CIBERCRIME,  DETENZIONE MATERIALE PEDOPORNOGRAFICO

 

CIBERCRIME,  DETENZIONE MATERIALE PEDOPORNOGRAFICO

Va premesso che la nozione di pedopornografia è stata introdotta nel codice penale in adempimento degli obblighi contenuti in strumenti internazionali ratificati dall’Italia, in primis con la legge L. 3 agosto 1998 n. 269, “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù” che ha inserito le fattispecie degli artt. 600 ter e 600 quater c.p. nella sezione I del codice penale, tra i reati contro la personalità individuale. Successivamente con la legge 6 febbraio 2006, n.38, recante disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet, in attuazione di quanto previsto dalla decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, sostituita in seguito dalla Direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 2011, le disposizioni sono state modificate ed è stato inserito anche il reato di cui il presente ricorso si occupa.

2. In riferimento alla nozione di pornografia minorile, questa Corte di Cassazione aveva sottolineato l’inesistenza di una definizione normativa, neppure rinvenibile nei lavori parlamentari dei due interventi normativi sopra menzionati (cfr. Sez. 3 n. 5874 del 9/1/2013, L., Rv 254420) lasciando all’interprete l’ambito di valutazione di tale qualificazione. In particolare, per quanto attiene la pornografia minorile è stato precisato (cfr. Sez. 3, n. 10981 del 4/3/2010, K., Rv. 246351) che tale nozione risulta ben più specifica del concetto di osceno, come definito nelle più datate sentenze della giurisprudenza di legittimità, e che rientra nel concetto di pornografia minorile il materiale rappresentativo che ritragga o rappresenti in maniera visiva un minore degli anni diciotto implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica (altra giurisprudenza ha sottolineato l’idoneità di tale materiale ad eccitare le pulsioni erotiche del fruitore, per cui in esso vanno ricomprese non solo le immagini raffiguranti amplessi, ma anche corpi nudi con i genitali in mostra (cfr. Sez. 3, n. 8285/2010 del 09/12/2009, R., Rv. 246231).

3. Ciò in quanto tale nozione doveva essere rinvenuta nel contenuto del Protocollo Opzionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, sulla vendita dei bambini, la prostituzione e la pornografia rappresentante bambini, stipulato a New York il 6 settembre 2000, e ratificato dall’Italia con L. 11 marzo 2002, n. 46, laddove si intendeva per pornografia minorile “qualsiasi rappresentazione, con qualsiasi mezzo, di un bambino dedito ad attività sessuali esplicite, concrete o simulate, o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali a fini soprattutto sessuali”, definizione che era stata del resto ribadita nella decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea n. 2004/68/GAI, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, secondo la quale si intendeva per “bambino” una persona d’età inferiore ai diciotto anni, e per “pornografia infantile” un materiale che ritrae o rappresenta visivamente: 1) “un bambino reale implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, fra cui l’esibizione lasciva dei genitali o dell’area pubica”; 2) “una persona reale che sembra essere un bambino, implicata o coinvolta nella suddetta condotta”; 3) “immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto nella suddetta condotta” Entrambe le definizioni quindi sottolineavano due elementi essenziali della pornografia: la rappresentazione di una figura umana e l’atteggiamento sessuale della figura rappresentata.

4. Nel quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato, che ha posto l’accento, nella individuazione di materiale pedopornografico, sul carattere lascivo della esibizione e quindi su atteggiamenti esplicitamente sessuali, è poi intervenuta la L. 1 ottobre 2012, n. 172 di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, aperta alla firma a Lanzarote il 25 ottobre 2007, con la quale è stato introdotto l’ultimo comma dell’art. 600 ter c.p. che ha definitivamente cristallizzato la nozione come già elaborata dalla giurisprudenza. (si veda Sez. 3, n. 3110/2014 del 20/11/2013, C., non mass. sul punto). Tale definizione qui rileva sotto il primo profilo interpretativo e non come richiamo in punto di tassatività della fattispecie in quanto la definizione è stata introdotta successivamente al tempus commissi delicti del reato qui in esame.

5. D’altra parte, nel caso di cui trattasi, non è rilevante svolgere ulteriori approfondimenti sul carattere pornografico degli atteggiamenti e delle attività sessuali riprodotte nel materiale in sequestro, posto che sia il giudice di primo grado, che, nella sostanza, la stessa Corte di appello, hanno ritenuto che le rappresentazioni contenute nei files sequestrati riproducessero persone (minorenni e bambini) coinvolte in attività sessuali e quindi avessero natura pornografica. Rilevante, invece, ai fini del giudizio di fondatezza del ricorso risulta essere il tema relativo all’individuazione del bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice di pedopornografia virtuale specificamente ascritta all’imputato.

6. Va rilevato, innanzitutto che l’art. 600 quater.1 è stato introdotto nel codice penale con l’art. 4 della menzionata legge n.38 del 2006, in completamento del quadro di tutela penale contro la pedopornografia costituito dalle disposizioni incriminatrici di cui agli artt. 600 ter (pornografia minorile) e 600 quater (detenzione di materiale pedopornografico), quadro di penalizzazione che si estende perciò alla c.d. pedo-pornografia virtuale, della quale viene formulata la seguente definizione: “Le disposizioni di cui agli articoli 600 ter e 600 quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali”.

7. Sviluppando un’interpretazione omnicomprensiva della fattispecie imposta dallo strumento giuridico internazionale dapprima, e poi da quello europeo, è stata data alle fattispecie incriminatrici delle condotte di pedopornografia un’ampia interpretazione. Infatti si è ritenuto che il bene protetto non debba essere considerato necessariamente, ed in via esclusiva, la libertà sessuale del soggetto minore di età concretamente rappresentato e, quindi, individuato (seppure non necessariamente identificato con le generalità), da qualificare quale persona offesa; si è invece inclusa nella nozione di persona offesa dai reati in questione “i bambini e/o le bambine”, da intendersi quale categoria di persone destinatarie della tutela rafforzata della intimità sessuale, incluso il rispetto delle diverse fasi del loro sviluppo fisico e psicologico, da intendere come comprensivo dello sviluppo della loro sessualità.

VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMIGLIARE

8. Pertanto è stata ritenuta superflua qualunque verifica circa il fatto che la condotta di rappresentazione pedopornografica avesse offeso i minori specificamente coinvolti nella rappresentazione, ossia risultasse concretamente diretta a “danneggiare” la loro libertà sessuale o personalità, ovvero che vi fosse stato un pericolo concreto per la personalità e sviluppo del minore rappresentato, essendo stata considerata dal legislatore la diffusione e la detenzione del materiale rappresentativo di minori implicati in attività a carattere sessuale – purché qualificato dal giudice di merito pedopornografico considerate condotte concretamente pericolose per i minori, in quanto volte a diffondere ed alimentare l’attrazione per manifestazioni di sessualità rivolte al coinvolgimento di minori, ossia di persone che, a cagione della loro minore età, non hanno – non solo per il nostro ordinamento, ma per la comunità internazionale, quella maturità psicologica necessaria ad esprimere un valido consenso né alle attività sessuali in esse rappresentate ed ancor meno a tali rappresentazioni.

 

9. Non risulta quindi corretto interpretare la disposizione sulla pedopornografia virtuale – come nella parte motiva della decisione qui impugnata – nel senso che quando la pedopornografia venga realizzata senza l’utilizzazione di “minori reali” non sussisterebbe alcun concreto pericolo per la personalità e lo sviluppo del “minore”, atteso che, come sopra evidenziato, il bene giuridico tutelato non è costituito unicamente dalla libertà sessuale del bambino le cui sembianze siano state impresse nella fotografia o siano state riprese nel filmato (e quindi non vi sarebbe stata alcuna offesa, costituita dal concreto pericolo per lo sviluppo della personalità individuale di quel minore implicato nell’attività sessuale rappresentata). Quello specifico minorenne, infatti, è vittima di reati ben più gravi, che ledono addirittura, anziché mettere solo in pericolo, tali beni giuridici: reati posti in essere mediante la c.d. “fisicità” dell’attività sessuale svolta in tali rappresentazioni, dei quali le immagini od i filmati costituiscono una semplice documentazione aggiuntiva, prodotta dal suo autore non già per un inconscio desiderio di fornire una prova confessoria delle proprie malefatte, ma, per l’appunto, per alimentare la propria e/o l’altrui soddisfazione nel mostrare la preda minorenne dell’attività sessuale, ovvero nel rappresentare la possibilità di porre in essere tale attività, quasi fosse una “normale” estrinsecazione delle pulsioni sessuali degli adulti.

10. I beni giuridici tutelati dalla fattispecie in oggetto sono invece da individuare nella intangibilità della personalità dei soggetti minorenni e nel rispetto dei tempi e modi di sviluppo della loro personalità, beni ai quali il legislatore ha inteso assegnare una tutela rafforzata, mediante la criminalizzazione di tutte quelle condotte che, rappresentandolo, esprimano la possibilità del coinvolgimento del minore in quelle attività sessuali in relazione alle quali, come già detto, i minori non sono in grado di prestare un valido consenso, tenuto conto del loro grado di sviluppo psicologico e di maturità relazionale.

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11. La fattispecie oggetto del caso in esame (l’art. 600 quater 1 c.p.) ha reso ancor più evidente l’allontanamento del delitto in oggetto da ogni stretta correlazione con una determinata persona offesa, già evidenziata in precedenza in riferimento al concetto di materiale pornografico. Ma certamente tale disposizione deve essere interpretata anche tenendo conto della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, ratificata dall’Italia con la legge 18 marzo 2008, n. 48, contenente norme di adeguamento interno, che non ha apportato alcuna modifica alla fattispecie incriminatrice in esame, proprio perché la criminalizzazione già vigente della condotta di pedopornografia virtuale è stata valutata dal legislatore italiano “in compliance” con gli obblighi di incriminazione imposti dalla sottoscrizione dello strumento giuridico internazionale.

 

 

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE , SENTENZA 9 maggio 2017, n.22265 – Pres. Fiale – est. Rosi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza dell’11 marzo 2014, il G.I.P. del Tribunale di Brescia aveva condannato Z.B. , all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di otto mesi di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa (pena sospesa), ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 600 quater i c.p., perché, utilizzando il programma emule, consapevolmente, si procurava e deteneva circa 95.000 immagini di pornografia virtuale, realizzate utilizzando immagini raffiguranti soggetti minori degli anni 18, con l’aggravante di aver detenuto un’ingente quantità di materiale pedo-pornografico, fatto commesso in (omissis) . Nella sentenza veniva dato atto del rinvenimento nelle unità di memoria del computer dell’imputato di numerosissimi files (valutati quale quantitativo ingente) contenenti – come il giudice di primo grado aveva ritenuto dimostrato dalla consulenza tecnica in atti – immagini di pornografia virtuale (nella foggia di disegni o rappresentazioni fumettistiche) che ritraevano “soggetti chiaramente minorenni (molti di loro in tenera età) intenti a subire pratiche ed atti sessuali che si dimostrano, in svariati casi, abiette e raccapriccianti (vi si ritraggono bambine denudate con le mani legate da lacci che le trattengono mentre vengono costrette a compiere od a subire penetrazioni ed altri atti sessuali)”.

2. In accoglimento del gravame proposto dall’imputato, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 22 settembre 2015, ha assolto lo stesso dal reato ascrittogli per insussistenza del fatto, sul presupposto dell’irrilevanza penale del materiale rinvenuto, costituito da fumetti e cartoni animati che coinvolgevano, in atteggiamenti sessualmente espliciti, soggetti minorenni, ritenendo che l’immagine virtuale debba avere una qualità di rappresentazione tale da far apparire come vere situazioni non reali, ossia una qualità tecnica così sofisticata da dare l’apparenza di una situazione reale e da poter essere scambiata con una immagine fotografia di una situazione realmente verificatasi. I giudici di secondo grado hanno pertanto concluso che non tutte le rappresentazioni grafiche di minori raffigurati in atti sessuali sono illeciti penalmente rilevanti, pur essendo moralmente riprovevoli; nel caso di specie in tali rappresentazioni non apparivano effigiati minorenni, per così dire veri, ossia realmente esistenti e non erano state utilizzate immagini, o parti di immagini reali, di soggetti minori degli anni 18.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Brescia, chiedendone l’annullamento. Con un unico motivo di impugnazione, è stata lamentata la violazione di legge in relazione all’art. 600 quater 1 c.p. circa la qualifica pedopornografica del materiale sequestrato all’imputato, ritenendo arbitraria l’interpretazione restrittiva della disposizione normativa, che ne escluderebbe l’applicabilità alle immagini fumettistiche, solo perché bidimensionali, essendo di contro la fattispecie destinata a punire la detenzione consapevole delle immagini virtuali che siano in grado, per la loro capacità di far apparire vere situazioni non reali, di alimentare la libidine sessuale verso i minori. Il legislatore avrebbe introdotto la disposizione tenendo conto della decisione quadro 2004/68/GAI, come sostituita dalla Direttiva 2011/92/UE.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato. Va premesso che la nozione di pedopornografia è stata introdotta nel codice penale in adempimento degli obblighi contenuti in strumenti internazionali ratificati dall’Italia, in primis con la legge L. 3 agosto 1998 n. 269, “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù” che ha inserito le fattispecie degli artt. 600 ter e 600 quater c.p. nella sezione I del codice penale, tra i reati contro la personalità individuale. Successivamente con la legge 6 febbraio 2006, n.38, recante disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet, in attuazione di quanto previsto dalla decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, sostituita in seguito dalla Direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 2011, le disposizioni sono state modificate ed è stato inserito anche il reato di cui il presente ricorso si occupa.

2. In riferimento alla nozione di pornografia minorile, questa Corte di Cassazione aveva sottolineato l’inesistenza di una definizione normativa, neppure rinvenibile nei lavori parlamentari dei due interventi normativi sopra menzionati (cfr. Sez. 3 n. 5874 del 9/1/2013, L., Rv 254420) lasciando all’interprete l’ambito di valutazione di tale qualificazione. In particolare, per quanto attiene la pornografia minorile è stato precisato (cfr. Sez. 3, n. 10981 del 4/3/2010, K., Rv. 246351) che tale nozione risulta ben più specifica del concetto di osceno, come definito nelle più datate sentenze della giurisprudenza di legittimità, e che rientra nel concetto di pornografia minorile il materiale rappresentativo che ritragga o rappresenti in maniera visiva un minore degli anni diciotto implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, quale può essere anche la semplice esibizione lasciva dei genitali o della regione pubica (altra giurisprudenza ha sottolineato l’idoneità di tale materiale ad eccitare le pulsioni erotiche del fruitore, per cui in esso vanno ricomprese non solo le immagini raffiguranti amplessi, ma anche corpi nudi con i genitali in mostra (cfr. Sez. 3, n. 8285/2010 del 09/12/2009, R., Rv. 246231).

3. Ciò in quanto tale nozione doveva essere rinvenuta nel contenuto del Protocollo Opzionale alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, sulla vendita dei bambini, la prostituzione e la pornografia rappresentante bambini, stipulato a New York il 6 settembre 2000, e ratificato dall’Italia con L. 11 marzo 2002, n. 46, laddove si intendeva per pornografia minorile “qualsiasi rappresentazione, con qualsiasi mezzo, di un bambino dedito ad attività sessuali esplicite, concrete o simulate, o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali a fini soprattutto sessuali”, definizione che era stata del resto ribadita nella decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea n. 2004/68/GAI, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, secondo la quale si intendeva per “bambino” una persona d’età inferiore ai diciotto anni, e per “pornografia infantile” un materiale che ritrae o rappresenta visivamente: 1) “un bambino reale implicato o coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, fra cui l’esibizione lasciva dei genitali o dell’area pubica”; 2) “una persona reale che sembra essere un bambino, implicata o coinvolta nella suddetta condotta”; 3) “immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto nella suddetta condotta” Entrambe le definizioni quindi sottolineavano due elementi essenziali della pornografia: la rappresentazione di una figura umana e l’atteggiamento sessuale della figura rappresentata.

4. Nel quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato, che ha posto l’accento, nella individuazione di materiale pedopornografico, sul carattere lascivo della esibizione e quindi su atteggiamenti esplicitamente sessuali, è poi intervenuta la L. 1 ottobre 2012, n. 172 di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, aperta alla firma a Lanzarote il 25 ottobre 2007, con la quale è stato introdotto l’ultimo comma dell’art. 600 ter c.p. che ha definitivamente cristallizzato la nozione come già elaborata dalla giurisprudenza. (si veda Sez. 3, n. 3110/2014 del 20/11/2013, C., non mass. sul punto). Tale definizione qui rileva sotto il primo profilo interpretativo e non come richiamo in punto di tassatività della fattispecie in quanto la definizione è stata introdotta successivamente al tempus commissi delicti del reato qui in esame.

5. D’altra parte, nel caso di cui trattasi, non è rilevante svolgere ulteriori approfondimenti sul carattere pornografico degli atteggiamenti e delle attività sessuali riprodotte nel materiale in sequestro, posto che sia il giudice di primo grado, che, nella sostanza, la stessa Corte di appello, hanno ritenuto che le rappresentazioni contenute nei files sequestrati riproducessero persone (minorenni e bambini) coinvolte in attività sessuali e quindi avessero natura pornografica. Rilevante, invece, ai fini del giudizio di fondatezza del ricorso risulta essere il tema relativo all’individuazione del bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice di pedopornografia virtuale specificamente ascritta all’imputato.

6. Va rilevato, innanzitutto che l’art. 600 quater.1 è stato introdotto nel codice penale con l’art. 4 della menzionata legge n.38 del 2006, in completamento del quadro di tutela penale contro la pedopornografia costituito dalle disposizioni incriminatrici di cui agli artt. 600 ter (pornografia minorile) e 600 quater (detenzione di materiale pedopornografico), quadro di penalizzazione che si estende perciò alla c.d. pedo-pornografia virtuale, della quale viene formulata la seguente definizione: “Le disposizioni di cui agli articoli 600 ter e 600 quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali”.

7. Sviluppando un’interpretazione omnicomprensiva della fattispecie imposta dallo strumento giuridico internazionale dapprima, e poi da quello europeo, è stata data alle fattispecie incriminatrici delle condotte di pedopornografia un’ampia interpretazione. Infatti si è ritenuto che il bene protetto non debba essere considerato necessariamente, ed in via esclusiva, la libertà sessuale del soggetto minore di età concretamente rappresentato e, quindi, individuato (seppure non necessariamente identificato con le generalità), da qualificare quale persona offesa; si è invece inclusa nella nozione di persona offesa dai reati in questione “i bambini e/o le bambine”, da intendersi quale categoria di persone destinatarie della tutela rafforzata della intimità sessuale, incluso il rispetto delle diverse fasi del loro sviluppo fisico e psicologico, da intendere come comprensivo dello sviluppo della loro sessualità.

8. Pertanto è stata ritenuta superflua qualunque verifica circa il fatto che la condotta di rappresentazione pedopornografica avesse offeso i minori specificamente coinvolti nella rappresentazione, ossia risultasse concretamente diretta a “danneggiare” la loro libertà sessuale o personalità, ovvero che vi fosse stato un pericolo concreto per la personalità e sviluppo del minore rappresentato, essendo stata considerata dal legislatore la diffusione e la detenzione del materiale rappresentativo di minori implicati in attività a carattere sessuale – purché qualificato dal giudice di merito pedopornografico considerate condotte concretamente pericolose per i minori, in quanto volte a diffondere ed alimentare l’attrazione per manifestazioni di sessualità rivolte al coinvolgimento di minori, ossia di persone che, a cagione della loro minore età, non hanno – non solo per il nostro ordinamento, ma per la comunità internazionale, quella maturità psicologica necessaria ad esprimere un valido consenso né alle attività sessuali in esse rappresentate ed ancor meno a tali rappresentazioni.

9. Non risulta quindi corretto interpretare la disposizione sulla pedopornografia virtuale – come nella parte motiva della decisione qui impugnata – nel senso che quando la pedopornografia venga realizzata senza l’utilizzazione di “minori reali” non sussisterebbe alcun concreto pericolo per la personalità e lo sviluppo del “minore”, atteso che, come sopra evidenziato, il bene giuridico tutelato non è costituito unicamente dalla libertà sessuale del bambino le cui sembianze siano state impresse nella fotografia o siano state riprese nel filmato (e quindi non vi sarebbe stata alcuna offesa, costituita dal concreto pericolo per lo sviluppo della personalità individuale di quel minore implicato nell’attività sessuale rappresentata). Quello specifico minorenne, infatti, è vittima di reati ben più gravi, che ledono addirittura, anziché mettere solo in pericolo, tali beni giuridici: reati posti in essere mediante la c.d. “fisicità” dell’attività sessuale svolta in tali rappresentazioni, dei quali le immagini od i filmati costituiscono una semplice documentazione aggiuntiva, prodotta dal suo autore non già per un inconscio desiderio di fornire una prova confessoria delle proprie malefatte, ma, per l’appunto, per alimentare la propria e/o l’altrui soddisfazione nel mostrare la preda minorenne dell’attività sessuale, ovvero nel rappresentare la possibilità di porre in essere tale attività, quasi fosse una “normale” estrinsecazione delle pulsioni sessuali degli adulti.

10. I beni giuridici tutelati dalla fattispecie in oggetto sono invece da individuare nella intangibilità della personalità dei soggetti minorenni e nel rispetto dei tempi e modi di sviluppo della loro personalità, beni ai quali il legislatore ha inteso assegnare una tutela rafforzata, mediante la criminalizzazione di tutte quelle condotte che, rappresentandolo, esprimano la possibilità del coinvolgimento del minore in quelle attività sessuali in relazione alle quali, come già detto, i minori non sono in grado di prestare un valido consenso, tenuto conto del loro grado di sviluppo psicologico e di maturità relazionale.

11. La fattispecie oggetto del caso in esame (l’art. 600 quater 1 c.p.) ha reso ancor più evidente l’allontanamento del delitto in oggetto da ogni stretta correlazione con una determinata persona offesa, già evidenziata in precedenza in riferimento al concetto di materiale pornografico. Ma certamente tale disposizione deve essere interpretata anche tenendo conto della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, ratificata dall’Italia con la legge 18 marzo 2008, n. 48, contenente norme di adeguamento interno, che non ha apportato alcuna modifica alla fattispecie incriminatrice in esame, proprio perché la criminalizzazione già vigente della condotta di pedopornografia virtuale è stata valutata dal legislatore italiano “in compliance” con gli obblighi di incriminazione imposti dalla sottoscrizione dello strumento giuridico internazionale.

12. Proprio nel Rapporto esplicativo della Cyber Crime Convention è stata sottolineata la necessità di imporre agli Stati la criminalizzazione del possesso e distribuzione di immagini “realistiche”, ossia che rappresentino un minore impegnato in atteggiamenti sessuali espliciti, in quanto tali immagini possono essere utilizzate per sedurre dei soggetti minori od invitarli a partecipare ad attività sessuali. Inoltre è stata anche chiarita la ragione della severità con la quale deve essere perseguita ogni condotta di “pedopornografia telematica” in considerazione dell’incremento dell’uso dello scambio di files e del commercio elettronico (“It is widely believed that such materia and on-linepractices, such as the exchange of ídeas, fantasies and advice among paedophiles, play a role in supporting, encouraging or facilitatíng sexual offences against children”. In particolare al punto 101 del rapporto esplicativo viene chiarito il significato del termine “materiale pedopornografico” che può comprendere in alternativa: a) la rappresentazione di un abuso sessuale di un minore reale, ovvero b) l’immagine pornografica rappresentante una persona che appaia essere un minore impegnato in attività sessuali esplicite, ovvero c) le immagini che, sebbene realistiche non coinvolgono un minore realmente impegnato in attività sessuali esplicite. Tale ultimo scenario include immagini che sono alterate, come “such as morphed images of natura persons”, od anche generate per intero dal computer. L’interesse tutelato nelle tre situazioni è diverso: nella prima, si tratta di protezione contro l’abuso di minore; nelle seconda e terza, il focus afferisce più direttamente alla protezione contro un comportamento che, seppure non abbia necessariamente offeso uno specifico minore (quello riprodotto nel materiale pedopornografico, che potrebbe anche essere “non reale”) potrebbe essere usato “to encourage or seduce children into participating in such acts, and hence form part of a subculture favouring child abuse”.

13. Dalla lettura degli strumenti internazionali vincolanti per l’Italia e da quanto indicato nella disposizione in esame, risulta perciò evidente che la pedopornografia virtuale è realizzata senza impiegare di bambini reali – a prescindere da un rudimentale od avanzato impiego di fotomontaggi in fotografie o filmati – utilizzando la tecnologia digitale per lo sviluppo di immagini, tratte sia da soggetti reali – riprodotti con sviluppo in cartoon od immagini digitali (a mò di caricatura o di creazione di figure digitali in grado di suggerire la reale esistenza di persone che possano assomigliare ad esse) ed altresì diffondendo ovvero “scaricando” tali prodotti video od immagine, attraverso il web, sul proprio hardware od altro supporto informatico idoneo a contenere dati. La nozione di immagine del minore impegnato in attività sessuali comprende quindi non solo la riproduzione reale dello stesso in una situazione di “fisicità pornografica”, ma anche disegni, pitture, e tutto ciò che sia idoneo a dare allo spettatore l’idea che l’oggetto della rappresentazione pornografica sia un minore. Si tratta, dunque, di riproduzioni artificiali, che, sebbene realistiche, sono il puro frutto della tecnologia grafica e della fantasia sessuale dell’autore.

14. Non è sostenibile che si possa avere effettiva lesività della condotta solo se le immagini virtuali siano state create utilizzando altre immagini concernenti situazioni reali. D’altra parte nel comma 1 il legislatore ha fatto riferimento all’uso di immagini di minori senza specificare il carattere “reale” ossia riproduttivo di una situazione reale, delle stesse. Seguendo tale indirizzo interpretativo si dovrebbe criminalizzare unicamente la documentazione fotografica o video di atti sessuali commessi su minorenne o alla presenza dello stesso, per i quali esistono già le fattispecie di cui agli artt. 600 ter e quater c.p. prima menzionati.

15. Il delitto di pedopornografia virtuale è, perciò di un crimine di natura informatica del tutto peculiare in quanto la condotta penalmente è commessa con l’uso del mezzo informatico, sia perché il materiale illecito del quale è stata incriminata la produzione e diffusione è realizzato per mezzo delle tecnologie informatiche, sia perché le condotte (anche soltanto quella di detenzione) sono ottenute non già acquistando in edicola un fumetto pedopornografico, come sembra voler suggerire la lettura della sentenza impugnata, ma attraverso l’uso delle nuove forme di condivisione via internet di files-immagine o video-files. Si tratta altresì di un reato di pericolo concreto, offesa che deve essere valutata dal giudice di merito, in riferimento alla qualità pedopornografica del prodotto informatico realizzato ed alla sua capacità rappresentativa di soggetti minorenni coinvolti in attività sessuali.

16. Di conseguenza, qualunque interpretazione volta ad escludere la rilevanza penale delle condotte di detenzione (ed ancor più di diffusione) di tale materiale in forza della considerazione che non risultino rappresentati soggetti “realmente esistenti”, risulta, nella sostanza, interpretazione abrogatrice e contra legem della stessa fattispecie penale, che ha equiparato la pedopornografia virtuale, alla pedopornografia su supporto cartaceo. Il momento discriminante non sta, quindi, nella elaborazione sofisticata di immagini di carattere tridimensionale, ma nel fatto che l’elaborazione grafica effettuata, evochi la rappresentazione di situazioni reali, ossia di atteggiamenti sessuali che offrono lo svolgimento di attività sessuali nelle quali i bambini sono ridotti al rango di meri oggetti sessuali, di giocattoli sessuali con i quali e sui quali, compiere atti a valenza sessuale.

17. Per tale ragione non si può allora escludere l’applicabilità dell’art. 600 quateri c.p. alle rappresentazioni fumettistiche, dal momento che vi possono essere – come sembra emergere dalla lettura della sentenza di condanna di primo grado nel caso di specie – anche nei fumetti – soprattutto quando tali comics siano ottenute con tecnologia digitale di alta qualità – immagini la cui qualità di rappresentazione faccia apparire come vere situazioni, ed attività sessuali implicanti minori, che non hanno avuto alcuna corrispondenza con fatti della realtà. Questo deve essere infatti, a parere di questo Collegio, il significato da attribuire alla nozione di immagine virtuale pedopornografica, di cui al comma 2 della disposizione: la qualità di rappresentazione deve essere tale da far apparire come accadute o realizzabili nella realtà e quindi “vere”, ovvero verosimili, situazioni non reali, ossia frutto di immaginazione di attività sessuali coinvolgenti bambini/e.

18. In sintesi: è contrario alla disposizione del codice penale escludere la sussistenza del fatto ascritto, come deciso con la sentenza impugnata, solo perché le immagini ed i filmati contenuti nei files in sequestro rappresentavano soggetti minori “di fantasia”, ritenendo per ciò solo esclusa ogni riferibilità, seppure apparente, ad una situazione rappresentativa di accadimenti reali, pertanto la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte d’appello di Brescia per nuovo giudizio.

 

 

 

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Originally posted 2020-02-28 08:34:54.