DETENZIONE MATERIALE PEDOPORNOGRAFICO REATO GIURISPRUDENZA
Cass. pen. n. 48175/2017
La prova del dolo del reato di detenzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600-quater cod. pen., può desumersi dal solo fatto che quanto scaricato sia stato collocato in supporti informatici diversi (ad es, nel “cestino” del sistema operativo), evidenziando tale attività una selezione consapevole dei “file”, senza che abbia alcuna rilevanza il fatto che non siano stati effettivamente visionati.
La Corte di appello, investita della medesima questione, l’ha disattesa facendo notare, in punto di fatto, che ‘l’imputato aveva ‘conservato’ in HD diversi i file pedopornografici per cui è processo, e la sola attività di download e salvataggio, ovvero di backup e trasferimento in supporti hardware diversi implica il dolo richiesto dalla (…) ipotesi ex art. 600-quater c.p.. Infatti chiunque (e a maggior ragione un tecnico, un informatico, per di più – come si pretende -appassionato di cinema) controlla il materiale oggetto di download, essendo frequentissimo che il film o il brano musicale non corrisponde ai desiderata, ovvero sia una copia incompleta, di pessima qualità, difettosa, in lingua non intellegibile etc. Questa operazione viene effettuata se il file scaricato è conservato sul proprio computer, visto lo spazio occupato e – a maggior ragione – e dunque l’elemento psicologico è certo se addirittura i file scaricati vengono trasferiti come nel caso in esame su altri e più agili supporti. Inequivoca sul punto la deposizione del teste (…) che rinvenne nei dispositivi informatici sequestrati altri 16 file pedopornografici, memorizzati e fruibili. Di nessun interesse che fossero in parte nel cestino’.
3.2.Il ragionamento dei Giudici distrettuali è chiaro: la collocazione in diversi supporti informatici dei file lascia ragionevolmente ritenere la consapevolezza del loro contenuto poiché le modalità della detenzione presuppongono un’attività di trasferimento che esclude ogni forma di automatismo. Tale conclusione è avvalorata, nel ragionamento della Corte territoriale, dal fatto che alcuni file erano stati trasferiti nel cestino. Il fatto sul quale si fonda il ragionamento è il rinvenimento dei file in supporti diversi, secondo quanto testimoniato dall’assistente di PS che aveva effettuato gli accertamenti tecnici..Il ricorrente eccepisce la natura apodittica di tale ragionamento che confonde – sostiene – l’elemento soggettivo del reato (la sicura consapevolezza del contenuto dei file pedopornografici) con quello oggettivo (la mera detenzione).
3.4.L’eccezione è generica e palesemente infondata.
3.5.Il ricorrente prescinde completamente dal passaggio logico (collocazione dei file in diversi supporti = prova della consapevolezza del loro contenuto) posto dalla Corte di appello a fondamento della decisione impugnata e concentra le proprie doglianze sul fatto che è stata trascurata la prova che egli non aveva mai ricercato file pedopornografici in rete, i quali non erano mai stati visualizzati perché salvati in automatico. Egli però non spiega mai le ragioni della diversa allocazione di alcuni di essi, né il trasferimento di altri nel cestino. Di qui la genericità dell’eccezione.
3.6.L’eccezione è altresì palesemente infondata perché non è manifestamente illogico trarre dalla diversa collocazione dei file in supporti informativi diversi, e persino nel cestino, la prova della consapevolezza del loro contenuto. L’attività di sistemazione dei file in diversi supporti, non spiegata, come detto, dal ricorrente, contrasta con la tesi del salvataggio inconsapevole poiché è evidente che tale attività comporta un intervento diretto dell’autore che dimostra di avere il pieno e consapevole dominio dell’azione. Né è manifestamente illogico ritenere che tale attività comporti una selezione del materiale diversamente allocato, parte del quale addirittura cestinato. A maggior ragione se, come nel caso di specie, si tratta di file il cui nome evoca il possibile contenuto pedopornografico.
Cass. pen. n. 639/2011
Integra il reato di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600 – quater, c.p.) la semplice visione di immagini pedopornografiche “scaricate” da un sito internet, poiché, per un tempo anche limitato alla sola visione, le immagini sono nella disponibilità dell’agente. (Nella specie, trattavasi di fatto commesso prima delle modifiche introdotte dalla L. 26 febbraio 2006, n. 38).
Secondo Cass. pen. n. 34201/2010 :
La nozione di sfruttamento sessuale del minore di anni diciotto, di cui alla previgente formulazione della norma in tema di detenzione di materiale pornografico (art. 600 quater c. p.), lungi dal caratterizzarsi esclusivamente sul piano economico, va intesa come connotante le condotte di approfittamento della condizione propria del minore. (Nella specie il ricorrente assumeva la diversità, tra loro, della originaria nozione di “sfruttamento” e della successiva nozione di “utilizzo” di persone minori impiegate dalla norma).
(Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 34201 del 22 settembre 2010)
L’art. 600 quater, aggiunto dalla L. 3 agosto 1998, n. 269, art. 4, e successivamente così sostituito dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, art. 3, sanziona la detenzione di materiale pornografico. Nella specie, considerata l’epoca della condotta contestata all’imputato accertata fino al 15 aprile 2003, occorre tener conto della formulazione del reato quale previsto dalla L. n. 269 del 1998, art. 4.
La condotta penalmente rilevante consiste(va) nel fatto nel fatto di procurarsi consapevolmente o di disporre di materiale pornografico realizzato prodotto mediante lo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, sempre che la condotta non ricada nelle più gravi ipotesi previste dall’art. 600 ter c.p. (pornografia minorile).
La L. n. 38 del 2006 ha inasprito tale repressione penale non solo prevedendo un’aggravante (la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità), ma anche riformulando parzialmente la fattispecie.
Soprattutto ha sostituito l’elemento costitutivo della produzione di materiale pornografico mediante lo sfruttamento sessuale di minori – per integrare il quale era necessario, ma anche sufficiente, l’approfittamento della condizione propria del minore (Cass., Sez. Ili, 19 maggio 2010-22 settembre 2010, n. 34201) – con quello, di più ampia portata, della realizzazione dello stesso mediante la mera utilizzazione di minori. Inoltre ha sostituito il fatto di disporre di materiale pornografico con la mera detenzione.
Orbene, nella condotta di “procurarsi” e/o di “disporre”, da considerarsi unitariamente (Cass., Sez. 3^ 9 ottobre 2008 – 19 novembre 2008, n. 43189) rientra anche la “visione” di immagini pedopornografiche scaricate al computer perchè, per un tempo anche limitato alla sola visione, le immagini sono nella disponibilità dell’agente. Cfr. Cass., Sez. 3^, 20 settembre 2007 – 12 novembre 2007, n. 41570, che ha affermato che integra il reato previsto dall’art. 600 quater c.p. la condotta consistente nel procurarsi materiale pedopornografico “scaricato” (mediante operazione di “downloading”) da un sito Internet a pagamento, in quanto il comportamento di chi accede al sito e versa gli importi richiesti per procurarsi il materiale pedopornografico offende la libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti come il comportamento di chi lo produce.
Cass. pen. n. 22043/2010
La condotta di chi detenga consapevolmente materiale pedopornografico, dopo esserselo procurato (art. 600 quater c.p.), configura un’ipotesi di reato commissivo permanente, la cui consumazione inizia con il procacciamento del materiale e si protrae per tutto il tempo in cui permane in capo all’agente la disponibilità del materiale. (Fattispecie nella quale la Corte, nel disattendere la richiesta del P.G. di parziale annullamento con rinvio per prescrizione, ha individuato il momento di cessazione della permanenza nell’esecuzione della perquisizione domiciliare all’esito della quale venne sequestrato il materiale che l’imputato, facente parte di comunità virtuali pedopornografiche operanti su internet, aveva scaricato in tempi diversi).
(Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 22043 del 10 giugno 2010)
È infatti da precisare che il delitto di detenzione consapevole di materiale pedopornografico è un reato commissivo e permanente, “la cui consumazione inizia con il procacciamento di materiale e si protrae per tutto il tempo in cui permane all’agente la disponibilità del materiale” (così Sez. 3, n. 22043 del 21/4/2010, R. Rv.247635) e l’elemento soggettivo, costituito dal dolo diretto, consiste nella volontà di procurarsi o detenere materiale pedopornografico (in tal senso Sez. 3, n. 41067 del 20/9/2007, P.M. in proc. Silvestrini, Rv. 238079, nella fattispecie, la volontà di detenzione era stata ritenuta integrata nel rinvenimento di “files” pornografici scaricati e salvati nel computer dell’imputato benché successivamente lo stesso avesse cancellato parte di essi). Risulta poi principio pacifico che integra la fattispecie la condotta consistente nel procurarsi materiale pedopornografico scaricandolo tramite collegamento in internet (cosiddetta operazione di “download”) (come espressamente indicato da Sez.3, n. 41570 del 20/9/2007, Martelli, Rv. 237999). Sotto il profilo oggettivo, l’orientamento della giurisprudenza è abbastanza ampio nel ritenere riferibile la detenzione al soggetto agente anche in assenza di un collegamento diretto con la res, dovendosi avere a riguardo alla disponibilità della cosa detenuta, più che all’utilizzo materiale della stessa. Questo vale per le detenzione di oggetti materiali del reato quali, ad esempio, le sostanze stupefacenti e le armi (ad esempio, vedi Sez. 4, n. 47472 del 13/11/2008, P.G. in proc. Mara, Rv. 242389, che ha affermato che la detenzione non implica necessariamente un contatto fisico immediato con la droga, ma va intesa come disponibilità di fatto di essa) ed anche in riferimento alla fattispecie de qua, avendo la giurisprudenza chiarito che la disponibilità del materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale del minori deve essere intesa come possibilità di libera utilizzazione di detto materiale, senza che ne sia necessario l’effettivo uso (Cfr. Sez. 5, n. 36094 del 27/9/2006, Fantone, Rv. 235488, che ritenne immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva ritenuto sussistente il reato in questione nella detenzione di materiale pedopornografico, conservato in un vecchio quaderno, custodito in un armadio di cui era, comunque, garantito l’accesso in ogni tempo). Per quanto attiene al profilo soggettivo, l’inclusione nella fattispecie dell’avverbio “consapevolmente”, mira proprio ad evitare che, avuto a riguardo all’utilizzo delle nuove tecnologie, venga ad incorrere nella sanzione penale la mera utilizzazione di un computer che, collegandosi in rete, in conseguenza di errori di digitazioni o per l’invasione di virus Trojans od altri virus analoghi, si trovi ad aver scaricato files di contenuto illecito senza consapevolezza, non avendo magari neppure le abilità tecnico-informatiche per avvedersene.
Cass. pen. n. 39543/2017
La configurabilità della circostanza aggravante della “ingente quantità” nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico (previsto dall’art. 600-quater, comma secondo, cod. pen.) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’aggravante in esame risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche).
(Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 39543 del 30 agosto 2017)
L’. 600-quater, riformulato dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, recante «Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet», risponde penalmente «Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto», tale fattispecie di apre con una clausola di esclusione «al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600-ter» e ciò consente, ai fini di un precipuo inquadramento della condotta delittuosa, di determinare i casi ed i modi in cui il reato viene commesso: essendo stato oggetto (l’art. 600-ter) negli anni di diversi correttivi, il più recente dei quali operato dalla L.1-10-2012, n. 172, di ratifica della Convenzione di Lanzarote, prevede diverse figure criminose suddivise in sette commi, miranti a reprimere tale fenomeno che si estrinseca in «ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali». Ciò consente, agli operatori di diritto, di distinguere i fenomeni di realizzazione dell’illecito penale avendo riguardo nel fatto che la detenzione di materiale pornografico di cui all’art. 600-quater c.p., non riguarda il materiale prodotto dallo stesso soggetto agente, contemplando tale norma, di carattere residuale, tutte quelle condotte consistenti nel procurarsi o detenere materiale pornografico fuori dalla ipotesi previste dall’art. 600-ter (Cass. 3-3-2010, n. 8285) .
Con la introduzione dell’art 600 quater l’interesse tutelato è la libertà individuale e l’integrità fisica del minore, contro ogni comportamento in grado di recare pregiudizio al normale sviluppo della personalità del minore stesso e l’elemento oggettivo consistente in una condotta che si sostanzia sia nel «procurarsi materiale pornografico mediante utilizzazione sessuale di minori» (il «procurarsi» implica un comportamento atto ad acquistare la disponibilità materiale del prodotto pornografico intesa come qualunque forma di procacciamento, anche per via telematica del medesimo) sia nel «detenere lo stesso materiale» (il «detenere», oltre a restringere la portata applicativa della fattispecie al caso di detenzione in senso tecnico, mira a reprimere la condizione di avere la mera disponibilità del materiale pornografico)(2).
Il 600 quater prevede due condotte alternative: il procurarsi, che implica qualsiasi modalità di procacciamento compresa la via telematica, ed il disporre, che implica un concetto più ampio di detenzione. Inoltre, la medesima Corte, sulla scorta della sentenza n.43819/2008, ha ulteriormente specificato ed ampliato il concetto in cui le condotte (procurare o detenere) contemplate nel testo vigente, non integrano diverse ipotesi di reato ma rappresentano distinte modalità di perpetrazione del medesimo illecito, sì che non possono concorrere tra loro, se riguardano lo stesso materiale; nell’ipotesi, invece, di materiale pedopornografico procurato in momenti diversi e poi detenuto, ricorre la continuazione tra i reati (Cass. pen. sez. III, 1 agosto 2017, n. 38221).
Cass. pen. n. 38221/2017
In tema di reato di detenzione di materiale pornografico, le condotte di procurarsi e detenere tale materiale non integrano due distinti reati ma rappresentano due diverse modalità di perpetrazione del medesimo illecito, sì che non possono concorrere tra loro, se riguardano lo stesso materiale; nell’ipotesi, invece, di materiale pedopornografico procurato in momenti diversi e poi detenuto, ricorre la continuazione tra i reati. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la configurazione della continuazione tra reati di cui all’art. 600-quater cod. pen. in una fattispecie in cui era contestata la detenzione di immagini, alcune procurate con accesso alla rete internet, ed altre contenute in diversi dischi fissi).
Fermo restando che, ai sensi dell’art. 600-quater, riformulato dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, recante «Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet», risponde penalmente «Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto», tale fattispecie di apre con una clausola di esclusione «al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600-ter» e ciò consente, ai fini di un precipuo inquadramento della condotta delittuosa, di determinare i casi ed i modi in cui il reato viene commesso: essendo stato oggetto (l’art. 600-ter) negli anni di diversi correttivi, il più recente dei quali operato dalla L.1-10-2012, n. 172, di ratifica della Convenzione di Lanzarote, prevede diverse figure criminose suddivise in sette commi, miranti a reprimere tale fenomeno che si estrinseca in «ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali». Ciò consente, agli operatori di diritto, di distinguere i fenomeni di realizzazione dell’illecito penale avendo riguardo nel fatto che la detenzione di materiale pornografico di cui all’art. 600-quater c.p., non riguarda il materiale prodotto dallo stesso soggetto agente, contemplando tale norma, di carattere residuale, tutte quelle condotte consistenti nel procurarsi o detenere materiale pornografico fuori dalla ipotesi previste dall’art. 600-ter (Cass. 3-3-2010, n. 8285) (1).
La nuova disposizione di cui all’art. 600-quater c.p., prevede molteplici caratteristiche che si estrinsecano in diverse modalità: qui, l’interesse tutelato è la libertà individuale e l’integrità fisica del minore, contro ogni comportamento in grado di recare pregiudizio al normale sviluppo della personalità del minore stesso e l’elemento oggettivo consistente in una condotta che si sostanzia sia nel «procurarsi materiale pornografico mediante utilizzazione sessuale di minori» (il «procurarsi» implica un comportamento atto ad acquistare la disponibilità materiale del prodotto pornografico intesa come qualunque forma di procacciamento, anche per via telematica del medesimo) sia nel «detenere lo stesso materiale» (il «detenere», oltre a restringere la portata applicativa della fattispecie al caso di detenzione in senso tecnico, mira a reprimere la condizione di avere la mera disponibilità del materiale pornografico)(2). In occasione di attualizzazione della fattispecie, la Suprema Corte, con sentenza n.41067 del 2007, ha specificato che l’articolo in commento prevede due condotte tra loro alternative: il procurarsi, che implica qualsiasi modalità di procacciamento compresa la via telematica, ed il disporre, che implica un concetto più ampio di detenzione. Inoltre, la medesima Corte, sulla scorta della sentenza n.43819/2008, ha ulteriormente specificato ed ampliato il concetto in cui le condotte (procurare o detenere) contemplate nel testo vigente, non integrano diverse ipotesi di reato ma rappresentano distinte modalità di perpetrazione del medesimo illecito, sì che non possono concorrere tra loro, se riguardano lo stesso materiale; nell’ipotesi, invece, di materiale pedopornografico procurato in momenti diversi e poi detenuto, ricorre la continuazione tra i reati (Cass. pen. sez. III, 1 agosto 2017, n. 38221).
È opportuno precisare che assumono rilievo solo il procacciamento o la detenzione di materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto; si è infatti precisato in giurisprudenza che «nel nostro ordinamento, dal punto di vista generale, è lecita la detenzione di materiale pornografico stante la sua differenziazione da quello pedopornografico» (Cass. 23-9-2003, n. 36390). Entrambe tali condotte, invero, esauriscono la loro efficacia nella sfera privata dell’agente, senza interferire con beni giuridici altrui. Occorre, allora, ritenere che il delitto in esame appartenga alla categoria dei cd. reati di scopo o reati di ostacolo (Mantovani) con cui si incrimina non l’offesa di un bene giuridico ma la realizzazione di certe situazioni che lo Stato ha interesse a che non si realizzino (3).
L’elemento soggettivo del delitto de quo è costituito dal dolo generico, consistente nella cosciente e volontaria realizzazione delle condotte incriminate. Si ritiene che l’impiego dell’avverbio «consapevolmente» comporti che l’acquirente debba voler procurarsi o disporre del proprio materiale in oggetto, e cioè materiale pornografico prodotto mediante l’utilizzo di minori degli anni diciotto. Invero, in diverse pronunce giurisprudenziali della Suprema Corte, viene rilevato che ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo nel reato di detenzione di materiale pornografico previsto e punito dall’articolo in oggetto è richiesto il dolo diretto. La cancellazione di immagini precedentemente acquisite dimostra senz’altro la volontà di non detenerle più, ma non esclude la consapevolezza della detenzione precedente (Cass. n. 41067/2007; Cass. n. 36024/2012). La prova del dolo (che assume connotazioni e declinazioni differenti a seconda della modalità in cui si estrinseca la cosciente volontarietà di perpetrazione dell’illecito) del reato di cui all’art. 600-quater c.p., dunque, può desumersi dal solo fatto che quanto scaricato sia collocato in supporti informatici, evidenziando tale attività una selezione consapevole dei “file” senza che abbia alcuna rilevanza il fatto che non siano stati effettivamente visionati (sul punto, Cass. pen. sez. III, 19 ottobre 2017, n. 48175). Ai fini della determinazione della consumazione del reato, il delitto di detenzione consapevole assurge a reato commissivo e permanente la cui consumazione inizia con il mero procacciamento di materiale e si protrae per tutti il tempo in cui permane all’agente la disponibilità del materiale (Cass. pen. sez. III, 10 giugno 2010, n. 22043).
Una novità di particolare rilevanza nel progetto di riforma attuato dal legislatore nel 2006, si sostanzia nell’aver introdotto una configurazione aggravata ad effetto speciale che si realizza nella «ingente quantità» del materiale pornografico oggetto materiale della fattispecie. La medesima Corte, ha affermato che, ai fini della ricorrenza dell’aggravante di cui al secondo comma dell’articolo in commento, è definibile «ingente quantità» quel materiale che offre disponibilità di un numero certamente molto grande, rilevante, consistente in immagini pedopornografiche così da attribuire concretamente all’incremento del perverso mercato (Cass. n.17211/2011). La configurabilità dell’aggravante impone al giudice di tenere conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene (in motivazione, la Corte ha precisato che l’aggravante in esame risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche. Cass. pen. sez. III, 30 agosto 2017, n. 39543).
Sempre in tema di circostanza aggravante, la Terza sezione penale, nella sentenza n. 32166 del 16/11/2020, non si limita più alla configurazione dell’aggravante ai soli casi dell’«ingente quantità» di materiale pedopornografico accertato mediante il possesso di “file” (tramite intercettazioni e/o sequestro probatorio del corpo di reato) in supporti informatici ma amplia lo spettro ai casi in cui le modalità di realizzazione del fatto illecito penalmente rilevante viene commesso non solo mediante il mero utilizzo dei mezzi informatici bensì attraverso l’uso degli stessi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche ai sensi dell’art. 602-ter, comma nono. L’agente, in tale caso, pone in essere qualunque azione volta ad impedire la sua identificazione come soggetto che ha avuto accesso alla rete, eludendo le normali modalità di riconoscimento, a partire da quelle relative all’accesso fisico al computer fino a quelle di inserimento nella rete stessa. Nel caso di specie, il riconoscimento, da parte degli ermellini, dell’aggravante riposa su due ragioni: da un lato, l’aver utilizzato il mezzo informatico sul luogo di lavoro e dall’altro, l’elusione dell’identificazione attraverso nomi di fantasia (cd. “nickname”) in una rete di condivisione file crittografati peer-to-peer (Gigatribe).
Cass. pen. n. 11044/2017
Integra il delitto di cui all’art. 600-quater cod. proc. pen. l’accertato possesso di “files” pedopornografici successivamente cancellati dalla memoria accessibile del sistema operativo di personal computer, in quanto l’avvenuta cancellazione determina solo la cessazione della permanenza del reato e non, invece, un’elisione “ex tunc” della rilevanza penale della condotta per il periodo antecedente alla eliminazione dei “files” sino a quel momento detenuti.
(Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 11044 del 8 marzo 2017)
Va ricordato che l’oggetto materiale del reato di cui all’art. 600 quater c.p., è “il materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto” e che il materiale cui si riferisce la norma deve possedere le caratteristiche del materiale oggetto delle incriminazioni di cui all’art. 600 ter cod.,pen Ebbene, in tema di pornografia minorile, in virtù della modifica introdotta dalla della L. n. 172 del 2012, art. 4 lett. h.), n.4, (Ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale), la nozione di pornografia minorile si rinviene nell’art. 600 ter c.p., il cui comma 7 recita: Ai fini del presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque, mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali; costituisce, dunque, materiale pedopornografico la rappresentazione, con qualsiasi mezzo atto alla conservazione, di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, oppure degli organi sessuali di minori con modalità tali da rendere manifesto il fine di causare concupiscenza od ogni altra pulsione di natura sessuale (Sez.5, n. 33862 del 08/06/2018, Rv.273897- 01); e si è chiarito che il riferimento alla “rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto” di cui all’ultimo comma dell’art. 600 ter c.p., ricomprende non solo gli organi genitali, ma anche altre zone erogene, come il seno e i glutei (Sez.3, n. 9354 del 08/01/2020, Rv.278639 – 02).
Questa Corte, inoltre, ha osservato, in tema di detenzione di materiale pedopornografico, che il giudizio sull’età dei soggetti raffigurati costituisce apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito e, pertanto, sottratto al sindacato di legittimità, se sorretto da una motivazione immune da vizi logici e giuridici (Sez.3 n. 36198 del 11/06/2021) e tale giudizio può legittimamente essere basato anche sui connotati fisici dei soggetti ritratti (Sez.3, n. 4678 del 28/10/2014, dep.02/02/2015, Rv.261883 – 01).
La censura del ricorrente, pertanto, a fronte di adeguata e corretta motivazione si pone quale doglianza meramente contestativa e basata su inammissibili rilievi in fatto, preclusi in questa sede, non rientrando nel sindacato di legittimità il riesame delle risultanze istruttorie.
- Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall’art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1, anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo e non assumendo valore esimente l’eventuale consenso prestato dallo stesso (Sez.3, n. 27252 del 05/06/2007, Rv.237204 – 01; Sez.3 n. 1783 del 17/11/2016,dep.16/01/2017, Rv.269412 – 01;Sez.3,n. 26862 del 18/04/2019, Rv.276231 – 01).
Tale orientamento ha trovato conferma nel più recente arresto delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018,Rv.274087 – 01), che hanno chiarito che il nuovo inquadramento sistematico della fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, per effetto delle modifiche introdotte, da ultimo, con la L n. 172 del 2012, deve basarsi sul concetto cardine di “utilizzazione del minore”, enfatizzandone la portata dispregiativa, nel senso che esso implica una “strumentalizzazione” del minore stesso. Deve, dunque, intendersi per “utilizzazione” la trasformazione del minore, da soggetto dotato di libertà e dignità sessuali, in strumento per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri o per il conseguimento di utilità di vario genere; condotta che rende invalido anche un suo eventuale consenso”. 4S i devono, insomma, distinguere le condotte di produzione aventi un carattere abusivo, per la posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore o per modalità con le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, minaccia, violenza, inganno) o per il fine commerciale che sottende la produzione, o per l’età dei minori coinvolti, qualora questa sia inferiore a quella del consenso sessuale. In altri termini, qualora le immagini o i video abbiano per oggetto la vita privata sessuale nell’ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell’autore, ma siano frutto di una libera scelta – come avviene, per esempio, nell’ambito di una relazione paritaria tra minorenni ultraquattordicenni e siano destinate ad un uso strettamente privato, dovrà essere esclusa la ricorrenza di quella “utilizzazione” che costituisce il presupposto dei reati sopra richiamati.
E le Sezioni Unite hanno ribadito tale orientamento nella recentissima decisione del 28/10/2021 nel proc. n. 36055/2020, affermando che “nel rispetto della libertà individuale del minore con specifico riguardo alla sfera di autonomia sessuale, il valido consenso che lo stesso può esprimere agli atti sessuali con persona minorenne o maggiorenne, ai sensi dell’art. 609 quater c.p., si estende alle relative riprese, sicchè è da escludere, in tale ipotesi, la configurazione del reato di produzione di materiale pornografico, sempre che le immagini o i video realizzati siano frutto di una libera scelta e siano destinati all’uso esclusivo dei partecipi all’atto.
Nella specie, risulta evidente la configurabilità del reato contestato, in quanto la condotta di produzione aveva un carattere abusivo per le modalità ingannevoli – evidenziate dalla Corte territoriale – con le quali l’imputato induceva i minori alla realizzazione di materiale pornografico (dissimulazione da parte dell’imputato della propria età con creazione di un falso profilo, pubblicazione di foto ritraente ragazzo di circa 17 anni, utilizzo del tipico slang giovanile, elementi che avevano impedito alle giovani vittime di porre in essere idonei meccanismi di difesa, cfr.pag 8 e 9 e 22 della sentenza impugnata).
- Del pari manifestamente infondato è il quinto motivo di ricorso.
Va ricordato che, in tema di continuazione, l’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez.5, n. 1766 del 06/07/2015, dep.18/01/2016, Rv. 266413 – 01).
Nella specie, la Corte territoriale, in conformità del suesposto principio, ha valutato gli elementi di fatto rilevanti ed ha evidenziato come dagli stessi emergeva l’insussistenza del medesimo disegno criminoso (tra i fatti contestati al capo dp nel presente procedimento e quelli oggetto della sentenza emessa in data 23.4.2018 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia), in considerazione del fatto che il lasso temporale tra i reati era consistente e che la cesura ideativa tra i reati era evidente, in quanto intervallati dalla sottoposizione dell’imputato ad un percorso terapeutico, poi abbandonato, e caratterizzati dall’utilizzo di un diverso falso profilo.
La motivazione è congrua e non manifestamente illogica e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità.
- Il quarto motivo di ricorso è, invece, fondato ed assorbe le censure proposte con il sesto motivo.
La Corte territoriale, a fronte di specifico motivo di appello, con il quale si censurava la motivazione del primo giudice in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo di cui all’art. 609 undecies c.p., contestato al capo c), si limitava a riportare le argomentazioni espresse dal primo giudice e non forniva specifica risposta alle censure difensive.
Va ricordato che il Giudice di appello, nella ipotesi in cui l’imputato, con precise considerazioni, svolga specifiche censure su uno o più punti della pronuncia di primo grado, non può limitarsi a richiamarla, ma deve rispondere alle singole doglianze prospettate. In caso contrario, viene meno la funzione del doppio grado di giurisdizione ed è privo di ogni concreto contenuto il secondo controllo giurisdizionale (cfr. Sez.3, n. 24252 del 13/05/2010, Rv.247287).
Deve, quindi essere ribadito il principio più volte espresso da questa Corte regolatrice, alla stregua dei quali la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado è viziata per carenza di motivazione, e si pone dunque fuori dal pur legittimo ambito del ricorso alla motivazione “per relationem”, se si limita a riprodurre la decisione confermata, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado, e senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenza di detti motivi (Sez.6, n. 49754 del 21/11/2012, Rv.254102; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, Rv. 233082).
Originally posted 2022-07-14 08:25:49.