coltivazione mariuana per uso personale no reato – avvocato penalista esperto bologna

coltivazione mariuana per uso personale no reato – avvocato penalista esperto bologna

coltivazione mariuana per uso personale no reato - avvocato penalista esperto bologna
coltivazione mariuana per uso personale no reato – avvocato penalista esperto bologna

affermando la responsabilità penale del prevenuto t condannando il medesimo, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 700,00 di multa, la Corte dorica ha ritenuto che la, pur modesta, attività di autoproduzione di sostanze stupefacenti, presumibilmente
destinata al consumo personale dell’imputato, potendo comportare il ricavo di poco più di 30 dosi medie giornaliere di sostanza stupefacente, esulava dalla inoffensività del comportamento e, pertanto, anche sulla base della prevalente
giurisprudenza di questa Corte in materia, avrebbe integrato gli estremi della rilevanza penale.

Come si accennava i questo secondo orientamento è stato, con sentenza emessa dalle  Sezioni unite penali di questa Corte, autorevolmente avallato, sulla base del rilievo secondo il quale non integra il reato di coltivazione di stupefacenti
Come si accennava i questo secondo orientamento è stato, con sentenza emessa dalle  Sezioni unite penali di questa Corte, autorevolmente avallato, sulla base del rilievo secondo il quale non integra il reato di coltivazione di stupefacenti
  1. affermando la responsabilità penale del prevenuto  condannando il medesimo, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 700,00 di multa, la Corte dorica ha ritenuto che la, pur modesta, attività di autoproduzione di sostanze stupefacenti, presumibilmente
    destinata al consumo personale dell’imputato, potendo comportare il ricavo di poco più di 30 dosi medie giornaliere di sostanza stupefacente, esulava dalla inoffensività del comportamento e, pertanto, anche sulla base della prevalente
    giurisprudenza di questa Corte in materia, avrebbe integrato gli estremi della rilevanza penale.
  2. non comportando essa
    alcuna effettiva lesione per il bene interesse tutelato dalla norma che si ipotizza essere stata violata da quello, attesa la irrilevanza da punto di vista dell’incremento del mercato delle sostanze stupefacenti dell’apporto che ad esso potrebbe essere fornito con la quantità prodotta dall’imputato, ma dovendo, anzi, considerare che, dal punto di vista meramente economico, la produzione di un bene per il suo esclusivo autoconsumo è fattore che, lungi dall’incrementare la vivacità di un mercato, tende piuttosto a deprimerlo – essendo priva di offensività deve intendersi estranea alla tipicità penale come
    delineata dal legislatore.
  3. Deve, infatti, rilevarsi che in materia di coltivazione domestica di piante dalla quale sia possibile ricavare sostanze stupefacenti è stata, in tempi che, seppure non possono essere più definiti recenti, sono comunque successivi al momento in cui è stata adottata la sentenza ora in rassegna, la cui pronunzia risale al 10 dicembre 2019, interessata da una sentenza delle Sezioni unite di
    questa Corte, attraverso la quale è stato definito un contrasto
    giurisprudenziale insorto in seno a questa stessa Corte di legittimità.
  4. Infatti, a fronte di un orientamento che affondava le proprie radici in una ben consolidata, sino ad allora, giurisprudenza di questa Corte, che, d’altra parte, la stessa Corte di Ancona ha ritenuto richiamare, secondo la quale la coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante a norma degli artt. 26 e 28 del dPR n. 309 del 1990, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione
    domestica, posto che l’attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 19 dicembre 2013, n. 51497) senza che neppure rilevi il grado di maturazione della pianta o la quantità di principio attivo che sia in concreto
    estraibile da essa, essendo determinante solamente la conformità della pianta al tipo botanico previsto dal legislatore e la sua attitudine alla produzione delle sostanze droganti (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 22 luglio 2019, n. 32485), in quanto l’espressione acoltivarg è riferibile all’intero ciclo evolutivo
    dell’organismo biologico (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 6 marzo 2017, n. 10931), si è andato, progressivamente, contrapponendo un orientamento sostanzialmente diverso.
  5. Secondo quest’ultimo, il quale è sviluppato sotto il profilo della
    necessaria offensività del fatto in danno del bene interesse tutelato dalla norma (nel caso di specie la salute pubblica) acciocchè esso assurga alla rilevanza penale, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al
    tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 luglio 2017, n. 36037; Corte di cassazione, Sezione VI penale, 26 febbraio 2016, n. 8058; idem Sezione VI penale 9 febbraio 2016, n. 5254).
  6. Come si accennava i questo secondo orientamento è stato, con sentenza emessa dalle  Sezioni unite penali di questa Corte, autorevolmente avallato, sulla base del rilievo secondo il quale non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Corte di cassazione, Sezioni unite penali 16 aprile 2020, n. 12348).

 

 

 

Corte di cassazione

Sez. III penale 

Num. 20238 Anno 2022
Presidente: MARINI LUIGI
Relatore: GENTILI ANDREA
Data Udienza: 15/02/2022 deposito 25/05/2022

RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Ancona ha, con sentenza del 10 dicembre 2019, riformato la precedente decisione con la quale, in data 16 febbraio 2018, il Tribunale di Ascoli Piceno aveva assolto con formula ampia SE in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990, avendo egli atteso alla coltivazione di alcune piante di marijuana sul terrazzo della propria abitazione; in particolare, secondo quanto emerge dalla sentenza della Corte distrettuale, il Tribunale aveva escluso la rilevanza penale della condotta posta in essere dal Santarelli, essendo la produzione di
sostanza stupefacente derivante dalla coltivazione in questione destinata esclusivamente all’uso personale del predetto.

Nel ribaltare la decisione del giudice di primo grado, affermando la responsabilità penale del prevenuto t condannando il medesimo, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 700,00 di multa, la Corte dorica ha ritenuto che la, pur modesta, attività di autoproduzione di sostanze stupefacenti, presumibilmente
destinata al consumo personale dell’imputato, potendo comportare il ricavo di poco più di 30 dosi medie giornaliere di sostanza stupefacente, esulava dalla inoffensività del comportamento e, pertanto, anche sulla base della prevalente
giurisprudenza di questa Corte in materia, avrebbe integrato gli estremi della rilevanza penale.

Avverso la predetta sentenza è insorto il prevenuto, articolando, con l’ausilio del proprio difensore fiduciario, ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di impugnazione, con il quale lo stesso si è doluto, sotto il profilo della erronea applicazione normativa, del fatto che la Corte di Ancona abbia
disatteso il recente insegnamento delle Sezioni unite penali di questa Corte di cassazione, secondo il quale sono da considerarsi estranee al fuoco della disposizione penale precettiva le attività di coltivazione di sostanza stupefacente di minime dimensioni, svolte in forma domestica e con tecniche rudimentali, che, per lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile e la mancanza di indici di inserimento della attività in tal modo svolta nel mercato degli stupefacenti, appaiono destinate all’uso esclusivamente personale.

In data 1 febbraio 2022 la ricorrente difesa ha fatto pervenire una
memoria scritta con la quale ha insistito, associandosi alle conclusione del Procuratore generale, per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto.
Deve, infatti, rilevarsi che in materia di coltivazione domestica di piante dalla quale sia possibile ricavare sostanze stupefacenti è stata, in tempi che, seppure non possono essere più definiti recenti, sono comunque successivi al momento in cui è stata adottata la sentenza ora in rassegna, la cui pronunzia risale al 10 dicembre 2019, interessata da una sentenza delle Sezioni unite di
questa Corte, attraverso la quale è stato definito un contrasto
giurisprudenziale insorto in seno a questa stessa Corte di legittimità.

Infatti, a fronte di un orientamento che affondava le proprie radici in una ben consolidata, sino ad allora, giurisprudenza di questa Corte, che, d’altra parte, la stessa Corte di Ancona ha ritenuto richiamare, secondo la quale la coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante a norma degli artt. 26 e 28 del dPR n. 309 del 1990, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione
domestica, posto che l’attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 19 dicembre 2013, n. 51497) senza che neppure rilevi il grado di maturazione della pianta o la quantità di principio attivo che sia in concreto
estraibile da essa, essendo determinante solamente la conformità della pianta al tipo botanico previsto dal legislatore e la sua attitudine alla produzione delle sostanze droganti (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 22 luglio 2019, n. 32485), in quanto l’espressione acoltivarg è riferibile all’intero ciclo evolutivo
dell’organismo biologico (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 6 marzo 2017, n. 10931), si è andato, progressivamente, contrapponendo un orientamento sostanzialmente diverso.

Secondo quest’ultimo, il quale è sviluppato sotto il profilo della
necessaria offensività del fatto in danno del bene interesse tutelato dalla norma (nel caso di specie la salute pubblica) acciocchè esso assurga alla rilevanza penale, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al
tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 luglio 2017, n. 36037; Corte di cassazione, Sezione VI penale, 26 febbraio 2016, n. 8058; idem Sezione VI penale 9 febbraio 2016, n. 5254).

Come si accennava i questo secondo orientamento è stato, con sentenza emessa dalle  Sezioni unite penali di questa Corte, autorevolmente avallato, sulla base del rilievo secondo il quale non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Corte di cassazione, Sezioni unite penali 16 aprile 2020, n. 12348).

Un tale indirizzo, non senza qualche difficoltà e resistenza da parte della giurisprudenza di questa Corte (si veda, infatti, in senso sostanzialmente ripristinatorio del precedente orientamento: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 29 gennaio 2021, n. 3593), è stato, successivamente ulteriormente
riprodotto, rilevandosi che, laddove la coltivazione sia caratterizzata da forme del tutto elementari e non presenti la predisposizione di accorgimenti – come impianti di irrigazione e/o di illuminazione – finalizzati a rafforzare la
produzione, e sia tale, in relazione al grado di sviluppo raggiunto dalle piante, da consentire l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacente ragionevolmente destinata all’uso personale dell’imputato, essa è priva di rilevanza penale (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 19 febbraio 2021, n.
6599).

Rileva questo Collegio, condividendo l’orientamento ultimo esposto, di dovere dare continuità ad esso e dovendosi, quanto al caso di specie, rilevare che la stessa Corte di appello di Ancona – a fronte della coltivazione di tre piantine di canapa indiana realizzata all’aperto nel balcone della abitazione occupata dal ricorrente, in assenza di strumentazioni tecniche atte ad
-e incrementare artificialmenteartificialmente la produttività delle medesime piantine – a concludere per la verosimile destinazione all’uso esclusivamente personale della esigua quantità di sostanza stupefacente ricavabile dalla attività svolta.
Sulla base di tale indicazione, contraddittoriamente  sottovalutata dalla Corte di merito, ritiene il Collegio che, conformemente a quanto osservato dal Tribunale ascolano e disattendendo il contrario avviso di cui si è fatta portatrice la Corte dorica, la condotta del S – non comportando essa
alcuna effettiva lesione per il bene interesse tutelato dalla norma che si ipotizza essere stata violata da quello, attesa la irrilevanza da punto di vista dell’incremento del mercato delle sostanze stupefacenti dell’apporto che ad esso potrebbe essere fornito con la quantità prodotta dall’imputato, ma dovendo, anzi, considerare che, dal punto di vista meramente economico, la produzione di un bene per il suo esclusivo autoconsumo è fattore che, lungi dall’incrementare la vivacità di un mercato, tende piuttosto a deprimerlo – essendo priva di offensività deve intendersi estranea alla tipicità penale come
delineata dal legislatore.

La sentenza impugnata, con la quale, invece, il prevenuto è stato
ritenuto responsabile del reato a lui ascritto deve, pertanto, essere annullata senza rinvio per la insussistenza del fatto.

PQM

annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2022 – 25 maggio 2022

Originally posted 2022-06-16 15:16:59.