INGEGNERE PROGETTISTA RESPONSABILITA’ PENALE

INGEGNERE PROGETTISTA RESPONSABILITA’ PENALE

AVVOCATO ESPERTO DIFESA PENALE CIVILE DISCIPLINARE INGEGNERI ARCHITETTI BOLOGNA MELANO VICENZA PADOVA  VERONA TREVISO ANCONA

051 6447838

PROFESSIONISTI – Giudizi disciplinari – Procedimento – Ingegneri ed architetti – Cancellazione dall’albo per condanna penale ex art. 20 del r.d. n. 2537 del 1925 – Automatismo – Esclusione – Fondamento – PROFESSIONISTI – Ingegneri e architetti – In genere

REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampa

Il provvedimento di cancellazione dall’albo degli architetti per condanna penale ex art. 20 del r.d. n. 2537 del 1925 non ha natura vincolata ed automatica, essendo principio generale che l’effetto destitutivo da una professione per condanna penale sia mediato dalle garanzie del procedimento disciplinare e del giudizio sulla gravità dell’addebito. (Cassa con rinvio, Cons. Naz. Architetti, 11/06/2014)

Cass. pen., Sez. III, 12/12/2002, n. 8420 (rv. 224166)

Il progettista di un manufatto abusivo non risponde del reato di cui all’art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, neanche a titolo di concorso, atteso che la fase di redazione di un progetto, anche se difforme dalla normativa vigente, va tenuta distinta da quella di direzione dei lavori, e non può configurarsi un nesso di causalità tra la redazione del progetto e l’attività di attuazione dello stesso, soltanto per la quale sussiste rilevanza penale.

Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 24/05/2017, n. 31282 (rv. 270278)

EDILIZIA – Costruzione edilizia – Immobile abusivo – Progettista non direttore dei lavori – Responsabilità a titolo di concorso – Sufficienza – Esclusione

La sola veste di progettista di un manufatto abusivo non consente, di per sé, di ravvisare il concorso nel del reato di cui all’art. 44 T.U. Urb., neanche a titolo di concorso, atteso che la fase di redazione di un progetto, anche se difforme dalla normativa vigente, va tenuta distinta da quella di direzione dei lavori, e non può configurarsi un nesso di causalità tra la redazione del progetto e l’attività di attuazione dello stesso, soltanto per la quale sussiste rilevanza penale, ed alla quale il progettista deve avere fornito un apporto concreto ed ulteriore, rispetto alla redazione del progetto. (Rigetta in parte, App. Brescia, 21/04/2016)

Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 24/05/2017, n. 31282 (rv. 270278)

EDILIZIA – Costruzione edilizia – Immobile abusivo – Progettista non direttore dei lavori – Responsabilità a titolo di concorso – Sufficienza – Esclusione

La sola veste di progettista di un manufatto abusivo non consente, di per sé, di ravvisare il concorso nel del reato di cui all’art. 44 T.U. Urb., neanche a titolo di concorso, atteso che la fase di redazione di un progetto, anche se difforme dalla normativa vigente, va tenuta distinta da quella di direzione dei lavori, e non può configurarsi un nesso di causalità tra la redazione del progetto e l’attività di attuazione dello stesso, soltanto per la quale sussiste rilevanza penale, ed alla quale il progettista deve avere fornito un apporto concreto ed ulteriore, rispetto alla redazione del progetto. (Rigetta in parte, App. Brescia, 21/04/2016)

Corte d’Appello Milano, Sez. II, 04/11/2005, n. 4351

Inizio modulo

Fine modulo

In materia di infortuni nell’edilizia, in linea generale, l’esecutore dei lavori edilizi è tenuto a indagini del suolo, atteso che esse sono funzionali all’assolvimento delle cautele previste dalla legge speciale (D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164) e considerato che, indipendentemente dall’eventuale concorso di colpa dell’ingegnere progettista, del crollo di un immobile risponde civilmente il costruttore anche quando la rovina della costruzione dipenda da vizio del suolo (art. 1669 c.c.).

Tribunale Mantova, Sez. II, Sent., 30/09/2021, n. 917

  • Sentenza

IntestazioneSvolgimento del processoMotivi della decisioneP.Q.M.Conclusione

Intestazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MANTOVA

SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandra Venturini ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2190/2018 promossa da:

M.T. SRL rappresentata e difesa dall’ Avv.to MORICONI PIERO

ATTRICE

contro

C.S. rappresentato e difeso dall’Avv.to COLOMBO PAOLO e dall’Avv.to BERTOLINI MONICA

CONVENUTO

e con la chiamata in causa di

Z.I. PLC- Rappresentanza Generale per l’Italia rappresentata e difesa dall’ Avv.to BENEDINI GUIDO e dall’Avv. BENEDINI FRANCESCO

TERZA CHIAMATA

Oggetto: Responsabilità professionale

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato M.T. s.r.l. (di seguito M.) conveniva in giudizio l’architetto C.S. allegando: di aver partecipato alla vendita immobiliare senza incanto relativa alla procedura esecutiva del Tribunale di Mantova rubricata al n. 501/2013 avente ad oggetto una casa unifamiliare (lotto 1) ed un edificio destinato a capannone con annessa area cortiva (lotto 2), posti nel Comune di Curtatone (MN) in via Arginotto n. 56, risultandone aggiudicataria, quanto al lotto 1 per il prezzo di Euro.209.925,00 e quanto al lotto 2 per il prezzo Euro.64.100,00, beni alla stessa trasferiti con decreto del Giudice dell’Esecuzione in data 16/06/16; che la perizia tecnica di stima degli immobili riguardanti l’esecuzione in oggetto era stata effettuata dall’architetto S.C., il quale aveva attestato, in relazione all’immobile di cui al lotto 1 (“edificio destinato a casa unifamiliare posto nel comune di Curtatone (MN) alla via Arginotto n. 56, composto da un piano terra ed un piano primo, con due tettoie e centrale termica poste alle esterno ed area cortiva ad uso esclusivo”) quanto segue “… In data 17 marzo 2005 veniva presentata la richiesta del certificato di agibilità, in data 4 aprile 2005 il Comune di Curtatone emetteva una richiesta di documentazione integrativa, con sospensione dei termini, alla richiesta del certificato di agibilità. Pertanto l’immobile oggetto della perizia risulta regolarmente autorizzato, ma privo del relativo certificato di agibilità. Sarà pertanto necessario provvedere all’integrazione di documentazione richiesta dal Comune, pratica che comporterà un onere di circa Euro.800,00, comprensivo di spese tecniche”, e, in relazione all’immobile di cui al lotto n. 2 (“edificio destinato a capannone con annessa area cortiva, posto nel comune di Curtatone (MN) alla via Arginotto n. 56”) che lo stesso: “… risulta privo di Concessioni Edilizie e, di conseguenza, di certificato di Agibilità; pertanto sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l’Ufficio Tecnico, che comporterà un onere di circa Euro.2.500,00, comprensivo di spese tecniche per predisposizione della domanda”; che dalla suddetta perizia risultava quindi che la casa unifamiliare era conforme alle autorizzazioni e concessioni amministrative, ma non aveva il certificato di agibilità, per il cui rilascio era sufficiente provvedere ad integrare la documentazione richiesta dal Comune sostenendo una modica spesa, pari ad Euro.800,00 spese tecniche incluse e che il capannone, pur presentando degli abusi (mancanza di concessioni edilizie e di certificato di agibilità) poteva essere trasferito, in quanto l’abuso era sanabile; che infatti il divieto di trasferire gli immobili che presentano in tutto o in parte degli abusi non si applica alle vendite esecutive immobiliari in virtù del combinato disposto degli articoli 46, comma 5, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e art. 40, comma 6 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 e che se vi sono le condizioni previste ex lege, l’aggiudicatario è rimesso nei termini per la presentazione della domanda della concessione in sanatoria; che quando M. si era rivolta all’Ufficio Tecnico del Comune di Curtatone per chiedere la concessione in sanatoria della licenza edilizia relativa al capannone, precisando che aveva acquistato l’immobile da una procedura esecutiva, le era stato riferito che nel caso in esame non vi erano le condizioni previste dalla legge per ottenere la sanatoria, in quanto l’abuso non era sanabile poiché il capannone sorgeva in zona agricola sottoposta a vincolo; che ciò era stato confermato dal tecnico cui si era successivamente rivolta l’attrice, Geom. F.R., il quale aveva appurato che “…l’edificio catastalmente contraddistinto al mapp.(…) sub.(…) del Fog. (…) e identificato come Lotto 2 nella Perizia di Stima, parag. 1 e 2 in premessa, non può essere oggetto di sanatoria, ai sensi degli artt. 31 e 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.i. in quanto in “zona agricola (E1)” compresa nella fascia di rispetto di interazione della zona agricola con le abitazioni isolate, ove non sono ammesse nuove costruzioni”; che l’arch. C. nella sua relazione di stima aveva commesso un altro rilevante errore, nella parte in cui in relazione al lotto 1 aveva dichiarato che per ottenere il certificato di agibilità mancante della casa unifamiliare era sufficiente integrare la documentazione richiesta dal Comune con una spesa di “…circa Euro.800,00 comprensivo di spese tecniche”, in quanto, interpellato un tecnico del settore, era emerso che la spesa preventivabile per ottenere le certificazioni era pari ad Euro.5.950,00, oltre ad Euro 2.600,00 per competenze professionali; che essendo la situazione emersa del tutto diversa da quella descritta nella perizia di stima, l’attrice aveva richiesto chiarimenti all’arch. C., il quale non aveva fornito chiari riscontri e non aveva formulato alcuna proposta risarcitoria.

Ciò premesso l’attrice, allegando la responsabilità civile del convenuto per i danni arrecati nello svolgimento dell’incarico, concludeva chiedendo la condanna dello stesso al risarcimento dei danni dalla stessa subiti, consistenti nella differenza tra il prezzo corrisposto pari ad Euro 64.100,00 ed Euro 3.975,00 (Euro 60.125,00), nelle spese necessarie per la demolizione del capannone (alla quale l’attrice sarà obbligata, non potendo ottenere la sanatoria), quantificate in Euro 8.000,00, nelle maggiori spese ed interessi sostenuti e che si sosterranno per il mutuo ottenuto dall’attrice al fine di acquistare anche il lotto 2, quantificabili in circa Euro.5.000,00, nelle spese sostenute (Euro 594,50) e da sostenere sino alla demolizione per assicurare il capannone in oggetto e nella maggior somma necessaria per regolarizzare il lotto 1, importo pari ad Euro. 7.750,00, per complessivi Euro 81.399,50, ovvero la minor o maggior somma che sarà dichiarata di giustizia e che risulterà in corso di causa.

Il convenuto, tempestivamente costituitosi, contestava quanto allegato da parte attrice e chiedeva il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti.

In particolare allegava che la affermazione dell’attrice secondo la quale il capannone di cui al lotto 2 non era suscettibile di sanatoria era errata, essendo l’immobile compreso in Zona agricola E1, normata dall’art. 76 e non dall’art. 77 delle citate NTA, all’interno della quale è perfettamente ammessa la realizzazione di nuove costruzioni, ancorchè in presenza di specifici requisiti di ordine funzionale e soggettivo, prevedendo infatti le norme in argomento che i permessi di costruire relativi ad interventi in Zona E1, anche ove consistenti nella realizzazione di nuove costruzioni, sono ammessi esclusivamente per opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alla residenza dell’imprenditore agricolo a titolo principale e dei dipendenti dell’azienda, nonché per le attrezzature e le infrastrutture produttive, e che detti titoli autorizzativi possono essere rilasciati solo ai soggetti di cui all’art. 60 della L.R. Lombardia n. 12 del 2005 e s.m.i. (imprenditore agricolo a titolo professionale, titolare o legale rappresentante dell’impresa agricola); che pertanto, come rilevato dall’artch. C. l’immobile era ed è perfettamente sanabile in presenza dei requisiti di ordine funzionale e soggettivo previsti dall’art. 76 delle NTA del Piano delle Regole di Curtatone e dall’art. 60 della L.R. n. 12 del 2005; che la legale rappresentante della società aggiudicataria, T.A., era la figlia di T.V., che aveva acquistato nel 1985 gli immobili per cui è causa, per poi conferirli, nel 2005 nella società I.S.T.H. Limited, con atto in cui si specificava che il Sig. T.V. era il referente di detta società e si ribadiva che il conferimento riguardava un edificio rurale con annessa area agricola; che il T. con la famiglia dal 1985 aveva sempre abitato la casa di cui al lotto 1, contigua al capannone di cui al lotto 2, per cui T.A. conosceva perfettamente, al momento della formulazione dell’offerta poi risultata aggiudicataria, lo stato degli immobili e la loro destinazione urbanistica; che pertanto se la società aggiudicataria non era stata in grado di ottenere la sanatoria ciò dipendeva dalla mancanza dei requisiti soggettivi e funzionali e non da un divieto posto dalla normativa tecnica di attuazione, con conseguente assenza di responsabilità in capo al convenuto per i danni prospettati dall’attrice; che i documenti per ottenere il certificato di abitabilità per l’immobile di cui al lotto 1 erano unicamente ai documenti che erano stati descritti dallo stesso Comune di Curtatone nella raccomandata a.r in data 4 aprile 2005 e che l’oblazione richiesta era di importo compreso fra un minimo di Euro 500,00 ed un massimo di Euro 1.000,00, con ciò risultando giustificato il costo medio indicato in perizia di Euro 800,00.

Nella denegata ipotesi di accoglimento anche parziale delle domande di parte attrice il convenuto chiedeva la chiamata in causa della propria compagnia assicuratrice, Z.I. Plc, per la responsabilità professionale, al fine di tenerlo indenne e manlevato dall’eventuale obbligo di risarcimento e/o di ottenere condanna della stessa a pagare direttamente alla società attrice quanto eventualmente dovuto.

Autorizzatane la chiamata in causa, si costituiva Z.I. Plc, chiedendo in via principale il rigetto delle domande avanzate dall’attrice nei confronti del proprio assicurato e, in via subordinata, nella denegata ipotesi di accertata responsabilità del proprio assicurato, accogliersi la domanda di manleva da questi formulata con le limitazioni, massimali, franchigie e scoperti di polizza.

La causa veniva istruita mediante CTU.

Motivi della decisione

Le domande di parte attrice risultano fondate nei limiti di seguito indicati.

Va qui anzitutto ricordato che l’esperto nominato dal giudice per la stima del bene pignorato è equiparabile, una volta assunto l’incarico, al consulente tecnico d’ufficio, sicché è soggetto al medesimo regime di responsabilità ex art. 64 c.p.c., e, in particolare, all’obbligo di risarcire i danni cagionati in violazione dei doveri connessi all’ufficio.

L’arch. S.C. è stato nominato dal G.E., nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare n. 501/2013 promossa contro la società I.S.T.H. Limited, perito estimatore dei beni immobili oggetto di esecuzione, con ordinanza 27.02.2014; l’incarico aveva ad oggetto pertanto, oltre agli accertamenti preliminari richiesti al perito, la determinazione del valore degli immobili pignorati e la formazione di lotti per gruppi omogenei; il perito, effettuato sopralluogo ed ogni altro accertamento richiesto presso i pubblici uffici, “considerate le caratteristiche del cespite pignorato, costituito da due unità immobiliari ben distinte e insistenti su due aree anch’esse ben distinte (mappale (…) e mappale (…))” ha proceduto alla formazione di due lotti, previa “l’individuazione catastale dell’edificio del secondo lotto” e di altre due unite a servizio di altro mappale, di cui non era stato eseguito l’accatastamento, comprendendo nel primo lotto l’edificio bifamiliare e nel secondo lotto “un capannone isolato”, suddiviso in due zone, di cui una destinata ad officina meccanica e l’altra a ricovero attrezzi; quanto all’accertamento richiesto dal G.E. degli “estremi della licenza o della concessione edilizia”, dell’eventuale assenza di licenza o concessione o di realizzazioni effettuate in difformità e, in caso di mancata presentazione di domanda di condono edilizio da parte del proprietario, dei relativi costi “assumendone le opportune informazioni presso gli uffici comunali competenti”, il perito ha specificato che l’immobile di cui al lotto 1, verificata la documentazione presente presso il Comune di C., “risulta regolarmente autorizzato, ma privo del relativo Certificato di agibilità. Sarà pertanto necessario provvedere all’integrazione di documentazione richiesta dal Comune, pratica che comporterà un onere di circa Euro 800,00, comprensivo di spese tecniche”, mentre “L’immobile del lotto n. 2 risulta privo di Concessione Edilizia e, di conseguenza, di Certificato di Agibilità; pertanto sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l’ufficio tecnico, tale domanda comporterà un onere di circa Euro 2.500,00, comprensivo delle spese tecniche per la predisposizione della domanda”.

Il perito ha quindi attribuito al lotto 1 un valore di mercato di Euro 357.200,00 e al lotto 2 un valore di mercato di Euro 106.400,00 (doc. 4 parte attrice e doc. 3 parte convenuta).

Nella perizia si specifica che “viene allegata, quale parte integrante e sostanziale della presente, la documentazione dell’Ufficio Tecnico del Comune di Curtatone”, che dai documenti prodotti da parte convenuta (doc. 6) risultano essere, oltre alle “certificazioni edilizie”, la lettera 4 aprile 2005 del Comune di Curtatone.

Nella parte relativa al quesito sulla regolarità urbanistica degli immobili pignorati, come allegato da parte attrice, il perito estimatore si è limitato ad indicare l’assenza di concessione edilizia quanto al capannone di cui al lotto 2 e che “pertanto sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l’ufficio tecnico, tale domanda comporterà un onere di circa Euro 2.500,00, comprensivo delle spese tecniche per la predisposizione della domanda”.

Al CTU incaricato, ing. Marinelli Alberto, è stato quindi richiesto di verificare se all’epoca della redazione della perizia di stima effettuata dal convenuto (23.06.2014) nell’ambito della procedura esecutiva n. 501/13 R.G. e dedotta in lite, era possibile procedere a sanatoria dell’immobile di cui al lotto 2 della perizia e nell’ipotesi in cui fossero richiesti requisiti soggettivi e funzionali specifici, di procedere alle ulteriori determinazioni di cui si dirà.

Il CTU ha accertato che: “Gli immobili, citati come Lotto 1 e Lotto 2 ed oggetto della perizia estimativa del Convenuto datata 23.6.2014, appartenevano alla data di redazione della stessa perizia alla società I.S.T.H. Limited, società che non risulta avesse svolto attività agricola, ed erano ad essa pervenuti tramite atto di conferimento da parte del precedente proprietario, sig. T.V., che non risulta fosse imprenditore agricolo professionale, stipulato dal notaio F. di M., rep. (…), in data (…).

Come dal rogito di cui in Allegato B, il sig. T.V. acquisiva la proprietà dell’immobile identificato come Lotto 1 e dell’area agricola su cui ora insiste anche il capannone facente parte dei beni identificati come Lotto 2 in data 6.3.1985 dalla precedente proprietaria signora Z.M.. Come risulta inequivocabilmente dalle planimetrie catastali allegate all’atto (ottava pagina del rogito) e dall’atto stesso, alla data del 6.3.1985 non esisteva il capannone facente parte del Lotto 2. L’immobile di cui al Lotto 2 non era quindi edificato prima del 1.9.1967, data di entrata in vigore della L. n. 765 del 1967 che prescriveva anche la necessità di specifico titolo edilizio per edificare qualunque nuovo immobile. Dalle fotografie aeree di seguito riportate tratte da Google Earth, si nota che la porzione più piccola del capannone fosse già presente nel 2003 (Figura 1), mentre la seconda porzione è stata realizzata successivamente tra il 2004 e il 2005, come risulta sempre dalle immagini disponibili, giungendo quindi alla configurazione attuale (Figura 2). Dagli atti di perizia non risultano rilasciati dal Comune di Curtatone dopo il 1967 titoli autorizzativi della costruzione del capannone insistente sul Lotto 2. Dall’epoca della stesura degli strumenti urbanistici del Comune di Curtatone, sino ad oggi, l’area su cui insiste l’immobile di cui al Lotto 2 è classificata quale Area Agricola E1, come risulta dall’estratto sotto riportato della Tavola B.1.2-D16 (Figura 3), con relativa legenda (Figura 4), del P.G.T. del Comune di Curtatone; in tale porzione territoriale è permessa l’edificazione solo in forza di titoli autorizzativi rilasciati ai soggetti di cui all’art.60 della L.R. n. 12 del 2005 e s.m.i. (imprenditori agricoli professionali o legali rappresentanti di imprese agricole – in Allegato C viene riportato l’estratto dell’articolo pertinente delle Norme Tecniche di Attuazione – art. 76), previa sottoscrizione di convenzione con la quale il titolare del titolo abilitativo alla costruzione si deve impegnare al mantenimento della destinazione agricola su aree di sua proprietà, o a sua disposizione, di superficie proporzionata a quella dell’edificio da costruire. Gli stessi requisiti soggettivi sopra richiamati, necessari per l’edificazione di nuovi immobili in area agricola E1, sono richiesti anche nel caso in cui il proprietario di un immobile parzialmente o totalmente abusivo, edificato in zona agricola E1, ne chieda sanatoria. L’immobile per cui è causa rientra anche nella fascia di rispetto d’interazione della zona agricola con abitazioni isolate (linea azzurra a tratteggio). Tale circostanza non inficia l’edificabilità da parte di soggetti che ne possiedono gli opportuni requisiti soggettivi, ma pone semplicemente dei limiti alla tipologia del nuovo insediamento, che non deve risultare di alto impatto nei confronti delle limitrofe aree residenziali, come sarebbe nel caso, ad esempio, dell’insediamento di nuove attività zootecniche. Pertanto, nel caso di specie, alla data del 23.6.2014 era possibile procedere a sanatoria dell’immobile insistente sul Lotto 2 solo da parte dei soggetti in possesso degli specifici requisiti soggettivi e funzionali di cui all’art.60 della L.R. n. 12 del 2005 e s.m.i., ed in possesso anche di sufficiente area agricola in relazione alle superfici da edificare.”

Come sostenuto dal convenuto l’immobile abusivo era quindi sì sanabile, ma unicamente da soggetti in possesso di specifici requisiti soggettivi e funzionali, presupposto di cui non vi è traccia nella perizia estimativa; tale dato, all’evidenza, era di fondamentale rilievo ai fini della perizia estimativa, ossia al fine sia di rendere edotti i possibili acquirenti dell’effettivo stato di fatto e di diritto dei beni che dovevano essere posti in vendita all’asta, sia, soprattutto, incidendo tale dato in maniera significativa sulla determinazione del valore di mercato dell’immobile abusivo, corrispondendo il valore attribuito al bene dal perito al valore di un immobile “sanato”, sanatoria ottenibile nel caso non da qualsiasi possibile acquirente (come previsto per l’aggiudicatario di immobile acquistato da procedura esecutiva), ma da una platea ristretta di soggetti in possesso dei requisiti previsti dalla normativa urbanistica, comportando invece la mancata sanatoria il possibile ordine di demolizione da parte del Comune o, in ogni caso, l’impossibilità di rivendere privatamente a terzi un immobile abusivo.

Deve quindi affermarsi che tale omissione, nella perizia estimativa, integri violazione da parte del perito dei doveri sullo stesso gravanti nell’adempimento dell’incarico ricevuto, avendone inficiato i risultati e lo scopo; la perizia, parte integrante dell’avviso di vendita all’asta dell’immobile, in assenza della specificazione dei requisiti necessari per ottenere la sanatoria, era inidonea a rendere edotti i possibili acquirenti del reale stato giuridico dell’immobile posto in vendita (non potendo ritenersi, come sostenuto dal convenuto, che fosse onere di ogni possibile soggetto interessato informarsi direttamente presso il Comune di Curtatone sulle norme urbanistiche applicabili nella zona in cui ricade l’immobile, essendo la destinazione agricola di detta zona “pacificamente identificabile alla luce delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Curtatone) e, soprattutto, del fatto che il valore attribuito al bene era quello ivi indicato solo nell’ipotesi in cui l’acquirente avesse posseduto i requisiti soggettivi e funzionali per poter procedere a sanatoria.

E’ pacifico che la società aggiudicataria di entrambi i lotti, M.T. s.r.l., non possieda i requisiti soggettivi richiesti per procedere alla sanatoria.

Come statuito dalla Suprema Corte “Il perito di stima nominato dal giudice dell’esecuzione risponde nei confronti dell’aggiudicatario, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per il danno da questi patito in virtù dell’erronea valutazione dell’immobile staggito, solo ove ne sia accertato il comportamento doloso o colposo nello svolgimento dell’incarico, tale da determinare una significativa alterazione della situazione reale del bene destinato alla vendita, idonea ad incidere causalmente nella determinazione del consenso dell’acquirente”. (v. Cass. Civ. n. 13010/2016)

Il grave vizio della perizia estimativa, imputabile ad inadempimento colposo del perito nell’esecuzione degli atti richiesti (non avendo verificato i presupposti di una possibile sanatoria di immobile totalmente abusivo compreso in zona agricola e quindi delle ricadute di tale condizione giuridica sul valore di mercato del bene) deve ritenersi sicuramente incidente, sotto il profilo causale, sulla determinazione dell’aggiudicataria all’acquisto del bene alle condizioni di vendita di cui al bando d’asta, non potendo quest’ultima che confidare nella indicata possibilità di sanatoria dell’immobile, con la modica spesa indicata dal perito; ne consegue pertanto la responsabilità di quest’ultimo per i danni subiti dall’aggiudicataria e causalmente riconducibili all’accertato inadempimento.

Va qui rigettata la difesa del convenuto secondo la quale tale responsabilità e il conseguente diritto al risarcimento in capo all’attrice dovrebbe escludersi, per essere la legale rappresentante della società la figlia dell’originario proprietario (conferente gli immobili alla società debitrice esecutata) e per aver la stessa vissuto nell’abitazione confinante con il lotto su cui sorge il capannone abusivo e quindi soggetto che era a conoscenza della destinazione urbanistica dell’immobile e in grado di valutarne la sanabilità al momento della formulazione dell’offerta.

Tale “sillogismo” non ha alcun fondamento, non derivando certo dal mero rapporto familiare con il (presumibile) autore dell’abuso edilizio la effettiva conoscenza in capo ad un soggetto non solo del commesso abuso, ma anche delle norme urbanistiche applicabili nella zona in cui sorge l’edificio e dei requisiti richiesti per la sanatoria, trattandosi di competenze che non appartengono al quisque de populo, ma unicamente ai tecnici (tanto che la stima dei beni esecutati viene affidata ad un “perito”, ossia ad un esperto del settore), e non potendo (e dovendo) il partecipante ad un’asta pubblica fare affidamento che su quanto riportato nella perizia estimativa, ove il bene è identificato come “capannone isolato”, della superficie complessiva di mq 185,00, “posto centralmente rispetto all’ampia area esterna” di circa mq 4.054 (con dettagliata descrizione delle caratteristiche costruttive e delle aree interne), privo di concessione edilizia, e, come già riportato, per il quale viene indicato esclusivamente che “sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l’ufficio tecnico”.

Va peraltro sottolineato che “Il perito nominato dal giudice … risponde, a titolo di responsabilità extracontrattuale, nei confronti dell’aggiudicatario per il danno da questi patito in conseguenza dell’erronea valutazione del bene qualora, nell’esecuzione della prestazione, non osservi la diligenza professionale qualificata richiesta – ex artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. – allo specialista in relazione alla natura dell’attività esercitata ed alle circostanze concrete del caso, incombendo, comunque, sul medesimo professionista di dare la prova della particolare difficoltà della detta prestazione” (Cass. Civ. n. 8486/2000, relativa ad ipotesi analoga di stima dei beni del fallito).

Nel caso la difesa dello stesso convenuto ha sostenuto che la disciplina urbanistica applicabile era facilmente verificabile ed accertabile, “alla luce delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Curtatone”, essendo gli immobili “compresi infatti in Zona agricola E1, normata dall’art. 76 di dette NTA”.

Ciò premesso il danno subito dall’aggiudicataria non può identificarsi, come allegato, nella “differenza tra il valore del prezzo pagato e quello che sarebbe stato versato se non fosse subentrato “l’intervento colposo perturbatore” del perito e quindi se per il lotto 2 fosse stato valutato il valore del solo terreno”, con ulteriore riduzione di quest’ultimo al 25%, essendosi la vendita realizzata in sede di secondo incanto.

Per adempiere correttamente all’incarico il CTU avrebbe dovuto unicamente precisare che la sanatoria dell’immobile abusivo era possibile solo da parte di acquirenti in possesso dei requisiti previsti dalla normativa; nulla avrebbe quindi impedito alla procedura esecutiva di vendere all’asta l’immobile sulla base del valore dell’immobile “sanabile” a tali condizioni, non potendo escludersi a priori l’esistenza di soggetti interessati all’acquisto e in possesso dei requisiti, e la possibilità per la procedura, quindi, anche eventualmente con ulteriori esperimenti d’asta e ribassi, di acquisire un corrispettivo comunque superiore al solo valore del terreno su cui è stato edificato l’immobile abusivo.

Il danno derivante dall’omissione del CTU, che ha determinato all’acquisto un soggetto che non può ottenere la sanatoria e che ora è proprietario di un immobile abusivo, non legittimamente utilizzabile e che non può essere rivenduto a terzi, se non previa demolizione dell’edificio (unica modalità con la quale può essere ripristinata dall’attuale proprietario la regolarità urbanistica del lotto), è quindi costituito non dalla differenza fra il prezzo di aggiudicazione e il prezzo a cui sarebbe stato venduto all’asta il nudo terreno, ma dalle spese necessarie per la demolizione del capannone e dalla differenza fra il prezzo corrisposto dall’attrice per l’acquisto (Euro 64.100,00) e il valore di mercato del lotto 2, ossia il valore di mercato del solo terreno.

Tali determinazioni sono state affidate al CTU nominato, ing. Alberto Marinelli, il quale ha quanto ai costi di demolizione, ha specificato quanto segue: “Con riferimento ai preziari ufficiali della Camera di Commercio di Mantova riferiti al 2014, la demolizione completa, eseguita prevalentemente con mezzi meccanici, di fabbricati isolati con struttura prevalente in muratura fino al piano di spiccato, valutati a metro cubo vuoto per pieno, escluso il trasporto delle macerie a discarica, ha un costo di 5 euro/mc. Ipotizzando l’operazione di demolizione effettuata con apposite macchine munite di pinze demolitrici, che non richiedono l’utilizzo di ponteggi, il costo di demolizione viene stimato in circa 5.000 euro, tenendo conto anche della demolizione delle parti più superficiali delle fondazioni, cui vanno sommati gli oneri di conferimento e smaltimento a discarica dei rottami di demolizione non ferrosi, stimati in 130 t circa, pari a circa 2.000 euro, per un totale di 7.000 euro. Il costo di demolizione delle parti metalliche viene considerato compensato dai ricavi derivanti dal conferimento degli stessi al rottamatore”; quanto al valore di mercato del terreno il CTU, premessi i criteri di stima utilizzati, il CTU ha ritenuto di poter far riferimento ai valori agricoli medi del 2014 per la zona agraria n. 5 della provincia di Mantova relativamente a terreni con destinazione a seminativo (come risultava catastalmente fino al 2005, prima dell’accatastamento come area urbana), pari a 4 euro/mq, quantificandone quindi, con argomentazioni che devono essere qui totalmente condivise, il valore complessivo in Euro 16.956,00 (quantificazione non contestata sotto il profilo tecnico quanto ai criteri utilizzati dal CTU, essendosi parte attrice limitata a riportare come “più corretta” la stima del proprio CTP, senza tuttavia confutare la risposta del CTU alle osservazioni del CTP di parte attrice, in cui il CTU ha confermato che “Il valore unitario di stima rappresenta effettivamente un valore medio delle contrattazioni di aree agricole nel sito oggetto di causa”).

Al fine di quantificare il danno subito dalla società attrice (all’epoca del suo verificarsi, identificabile nella data di acquisto dei beni) gli importi indicati dal CTU (con riferimento alla data di redazione della perizia) devono quindi essere rivalutati dal 23.06.2014 (data della perizia) al 16.06.2016 (data del decreto di trasferimento); effettuata tale operazione le spese di demolizione risultano pari ad Euro 6.972,00 e il valore del terreno pari ad Euro 16.888,18 (essendosi verificata nel periodo deflazione).

Il danno subito dall’attrice risulta pertanto quantificabile, alla data del 16.06.2016, in complessivi Euro 54.183,82 (Euro 64.100,00 – 16.888,18 + 6.972,00).

Quali ulteriori voci di danno la società attrice in comparsa conclusionale non ha più fatto valere le spese assicurative del capannone, enunciate invece in atto di citazione, voce di danno che, in ogni caso, non può ritenersi danno conseguente all’inadempimento del perito, ma alla scelta dell’attrice di assicurare un immobile che sapeva essere abusivo e non sanabile, ed ha ribadito (in relazione al lotto 2 qui in esame) il risarcimento dovutole per i maggiori costi sostenuti e che dovrà sostenere per il mutuo contratto al fine di acquistare anche il lotto 2.

In particolare la società attrice, allegando che “la condotta dell’Architetto C. ha inciso sulla valutazione del bene di cui al lotto 2, costringendo la società attrice a richiedere un finanziamento per la somma di euro Euro 250.000,00 mentre lo avrebbe domandato per un importo inferiore, non superiore ad Euro 200.000,00 se il prezzo del lotto 2 fosse stato quello effettivo e non quello frutto dell’errore compiuto dall’Arch. C.” e producendo il piano di ammortamento del mutuo asseritamente concesso per la somma di Euro 250.000,00 (doc. 11 prodotto in allegato all’atto di citazione) con quello (doc. 21), effettuato dalla stessa Banca e relativo ad un finanziamento sempre alle medesime condizioni, ma per in importo di Euro 200.000,00, ha affermato che tale voce di danno ammonta ad Euro 17.336,20 (corrispondente alla differenza fra gli interessi dovuti nelle due ipotesi di mutuo).

Tale voce di danno non è stata dimostrata.

La società attrice si è limitata a produrre i citati “piani di ammortamento”, ma non ha prodotto né il contratto di mutuo che secondo quanto allegato avrebbe stipulato per procedere all’acquisto, né altra documentazione o richiesto prove volte a dimostrare la necessità, per la stessa, di ricorrere al prestito bancario al fine di acquistare i beni in questione.

In assenza di prova nulla può pertanto riconoscersi a tale titolo.

L’attrice ha lamentato ulteriore danno imputabile a responsabilità del perito, allegando una erronea quantificazione dei costi indicati in perizia al fine di ottenere il certificato di agibilità relativo alla casa bifamiliare di cui al lotto 1, spese indicate in perizia in complessivi Euro 800,00 e che in realtà, secondo quanto allegato, ammonterebbero ad importo superiore, quantificato in citazione in almeno Euro 8.550,00, come da preventivo richiesto a tecnico di fiducia.

Anche in merito è stato richiesto accertamento al CTU nominato, il quale ha verificato, come correttamente riportato in perizia, che la richiesta del certificato di agibilità era stata presentata dal sig. T.V. in data 17.3.2005, protocollo comunale n. (…), relativamente alla pratica edilizia n. 23/02 relativa alla ristrutturazione ed ampliamento del fabbricato di cui al Lotto 1 e che il relativo procedimento amministrativo era stato interrotto dall’ufficio comunale competente in data 4.4.2005 (come da comunicazione in pari data, allegata alla perizia) a causa della non completezza della documentazione presentata in allegato alla richiesta del certificato di agibilità; che alla data del 23.6.2014 lo stesso procedimento amministrativo, nonostante il tempo trascorso, poteva ancora essere riaperto presentando i documenti mancanti richiesti dall’Ufficio comunale con la lettera 4.04.2005.

Il CTU ha quindi determinato, essendo state abolite le tariffe minime professionali, i costi necessari per l’acquisizione delle certificazioni ancora mancanti (altre essendo state acquisite dalla stessa procedura esecutiva a mezzo dello stesso perito), sulla base della propria esperienza professionale, in complessivi Euro 3.230,00; rispondendo alle osservazioni del CTP di parte convenuta e della terza chiamata, ha precisato “Si concorda con quanto osservato da alcuni CTP relativamente all’abolizione delle tariffe professionali. I valori esposti dal CTU per quanto riguarda i costi di sanatoria derivano da valutazioni personali dedotte dalla propria esperienza professionale, non escludendo che si possano ricevere offerte di professionisti con proposte di parcella a valori inferiori o superiori.

A prescindere dai condivisibili rilievi del CTP di parte convenuta, ing. Davide Squassabia, secondo i quali alcune certificazioni mancanti, quali la dichiarazione di conformità delle opere realizzate, rientrano nella documentazione che il progettista fornisce nell’ambito della sua attività, senza alcun ulteriore esborso per il cliente, e dal fatto che i costi effettivi per spese tecniche potrebbero essere inferiori a quelli quantificati dal CTU, nel caso deve comunque escludersi una responsabilità risarcitoria in capo al perito, conseguente ad una errata determinazione dei costi per l’ottenimento del certificato di agibilità, trattandosi di una differenza comunque di importo limitato a due-tremila euro, a fronte di un valore di mercato dell’immobile di Euro 357.200,00 e di un prezzo di acquisto corrisposto dall’aggiudicataria di Euro 209.925,00.

Nel caso alla perizia era stata allegata la comunicazione dell’Ufficio Comunale con l’elencazione dei documenti mancanti e necessari per il completamento della pratica, per cui l’aggiudicatario era sicuramente nelle condizioni di valutare i relativi costi, ma soprattutto, per quanto qui rileva, non può in alcun modo presumersi che l’ammontare di tali costi sia stata condizione influente sul consenso dell’aggiudicataria all’acquisto, non essendo stato neppure allegato che eventuali costi superiori a quelli indicati dal perito l’avrebbero fatta desistere dall’acquistare il bene all’asta.

In applicazione dei principi espressi dalla Suprema Corte in materia e già sopra riportati deve quindi escludersi che il convenuto sia tenuto a risarcire all’attrice eventuali maggiori costi che la stessa debba sostenere al fine di ottenere il certificato di agibilità dell’immobile di cui al lotto 1, con conseguente rigetto della relativa domanda risarcitoria.

Ciò accertato, vertendosi in ipotesi di risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale e quindi di debito di valore, la somma sopra indicata in complessivi Euro 54.183,82, corrispondente al danno accertato in capo all’attrice alla data del suo verificarsi (16.06.2016), ai fini della liquidazione del danno all’attualità, deve essere annualmente rivalutata secondo gli indici ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai e sulla somma annualmente rivalutata debbono calcolarsi (ai fini del risarcimento dell’ulteriore pregiudizio rappresentato dalla perduta possibilità per il danneggiato di disporre tempestivamente della somma dovutagli, e che costituisce componente necessaria del danno risarcibile) i c.d. interessi compensativi, in misura che si ritiene di dover determinare in misura pari a quella degli interessi legali (idonea a compensare il danno da ritardato adempimento, tenuto conto della normale redditività del denaro nel periodo intercorso dalla data del sinistro), secondo i criteri dettati da Cass. SS.UU. n. 1712/95., ai fini della liquidazione di tale danno all’attualità.

Effettuate tali operazioni la somma dovuta alla data odierna a tale titolo risulta pari ad Euro 57.540,52.

Il convenuto deve quindi dichiararsi tenuto, a titolo di risarcimento del danno subito dall’attrice, al pagamento di tale importo, liquidato all’attualità, oltre ad interessi legali di cui all’art. 1284, 1 c. c.c. (non vertendosi in ipotesi di inadempimento contrattuale e quindi non sussistendo i presupposti per l’applicazione di interessi moratori nella misura richiesta da parte attrice) dalla data della presente decisione al saldo effettivo.

La domanda di manleva

In via subordinata il convenuto ha avanzato di manleva nei confronti della terza chiamata, con la quale ha stipulato polizza assicurativa n. (…), relativa alla responsabilità professionale (doc. 1 parte convenuta).

La terza chiamata Z.I. Plc, confermando la stipula della polizza, ha allegato che la Compagnia Assicuratrice potrà manlevare il proprio assicurato solo qualora il fatto rientri tra quelli garantiti dalla polizza allegata e, comunque, secondo le limitazioni, franchigie e massimali in essa indicati.

Va qui precisato che la terza chiamata non ha in alcun modo contestato che la responsabilità qui fatta valere nei confronti del convenuto rientri fra i rischi assicurati, anzi riportando le condizioni generali di polizza in cui alla voce “Oggetto dell’assicurazione” è specificato che “La Compagnia si obbliga a tenere indenne l’Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di Risarcimento, per i seguenti Danni conseguenti ad un Comportamento colposo posto in essere durante l’esecuzione dell’Attività di Progettazione e Direzione Lavori nonché di tutte le attività consentite dalla legge e dai regolamenti che disciplinano l’esercizio della professione per: 1. Danni alla Persona…… 2. Danni materiali alle cose diverse dall’opera… 3. ……. 6. Perdite patrimoniali diverse da quelle indicate ai punti precedenti.”, e in cui rientrano pertanto sicuramente i danni a terzi causati nell’esercizio di consulenza tecnica svolta dall’assicurato, quale attività professionale consentita dalla legge.

La copertura assicurativa per il sinistro oggetto della presente controversia è stata peraltro espressamente riconosciuta con lettera in data 15.3.2018 del Centro liquidazione Danni di Brescia, prodotta dal convenuto quale doc. 2.

La terza chiamata deve quindi condannarsi a tenere indenne e manlevare il convenuto da quanto questi è tenuto a corrispondere alla società attrice in forza della presente sentenza, importi contenuti nel massimale assicurato (Euro 500.000,00), detratta la franchigia, prevista in polizza, di Euro 2.500,00 per sinistro, ad esclusivo carico dell’assicurato (pag. 2 scheda di polizza, riquadro G.P. – F.).

Avendo il convenuto richiesto che la compagnia assicuratrice venga condannata a corrispondere direttamente all’attrice quanto risulti alla stessa dovuto, ai sensi dell’art. 1917, 2 c. c.c., la terza chiamata deve quindi condannarsi a corrispondere direttamente all’attrice l’importo di Euro 55.040,22, oltre agli interessi dalla pronuncia al saldo, come sopra determinati (Euro 57.540,52 – 2.500,00), mentre il convenuto va condannato a corrispondere all’attrice il residuo importo di Euro 2.500,00, a suo carico, a titolo di franchigia, oltre ad interessi legali dalla pronuncia al saldo.

Le spese di lite

Le spese seguono alla soccombenza e quindi il convenuto è tenuto a rifondere all’attore le spese di lite da questi sostenute, oltre alle spese anticipate di CTU (Euro 3.315,00 oltre ad IVA e contributi nella misura di legge, che vanno poste in via definitiva a carico di parte convenuta soccombente).

Poiché, come precisato dalla Suprema Corte “In materia di assicurazione della responsabilità civile, l’assicurato ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato (c.d. spese di soccombenza) entro i limiti del massimale, in quanto costituiscono una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito, nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli (c.d. spese di resistenza), anche in eccedenza rispetto al massimale purché entro il limite stabilito dall’art. 1917, comma 3, c.c., in quanto, pur non costituendo propriamente una conseguenza del fatto illecito, rientrano nel “genus” delle spese di salvataggio (1914 c.c.) perché sostenute per un interesse comune all’assicurato ed all’assicuratore; le spese di chiamata in causa dell’assicuratore non costituiscono invece né conseguenza del rischio assicurato né spese di salvataggio, bensì comuni spese processuali soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c..”. (v. Cass. Civ. n. 18076 del 31/08/2020), in forza del già richiamato disposto dell’art. 1917, 2 c.c. la terza chiamata, avendo il convenuto richiesto il pagamento diretto al danneggiato, deve condannarsi altresì al pagamento diretto in favore dell’attrice delle spese legali da questi sostenute, come di seguito liquidate, e delle spese di CTU.

Quanto alle spese di lite sostenute dal convenuto la terza chiamata si è limitata a richiamare le condizioni di polizza ai sensi delle quali “La Compagnia non riconosce i Costi di difesa sostenuti dall’Assicurato per i legali o tecnici che non siano da essa designati o preventivamente autorizzati per iscritto e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia penale” (Gestione delle vertenze di danno – pag. 38 di 50 ultimo capoverso)”.

Tale clausola è inopponibile all’assicurato al fine di escludere il diritto dello stesso alla rifusione delle c.d. spese di resistenza, in quanto, come chiarito dalla Suprema Corte “In tema di assicurazione della responsabilità civile, in caso di contratto cd. “multirischio”, contenente, oltre alla garanzia della responsabilità civile dell’assicurato, anche la copertura del rischio di sostenere esborsi per la tutela legale, le spese sostenute dall’assicurato per resistere alla domanda risarcitoria proposta nei suoi confronti dal terzo danneggiato (cd. “spese di resistenza”), rientrano “ope legis” nella prima copertura, sino al limite di un quarto della somma assicurata, ai sensi dell’art.1917, comma 3, c.c., sicché eventuali clausole limitative del rischio per la sola tutela legale sono inopponibili dall’assicuratore ove la domanda di rifusione delle spese di resistenza sia contenuta nei suddetti limiti” (v. Cass. Civ. n. 3011 del 09/02/2021).

Va qui ricordato infatti che l’obbligo a carico dell’assicuratore di cui all’art. 1917, 3 c. c.c., in quanto espressamente previsto dalla legge, costituisce un effetto naturale del contratto (art. 1374 c.c.), ed è inderogabile dalle parti, se non in senso più favorevole all’assicurato (art. 1932, comma primo, c.c.).

Essendo il convenuto risultato vittorioso in relazione alla domanda di manleva la terza chiamata deve quindi condannarsi alla integrale rifusione delle spese di lite dal primo sostenute, comprendenti sia le spese per resistere all’azione del danneggiato, ex art. 1917 c.c., sia le spese di chiamata in causa della propria assicurazione, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.

Dette spese di lite vengono liquidate, tenuto conto del valore della causa e dell’attività svolta, come indicato in dispositivo, in conformità ai parametri (valori medi della tabella di riferimento) di cui al D.M. n. 55 del 2014.

Vanno infine poste in via definitiva a carico del convenuto soccombente, come già anticipato, le spese di CTU, come liquidate in corso di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione assorbita e disattesa, così giudica:

accogliendo parzialmente le domande di parte attrice, accerta e dichiara, per le causali di cui in premessa, la responsabilità dell’Architetto S.C. nello svolgimento di incarico di perito estimatore nella procedura esecutiva immobiliare n.501/2013 Reg. Es. Imm. del Tribunale di Mantova per gli errori da lui commessi nello svolgimento del suo operato, e per l’effetto dichiara tenuto il convenuto C.S. al risarcimento dei danni subiti dall’attrice M.T. srl a causa degli errori relativi al lotto 2 presenti nella relazione peritale dell’immobile oggetto del suddetto procedimento, danni che liquida all’attualità in complessivi Euro 57.540,52, oltre ad interessi legali di cui all’art. 1284, 1 c. c.c. dalla data della presente pronuncia al saldo;

accogliendo la domanda di garanzia avanzata dal convenuto nei confronti della terza chiamata, dichiara tenuta e condanna Z.I. Plc, ex art. 1917, 2 c. c.c., a corrispondere direttamente alla società attrice, per il titolo sopra indicato, l’importo di Euro 55.040,52, oltre ad interessi legali come sopra determinati dalla data della presente decisione al saldo, e condanna il convenuto C.S. al pagamento in favore della società attrice del residuo importo di Euro 2.500,00, oltre ad interessi legali come sopra determinati dalla data della presente decisione al saldo, pari alla franchigia pattuita;

dichiara tenuto il convenuto alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla società attrice, che liquida in complessivi Euro 786,00 per spese ed Euro 13.430,00 per compenso professionale, oltre a rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, detratta ritenuta d’acconto 20% (su compenso e spese imponibili) come richiesto;

pone in via definitiva a carico del convenuto le spese di CTU, anticipate da parte attrice;

dichiara tenuta e condanna la terza chiamata Z.I. Plc, ex art. 1917, 2 c. c.c. a corrispondere direttamente alla società attrice le spese di lite dovute dal convenuto, come sopra liquidate, oltre al pagamento delle spese di CTU anticipate da parte attrice, liquidate in corso di causa in Euro 3.315,00 oltre ad IVA e contributi nella misura di legge;

dichiara tenuta e condanna la terza chiamata Z.I. Plc a rimborsare al convenuto le spese di lite da questi sostenute, che si liquidano in Euro 770,53 per spese ed Euro 13.430,00 per compenso professionale, oltre a rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Conclusione

Così deciso in Mantova, il 27 settembre 2021.

Depositata in Cancelleria il 30 settembre 2021.

Originally posted 2021-11-04 18:02:42.