MORTALE RISARCIMENTO : INVASIONE OPPOSTA CORSIA DI MARCIA
BOLOGNA VICENZA ROVIGO RAVENNA PADOVA RIMINI CESENA FORLI
FORLI BOLOGNA VICENZA TREVISO RAVENNA IMOLA BOLOGNA FIRENZE AREZZO RESPONSABILITA’ DANNO PER INCIDENTE MORTALE AVVOCATO ESPERTO :
MORTALE RISARCIMENTO : INVASIONE OPPOSTA CORSIA DI MARCIA
A tale improprio ambito censorio va probabilmente anche ricondotta la denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6: tale denuncia, indicata del tutto genericamente nell’intestazione del motivo, non trova poi alcuna altra esplicazione nella successiva illustrazione, se non, appunto, nei menzionati argomenti fattuali, come tali certamente inidonei a rappresentare censura di error in procedendo e comunque inammissibili. 5. Il secondo motivo è inammissibile. Lo è, là dove denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., perchè – come lo stesso motivo evidenzia – la sentenza non ha attribuito valore di giudicato alla sentenza resa in separato giudizio relativo al medesimo incidente, ma di mero argomento di prova. L’assunto, poi, secondo cui tale valorizzazione sarebbe immotivata ed erronea perchè non terrebbe conto di altri elementi istruttori esprime nient’altro che una sollecitazione a una nuova valutazione del materiale istruttorio, evidentemente non consentita in questa sede. La contestuale denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è poi prospettata in modo inidoneo (cfr. Cass. civ. n. 11892 del 2016 e Cass. Sez. U. n. 16598 del 2016). Varrà rammentare al riguardo che, come già più volte chiarito da questa Corte, “per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”” (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598, in motivazione; Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 20/10/2016, n. 21238).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 3 Ordinanza 15 settembre 2020, n. 19115 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SCODITTI Enrico – Presidente – Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere – Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere – Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere – Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere – ha pronunciato la seguente: ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 1385/2018 R.G. proposto da: L.S.B.A., in proprio e quale esercente la potestà sulla figlia minore D.C.M.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Umberto Ippolito; – ricorrente – contro UnipolSai Ass.ni S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Baldi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via Salaria, n. 292; – controricorrente – e contro M.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Nardella, con domicilio eletto in Roma, Via Giovanni Barracco, n. 2, presso lo studio dell’Avv. Angela Soccio; – controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari, n. 2086/2017 depositata il 7 dicembre 2017; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 9 luglio 2020 dal Consigliere Emilio Iannello. Svolgimento del processo 1. L.S.B.A., in proprio e quale esercente la potestà sulla minore D.C.M.G., convenne in giudizio avanti il Tribunale di Lucera, Sezione distaccata di Apricena, M.A. e la di lui compagnia assicuratrice Unipol S.p.a. chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro stradale occorso il 21 luglio 2003, alle ore 15 circa, sulla strada statale San Severo – San Marco in Lamis, in agro di Apricena, in cui aveva perso la vita il proprio congiunto D.C.. Il Tribunale rigettò la domanda (e compensò le spese) rilevando che il sinistro, secondo la ricostruzione emersa dall’istruzione condotta, si era verificato per colpa esclusiva del D., il quale, nel procedere alla guida dell’autovettura Lancia Dedra sulla suddetta statale con direzione di marcia verso San Marco in Lamis, giunto all’altezza del Km 12+650, aveva invaso la corsia opposta ed era entrato in collisione con l’autovettura Ford Fiesta condotta da M.C. che procedeva in direzione opposta. 2. Il gravame interposto dalla L., in proprio e n. q. predetta, è stato rigettato dalla Corte d’appello di Bari, che ha conseguentemente condannato l’appellante alle spese del grado. La Corte pugliese ha, infatti, ritenuto corretta la valutazione degli elementi istruttori operata dal primo giudice, osservando in particolare che: – la dinamica dell’incidente, quale sopra descritta, era stata dai carabinieri attendibilmente desunta dalle tracce di frenata lasciate sull’asfalto dal veicolo condotto dal M.; – la diversa ricostruzione proposta dal c.t. di parte attrice (scontro in corrispondenza della mezzeria, sulla semicarreggiata di marcia del D.) costituiva mera allegazione difensiva priva di valore probatorio e la sua conferma da parte dell’autore in sede testimoniale esprimeva a sua volta solo una valutazione tecnica, non condivisibile nel merito poichè contraddittoria e incoerente con le tracce rilevate sui luoghi; – nel separato giudizio civile promosso dagli eredi di M.C. contro la compagnia assicuratrice del veicolo condotto dal D. e contro L.S., il Tribunale, sulla base della medesima ricostruzione del sinistro, aveva accolto la domanda (rigettandola nei confronti della L. per non essere stata provata la sua qualità di coniuge ed erede del D.); tale sentenza era stata, per tale parte, confermata dalla Corte d’appello con sentenza che, pur non potendo fare stato nel presente giudizio ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2909 c.c., costituiva comunque argomento di prova come tale legittimamente valutato dal primo giudice. 3. Avverso tale decisione L.S., in proprio e nella qualità predetta, propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui resistono gli intimati depositando controricorsi. 4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. La ricorrente e la Unipol Ass.ni S.p.a. hanno depositato memorie ex art. 380-bis c.p.c.. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2, in relazione all’art. 141 C.d.S., commi 1, 2 e 3, e all’art. 142 C.d.S., comma 1, agli artt. 115 e 116 c.p.c. ed all’art. 111 Cost., comma 6”. Lamenta che la Corte d’appello, pur avendo dato atto che, secondo la ricostruzione accolta, anche il M. verosimilmente viaggiava “a velocità non commisurata”, ha poi illegittimamente escluso una sia pur minima colpa concorrente in capo al predetto, affermando, senza motivazione, che lo stesso non avrebbe potuto compiere altra manovra di emergenza, oltre quella di frenare, per tentare di evitare l’impatto. Rileva che “al contrario, è nozione di fatto di comune esperienza che il tenere alla guida una velocità rispettosa del limite massimo consentito e, comunque, delle normali regole di prudenza, consente al guidatore di azionare, tempestivamente ed ancor prima, il sistema frenante e, nel contempo, di poter modificare la propria direzione di marcia al fine di ovviare a negligenze o imprudenze altrui, così evitando l’impatto con altro veicolo ovvero facendo sì che tale impatto abbia le conseguenze meno gravi possibili”. Afferma, richiamando a supporto costante giurisprudenza, che “avere accertato la colpa di uno dei conducenti non può far ritenere, per ciò solo, superata la presunzione di responsabilità posta a carico dell’altro dall’art. 2054 c.c., comma 2, essendo necessario, affinchè possa ritenersi del tutto superata la presunzione di corresponsabilità stabilita dall’art. 2054 c.c., comma 2, che il Giudice accerti, altresì, se l’altro conducente abbia tenuto una condotta di guida totalmente conforme alle prescrizioni del codice della strada ed immune da colpa generica”. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 87 disp. att. c.p.c.”. Lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto di assegnare valore di argomento di prova alla sentenza resa dal Tribunale di Lucera nel separato giudizio civile, instaurato a parti invertite in relazione al medesimo sinistro. Evidenzia, anzitutto, che tale sentenza non potrebbe mai assumere valore di giudicato nei confronti di essa ricorrente, essendo stata in quel giudizio rigettata la domanda risarcitoria proposta dagli eredi di M.C. nei suoi confronti ed essendo ad esso rimasta estranea la minore D.C.. Lamenta, inoltre, che l’assegnazione a tale sentenza del valore di argomento di prova risulta, nella decisione qui impugnata, frutto di un acritico recepimento da parte della Corte territoriale, che non ha consentito alla stessa di cogliere l’evidente erroneità della ricostruzione ivi accolta nella parte in cui si afferma che il M. avrebbe tenuto una velocità adeguata alla situazione dei luoghi. 3. Il primo motivo è in parte infondato, in parte inammissibile. Non vi è contrasto tra la regola di giudizio applicata dalla Corte territoriale e il principio evocato in ricorso, secondo cui “in tema di responsabilità civile da circolazione dei veicoli, anche se dalla valutazione delle prove resti individuato il comportamento colposo di uno solo dei due conducenti, per attribuirgli la causa determinante ed esclusiva del sinistro deve parimenti accertarsi che l’altro conducente abbia osservato le norme sulla circolazione e quelle di comune prudenza, perchè è suo onere dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, altrimenti dovendo presumersi anche il suo colpevole concorso” (v. e pluribus Cass. 08/01/2016, n. 124). Come, invero, in più occasioni chiarito da questa Corte, la prova che uno dei conducenti si è uniformato alle norme sulla circolazione dei veicoli ed a quelle di comune prudenza può essere acquisita anche indirettamente, tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso con il comportamento dell’altro conducente (Cass. 21/05/2019, n. 13672; 22/04/2009, n. 9550; 10/03/2006, n. 5226). E’ stato bensì anche affermato che l’infrazione, pur grave, come l’invasione dell’altra corsia commessa da uno dei conducenti, non dispensa il giudice dal verificare anche il comportamento dell’altro conducente al fine di stabilire se, in rapporto alla situazione di fatto accertata, sussista un concorso di colpa nella determinazione dell’evento dannoso (Cass. 15/01/2003, n. 477; 17/01/1996, n. 343). Ciò non esclude tuttavia che, anche in tali circostanze, possa comunque ritenersi raggiunta la prova liberatoria anche indirettamente, in base alla valutazione, in concreto, della assorbente efficacia eziologica della condotta dell’altro conducente. Ed è ciò che, nella specie, il giudice d’appello ha reputato di poter affermare, sulla base di una valutazione di merito non fatta oggetto di specifica e idonea censura. Tale valutazione – giova ripetere – si sottrae alla svolta censura, non esprimendo essa nè una erronea ricognizione della norma come interpretata dalla costante giurisprudenza di questa norma (la Corte di merito non ha affermato che è sufficiente accertare in positivo la colpa di uno dei conducenti per superare la presunzione di colpa concorrente in capo all’altro), nè un vizio di sussunzione (non avendo accertato, nè “non escluso”, che la pur “ipotizzabile” andatura “non commisurata” dell’altro conducente possa avere avuto una qualche incidenza causale). Ben diversamente la Corte, muovendosi correttamente entro lo schema delineato dai principi richiamati, ha evidenziato che tale pur ipotizzabile circostanza (andatura non commisurata tenuta dal M.) non ha avuto alcuna incidenza causale, dal momento che detto conducente “non avrebbe potuto compiere altra manovra d’emergenza, oltre quella di frenare, per tentare di evitare l’impatto” (avendo peraltro prima rilevato che le evidenze probatorie attestavano un tentativo di frenata solo del M. e non del D., il quale ebbe dunque ad invadere anche lui a “velocità non commisurata” l’altra corsia senza nemmeno tentare una frenata). Sotto quest’ultimo profilo mette conto precisare che la presunzione di colpa concorrente dettata dall’art. 2054 c.c., comma 2, opera pur sempre sul piano causale; la presunzione di colpa deve, cioè, pur sempre potersi collocare sul piano della relazione causale tra la violazione delle regole di condotta, specifiche o generiche (c.d. causalità della colpa), e l’evento di danno. Ove invece risulti che quella violazione, pur sussistente o non escludibile, non abbia avuto incidenza causale tale accertamento potendo compiersi, come detto, anche indirettamente, sulla base della valutazione del rilievo causale assorbente rivestito in concreto dalla condotta colposa dell’altro conducente – non v’è ragione di ritenere non superata quella presunzione, una diversa interpretazione finendo con l’attribuire alla norma un significato e una valenza puramente sanzionatoria che non ha. 4. Nella specie, il giudice di appello, sulla scorta di una complessiva valutazione delle risultanze istruttorie e condividendo il convincimento raggiunto dal primo giudice, ha accertato – come detto – l’esclusiva responsabilità del D., evidenziando l’assorbente valenza causativa della relativa condotta colposa nella dinamica del sinistro, per l’improvvisa invasione della carreggiata. Al riguardo, è appena il caso di ribadire il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito, in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente ed al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta insindacabile in sede di legittimità, quando sia adeguatamente motivato ed immune da vizi logici e da errori giuridici, e ciò anche per quanto concerne il punto se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c.. Le censure che sono volte a contestare tale valutazione impingono dunque nel piano della delibazione riservata al giudice del merito, non essendo neppure dedotti idoneamente fatti ad oggetto di doglianza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. A tale improprio ambito censorio va probabilmente anche ricondotta la denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6: tale denuncia, indicata del tutto genericamente nell’intestazione del motivo, non trova poi alcuna altra esplicazione nella successiva illustrazione, se non, appunto, nei menzionati argomenti fattuali, come tali certamente inidonei a rappresentare censura di error in procedendo e comunque inammissibili. 5. Il secondo motivo è inammissibile. Lo è, là dove denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., perchè – come lo stesso motivo evidenzia – la sentenza non ha attribuito valore di giudicato alla sentenza resa in separato giudizio relativo al medesimo incidente, ma di mero argomento di prova. L’assunto, poi, secondo cui tale valorizzazione sarebbe immotivata ed erronea perchè non terrebbe conto di altri elementi istruttori esprime nient’altro che una sollecitazione a una nuova valutazione del materiale istruttorio, evidentemente non consentita in questa sede. La contestuale denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è poi prospettata in modo inidoneo (cfr. Cass. civ. n. 11892 del 2016 e Cass. Sez. U. n. 16598 del 2016). Varrà rammentare al riguardo che, come già più volte chiarito da questa Corte, “per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”” (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598, in motivazione; Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 20/10/2016, n. 21238). Allo stesso modo, sotto il profilo della pure dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., è appena il caso di rilevare che, in tema di ricorso per cassazione, la violazione di detta norma (la quale sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non certo secondo la prospettazione evocata in ricorso (la quale si risolve, come detto, nella proposta di una diversa lettura delle risultanze istruttorie), ma solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892). 6. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per compensi, in Euro 10.000 in favore di UnipolSai Ass.ni S.p.a. e in Euro 7.800 in favore di M.A.; per entrambi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis. Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020. Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020
Originally posted 2021-06-18 16:28:59.