MILANO VARESE MONZA PAVIA extraneus” nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale il consulente contabile
Sul punto, giova ricordare, in termini ricostruttivi dell’istituto qui in esame, che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha avuto modo di precisare che concorre, in qualità di “extraneus” nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell’amministratore di diritto della società dichiarata fallita, fornisca consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori e lo assista nella conclusione dei relativi negozi ovvero svolga attività dirette a garantirgli l’impunità o a rafforzarne, con il proprio ausilio e con le proprie assicurazioni, l’intento criminoso (nella specie l’imputata, in qualità di ragioniere e fiduciario dell’amministratore di diritto aveva consapevolmente proposto, coltivato e insistito per porre in essere atti depauperatori del patrimonio sociale a danno dei creditori) (Cass., Sez. 5, n. 49472 del 09/10/2013 – dep. 09/12/2013, Albasi e altro, Rv. 257566).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Sentenza 1 marzo 2016, n. 8349
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –
Dott. DE GREGORIO Edoardo – Consigliere –
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –
Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo – Consigliere –
Dott. AMATORE R. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.A., nato a (OMISSIS);
G.M., nata a (OMISSIS);
B.V., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15.5.2014 della Corte di Appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa DI NARDO Marilia, che ha concluso per il rigetto del ricorso presentato dal B. e per l’inammissibilità degli altri ricorsi;
udito per la costituita parte civile l’Avv. Lapo Gramigni che ha concluso per il rigetto del ricorso della G. come da conclusioni scritte e con deposito della nota spese;
uditi per l’imputata G.M. l’Avv. Valignani e l’Avv. Bisori i quali hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito per l’imputato M. l’Avv. Flora che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
- Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Firenze ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Firenze, dichiarando non doversi procedere nei confronti di B.V. in relazione al reato di cui al capo a) della rubrica per intervenuta prescrizione e confermando nel resto la condanna dei predetti imputati, per svariate ipotesi di bancarotta patrimoniale.
- Avverso la sentenza ricorre, per mezzo del suo legale, il M.A., affidando la sua impugnativa a due motivi di doglianza.
2.1 Con il primo motivo la parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b, l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 110 c.p., art. 236, comma 2, n. 1, in relazione al combinato disposto di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 223, comma 1, art. 216, comma 1, n. 1, e art. 219, e, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione. Più in particolare, deduce la parte ricorrente che non ricorrevano i presupposti applicativi del concorso dell’extraneus nel reato fallimentare, atteso che gli atti posti in essere con l’ausilio dell’avvocato non erano funzionali ai contestati propositi distrattivi, ma semplici contratti che erano stati stipulati per salvaguardare la continuità aziendale e i posti lavoro e che peraltro per la condotta concorsuale del professionista era necessario che quest’ultimo avesse proposto il piano distrattivo.
Rileva inoltre la parte ricorrente che il M. non aveva proposto la conclusione del contratto estimatorio e che non era stato coinvolto nella costituzione della nuova società cui erano stati alienati i beni e che peraltro aveva ricevuto per l’attività professionale svolta un compenso congruo rispetto alle tariffe professionali. Deduce inoltre la parte ricorrente la illogicità della motivazione nella parte in cui non aveva considerato che il contratto estimatorio attraverso il quale si era realizzata la distrazione era stato sottoposto alla condizione dell’approvazione da parte degli organi della procedura concorsuale e che sul punto la Corte distrettuale aveva illogicamente motivato sulla base della considerazione che la mancata risposta alla missiva inviata da B. e Ma. doveva considerarsi come un avallo del M. al piano distrattivo. Osserva sempre la parte ricorrente che la Corte distrettuale non aveva correttamente valutato l’effettività dell’apporto causale della condotta del M., atteso che la istruttoria dibattimentale non aveva provato se tra i beni oggetto della vendita in frode ai creditori fossero compresi anche i beni oggetto del contratto estimatorio ovvero se tra gli stessi fossero presenti anche quelli prodotti dalla società ICT. 2.2 Con il secondo motivo di ricorso la parte ricorrente M. deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b, l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 43 e 110 c.p., e art. 236, comma 2, n. 1, in relazione al combinato disposto di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 223, comma 1, art. 216, comma 1, n. 1, e art. 219, e, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e, il vizio motivazionale.
Rileva la parte ricorrente l’erroneità della motivazione là dove aveva ricavato motivo per la sussistenza del dolo del concorso nella circostanza relativa al fatto che il M., quale legale della società debitrice, era comparso sulla scena dei fatti sin dal primo atto dell’ammissione della società alla procedura di amministrazione controllata, procedura di cui erano state peraltro evidenziate alcune anomalie procedurali. Deduce peraltro la parte ricorrente la erroneità della motivazione là dove la Corte distrettuale aveva posto a sostegno dell’elemento psicologico del reato la circostanza secondo cui il M. aveva determinato i valori del contratto estimatorio secondo le indicazioni molto basse contenute nella perizia del perito Ga.. Rileva che proprio l’utilizzazione di un perito nominato dal Tribunale deponeva per la buona fede tenuta dal professionista nella redazione del contratto. Rileva la parte ricorrente che le operazioni di stima erano state effettuate dal Rag. Ga. con la collaborazione della G., quale commissario giudiziale della procedura, e che dunque ciò evidenziava l’assoluta estraneità del M. alla contestata operazione di inquinamento dei valori di stima dei beni oggetto di vendita.
- Ricorre avverso la detta sentenza anche la G.M. per mezzo dei suoi legali, affinando la sua impugnativa alle seguenti doglianze.
3.1 Chiede l’imputata l’annullamento del capo della sentenza di condanna di cui al capo 4 della rubrica, deducendo, in primo luogo, il vizio motivazionale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e, in relazione alla mancanza di motivazione resa dalla Corte distrettuale in ordine al profilo della contestata esistenza oggettiva di una distrazione individuata nei ricarichi operati dalla società ICT. Deduce più in particolare la difesa della ricorrente che la Corte d’appello aveva completamente omesso di motivare su due motivi di gravame specificatamente proposti, e cioè, da un lato, la dedotta erroneità logica secondo cui, considerata la notevole differenza tra il prezzo di acquisto della merce da parte di ICT e il ricavo della successiva vendita, ciò solo era sufficiente a dimostrare la contestata distrazione e, dall’altro, la dedotta erroneità di una valutazione parcellizzata dei beni aziendali di cui invece doveva essere considerato il valore unitario nell’ottica dell’ammissione della società debitrice ad una procedura di concordato preventivo che prevedeva la cessione dell’azienda ad ICT. 3.2 Deduce inoltre la difesa della G. la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, in relazione all’assunta variabilità del valore del magazzino a seconda della identità del compratore e, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b, medesimo codice la violazione dei criteri legali di stima dei beni da applicarsi nell’ambito delle procedure concorsuali. Rileva la parte ricorrente che la circostanza secondo cui il valore di stima posta alla base della vendita del magazzino alla ICT era stato determinato da una perizia disposta dal Tribunale fallimentare costituiva una insuperabile contraddittorietà della motivazione impugnata, giacchè correttamente il perito aveva determinato il detto valore sulla base di criteri di natura liquidatoria. Deduce la ricorrente che contraddittoriamente la Corte territoriale aveva ritenuto, da un lato, ineccepibile la valutazione del perito Ga. e, dall’altro, censurabile l’accettazione di tale valutazione da parte della G., quale commissario giudiziale della procedura.
3.3 Rileva inoltre la difesa della G. l’erroneità dell’accertata responsabilità dell’imputata per l’omesso impedimento della vendita a prezzo vile e più in particolare la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla conoscenza ovvero conoscibilità del reale valore di magazzino dalla G. come desumibile dalla relazione del 21.12.2001. Osserva la difesa più nel dettaglio che l’aver indicato da parte del commissario giudiziale nella relazione del 21 dicembre 2001 un valore di magazzino pari a L. 5.383.000.000 non corrispondeva alla acquisita e definitiva conoscenza da parte dell’imputata dell’effettivo valore dei beni, stante la necessità di una rivisitazione da parte del commissario di un valore semplicemente recepito dall’amministrazione della società in un momento in cui peraltro la gestione della società continuava ad essere nelle mani dei predetti amministratori.
3.4 Deduce sempre la difesa della G., in relazione al contestato ruolo commissivo nel piano di depauperamento realizzato dal B. e Ma., la radicale mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine ai motivi di gravame proposti dalla ricorrente. Rileva la parte ricorrente la omessa motivazione in ordine alla dedotta circostanza della mancata ratifica da parte degli organi della procedura del contratto estimatorio; alla ulteriore dedotta circostanza che la dott.ssa Mo., succeduta nell’incarico alla G., aveva proseguito nella esecuzione del contratto estimatorio senza che la sua condotta fosse stata censurata; alla dedotta circostanza secondo cui l’esecuzione del predetto contratto aveva apportato risorse soddisfacenti in ordine alle finalità delle procedure concorsuali; alla dedotta circostanza della contrarietà della G. al Ma..
3.5 Rileva inoltre la ricorrente la contraddittorietà della motivazione rispetto alle risultanze dibattimentali in ordine alla contestata inerzia nella segnalazione dello stato di dissesto per posticipare la dichiarazione di fallimento. Osserva che, già con la seconda relazione bimestrale del 14 marzo 2002 e con quella successiva datata 12.6.2002, la G. aveva segnalato al Tribunale la gravità della situazione finanziaria della società debitrice.
3.6 Rileva ancora la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, l’illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla rilevata tempistica impropria nella richiesta di nomina del perito Ga. e, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, la violazione dei principi costituzionali in merito alla ripartizione dell’onere della prova ed in relazione alla presunzione di innocenza e alla prova di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. Deduce che con la istanza datata 7 febbraio la G. aveva richiesto la nomina non solo di uno stimatore del magazzino, ma anche di più ausiliari per il compimento dell’intero inventario del patrimonio della società e che pertanto la nomina del perito stimatore del magazzino non poteva essere estrapolata dalle altre operazioni poste in essere dal commissario.
3.7 Impugna altresì la sentenza d’appello per illogicità e contraddittorietà della motivazione anche in ordine all’affermata omessa informazione al perito Ga. della prospettiva di un contratto estimatorio e di una proposta di concordato preventivo.
Osserva la ricorrente che il contratto estimatorio, peraltro mai ratificato dagli organi della procedura, era successivo alla c.d.
perizia Ga. e che la prognosi negativa in ordine agli esiti dell’amministrazione controllata con la possibilità di un prossimo fallimento rendeva coerente una valutazione liquidatoria dei cespiti oggetto del detto contratto estimatorio.
3.8 Deduce inoltre la parte ricorrente G. la illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermata sussistenza di un interesse della imputata al ritardo nella dichiarazione di fallimento e alla proliferazione delle procedure, nonchè la violazione di legge in ordine ai criteri legali di determinazione dei compensi degli organi delle procedure. Rileva che nessun vantaggio economico poteva derivare dal ritardo nella dichiarazione di fallimento, stante la determinazione del compenso del commissario e del curatore in termini completamente scollegati dalla durata della procedura ed invece collegati all’attivo e al passivo accertati.
3.9 Lamenta infine la difesa della G. la mancanza di motivazione in ordine al diniego nella richiesta concessione delle attenuanti generiche ed in punto di statuizioni civili la illogicità della motivazione in ordine alla quantificazione del danno cagionato alla massa dei creditori.
- Propone ricorso per cassazione avverso l’indicata sentenza anche la G. personalmente che, per un verso, si riporta ai motivi di impugnazione dispiegati dai suoi difensori e, per altro verso, deduce autonomi motivi di doglianza.
4.1 Deduce, come primo motivo, il travisamento della prova in ordine all’affermata sua responsabilità per l’accertata inerzia dimostrata di fronte alla esecuzione del contratto estimatorio e alla gravità dello stato di dissesto della società debitrice.
4.2 Rileva inoltre il travisamento del fatto in relazione alla disposta perizia Ga. per quanto concerne il valore del magazzino, deducendo la sua estraneità a tale valutazione ed ai successivi accordi diretti alla liquidazione del magazzino.
4.3 Deduce infine il travisamento della prova in ordine al suo presunto interesse contrario alla dichiarazione di fallimento e la illogicità della statuizione civile contenuta nella sentenza impugnata.
- Ricorre avverso la indicata sentenza anche l’imputato B. V., affidando al sua impugnativa a tre motivi di doglianza.
5.1 Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, violazione di norme penali e pertanto si ritiene la fattispecie di cui al capo 3 dell’imputazione prescritta al momento della celebrazione del giudizio di appello.
5.2 Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, la mancanza, contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione e, ai sensi dell’art. 606, lett. b, la violazione di legge sempre in relazione al capo 3, e ciò con particolare riferimento alla condotta di sottrazione di somme di denaro della fallita per effettuare pagamenti in favore della ditta individuale del B. e alla successiva compensazione di questi versamenti con l’acquisto del marchio di proprietà della ditta individuale. Rileva la detta contradditorietà in relazione al fatto che già dal 1996 era stato previsto l’acquisto del marchio da parte della società Il Coccio Umidificatori srl e che pertanto i contestati pagamenti dovevano essere considerati come acconti sul menzionato acquisto. Del pari illogica era la motivazione della Corte territoriale in ordine al già riferito utilizzo del marchio da parte della società già fallita che non spiegava la ragione per cui il B. doveva rinunziare ai propri diritti proprietari sul marchio oggetto di cessione. Declina la parte ricorrente anche violazione di legge nella parte in cui la Corte distrettuale non aveva considerato che il valore del marchio, comunque stimato euro 600.000, era stato considerato nella proposta d’acquisto dell’azienda e che pertanto alcun pregiudizio era rintracciabile in danno dei creditori che vedevano così accrescersi il valore complessivo del compendio aziendale.
5.3 Con il terzo motivo la parte ricorrente deduce sempre il vizio motivazionale, in relazione al capo 4 della imputazione, ed in particolare in ordine al descritto accordo truffaldino intercorso tra tutti gli imputati in relazione alla distrazione operata attraverso la sottoscrizione del più volte citato contratto estimatorio. Rileva la parte ricorrente l’illogicità della motivazione, giacchè, per un verso, l’operazione di alienazione del magazzino era stata compresa in una più complessa vicenda negoziale che prevedeva il trasferimento unitario dell’azienda ad un prezzo prefissato e complessivo e, per altro, non era comprensibile la ragione per cui il commissario giudiziale G. doveva prestarsi a tale operazione descritta come illecita.
Motivi della decisione
- I ricorsi sono infondati.
6.1 Va esaminato per primo il ricorso presentato dalla difesa del M..
6.1.1. Già il primo motivo di doglianza non è accoglibile.
6.1.2 Sul punto, giova ricordare, in termini ricostruttivi dell’istituto qui in esame, che la giurisprudenza di questa Corte regolatrice ha avuto modo di precisare che concorre, in qualità di “extraneus” nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell’amministratore di diritto della società dichiarata fallita, fornisca consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori e lo assista nella conclusione dei relativi negozi ovvero svolga attività dirette a garantirgli l’impunità o a rafforzarne, con il proprio ausilio e con le proprie assicurazioni, l’intento criminoso (nella specie l’imputata, in qualità di ragioniere e fiduciario dell’amministratore di diritto aveva consapevolmente proposto, coltivato e insistito per porre in essere atti depauperatori del patrimonio sociale a danno dei creditori) (Cass., Sez. 5, n. 49472 del 09/10/2013 – dep. 09/12/2013, Albasi e altro, Rv. 257566).
Peraltro, in termini più generali è stato affermato che sempre in tema di reati fallimentari, è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa Cass., Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011 – dep. 13/07/2011, Rosace, Rv. 250409).
6.1.3 Ciò posto, osserva il Collegio come in realtà la Corte distrettuale abbia fatto corretta applicazione dei principi raffinati da questa Corte regolatrice in tema di presupposti applicativi del concorso dell’extraneus nel reato fallimentare, avendo correttamente fondato il giudizio di penale responsabilità del professionista nella distrazione operata dagli amministratori della società fallita sulla circostanza emersa pacificamente nel corso dei giudizi di merito secondo cui il M., quale legale sia della società poi dichiarata fallita sia della società ICT acquirente il magazzino, consapevole dei propositi distrattivi del B. e del Mu., aveva assistito legalmente quest’ultimi nella predisposizione degli strumenti giuridici idonei a determinare la sottrazione del valore reale del magazzini ai creditori, svolgendo peraltro un’attività consulenziale diretta a favorire e rafforzare, con il proprio determinante contributo concorsuale, il proposito criminoso degli amministratori della società fallita e della ICT. 6.1.4 Nè è possibile nel tessuto argomentativo della sentenza impugnata rintracciare il dedotto vizio motivazionale.
Ed invero, la Corte territoriale con argomentazioni scevre da aporie logiche o contraddizioni ha fondato il giudizio di penale responsabilità dell’imputato ed in particolare della sua consapevolezza nel fornire il contributo causale alle condotte distrattive altrui sulla base delle insuperabili circostanze, da un lato, dei numerosi incontri intervenuti prima della stipulazione del contratto estimatorio proprio nello studio dell’Avv. M. per la predisposizione degli accordi di programma e per la realizzazione del piano aziendale, poi trasfusi nell’atto del 3.4.2002, e, dall’altro, dal contenuto della missiva del 27.3.2002 inviata dallo studio V. alla Banca di Credito cooperativo del Mugello, ove si dà atto proprio degli esiti degli incontri intervenuti presso lo studio dell’odierno imputato per la realizzazione del programma distrattivo. Peraltro, la Corte fiorentina evidenzia in modo logico e non contraddittorio, per la dimostrazione della partecipe consapevolezza del M. alla complessiva operazione di distrazione del magazzino, il rilevante dato probatorio secondo cui, sia nella missiva predetta dello studio V. che nella successiva missiva del 2.4.2002 inviata dallo studio Ba., emergesse in modo evidente la conoscenza da parte del M. del reale valore del magazzino, indicato in tutte e due le lettere sopra indicate in euro 2 milioni, mentre il valore poi trasfuso nel contratto estimatorio predisposto dall’imputato recepiva un valore del tutto incongruo rispetto al reale valore di mercato accertato nel corso dei giudizi di merito.
6.1.5 Ciò posto, le ulteriori doglianze sollevate in ordine alle dedotte circostanze secondo cui non era stato, da un lato, il M. a proporre la conclusione del contratto estimatorio e che, dall’altro, non era stato coinvolto nella costituzione della nuova società cui erano stati alienati i beni e che peraltro aveva ricevuto per l’attività professionale svolta un compenso congruo rispetto alle tariffe professionali risultano essere circostanze ed argomentazioni del tutto irrilevanti, dal punto di vista dello scrutinio della tenuta logica della motivazione, e ciò sulla base della evidente considerazione che l’attiva partecipazione del professionista alla elaborazione del piano concordatario – il cui programma prevedeva, come principale pilastro negoziale del trasferimento dell’azienda alla società ICT, proprio la stipulazione del contratto estimatorio (attraverso il quale si è realizzata, poi, la contestata distrazione) – e la piena consapevolezza dell’effettivo valore del magazzino escludono in radice la rilevanza dei dedotti argomenti che si presentano come circostanze di dettaglio che, se fossero state valutate dalla Corte di merito, non avrebbero determinato in alcun modo una diversità di valutazioni e comunque non avrebbero inficiato la tenuta logica della complessiva motivazione.
6.1.6 Ad analoga conclusione deve giungersi anche in ordine alla dedotta illogicità della motivazione nella parte in cui non avrebbe considerato, secondo le doglianze sollevate dal ricorrente, che il contratto estimatorio, attraverso il quale si era realizzata la distrazione, era stato sottoposto alla condizione dell’approvazione da parte degli organi della procedura concorsuale e che sul punto la Corte distrettuale aveva illogicamente motivato sulla base della considerazione che la mancata risposta alla missiva inviata da B. e Ma. doveva considerarsi come un avallo del M. al piano distrattivo. Le predette circostanze sono da considerarsi anch’esse di dettaglio e non decisive ai fini della tenuta logica della motivazione, e ciò sulla base della insuperabile considerazione che la distrazione si era comunque realizzata al di là della esistenza della condizione sospensiva (non realizzata e comunque non rispettata dai contraenti) e che l’operatività del contratto estimatorio era stata comunque comunicata all’Avv. M. il quale, consapevole della dannosità dell’operazione negoziale per i creditori, non aveva in alcun modo comunicato la sua contrarietà alla realizzazione del programma distrattivo.
6.2.1 Ma anche il secondo motivo di doglianza sollevato dalla difesa del M. non merita accoglimento.
6.2.2 Non può rintracciarsi alcuna illogicità o contraddittorietà della motivazione nella dedotta circostanza della valorizzazione nella motivazione impugnata del fatto che il M. fosse comparso sulla scena dei fatti fin dalla presentazione della domanda di ammissione alla procedura di amministrazione controllata, atteso che invero anche quest’ultima circostanza non può ritenersi decisiva per la tenuta logica della motivazione di fronte alla valorizzazione nella motivazione della Corte di merito degli altri elementi di prova sopra ricordati e che per altro l’attività consulenziale svolta dal professionista in favore della società fallita sin dall’inizio delle diverse procedure concorsuali “alternative” al fallimento denotano, come implicitamente ammesso dalla Corte distrettuale, una perfetta conoscenza della situazione finanziaria e patrimoniale della società debitrice, con la ulteriore logica conseguenza della piena consapevolezza e compartecipazione dell’imputato alle successive operazioni distrattive contestate nel capo di imputazione. Peraltro, non può neanche essere sottaciuto, come rilevato incidentalmente anche dalla Corte territoriale, che già l’ammissione della società alla procedura di amministrazione controllata presentava gravi anomalie, con ciò colorando di gravità e concludenza anche le condotte poste in essere dai protagonisti dell’odierna vicenda processuale sin dall’inizio dell’avvio delle procedure di salvataggio della società fallita.
6.2.3 Ma anche l’ulteriore argomentazione utilizzata dal M. in ordine al recepimento dei valori di stima del consulente Ga.
prova troppo e non è rilevante al fine di inficiare la coerenza logica della motivazione impugnata. Ed invero, la circostanza secondo cui la provenienza della stima da parte di un organo della procedura fallimentare nominato dal giudice delegato dovrebbe deporre per la buona fede dell’imputato, nel senso della sua non consapevolezza del reale valore di stima del magazzino, cozza, proprio sul piano logico, con la sopra riferita partecipazione del M. alle trattative per la predisposizione del piano di salvataggio della società fallita e del conseguente e parallelo piano distrattivo posto in essere dagli amministratori delle sue società coinvolte, proprio con l’ausilio del professionista oggi imputato.
- Anche il ricorso presentato dalla difesa della G. va rigettato.
7.1 In ordine al primo motivo di doglianza, preme alla Corte subito precisare che il principio previsto dall’art. 587 c.p.p., riguarda l’estensione, all’imputato non impugnante sul punto, degli effetti favorevoli derivanti dall’accoglimento del motivo di natura oggettiva dedotto dal coimputato, ma non implica l’estensione da un coimputato all’altro dei motivi di impugnazione, con conseguente dovere da parte del giudice di esaminarli (Cass., Sez. 1, n. 44319 del 30/09/2014 – dep. 23/10/2014, Gargiulo, Rv. 261697). Ed invero, l’operatività dell’istituto previsto dall’art. 587 c.p.p. presuppone l’avvenuto accoglimento, nel giudizio conclusivo del gravame, del motivo di impugnazione non esclusivamente personale, ed ha per oggetto l’estensione, all’imputato non impugnante sul punto, degli effetti favorevoli derivanti dall’accoglimento del motivo di natura oggettiva dedotto dal coimputato che si è diligentemente avvalso del mezzo di impugnazione. Il principio della estensione della impugnazione stabilito dall’art. 587 c.p.p., non può invece essere interpretato come automatico travaso ed estensione, da un coimputato all’altro, dei motivi di gravame non esclusivamente personali, sia perchè l’estensione è riferibile agli effetti favorevoli della intervenuta decisione del giudice dell’impugnazione e non ai motivi di gravame dedotti da ciascuno dei ricorrenti, sia perchè una siffatta interpretazione si pone in palese contrasto con i principi generali in materia di impugnazioni, secondo cui l’ambito cognitivo del giudice dell’impugnazione è delimitato dai punti e dai motivi dedotti con il mezzo di gravame (art. 581 c.p.p.).
7.1.1 Ciò posto, ritiene la corte come le censure sollevate dalla difesa della G. in relazione alla mancata risposta della Corte distrettuale alle doglianze avanzate dal coimputato Mu. e poi recepite con memoria integrativa dalla G. nel corso del giudizio di appello siano da ritenersi del tutto irricevibili in questa sede, stante il principio di diritto da ultimo ricordato e stante pertanto la presentazione della relativa doglianza da parte della G. per la prima volta solo in questo giudizio di legittimità. Ciò vale in particolar modo in ordine alle dedotte censure in ordine, da un lato, all’erroneità logica conseguente alla mancata considerazione della notevole differenza tra il prezzo di acquisto della merce da parte di ICT e il ricavo della successiva vendita come elemento di per sè sufficiente a dimostrare la contestata distrazione e, dall’altro, alla dedotta erroneità di una valutazione parcellizzata dei beni aziendali di cui invece doveva essere considerato il valore unitario nell’ottica dell’ammissione della società debitrice ad una procedura di concordato preventivo che prevedeva la cessione dell’azienda ad ICT. 7.1.2 Seguendo, poi, l’ordine di presentazione delle ulteriori doglianze sollevate dalla difesa dell’imputata, osserva subito la Corte come le stesse siano in realtà dirette a sollecitare un’inammissibile rivalutazione da parte della Corte di legittimità delle prove già scrutinate nella fase di merito, richiedendo pertanto al giudice di legittimità una operazione non percorribile in questo peculiare giudizio.
7.1.3 Sul punto, giova in primo luogo ricordare che, in relazione al contenuto della doglianza, la Corte di legittimità non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione di merito. La valutazione di questi elementi è riservata in via esclusiva al giudice di merito e non rappresenta vizio di legittimità la semplice prospettazione, da parte del ricorrente, di una diversa valutazione delle prove acquisite, ritenuta più adeguata. Ciò vale, in particolar modo, per la valutazione delle prove poste a fondamento della decisione. Ed infatti, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non può stabile se la decisione del giudice di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una “plausibile opinabilità di apprezzamento”. Ciò in quanto l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, non consente al giudice di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Piuttosto è consentito solo l’apprezzamento sulla logicità della motivazione, sulla base della lettura del testo del provvedimento impugnato. Detto altrimenti, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.
7.1.3 Così il vizio motivazionale sollevato dalla difesa della G. in ordine sia all’asserita violazione dei criteri legali di stima del magazzino che in ordine alla variabilità di valutazioni delle stime del consulente Ga. vogliono in realtà, dietro l’allegazione del vizio argomentativo, sollecitare la Corte ad una rivalutazione del materiale probatorio già scrutinato dai giudici del merito. Peraltro, non è riscontrabile sul punto qui da ultimo in discussione alcun profilo di illogicità della motivazione in ordine alla contestata ipotesi di distrazione del magazzino, atteso che la Corte distrettuale, con motivazione esente da contraddizioni ed illogicità, fonda la valutazione di positiva consapevolezza dell’imputata alla realizzazione della sopra descritta distrazione sulla insuperabile circostanza secondo cui era stata la stessa G. a valutare, nella veste di commissario della procedura di amministrazione controllata, per prima nella relazione del 21.12.2001 il magazzino nel complessivo valore di L. 5.383.000.000, avendo peraltro avuto contezza, quale organo della procedura deputato al controllo di regolarità della stessa, della successiva valutazione fornita dallo stesso tecnico V. nominato dalla società debitrice e che fissava il valore del magazzino in un range oscillante tra 1.800.000 e 2.100.000 euro, valutazione poi confermata dal successivo commissario Mo., succeduta nell’incarico alla G.. Del resto, non può assumere valenza dirimente e significativa la diversa valutazione fornita dal consulente Ga. che aveva aggiornato il suo criterio di stima a valutazioni di carattere liquidatorio e che dunque risultano essere evidentemente errate in una diversa e successiva prospettiva di soluzione concordataria con continuità aziendale, garantita attraverso il contratto d’affitto d’azienda e il contratto estimatorio concluso proprio per la vendita del magazzino.
7.1.4 Sulla base delle medesime considerazioni da ultimo svolte deve ritenersi infondata anche l’ulteriore censura avanzata dalla difesa della G. in ordine al dedotto profilo dell’erroneità dell’accertata responsabilità dell’imputata per l’omesso impedimento della vendita a prezzo vile e più in particolare la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla conoscenza ovvero conoscibilità del reale valore di magazzino dalla G. come desumibile dalla relazione del 21.12.2001.
7.1.5 Anche qui si vuole di nuovo sollecitare una ulteriore valutazione di merito da parte della Corte di legittimità su un passaggio argomentativo della motivazione che invece risulta essere immune da vizi di illogicità e contraddittorietà, e ciò se solo si considera che, come correttamente rilevato il giudice d’appello, la posizione di garanzia della G., quale organo della procedura deputato proprio al controllo di regolarità della stessa, configurava la responsabilità dell’imputata quanto meno ai sensi dell’art. 40 c.p., cpv., là dove risultava evidente l’intento distrattivo dimostrato dagli amministratori delle due società coinvolte nella operazione di concordato preventivo attraverso la svalutazione del reale valore del magazzino e la vendita a prezzo vile di quest’ultimo alla società ICT. La valutazione da parte della G. del valore di magazzino nella somma di L. 5.383.000.000, lungi dal rappresentare – come vorrebbe la parte ricorrente – una valutazione provvisoria e destinata a successivi rimaneggiamenti (poi, peraltro, mai intervenuti), dimostra invece, come logicamente argomentato dalla Corte fiorentina, la piena consapevolezza (ed adesione) della G. al piano distrattivo più volte descritto.
7.1.6 In ordine, poi, al profilo dedotto in relazione al contestato ruolo commissivo nel piano di depauperamento realizzato dal B. e Ma. ove la parte ricorrente deduce la radicale mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine ai motivi di gravame proposti dalla ricorrente, osserva subito la Corte come, in realtà, ai fini dell’adempimento dell’obbligo della motivazione, il giudice di merito non è tenuto a prendere in esame e a confutare ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che indichi le ragioni del proprio convincimento e della decisione adottata, anche in maniera succinta, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo.
7.1.7 Ciò posto, osserva la Corte come i dedotti motivi di doglianza riguardanti la mancata ratifica da parte degli organi della procedura del contratto estimatorio, nonchè la ulteriore dedotta circostanza secondo cui la dott.ssa Mo., succeduta nell’incarico alla G., aveva proseguito nella esecuzione del contratto estimatorio senza che la sua condotta fosse stata censurata e la ulteriore circostanza secondo la quale l’esecuzione del predetto contratto aveva apportato risorse soddisfacenti in ordine alle finalità delle procedure concorsuali, lungi dal rappresentare elementi idonei a scardinare la coerenza logica della motivazione, rappresentano invero circostanze marginali e sulle quali la Corte fiorentina ha implicitamente risposto attraverso la valorizzazione, sul piano argomentativo, sia del ruolo di garanzia svolto dalla G. (e per il quale la penale responsabilità di quest’ultima si determina anche in ragione del mancato controllo ed impedimento delle condotte distrattive altrui) sia attraverso il suo coinvolgimento attivo nella vicenda distrattiva àttraverso il procrastinare la dichiarazione di fallimento ed attraverso il suo apporto causale al depauperamento del valore del magazzino e alla sua successiva alienazione a prezzo vile.
7.1.8 In relazione alla ulteriore doglianza relativa alla contraddittorietà della motivazione in ordine alla contestata inerzia nella segnalazione dello stato di dissesto per posticipare la dichiarazione di fallimento, osserva la Corte che anche qui il giudice del gravame ha correttamente argomentato, evidenziando l’interesse della G. al proliferare delle procedure come tale collegato al maturare del compenso come professionista delle procedure e l’apporto causale fornito ai concorrenti nel reato distrattivo attraverso l’anomala tempistica di attivazione del procedimento di stima del magazzino e l’avallo ad un criterio di stima liquidatorio del valore del magazzino del quale invece l’imputata conosceva la potenzialità di rivendita sul mercato.
Procedere oltre nella richiesta valutazione degli elementi di prova già esaminati dai giudici del merito significherebbe aderire ad un’inammissibile rivalutazione contenutistica e di merito, come tale inibita alla Corte di legittimità.
7.1.9 In ordine, infine, alle censure motivazionali dedotte in merito alla mancata valutazione della circostanza della nomina di più ausiliari per il compimento dell’intero inventario del patrimonio della società e della conseguente illogicità della motivazione là dove non aveva considerato che la nomina del perito stimatore del magazzino non poteva essere estrapolata dalle altre operazioni poste in essere dal commissario, occorre anche qui sottolineare la irricevibilità della doglianza.
7.1.10 Sul punto, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, per quanto qui interessa, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anzichè al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita (Cass., Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012 – dep. 16/11/2012, P.M. in proc. Aprovitola). Ed invero, a tale scopo, una volta indicati gli elementi rilevanti, la motivazione “di merito” deve chiarire per qual ragione e sulla base di quali elementi, sia stata elaborata o condivisa una determinata ipotesi ricostruttiva e, se del caso, per qual ragione ne siano state scartate altre. Ed è su tale “prodotto dell’ingegno” che va sollecitato il sindacato del giudice di legittimità, non certo sul puro e semplice “materiale probatorio” o indiziario raccolto e valutato. Ciò anche, per la nota ragione, in base alla quale non esiste una prova che possa esser valutata disgiuntamente dalle altre, come avulsa dall’intero quadro ricostruttivo, di talchè la corte di cassazione mai potrebbe pronunziarsi su di essa, ma solo, come anticipato, sui criteri interpretativi e sulle deduzioni logiche che dai predetti dati sono stati tratti nella fase del merito.
In sintesi, quel che alla corte deve esser chiesto, se si ipotizza un vizio dell’apparato motivazionale, è un mero giudizio di congruità logica sulla interpretazione che del materiale probatorio e indiziario è stata effettuata dai giudicanti; solo nei limiti – è il caso di ribadirlo – in cui la riproduzione di detto materiale è funzionale al vaglio di logicità, ne è consentita l’allegazione al ricorso, ovvero la trascrizione all’interno dello stesso.
Conseguentemente, offrire al giudice di legittimità alcuni frammenti probatori o indiziari e pretendere che su di essi la corte di legittimità esprima un giudizio comporta un profondo fraintendimento del ruolo e dei poteri della corte stessa. Invero, la motivazione di un provvedimento dovrebbe essere aggredita esclusivamente sotto il triplice profilo della completezza, della logicità e della aderenza del ragionamento ai dati fattuali.
7.1.11 Ciò posto, osserva la Corte come invero il giudice d’appello abbia fornito adeguata risposta argomentativa, sottolineando l’assoluta ed insuperabile incongruenza della valutazione di stima del magazzino da parte del Rag. Ga. (con una valutazione di euro 664.000, a fronte di un valore di almeno 2.000.000 di euro) e la consapevole adesione dell’imputata, per quanto già sopra evidenziato, al programma distrattivo posto in essere dai concorrenti nel reato, così rendendo del tutto irrilevante la dedotta circostanza della collocazione della vendita del magazzino all’interno della più ampia operazione delineata con il concordato preventivo. Del resto, risulta di solare evidenza il rilievo che anche la valutazione parcellizzata di una singola operazione negoziale, ancorchè inserita in un contesto più ampio di programmazione di liquidazione ovvero di continuità aziendale, può evidenziare la consumazione del reato distrattivo, se ricorrono – come nel caso di specie – i presupposti per la contestazione del reato di bancarotta patrimoniale.
7.1.12 Deduce inoltre la ricorrente il vizio motivazionale in ordine al profilo della mancata valutazione che il contratto estimatorio, peraltro mai ratificato dagli organi della procedura, era successivo alla c.d. perizia Ga. e che la prognosi negativa in ordine agli esiti dell’amministrazione controllata con la possibilità di un prossimo fallimento rendeva coerente una valutazione liquidatoria dei cespiti oggetto del detto contratto estimatorio.
7.1.13 Anche qui occorre evidenziare come la mancanza o contraddittorietà della motivazione non può essere individuata in base ad una critica frammentaria dei singoli punti della motivazione, isolatamente considerati, dovendosi invece tenere conto della motivazione stessa nel suo complesso a riconoscere adempiuto l’obbligo del giudice di dare spiegazione della decisione adottata, quando il ragionamento si presenti senza errori di logica e di diritto. Ciò detto, va osservato come la motivazione resa sul punto dalla Corte distrettuale risulta adeguata e coerente con l’ulteriore profilo della non contestabile consapevolezza da parte della G. che la stima operata dal Ga. doveva essere utilizzata non già in seno ad una procedura fallimentare di liquidazione del patrimonio, quanto piuttosto in una ottica di valorizzazione dei beni nella prospettiva della continuità aziendale realizzata attraverso il contratto d’affitto d’azienda ed il contratto estimatorio stipulato in favore della società ICT. 7.1.14 Ed infine, in ordine al vizio motivazionale denunziato in relazione alla mancata valutazione del profilo che nessun vantaggio economico poteva derivare alla ricorrente dal ritardo nella dichiarazione di fallimento, stante la determinazione del compenso del commissario e del curatore in termini completamente scollegati dalla durata della procedura ed invece collegati all’attivo e al passivo accertati, occorre evidenziare che anche qui la Corte di merito ha evidenziato che comunque il proliferare delle procedure determinava il maturarsi di una molteplicità di compensi collegati a ciascuna procedura, così evidenziando l’interesse dell’imputata anche al ritardo nella dichiarazione di fallimento.
7.1.15 Da ultimo, anche la lamentata mancanza di motivazione in ordine al diniego nella richiesta concessione delle attenuanti generiche ed in punto di statuizioni civili, la parte ricorrente vorrebbe sollecitare, innanzi ad una motivazione coerente, completa e resa anche con il richiamo alle argomentazioni spese dal primo giudice, un’inammissibile rivalutazione del merito della decisione resa nelle precedenti fasi del giudizio.
- Devono ora essere esaminati i motivi di ricorso presentati da parte della ricorrente G. personalmente.
8.1 Essi sono del pari alle altre doglianze sopra esaminate del tutto infondati.
Lamenta più nel dettaglio la. parte ricorrente il travisamento della prova in ordine all’affermata sua responsabilità per l’accertata inerzia dimostrata di fronte alla esecuzione del contratto estimatorio e alla gravità dello stato di dissesto della società debitrice e in relazione alla disposta perizia Ga. per quanto concerne il valore del magazzino, deducendo la sua estraneità a tale valutazione ed ai successivi accordi diretti alla liquidazione del magazzino. Deduce infine la ricorrente il travisamento della prova in ordine al suo presunto interesse contrario alla dichiarazione di fallimento e la illogicità della statuizione civile contenuta nella sentenza impugnata.
8.2. In ordine a quest’ultima doglianza, possono essere richiamate integralmente le osservazioni già sopra svolte sempre in ordine alle medesime doglianze sollevate da parte della ricorrente per mezzo dei suoi difensori.
8.3 In ordine, poi, al profilo di doglianza relativo alla perizia Ga., occorre ricordare che – in tema di ricorso per cassazione non è possibile dedurre come motivo il “travisamento del fatto”, giacchè è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, essendo invece consentito, (art. 606 c.p.p., lett. e), dedurre il “travisamento della prova”, che ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Ed invero, in quest’ultimo caso, infatti, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se questi elementi esistano (Cass. Sez. 4, n. 4675 del 17/05/2006 – dep. 06/02/2007, P.G. in proc. Bartalini e altri, Rv. 235656). Ne discende la non ricevibilità della doglianza così sollevata dalla parte ricorrente.
8.4 Ma risulta non condivisibile ed accoglibile anche l’ulteriore doglianza sollevata dalla ricorrente relativa al comportamento adottato in relazione alla esecuzione del contratto estimatorio, in quanto diretto in realtà a sollecitare la Corte a reinterpretare gli elementi di prova già valutati dal giudice di merito ai fini della decisione.
- Anche il primo motivo di ricorso avanzato dalla difesa del B. è infondato.
Non è condivisibile l’eccezione di prescrizione del reato in relazione al capo 3 della rubrica.
9.1 Sul punto, giova ricordare che in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, nel caso in cui all’ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, la prescrizione decorre dalla sentenza dichiarativa di fallimento e non dall’ammissione al concordato preventivo, stante la disuguaglianza tra le due procedure che non consente di intravedere nella successione elle vicende concorsuali la medesima connotazione e quella uniformità che può consentire l’assorbimento cronologico della seconda nella prima (Cass., Sez. 5, n. 15712 del 12/03/2014 dep. 08/04/2014, Consol e altri, Rv. 260220).
9.2 Pertanto, osserva la Corte che, avendo a riferimento la data di dichiarazione di fallimento fissato l’11.6.2003, il termine di prescrizione non è decorso nè alla data di celebrazione del giudizio di appello, nè successivamente.
9.3 In ordine al secondo motivo di doglianza sollevato dalla difesa del B., va detto che il dedotto vizio motivazionale della sentenza impugnata non è rintracciabile in alcun modo, atteso che la Corte di merito argomenta in modo logico e non contraddittorio in ordine alla circostanza che, a fronte di consistenti (e peraltro neanche contestate) sottrazioni di denaro dalle casse sociali in favore della ditta individuale e dunque del B. stesso, la spiegazione fornita dall’imputato in ordine all’imputabilità dei prelievi di denaro per compensare il controcredito nascente dalla cessione del marchio in favore della società poi fallita non risulta plausibile e credibile, e ciò in ragione della insuperabile circostanza che il marchio era in uso della società debitrice già da cinque anni e dunque non occorreva la cessione del marchio in favore di quest’ultima società per facoltizzarla ad utilizzarlo.
9.4 Anche il terzo motivo di doglianza del B. non è accoglibile. Ed invero, la motivazione rasa sul punto qui in discussione della Corte fiorentina, esente da contraddizioni logiche, è invece profusa nello spiegare la piena consapevolezza del B. in ordine alla stima vile del magazzino e dunque la sua consapevolezza di ledere gli interessi dei creditori della fallita attraverso la cessione a ICT del magazzino al prezzo indicato nel contratto estimatorio.
In base al principio della soccombenza, l’imputata G. M. deve essere condannata alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e G.M., altresì, alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile liquidate in Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2016
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