbito il quello di maltrattamenti in famiglia. L’errore di diritto discende, ed è questo l’oggetto del secondo motivo di ricorso, dal vizio di motivazione avendo la Corte di merito trascurato che le condotte dell’imputato venivano poste in essere immediatamente dopo la cessazione della convivenza e, comunque, perdurando i vincoli di solidarietà familiare in forza del precedente rapporto di convivenza dal quale erano nati due figli della coppia.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso deve essere rigettato perchè proposto per motivi infondati.

La Corte di appello, sulla base di una puntuale ricostruzione in fatto del rapporto tra imputato e persona offesa, ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti da questa Corte, che discendono dalla ricostruzione degli elementi costitutivi dei reati di cui agli artt. 572 c.p. e 612-bis c.p. e dall’applicazione di principi generali in materia di determinatezza delle fattispecie penali e divieto di applicazione analogica.

2.In fatto è accertato – e non è neppure messo in discussione dal ricorrente – che imputato e persona offesa avevano avviato dall’anno 2004 una stabile relazione affettiva e di convivenza dalla quale erano nati due figli e che già nella primavera del 2014, la donna, esasperata dai soprusi subiti, aveva lasciato la comune abitazione.

In seguito, la donna aveva ripreso la convivenza cedendo alle promesse del compagno fino a quando, nell’aprile del 2015, constatato che non si era prodotto lo sperato cambiamento, aveva interrotto definitivamente la relazione. La donna, tornata nell’ex casa comune dopo un breve periodo nel quale era stata ospite dei genitori, aveva cambiato la serratura della porta di casa, ma l’imputato era solito presentarsi a casa suonando insistentemente il campanello per farsi aprire e bussando anche a casa dei vicini per avere accesso alle aree condominiali, con corredo di minacce e insulti telefonici alla persona offesa protrattisi nel tempo anche dopo che la donna si era decisa a sporgere querela. Non aveva mancato, infine, l’imputato di contattare i colleghi della ex convivente sui social per metterla in cattiva luce.

Sulla base di questi elementi, i Giudici del merito hanno ritenuto che i fatti accertati – come detto incontestati nella loro materialità e negli effetti destabilizzanti sulla vita della persona offesa alla quale avevano ingenerato uno stato di ansia tale da modificarne le abitudini – erano stati ricondotti alla fattispecie del delitto di maltrattamenti, per le condotte commesse fino ad (OMISSIS), e a quella di cui all’art. 612-bis c.p., i fatti commessi da (OMISSIS), non potendo, a seguito della cessazione di convivenza, essere sussunti nel delitto di maltrattamenti in famiglia.

3.Tale conclusione è, comunque, affatto pacifica nella giurisprudenza di questa Corte.

Accanto alla netta affermazione secondo cui è configurabile l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (prevista dall’art. 612-bis c.p., comma 2) in presenza di condotte di abuso che, sorte nell’ambito di una comunità familiare o a questa assimilata, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale (Sez. 6, n. 30704 del 19/5/2016, D’A., Rv. 267942; Sez. 5, n. 41665 del 04/05/2016, C. Rv. 268464; Sez. 6, n. 24575, del 24/11/2011 (dep. 2012), Frasca, Rv. 252906) sono state ricondotte, invece, al delitto di cui all’art. 572 c.p. condotte abusanti realizzate in assenza della convivenza, poste in essere in situazioni di condivisa genitorialità, valorizzando il rapporto di convivenza pregressa e la stabilità della relazione affettiva (Sez.6, n. 37628 del 25/06/2019, C., Rv.276697; Sez. 3, n. 43701 del 12/06/2019, C. Rv. 277987; Sez. 6, n. 25498 del 20/04/2017, S., Rv. 270673). Anche in una più recente sentenza (cfr. Sez. 6, n. 79129 del 19/5/2011, Rabottini, n. m.) questa Corte, ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 572 c.p., ha valorizzato l’intensità della relazione conseguente dagli obblighi derivanti dall’esercizio congiunto della potestà genitoriale verso i figli accompagnata dalla esistenza di un perdurante rapporto sentimentale-affettivo tra l’imputato e la persona offesa. In un’ altra decisione si è affermato che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe quello di atti persecutori quando, nonostante l’avvenuta cessazione della convivenza, la relazione tra i soggetti rimanga comunque connotata da vincoli solidaristici, mentre si configura il reato di atti persecutori, nella forma aggravata prevista dall’art. 612-bis c.p., comma 2, quando non residua neppure una aspettativa di solidarietà nei rapporti tra l’imputato e la persona offesa, non risultando insorti vincoli affettivi e di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale (Sez. 6, n. 37077 del 03/11/2020, M., Rv. 280431).

Secondo la prospettazione del ricorrente, seguendo questa linea esegetica, il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. ascritto all’imputato è assorbito in quello di maltrattamenti con conseguente elisione della pena applicatagli in aumento poichè permanevano con la ex compagna, in quanto genitori di due figli, vincoli di solidarietà e assistenza.

Il fondamento della sussunzione della condotta nel reato di maltrattamenti di tali orientamenti giurisprudenziali è costituito, all’evidenza, non dal rapporto di convivenza, ormai cessato, ma dal legame familiare con la persona ex convivente, un legame per lo più declinato in ragione della filiazione comune che costituisce la massima espressione di un rapporto vincolato da obblighi di assistenza e solidarietà e che si proietta, in quanto genitori, sui partner. La lettura delle sentenze richiamate rivela che, nella maggior parte dei casi, la giurisprudenza esaminava vicende innestate su convivenze di lunga durata dalle quali erano nati dei figli.

3.1. Va precisato, per completezza, che quello dei rapporti tra il delitto di maltrattamenti e il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. non è un tema che interessa solo la situazione, come quella in esame, che presuppone un rapporto familiare di fatto, derivante dal rapporto di convivenza. La giurisprudenza, infatti, lo ha esaminato anche in relazione ai rapporti familiari derivanti dal matrimonio, in caso di separazione e divorzio. In tali casi è univoca l’affermazione secondo cui è ravvisabile il delitto di maltrattamenti in presenza di condotte abusanti nella fase della separazione, che non realizza una recisione dei vincoli nascenti dal coniugio che permangono integri (Sez. 6, n. 3087 del 19/12/2017, dep. 2018, P, Rv. 272134; Sez. 6, n. 3356 del 13/12/2017, F, n. m.; Sez. 2, n. 39331 del 5/7/2016, Spazzoli, Rv. 267915) e quello di atti persecutori in caso di divorzio che, invece, determina la cessazione dei vincoli coniugali (Sez. 6, n. 50333 del 12/06/2013, L., Rv. 258644).

In presenza di siffatto quadro si tratta, allora, di verificare come il rapporto di affidamento, la comunanza di vita e di affetti che contrassegnano il rapporto familiare di fatto che si instaura attraverso la convivenza esplica effetti nella fase patologica del rapporto, in particolare quando il rapporto di convivenza è cessato, e come tali effetti rilevano (possono rilevare) nello stabilire l’esatto confine tra le fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 572 e 612-bis c.p..

4.Prima di passare all’esame della questione è opportuno esaminare gli elementi strutturali dei reati di maltrattamenti e atti persecutori non senza trascurare che mentre il delitto di cui all’art. 572 c.p. costituisce una fattispecie di risalente impianto codicistico il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. è oggetto di più recenti interventi legislativi, coevi alla introduzione, nella struttura della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 572 c.p. della previsione di punibilità delle condotte abusanti realizzate in danno di persona… convivente (L. n. 172 del 2012). L’intervento del legislatore ha fatto seguito alla richiesta di apprestare tutela a comportamenti che non trovavano adeguata sanzione punitiva nel sistema del codice, incentrato sulla tutela della famiglia legittima e, più in generale, l’intervento è stato volto alla tutela della libertà della persona a fronte di comportamenti illegittimi e reiterati che, quando si innestano su relazioni interpersonali affettive, vedono la vittima fortemente condizionata nella sua capacità di reazione.

4.1. Il delitto di cui all’art. 572 c.p. è integrato da una condotta che sia qualificabile come “maltrattante” in danno di una persona “della famiglia o comunque convivente” mentre il reato di cui all’art. 612-bis c.p. punisce, salvo che non costituisca un reato più grave, le condotte vessatorie ivi descritte in danno di una persona, ipotesi che risulta aggravata, ai sensi del comma 2, quando il comportamento è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. Mentre il reato di maltrattamenti è un reato contro l’assistenza familiare ed il bene giuridico protetto è costituito dai congiunti interessi dello Stato alla tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dall’interesse delle persone facenti parte della famiglia alla difesa della propria incolumità fisica e psichica, il reato di atti persecutori costituisce, invece, un reato contro la persona, e in particolare contro la libertà morale, che può essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia “reiterati” (integrando appunto un reato abituale).

Il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. non presuppone, quindi, l’esistenza di relazioni interpersonali specifiche che, cionondimeno, rilevano, in relazione alla sussistenza di qualificati rapporti quali il coniugio – anche se è intervenuta separazione o divorzio – o una relazione affettiva con la persona offesa, anche se non più attuale, rapporti sui quali possono innestarsi le condotte abusanti dando luogo a una figura aggravata di reato. Il rapporto tra le due fattispecie incriminatrici, infine, è regolato dalla clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 612-bis c.p., comma 1, (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), che rende applicabile il reato di maltrattamenti, più grave per pena edittale rispetto a quello di atti persecutori in presenza di condotte abusanti commesse durante la convivenza.

5.Ben prima della L. n. 172 del 2012, un’ intensa attività interpretativa della giurisprudenza aveva ricondotto nell’ambito della protezione penale di cui all’art. 572 c.p., la persona del convivente more uxorio, è di questo, infatti, che ancora si discute evocando, con una terminologia caricata in passato di una valenza pregiudizialmente negativa, una convivenza in stato coniugale fuori dal matrimonio.

In massime risalenti alla fine degli anni sessanta del secolo scorso si legge, infatti, che agli effetti dell’art. 572 c.p., deve considerarsi ‘famiglià ogni consorzio di persone tra le quali, per intime relazioni e consuetudini di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione: anche il legame di puro fatto stabilito tra un uomo ed una donna vale pertanto a costituire una famiglia in questo senso, quando risulti da una comunanza di vita e di affetti analoga a quella che si ha nel matrimonio (Sez. 2, n. 320 del 01/03/1966, Palumbo, Rv. 101563). Un principio giunto, senza subire sostanziali modifiche, fino ai nostri giorni, pur passando attraverso variegate affermazioni della giurisprudenza sulla necessità della durata e della stabilità della relazione. Ricorrente, peraltro, era l’affermazione che il reato era configurabile anche al di fuori della famiglia legittima, in presenza di un rapporto di stabile convivenza, come tale suscettibile di determinare obblighi di solidarietà e di mutua assistenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l’esito di tale comune decisione (Sez. 3, n. 44262 del 08/11/2005, Sciacchitano, Rv. 232904; Sez. 6, n. 21329 del 24/01/2007, Gatto, Rv. 236757).

Famiglia legittima – sulla quale era strutturato il reato di maltrattamenti che ne identificava i componenti nei prossimi congiunti, individuati nell’art. 307 c.p. – e famiglia di fatto, per questa via, sono state sussunte, sul piano dei rapporti sociali ma anche giuridici, nel concetto unificante di comunità familiare dovendo guardare alla sostanza e non alla forma dei rapporti interpersonali: sono, dunque, le strette relazioni e consuetudini di vita che si instaurano fra le persone a costituire la fonte degli obblighi di protezione reciproca e di assistenza e a determinare tra i soggetti una situazione in tutto identica a quella che, per legge, deriva dal coniugio e che esigono, in presenza di comportamenti abusanti, la protezione dell’ordinamento attraverso la incriminazione di condotte che ledono non solo i singoli ma l’essenza stessa del rapporto di affidamento reciproco che ne costituisce il tratto fondante.

La tutela assicurata al rapporto di convivenza more uxorio e a quello di coniugio, è il caso di precisare, è sovrapponibile ma non identica a partire dal referente costituzionale costituito, per la famiglia legittima dall’art. 29 Cost. – che ne riconosce i diritti come società naturale, fondata sul matrimonio a sua volta ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi – e, per la famiglia di fatto, dagli artt. 2 e 3 Cost. che, tutelano, in chiave di uguaglianza, i diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali in cui svolge la personalità individuale e, quindi in ragione della scelta di condivisione di un percorso di vita comune basato sull’affectio, sulla stabilità, sulla convivenza e sulla responsabilità della cura ed educazione dei figli. Le differenze non rilevano solo sul piano del vincolo formale che caratterizza l’unione matrimoniale (oggi non indissolubile) poichè, fermi in ogni caso i diritti e doveri che derivano verso i figli e i terzi, nella dimensione della comunità che deriva dalla convivenza di fatto si tende a riconoscere spazio alla soggettività individuale, mentre in quella derivante dal rapporto di coniugio si attribuisce maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, intesa, cioè come stabile comunità di persone legate da vincoli di solidarietà, di fedeltà, e di condivisione su base paritaria.

  1. Deve rilevarsi che quella seguita dalla giurisprudenza, non era un’opzione ermeneutica imposta dalla realtà sociale moderna che registra la disaffezione verso l’istituto del matrimonio – accettata senza riserve poichè, si osservava in dottrina, essa realizzava una inammissibile estensione in malam partem dell’art. 572c.p.. L’espressione una persona della famiglia, era, come anticipato, ritenuta riconducibile alla nozione di “prossimi congiunti” recata dall’art. 307c.p., comma 4 che identifica tale categoria esclusivamente nel coniuge, oltre che negli ascendenti, discendenti, fratelli, affini nello stesso grado, zii e nipoti. Alla stregua di tale ultima previsione – oggi integrata dal D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 6art. 1, comma 1, lett. a), con riferimento alla parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, ma non estesa ai conviventi – la nozione di prossimi congiunti viene ricondotta esclusivamente ai membri della famiglia fondata sul matrimonio e, nel suo tenore letterale, non comprende la persona convivente.

La violazione del divieto di analogia in malam partem riferita alle persone conviventi more uxorio è stata superata dalla previsione recata dalla L. n. 172 del 2012 – che, come si è detto, ha introdotto nell’art. 572 c.p. il riferimento testuale alla convivenza – ma è qui proposta perchè il richiamo alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 572 c.p. e ai suoi elementi costitutivi ricostruiti sulla base del significato letterale dei sintagmi che la compongono, emerge nella più recente pronuncia del Giudice delle leggi che, sia pure affrontando una questione processuale relativa alla qualificazione giuridica del fatto e del rapporto tra le fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 572 e 612-bis c.p., ha esaminato il tema della relazione interpersonale tra persona offesa e autore del reato e della possibilità di qualificarla, sulla scorta della stabilità della relazione affettiva tra i partner ma in assenza di un rapporto di passata convivenza, come rapporto di appartenenza familiare.

Con la recente sentenza n. 98 del 2021 il Giudice delle leggi ha richiamato l’attenzione dell’interprete al rispetto del “canone ermeneutico rappresentato dal divieto di analogia a sfavore del reo: canone affermato a livello di fonti primarie dall’art. 14 preleggi nonchè implicitamente – dall’art. 1 c.p., e fondato a livello costituzionale sul principio di legalità di cui all’art. 25 Cost., comma 2, (nullum crimen, nulla poena sine lege stricta) (sentenza n. 447 del 1998). Il divieto di analogia – conclude- non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce così un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo”.

  1. E’ sulla scorta di tale principio che occorre, così, tornare al tema di partenza che è quello di delineare il confine tra le fattispecie di cui all’art. 572c.p. e all’art. 612-bisc.p., nel caso di condotte abusanti poste in essere in danno dell’ex convivente more uxorio e interrogarsi, in presenza di condotte astrattamente riconducibili all’una o all’altra fattispecie di reato, sull’applicabilità della più grave fattispecie di cui all’art. 572 c.p. – in virtù della clausola di sussidiarietà recata dall’art. 612-bis c.p..

I riferimenti testuali alla persona della famiglia ed al convivente, contenuti nell’art. 572 c.p. costituiscono l’innegabile punto di partenza nell’esegesi di tale fattispecie incriminatrice che, pur aprendosi con l’incipit chiunque, è in definitiva un reato proprio che può essere commesso solo dalle persone legate al soggetto passivo da un rapporto qualificato, un “ruolo” nel contesto della famiglia matrimoniale classica (in particolare, il coniuge) o del rapporto di convivenza che determina un complesso di rapporti e, quindi, di obblighi dell’agente.

Nell’attuale struttura della fattispecie incriminatrice, attraverso l’inserimento del riferimento alla persona convivente, il rapporto di convivenza è stato, alfine, equiparato, sulla scorta di una precisa scelta del legislatore, a quello della famiglia matrimoniale o classica valorizzandone il comune tratto fondante costituito dalle strette relazioni e consuetudini di vita che si instaurano fra le persone nella comunità familiare che sia quella fondata sul matrimonio o quella di fatto. Ed è la violazione del rapporto di affidamento reciproco e del principio di solidarietà fra i componenti della famiglia, sia essa matrimoniale o di fatto, che reclama, in presenza di comportamenti abusanti, la protezione dell’ordinamento attraverso la incriminazione di condotte che ledono non solo i singoli ma l’essenza stessa del rapporto, tutela realizzata, appunto, con la fattispecie di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p..

Benchè il rapporto di convivenza comprenda situazioni personali che possono essere codificate e disciplinate in altri rami del diritto, la convivenza more uxorio rinvia ad una dimensione in fatto della relazione personale, effettiva e attuale al momento del fatto (che, comunque, non va confusa con la mera coabitazione) con la conseguenza che la cessazione della convivenza, anche per volontà di uno solo dei componenti della coppia, comporta, senza necessità di passare attraverso vincoli di natura formale, il venire meno dell’affectio, e, quindi, dell’affidamento reciproco che giustificava la protezione del singolo nell’ambito della comunità familiare di fatto. La tutela del convivente non è, infatti, collegata ad uno status della persona come si verifica nella famiglia fondata sul matrimonio che dà luogo allo stato di coniuge che non viene meno neppure in caso di separazione, legale o di fatto, che non comporta di per sè la cessazione di tutti i vincoli coniugali – ma è collegata al rapporto di fatto, che si fonda sulla volontà delle parti che liberamente decidono di optare per una tipologia di unione contrassegnata da obblighi e prescrizioni giuridiche minimali e che può essere revocata in ogni momento: ne consegue che, se viene meno l’effettività della convivenza, cessa la convivenza stessa e non è più applicabile l’art. 572 c.p.. Tanto ciò è vero che, in parallelo, in caso di divorzio – che determina lo scioglimento del vincolo coniugale – la sussumibilità della condotta abusante verso l’ex coniuge nella fattispecie di cui all’art. 572 c.p. è stata ritenuta giustificata solo in presenza di una situazione di fatto che abbia determinato una ricomposizione della relazione e consuetudine di vita improntata a rapporti di assistenza e solidarietà reciproche, risolvendosi dunque, in un rapporto di convivenza (cfr. Sez. 6, n. 24575, cit.).

Ritiene il Collegio, in linea con il più risalente orientamento nomofilattico innanzi richiamato, che deve escludersi che possa ravvisarsi il delitto di maltrattamenti nel caso in cui condotte abusanti siano poste in essere in danno di persona non più convivente al momento dei fatti con l’autore delle condotte e che, ricorrendone i presupposti, devono essere inquadrate nella fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p..

La cessazione del rapporto di affidamento, di comunanza di vita e di affetti determina la cessazione della convivenza e la conseguente non applicabilità, a tale fattispecie, dell’art. 572 c.p.: di tale principio i Giudici della cognizione hanno fatto corretta applicazione là dove secondo quanto si evince dall’attenta ricostruzione in fatto operata nelle sentenze – hanno dato conto del fatto che il ricorrente ha posto in essere le condotte aggressive e violente in danno della ex convivente in una situazione nella quale il vincolo affettivo con la persona era del tutto cessato, permanendo, anzi la volontà della persona offesa di non ricostituire l’unione di fatto.

  1. Non ignora il Collegio l’emersione di un diverso indirizzo interpretativo, richiamato nel ricorso, in cui la riconducibilità delle condotte abusanti in danno dell’ex convivente al delitto di cui all’art. 572c.p. è fatta discendere non dal rapporto di convivenza, ormai cessato, ma dal legame familiare con la persona ex convivente, un legame per lo più declinato in ragione della filiazione comune che costituisce la massima espressione di un rapporto vincolato da obblighi di assistenza e solidarietà e che si proietta, in quanto genitori, sui partner.

La nozione di convivenza, come noto, non è stata precisata solo nella giurisprudenza già elaborata con riferimento all’art. 572 c.p. – innanzi citata – ma è rinvenibile, pur in carenza di una legge che disciplini organicamente il fenomeno, nei numerosi interventi legislativi che hanno consentito di riconoscere ai componenti della famiglia di fatto ed al convivente singole posizioni soggettive meritevoli di tutela analogamente a quelle proprie dei membri della famiglia legittima o del coniuge. Si tratta di un fitto riferimento di norme illustrate (pagg. 17 e ss.) nella recente sentenza della Corte che si è occupata dell’applicabilità, in capo al convivente della scusante di cui all’art. 384 c.p., comma 1, (S.U., n. 10381 del 26/11/2020, dep. 2021, Fialova). La sentenza delle Sezioni Unite ha richiamato anche la progressiva e continua tendenza della giurisprudenza, sia civile che penale, a garantire analoghi diritti alle convivenze di fatto, anche in caso di separazione (ad es. la giurisprudenza civile aveva riconosciuto il diritto all’assegnazione della casa familiare al convivente separato, seguita poi dalla codificazione, all’art. 337-sexies c.c. o in materia di risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto in favore dei membri della famiglia naturale come il convivente more uxorio e il figlio naturale).

Fra tali disposizioni rilevano, in particolare, le disposizioni del codice civile in tema di filiazione che stabiliscono una completa identità tra la famiglia matrimoniale e quella non matrimoniale con riguardo al rapporto genitori-figli, che oggi risulta unitariamente disciplinato dagli artt. 315-bis c.c. uniche essendo le regole in materia di diritti e doveri del figlio e responsabilità genitoriale: e proprio la condivisa genitorialità costituisce, nella giurisprudenza richiamata al punto 3, il presupposto per l’applicabilità alle condotte abusanti, in caso di cessata convivenza, del reato di cui all’art. 572 c.p..

Non sfugge, tuttavia, con riguardo a queste ipotesi, che si è in presenza di interventi che incidono in settori dell’ordinamento che ampliano i diritti soggettivi e non invece, di interventi che, come quello punitivo, sotteso all’interpretazione della legge penale ai fini della sua applicazione, presuppone la determinatezza della fattispecie penale e che vieta al giudice la lettura analogica a sfavore in relazione ad una fattispecie incriminatrice il cui elemento costitutivo è rappresentato dalla condotta di reato strutturata su un rapporto interpersonale (la convivenza, effettiva ed attuale) che ha una sua precisa connotazione. Si è, dunque, in presenza di un complesso di diritti che non è esportabile al di fuori dei casi specifici e della disciplina di settore in quanto frutto di scelte selettive e mirate a casi determinati da parte del legislatore alla cui “generalizzazione” nella materia penale ostano i vincoli del significato letterale dei sintagmi utilizzati nella configurabilità degli elementi costitutivi della fattispecie penale – quale ricostruita nell’art. 572 c.p., innanzi svolta – e del divieto di analogia, in carenza di una disciplina positiva che, nel diritto penale, si sia occupata – ed avrebbe ben potuto farlo in occasione degli interventi legislativi da ultimo richiamati- del rapporto di convivenza di fatto.

Ritiene il Collegio che la proiezione nel rapporto interpersonale fra persone ex conviventi del vincolo familiare, positivamente disciplinata con riferimento al rapporto tra genitori e figli, finirebbe col dilatare l’applicazione della previsione legislativa di cui all’art. 572 c.p. in assenza di una legge che disciplini organicamente il fenomeno della convivenza more uxorio e degli effetti giuridici che esso determina tra le parti quando ormai la relazione interpersonale è cessata ma incidendo in un settore cruciale, quale quello della individuazione dei confini tra lecito e illecito, in relazione ad un reato che può essere commesso solo dalle persone legate al soggetto passivo da un rapporto qualificato che determina un complesso di obblighi dell’agente, e che, anche nel momento di patologia del rapporto di coppia, deve fare i conti con la volontà dei conviventi di sottrarsi agli effetti giuridici tipici della famiglia matrimoniale (e oggi anche dell’unione civile) e sui quali si interverrebbe, invece, estendendo in malam partem la disciplina legislativa omologa a quella del vincolo coniugale.

Il divieto di analogia non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce così un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo e volto a ricondurre alla persona del convivente una identità di statuto analoga a quella del coniuge che cessa, come noto, anche in caso di divorzio – una volta che il rapporto di convivenza sia venuto meno.

I “modelli” diversi di famiglia che si affermano nella società civile, rispetto alla originaria e unitaria fisionomia dell’istituzione familiare, costituiscono figure variegate e differenziate che richiedono, piuttosto che interventi suppletivi dei giudici, interventi, che sono prerogativa del legislatore, volti a disciplinare in maniera organica e su un piano più generale il tema delle convivenze non matrimoniali agli effetti penali che sono, in realtà, molto più complessi del tema posto dall’odierno ricorso e che attengono a istituti e figure criminose diverse, come il delitto di cui all’art. 570-bis c.p.. E’ però innegabile che i “modelli” di famiglia richiedono tutele diversificate e adeguate ai singoli casi e non soluzioni uniche, valide indistintamente per tutte le fattispecie, muovendo dall’ovvio principio dell’autonomia delle scelte dei singoli nell’ambito di relazioni di matrice affettiva e bilanciandola con la imposizione di vincoli coercitivi e sanzioni che i conviventi intendevano rifiutare non vincolandosi giuridicamente.

Si tratta, oltretutto, di una opzione interpretativa che non sarebbe giustificabile (come in passato) dall’intento di assicurare una più intensa tutela penale a persone particolarmente vulnerabili, le vittime di condotte abusive nell’ambito dei rapporti affettivi, dai quali esse hanno difficoltà a sottrarsi, dal momento che attraverso l’intervento legislativo del 2012, pur in presenza di alcune differenze, risulta garantita pari dignità e pari margini di tutela della situazione personale della vittima durante il rapporto di convivenza, attraverso la previsione dell’art. 572 c.p. e, dopo la cessazione del rapporto di convivenza, attraverso la incriminazione delle condotte abusanti riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p., oltre che dalle fattispecie incriminatrici applicabili in relazione a specifiche condotte illecite.

  1. Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 6 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2021

Originally posted 2021-11-15 16:56:04.