CORTE APPELLO NAPOLI CONDANNA  PER MACROLESIONI RISARCIMENTO

CORTE APPELLO NAPOLI CONDANNA  PER MACROLESIONI RISARCIMENTO

Espletata una nuova c.t.u. medico legale sulla persona di D.I.R., stante le contestazioni svolte da (OMISSIS), nel corso del giudizio di primo grado, relativamente a quella depositata dal precedente ausiliare del Giudice, la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 31665/2018, pubblicata il 26 giugno 2018, così decise:

CHIAMA SUBITO L’AVVOCATO ESPERTO MACROLESIONI DANNI DA PARAPLEGIA AVVOCATO SERGIO ARMAROLI BOLOGNA  051 6447838

  1. a) in parziale accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della gravata sentenza, dichiarò l’eguale concorrente responsabilità, nella misura del 50% ciascuno, di C.G.A. e di D.I.R. nella causazione del sinistro e, per l’effetto, in accoglimento per quanto di ragione della domanda, condannò (OMISSIS) S.p.a. e C.G.A., in solido tra di loro, a pagare i seguenti importi: Euro 1.466.513,05, in favore di D.L.R.; Euro 107.544,57 in favore di D.I.L.; Euro 106.510,15 in favore di M.L., oltre gli interessi legali, su ciascuna delle somme indicate, dalla data di quella pronuncia al soddisfo; b) compensò per la metà le spese del giudizio di primo grado e condannò (OMISSIS) S.p.a. e C.G.A., in solido tra di loro, alla rifusione, in favore dell’avv. Michele Liguori, procuratore distrattario di D.I.R., del 50% di tali spese, che, già ridotte per la disposta parziale compensazione, liquidò in Euro 364,19 per esborsi, Euro 18.072,50 per compenso, Euro 2.710,88 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA come per legge, oltre alle spese di CTU come liquidate dal Giudice di primo grado; c) compensò per la metà le spese del giudizio di primo grado e condannò gli appellati, in solido tra di loro, alla rifusione, in favore dell’avv. Michele Liguori, procuratore distrattario di D.L.L. e M.L., del 50% di tali spese, che, già ridotte per la disposta parziale compensazione, liquidò in Euro 8.729,50 per compenso, Euro 1.309,43 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA come per legge; d) compensò per la metà le spese del giudizio di secondo grado e condannò gli appellati, in solido tra di loro, alla rifusione, in favore dell’avv. Michele Liguori, procuratore distrattario degli appellanti, del 50% di tali spese, che, già ridotte per la disposta parziale compensazione, liquidò in Euro 354,20 per esborsi, Euro 28.916,00 per compenso, Euro 4.337,40 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA come per legge, oltre le spese di C.T.U., come liquidate dalla Corte di merito in corso di causa.

RAPPORTO POLIZIA

Al riguardo (OMISSIS) S.p.a. richiama Cass. 6/10/2016, n. 20025, secondo cui “Il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22059-2018 proposto da:

(OMISSIS) SPA, in persona dei procuratori Dott. P.R. e Dott. D.B.A., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’Avvocato GIOVANNI GIORGIADI;

– ricorrente – contro

D.I.R., M.L., D.I.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GREGORIO XI, 13, presso lo studio dell’avvocato MICHELE LIGUORI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

Nonchè contro

C.G.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3165/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato nell’anno 2004, D.I.R. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, la (OMISSIS) S.p.a. (ora (OMISSIS) S.p.a.) e C.G.A., rispettivamente impresa di assicurazione per la RC auto e proprietario della vettura Fiat Punto, targata (OMISSIS), per sentire accertare l’esclusiva responsabilità del secondo nella causazione del sinistro verificatosi il giorno (OMISSIS), in (OMISSIS), e condannare i convenuti, in solido, al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, sofferti in conseguenza delle gravissime lesioni riportate dall’attore, consistite in paraplegia da frattura lussazione D2/D3/D4.

A fondamento della domanda, il D.I. rappresentò che mentre, nelle descritte circostanze, stava percorrendo, a bordo del motoveicolo Piaggio Beverly 125 tg. (OMISSIS), (OMISSIS), nella semicarreggiata destra della corsia preferenziale, con direzione di marcia (OMISSIS), giunto all’altezza di (OMISSIS), laddove era presente un impianto semaforico che segnalava luce verde, era entrato in collisione con la Fiat Punto, di proprietà e condotta dal C., il quale, al fine di immettersi nel medesimo incrocio per invertire il senso di marcia e dirigersi verso (OMISSIS), aveva operato una non consentita manovra di conversione a sinistra.

D.I.L., M.L. ed D.I.E., i primi due quali genitori, il terzo quale germano dell’attore, spiegarono intervento volontario, per sentire condannare i convenuti al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, dai medesimi subiti, in conseguenza del predetto evento, nel quale era rimasto coinvolto il loro stretto congiunto.

Si costituirono in giudizio, con un’unica comparsa, entrambi i convenuti, i quali contestarono la ricostruzione della dinamica prospettata dal danneggiato e chiesero il rigetto delle avverse domande o, in subordine, chiesero l’affermazione del pari concorso di colpa di entrambi i conducenti, ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 2.

All’esito della espletata istruttoria, il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 3796/11 del 31 marzo 2011, rigettò la domanda, compensando le spese processuali tra le parti.

Il primo Giudice ritenne che, sulla scorta del rapporto di intervento redatto dai Vigili Urbani e della deposizione resa dal teste E.E., la responsabilità del sinistro dovesse ascriversi in via esclusiva a D.L.R., il quale era entrato in collisione con la Fiat Punto, urtandola all’altezza della portiera sinistra, allorquando detta auto, a semaforo proiettante luce verde, stava percorrendo l’incrocio tra (OMISSIS) e (OMISSIS). Ad avviso del primo Giudice, infatti, la ricostruzione della dinamica prospettata dal danneggiato e confermata dalle deposizioni rese dai testi dallo stesso indotti ( V.S., D.L.M., Pi.Id.) – secondo cui la Fiat, che non proveniva dal (OMISSIS), ma dalla corsia normale di (OMISSIS), aveva operato una non consentita manovra svolta a sinistra, finendo con il tagliare la strada al motociclo – non era credibile, perchè contrastata dalla posizione dell’auto, quale rappresentata nello schizzo redatto dai verbalizzanti. Inoltre, a giudizio del Tribunale, la deposizione resa dalla teste D.L.M., germana del danneggiato, doveva ritenersi inattendibile ed inammissibile, in quanto proveniente da persona che, non solo era minore di età, ma, essendo trasportata sul motociclo al momento del sinistro, aveva un interesse nella causa, che la rendeva finanche incapace di deporre.

D.I.R., D.I.L. e M.L. impugnarono la sentenza di primo grado chiedendo che, in accoglimento del proposto gravame, fosse dichiarata la responsabilità esclusiva o, in subordine, almeno prevalente del C. nella causazione del sinistro in parola, con conseguente condanna di (OMISSIS) S.p.a. e del C. al risarcimento di tutti i danni da essi sofferti; in via ulteriormente gradata, chiesero che fosse accertato quantomeno il pari concorso di colpa di entrambi i conducenti, ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 2, e che fossero accolte, in tali limiti, le proposte domande risarcitorie.

Si costituirono anche in secondo grado (OMISSIS) S.p.a. e C.G.A., i quali conclusero per la conferma della sentenza di primo grado ed il rigetto dell’appello.

Espletata una nuova c.t.u. medico legale sulla persona di D.I.R., stante le contestazioni svolte da (OMISSIS), nel corso del giudizio di primo grado, relativamente a quella depositata dal precedente ausiliare del Giudice, la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 31665/2018, pubblicata il 26 giugno 2018, così decise: a) in parziale accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della gravata sentenza, dichiarò l’eguale concorrente responsabilità, nella misura del 50% ciascuno, di C.G.A. e di D.I.R. nella causazione del sinistro e, per l’effetto, in accoglimento per quanto di ragione della domanda, condannò (OMISSIS) S.p.a. e C.G.A., in solido tra di loro, a pagare i seguenti importi: Euro 1.466.513,05, in favore di D.L.R.; Euro 107.544,57 in favore di D.I.L.; Euro 106.510,15 in favore di M.L., oltre gli interessi legali, su ciascuna delle somme indicate, dalla data di quella pronuncia al soddisfo; b) compensò per la metà le spese del giudizio di primo grado e condannò (OMISSIS) S.p.a. e C.G.A., in solido tra di loro, alla rifusione, in favore dell’avv. Michele Liguori, procuratore distrattario di D.I.R., del 50% di tali spese, che, già ridotte per la disposta parziale compensazione, liquidò in Euro 364,19 per esborsi, Euro 18.072,50 per compenso, Euro 2.710,88 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA come per legge, oltre alle spese di CTU come liquidate dal Giudice di primo grado; c) compensò per la metà le spese del giudizio di primo grado e condannò gli appellati, in solido tra di loro, alla rifusione, in favore dell’avv. Michele Liguori, procuratore distrattario di D.L.L. e M.L., del 50% di tali spese, che, già ridotte per la disposta parziale compensazione, liquidò in Euro 8.729,50 per compenso, Euro 1.309,43 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA come per legge; d) compensò per la metà le spese del giudizio di secondo grado e condannò gli appellati, in solido tra di loro, alla rifusione, in favore dell’avv. Michele Liguori, procuratore distrattario degli appellanti, del 50% di tali spese, che, già ridotte per la disposta parziale compensazione, liquidò in Euro 354,20 per esborsi, Euro 28.916,00 per compenso, Euro 4.337,40 per rimborso spese generali, oltre IVA e CPA come per legge, oltre le spese di C.T.U., come liquidate dalla Corte di merito in corso di causa.

Avverso la sentenza della Corte territoriale (OMISSIS) S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione basato su quattro motivi.

D.I.R., D.I.L. e M.L. hanno resistito con controricorso illustrato da memoria.

L’intimato C.G. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo, lamentando “violazione e falsa applicazione dell’art. 2700c.c. in relazione all’art. 360c.p.c., comma 3 e degli art(t).116 c.p.c. per avere la Corte di Appello violato la fidefacenza degli accertamenti oggettivi effettuati dai verbalizzanti giunti nell’immediatezza dei fatti”, la ricorrente censura la sentenza di secondo grado nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto fondato l’assunto degli appellanti che, nel contestare la ricostruzione del sinistro in questione, avevano dedotto che il rapporto dei VV.UU. non fosse assistito da fede privilegiata ma dovesse ritenersi soggetto al libero apprezzamento del Giudicante.

Al riguardo (OMISSIS) S.p.a. richiama Cass. 6/10/2016, n. 20025, secondo cui “Il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria”.

Sostiene, altresì, la ricorrente che: a) l’incidente si sarebbe verificato per colpa esclusiva di D.I.R., b) la dinamica del sinistro sarebbe chiaramente descritta nel verbale redatto dai VV.UU. intervenuti sul luogo del sinistro, i quali, alla luce dei danni riportati dai veicoli coinvolti, delle testimonianze raccolte e dei rilievi effettuati avrebbero potuto ricostruire l’incidente de quo e c) la dinamica riprodotta nei grafici del rapporto sarebbe pienamente coerente con la descrizione dei danni riportati dalle vetture coinvolte. Tale ricostruzione troverebbe conforto e sarebbe pienamente compatibile con la deposizione del teste E.E..

Ad avviso della ricorrente, il Tribunale avrebbe ben motivato sull’inattendibilità della teste Pi.Id., che avrebbe riferito circostanze contrastanti con quanto asserito dall’attore in citazione; non sarebbe attendibile la testimonianza di V.S., che avrebbe riferito circostanze superflue e generiche; nessuna considerazione potrebbe essere attribuita alle dichiarazioni rese dalla teste D.I.M., che potrebbe avere un interesse in giudizio, in quanto germana dell’attore e convivente con i genitori e con i fratelli che hanno chiesto il risarcimento dei danni iure proprio; inoltre, la D.I., in occasione del sinistro in parola, era trasportata sulla moto del fratello e potrebbe, in ipotesi, aver causato lo sbandamento e quindi la caduta del motociclo o distratto il fratello conducente, per cui potrebbe avere un interesse alla causa.

Deduce la ricorrente che la D.I. sarebbe un teste, quindi, non attendibile e alla cui escussione era stata formulata opposizione; peraltro la stessa era minorenne e spetterebbe, perciò, al giudice del merito valutare la credibilità delle sue dichiarazioni.

Sostiene (OMISSIS) S.p.a. che la Corte territoriale errerebbe nel ritenere che la testimonianza della D.I. possa costituire specifica prova contraria tale da inficiare l’attendibilità intrinseca del rapporto e contesta l’affermazione di quella Corte secondo cui il rapporto avrebbe valore analogo alle dichiarazioni testimoniali e non potrebbe consentire di superare la presunzione di ex art. 2054 c.c. di pari corresponsabilità.

Ad avviso della ricorrente la polizia municipale avrebbe avuto diretta percezione della posizione della Fiat dopo il sinistro in quanto non modificata dopo l’impatto e, quindi, smentire la ricostruzione della dinamica operata dalla P.M. equivarrebbe a smentire l’accertamento della posizione della Fiat che ne sarebbe necessario postulato.

Secondo (OMISSIS) S.p.a. la natura pubblica di un atto implicherebbe la sua attendibilità intrinseca anche in ordine alle altre circostanze di fatto che il pubblico ufficiale segnali di aver accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, attendibilità che potrebbe essere infirmata solo da specifica prova contraria, che nel caso all’esame, difetterebbe.

1.1. Il motivo va disatteso.

Ed invero lo stesso è inammissibile sotto vari profili.

inammissibile per difetto di s ecificità, con conseguente inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non avendo la ricorrente indicato quando ha prodotto o è stato acquisito il rapporto, cui si fa riferimento nel motivo all’esame, nè ha indicato dove tale rapporto sia ora reperibile (Cass., sez. un., 2/12/2008, n. 28547Cass., ord., 23/09/2009, n. 20535Cass., sez. un., ord., 25/03/2010, n. 7161Cass. 19/08/2015, n. 16900Cass., ord., 7/06/2017, n. 14107Cass., ord., 20/11/2017, n. 27475Cass. 7/03/2018, n. 5478Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34469).

Va poi evidenziato che, sempre in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non sono state riportate testualmente in ricorso le deposizioni testimoniali richiamate nell’illustrazione del mezzo all’esame ricorso (v., ex plurimis, Cass., ord., 10/08/2017, n. 19985Cass., ord., 7/06/2017, n. 14107) nè è stato precisato quando e in quali esatti termini siano state sollevate dalla ricorrente contestazioni circa la testimonianza resa da D.I.M., non valendo al riguardo il generico rinvio ai verbali di causa (v. ricorso p. 6). Inoltre, le censure proposte tendono, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, inammissibile in questa sede. Ed invero, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (v., ex plurimis, Cass. 21/09/2015, n. 18484Cass., ord., 6 aprile 2011, n. 7921Cass., 28 luglio 2005, n. 15805; v. anche Cass., ord., 7/04/2017, n. 9097).

In particolare, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 2/08/2016, n. 16056).

Va poi osservato che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., sez. un., 30/09/2020, n. 20867 Cass., ord., 31/08/2020, n. 18092).

Nella specie la Corte di merito ha in realtà fatto corretta applicazione dei principi di diritto, pure richiamati dalla ricorrente, affermati da questa Corte in tema di valenza probatoria del rapporto, con riferimento, in particolare, alle circostanze di fatto che il pubblico ufficiale abbia appreso da terzi o a seguito di altri accertamenti, valutando tali fatti alla luce delle ulteriori risultanze istruttorie (v. sentenza impugnata pp. 5 e sgg.), sicchè non sussiste la dedotta violazione dell’art. 2700 c.c. e, sotto tale profilo, la doglianza è infondata, e, anzi, deve ritenersi che sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, il mezzo in scrutinio mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, non consentita in sede di legittimità (Cass., sez. un., 27/12/2019 n. 34476; v. anche Cass., ord., 8/11/2019, n. 28887).

  1. Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione art. 2967c.c. in relazione all’art. 360c.p.c., artt. 115 e 116 c.p.c., vizi di motivazione”.

La ricorrente sostiene che nella sentenza impugnata sarebbero state erroneamente applicate le norme in materia di ripartizione dell’onere della prova laddove la Corte di merito ha ritenuto applicabile nella specie il principio secondo cui la pattuizione di un massimale nel contratto di assicurazione deve essere allegata dall’assicuratore, poichè è fatto impeditivo dell’accoglimento della pretesa e, ritenendo non ritualmente allegato il contratto di assicurazione da parte di (OMISSIS) S.p.a., ha condannato quest’ultima a corrispondere un risarcimento superiore al massimale.

Secondo la ricorrente la prova della pattuizione del massimale non costituisce fatto impeditivo della pretesa del danneggiato, che è soggetto distinto dall’assicurato. Nel caso di specie, trattasi di azione diretta L. n. 990 del 1969, ex art. 18 e tale azione sarebbe esperibile dal danneggiato solo nei limiti del massimale, oltre tale soglia il danneggiato non avrebbe azione diretta. Quindi, non sarebbe “veritiero affermare che l’assicuratore non abbia allegato un fatto impeditivo della pretesa attorea” perchè essa sarebbe “limitata normativamente al valore del massimale”.

2.1. Il motivo è infondato.

Ed invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., ord., 23/10/2018, n. 26769; v. anche Cass. sez. un., 30/09/2020, n. 20867).

Con riferimento al massimale di polizza va precisato che nella controversia tra l’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli ed il terzo danneggiato, l’onere di provare la misura del massimale assicurato grava sul primo; tale prova, tuttavia, può essere data sia attraverso la produzione in giudizio della polizza, sia attraverso l’esibizione di altri documenti, dai quali sia desumibile il contenuto del contratto (v. Cass., ord., 21/01/2020, n. 1168, p. 1112; Cass. 28/09/2012, n. 16541; Cass. 4/09/1985, n. 4611).

Nella specie, la Corte territoriale risulta aver correttamente applicato il principio appena ricordato e ha pure evidenziato che il limite del massimale previsto in polizza è stato indicato da (OMISSIS) S.p.a. tardivamente solo nella comparsa di costituzione e che la medesima neppure ha ritualmente prodotto il contratto di assicurazione, dedicando a tale circostanza diffusa motivazione (v. p. 29-30 della sentenza impugnata in questa sede) non specificamente contestata in questa sede, in cui la società assicuratrice neppure ha specificato quando sia stato prodotto tale contratto ed ove lo stesso sia ora reperibile nè ha fatto riferimento all’eventuale esibizione di altri documenti, dai quali sia desumibile il contenuto del contratto con riferimento alla questione all’esame.

Ne consegue che il motivo va disatteso.

  1. Con il terzo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 115116c.p.c. nonchè dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 5″.

La ricorrente censura la sentenza impugnata per aver la Corte territoriale quantificato i danni sulla base della valutazione espressa dal C.T.U. in misura del 91%, contraria ad ogni protocollo, atteso che si affermerebbe in dottrina e sarebbe confermato dal D.L. n. 209 del 2005 che una paraplegia invalida nella misura dell’80%.

(OMISSIS) S.p.a. contesta pure la quantificazione operata dalla Corte di merito del danno patrimoniale futuro, considerando la spesa necessaria per una badante impegnata per otto ore al giorno con uno stipendio di Euro 1.500,00 (e, quindi, per un totale di Euro 862.878,12). Tale quantificazione non sarebbe corretta perchè dovrebbe essere presa a parametro l’indennità di accompagnamento che sarebbe ora pari all’importo annuo di Euro 6.000,00 e perchè dovrebbe tenersi conto che la badante con il detto stipendio presterebbe assistenza all’intera famiglia (atteso che nelle more l’appellato si sarebbe sposato e avrebbe avuto figli), sicchè la somma di Euro 597.377,16 per danno residuo futuro (calcolata con le modalità specificamente indicate a p. 16-17 della sentenza di secondo grado e previa sottrazione dell’indennità di accompagnamento, già detratta l’anticipata capitalizzazione) dovrebbe essere ridotta.

Inoltre, nella quantificazione del lucro cessante passato e futuro (Euro 689.608,73) non si sarebbe tenuto conto dell’incidenza dell’eventuale status di disoccupato – quale era il D.I. all’epoca del sinistro, in cui aveva 18 anni e quattro mesi – almeno per alcuni anni.

3.1. Il motivo è inammissibile sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il vizio motivazionale non risulta essere stato veicolato secondo i dettami della giurisprudenza di legittimità al riguardo (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053), evidenziandosi che neppure è stato indicato il fatto decisivo omesso e la liquidazione, nei sensi in cui se ne discute in questa sede, non può essere considerata quale un fatto storico.

A tanto va aggiunto che, comunque, il motivo difetta pure di specificità quanto alla doglianza relativa alla quantificazione operata dal C.T.U. e fatta propria dalla Corte di merito, atteso che non è stato neanche precisato a quale delle due c.t.u. si fa riferimento nè è stata riportata la relazione dell’ausiliare del giudice per la parte che qui rileva e neppure si dà conto delle censure sollevate in sede di merito con riferimento alla stessa. Al riguardo si evidenzia che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, al quale va data continuità in questa sede, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (Cass. 17/07/2014, n. 16368; Cass. 13/06/2007, n. 138459; v. anche Cass., ord., 2/02/2015, n. 1815Cass. 19/06/2015, n. 12703Cass. 3/06/2016, n. 11482; Cass., ord., 11/06/2018; v. anche Cass., ord., 3/02/2012, n. 1652 e Cass. 25/08/2005, n. 17324).

Infine, si osserva che non sussistono le dedotte violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c., alla luce di quanto già evidenziato in relazione al secondo motivo ed in particolare dei principi affermati da Cass. sez. un., 30/09/2020, n. 20867, e si rimarca che la Corte di merito ha proceduto ad una liquidazione del danno in via equitativa, indicando i criteri seguiti per determinarne l’entità e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum, sicchè la decisione sul punto non è censurabile in questa sede (Cass. 13/09/2018, n. 22272Cass., ord., 31/01/2018, n. 2327). Peraltro, le censure proposte in relazione alla liquidazione anche da lucro cessante passato e futuro risultano inammissibili anche per difetto di specificità.

3.2. Conclusivamente il motivo va disatteso in toto.

  1. Con il quarto motivo si deduce “violazione dell’art. 11 disp. gen. in relazione all’art. 360c.p.c., nn. 3 e 5, “erronea applicazione del Decreto 24 gennaio 2012, n. 271 convertito nella L. 20 luglio 2012, n. 140, in relazione all’art. 360c.p.c., nn. 3 e 5. Erronea liquidazione delle spese di primo e secondo grado del giudizio”.

Lamenta la ricorrente che la Corte avrebbe liquidato le competenze legali del primo grado di giudizio facendo riferimento al DM 140/12 senza considerare che l’attività svolta dal legale si sarebbe conclusa con il deposito della sentenza avvenuta il giorno 8 marzo 2011, laddove, invece, il giudice dell’impugnazione, nel liquidare le spese, dovrebbe, ad avviso della ricorrente, che richiama giurisprudenza di legittimità, applicare le tariffe in vigore al momento della decisione impugnata. Nella specie la Corte di merito avrebbe violato i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità atteso che avrebbe dovuto applicare le tariffe previste dal D.M. n. 127 del 2004 e non quelle entrate in vigore con il D.M. 20 luglio 2012, n. 140, in periodo successivo alla conclusione del primo grado di giudizio; inoltre, le competenze del secondo grado sarebbero state erroneamente calcolate in Euro 28.916,001 oltre Euro 4.337,40 per rimborso spese generali in dispregio dello scaglione di riferimento di cui al D.M. n. 55 del 2014.

4.1. Il motivo, quanto al primo profilo di doglianza proposto, è infondato alla luce del principio secondo cui, in tema di spese processuali, i parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorchè la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purchè a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto D.M., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza (v. Cass., ord., 10/12/2018 n. 31884Cass. 19/12/2017 n. 30529Cass., sez. un., 12/10/2012, n. 17405).

Le doglianze proposte sono parimenti infondate anche nel resto.

Premesso che non è specificamente censurato lo scaglione di riferimento (da Euro 1.000.001 – e non come, per evidente lapsus indicato in ricorso a p. 12, 1.000,01 – ad Euro 2.000.000,00) cui si è attenuta la Corte di merito per la liquidazione delle spese del secondo grado, e che quella medesima Corte ha dichiarato espressamente (con il rinvio specifico ai criteri cui si è attenuta nella liquidazione delle spese del primo grado) di attenersi ai valori medi pur se si è dagli stessi appena discostata in aumento, va evidenziato che, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, il Giudice di secondo grado non doveva al riguardo motivare alcunchè mentre ha motivato per l’aumento del 60% per la presenza di tre parti aventi la stessa posizione, e ciò in conformità del principio, che questo Collegio condivide, secondo cui, in tema di liquidazione delle spese giudiziali ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, la disciplina secondo cui i parametri specifici per la determinazione del compenso sono, “di regola”, quelli di cui alla allegata tabella A, la quale contiene tre importi pari, rispettivamente, ai valori minimi, medi e massimi liquidabili, con possibilità per il giudice di diminuire o aumentare “ulteriormente” il compenso in considerazione delle circostanze concrete, va intesa nel senso che l’esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla “forcella” di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura (Cass., ord., 10/05/2019, n. 12537).

Va precisato che il principio appena riportato ben può essere applicato anche con riferimento al D.M. n. 55 del 2014.

Si osserva peraltro che la Corte territoriale non ha applicato alcun ulteriore aumento del 60% – contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente – e ha ritenuto di non riconoscere l’ulteriore aumento del 30% richiesto dagli attuali controricorrenti per la redazione della seconda comparsa depositata con modalità telematica, sul rilievo che tale attività aveva riguardato un unico atto del giudizio, mentre i restanti sono stati depositati con modalità tradizionali e sul punto non è stato proposto ricorso incidentale.

Non sussistono pertanto le lamentate violazioni di legge nè sussiste la dedotta omessa motivazione.

  1. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

  2. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, disponendosene l’attribuzione in favore dell’avv. Michele Liguori, che ha dichiarato di aver anticipato le spese e non riscosso i compensi. Si precisa che nella determinazione dei compensi si è tenuto conto, come richiesto, dell’aumento per la redazione degli atti depositati mediante modalità informatiche con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione nonchè dell’aumento per assistenza di più parti.

  3. Vanno pure liquidate, come da dispositivo, in favore dei controricorrenti, le spese relative al procedimento di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata ex art. 373c.p.c., conclusosi con ordinanza di sospensione, nei confronti di (OMISSIS) S.p.a. della sentenza n. 3165/2018, pronunziata dalla Corte di appello di Napoli, per la parte eccedente la somma di Euro 563.320,20 già corrisposta in favore degli attuali controricorrenti, disponendosene la chiesta distrazione in favore dell’avv. Michele Liguori, che ha dichiarato di aver anticipato le spese “e – analogamente all’altro difensore avv. Tiziana Conte -” di non aver riscosso i compensi. Si precisa che nella determinazione dei compensi si è tenuto conto, come richiesto, dell’aumento per la redazione degli atti depositati mediante modalità informatiche con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione nonchè dell’aumento per assistenza di più parti.

Va precisato che si deve prvvedere alla chiesta distrazione di tali spese anche in favore dell’avv. Tiziana Conte, codifensore degli attuali controricorrenti soltanto nel subprocedimento ex art. 373 c.p.c., come sostanzialmente richiesto (v. sopra) dall’avv. Michele Liguori, difensore dei predetti in questa sede di legittimità, in forza di procura speciale a margine del controricorso, in quanto, in tal senso depone l’interpretazione del combinato disposto degli artt. 93 e 373 c.p.c.. Ed invero, l’art. 93 c.p.c., comma 1 consente al difensore “con procura” di chiedere al giudice, “nella stessa sentenza in cui condanna alle spese”, la distrazione di onorari e spese non soltanto in suo favore, ma anche in favore “degli altri difensori” e, pertanto, poichè la liquidazione delle spese del subprocedimento ex art. 373 c.p.c. spetta, come detto, unicamente a questa Corte nell’ambito del giudizio di legittimità, la richiesta del difensore con procura in questa sede può estendersi, quanto alle spese del subprocedimento ex art. 373 c.p.c., anche in favore del codifensore della parte che tale sia stato esclusivamente nel citato subprocedimento e non già ne giudizio di cassazione, altrimenti non potendo quest’ultimo, ove anticipatario nel predetto subprocedimento, beneficiare della distrazione delle spese in suo favore (Cass. 24/10/2018, n. 26966). Si precisa che i controricorrenti nulla hanno chiesto a titolo di esborsi per il subprocedimento in parola.

  1. Non vi è luogo a provvedere per le spese di cui ai p.p. 6 e 7 nei confronti dell’intimato, non avendo lo stesso svolto attività difensiva in questa sede nè in sede di subprocedimento ex art. 373c.p.c..

  2. Non ricorrono i presupposti per la condanna della ricorrente ex art. 385c.p.c., comma 4, come pure chiesto dai controricorrenti in memoria.

  3. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 17.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, con attribuzione all’avv. Michele Liguori, antistatario, nonchè delle spese del subprocedimento ex art. 373 c.p.c., che liquida in Euro 22.000,00, per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, e agli accessori di legge; dispone l’attribuzione delle spese del procedimento ex art. 373 c.p.c. in favore degli avv. Tiziana Conte e avv. Michele Liguori, difensori antistatari degli attuali controricorrenti in quel subprocedimento; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2021

Originally posted 2021-08-12 09:31:39.