Bologna querela per diffamazione quando come? PENALISTA ESPERTO

Bologna querela per diffamazione quando come?

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente(1), comunicando con più persone(2), offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato(3), la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa [57-58bis] o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità(4), ovvero in atto pubblico [2699], la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio [342], le pene sono aumentate

Cass. pen., Sez. V, Sentenza, 30/04/2021, n. 22787 (rv. 281261-01)

REATI CONTRO LA PERSONA – Delitti contro l’onore – Diffamazione – In genere – Diffamazione tramite internet – Termine per proporre querela – Individuazione – Criterio – Fattispecie

In tema di diffamazione tramite “internet”, ai fini della individuazione del “dies a quo” per la decorrenza del termine per proporre querela, occorre fare riferimento, in assenza di prova contraria da parte della persona offesa, ad una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l’immagine lesiva sono immesse sul “web”, atteso che l’interessato, normalmente, ha notizia del fatto commesso mediante la “rete” accedendo alla stessa direttamente o attraverso terzi che in tal modo ne siano venuti a conoscenza. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per aver ritenuto la tempestività della querela, presentata dopo oltre quattro mesi dalla pubblicazione di un “post” diffamatorio, sulla base della sola dichiarazione assertiva della persona offesa di non aver avuto per lungo tempo accesso ai “social network”). (Annulla con rinvio, CORTE APPELLO MILANO, 01/10/2019)

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di critica storica postula che l’autore utilizzi fonti attendibili e verificabili, segua un percorso logico non pretestuoso e si esprima con termini appropriati e continenti, non assumendo, invece, rilievo in sede penale la completezza delle fonti bibliografiche compulsate, né la perspicacia dei giudizi formulati. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto l’esimente in relazione ad una pubblicazione avente ad oggetto la ricostruzione di un episodio della resistenza partigiana, la strage di Rovetta, nella quale il ricorrente aveva formulato, “con logica discutibile e claudicante”, l’ipotesi della corresponsabilità della persona offesa, fondandosi però su una serie di indizi, corrispondenti a dati reali e correttamente esposti, prospettati insieme all’opinione dissenziente espressa da altri storici, in modo da consentire al lettore di “apprezzare la forza del ragionamento e di farsi una propria opinione sul fatto”).

Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 21/07/2021, n. 20843 (rv. 662022-01)

GIUDIZIO CIVILE E PENALE (RAPPORTO) – Cosa giudicata penale – Autorita’ in altri giudizi civili o amministrativi – In genere – Responsabilità civile da condotta calunniosa – Accertamento – Valutazioni che rimettano in discussione l’esclusione della responsabilità penale del soggetto prosciolto – Esclusione – Conseguenze – Fattispecie – RESPONSABILITA’ CIVILE – Denunce infondate – In genere

In tema di definizione di un’azione civile per il risarcimento del danno da reato, una volta che sia intervenuto il proscioglimento dell’imputato con sentenza passata in giudicato, non è consentito – come stabilito anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 20 ottobre 2020, Pasquini c. San Marino; sentenza 10 dicembre 2020, Papageorgiou c. Grecia) – “rimettere in gioco” l’affermazione dell’esclusione della responsabilità penale, con la conseguenza che il soggetto denunciato o querelato – già destinatario di un addebito del quale sia stata accertata l’infondatezza in sede penale – ha diritto a che le valutazioni espresse in tale ambito non siano oggetto di una riconsiderazione “in malam partem”, né per affermare la sua responsabilità risarcitoria, né per respingere la sua domanda di risarcimento del pregiudizio subito dall’assoggettamento al procedimento penale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della Corte di merito che, in applicazione del principio, pronunciando sulla pretesa risarcitoria avanzata da un soggetto per la natura calunniosa della denuncia/querela presentata nei suoi confronti in relazione al reato di diffamazione dal quale era stato prosciolto – ne aveva respinto la domanda, non già in esito ad un nuovo apprezzamento della sua condotta, bensì escludendo la configurabilità dell’elemento soggettivo dell’illecito penale in capo all’autore della condotta asseritamente calunniosa). (Rigetta, CORTE D’APPELLO ANCONA, 11/06/2018)

Cass. pen. n. 38896/2019

In tema di diffamazione a mezzo stampa o mediante pubblicazioni di tipo giornalistico “on line”, ai fini della configurabilità della scriminante putativa del diritto di cronaca o di critica, non è sufficiente, ai fini dell’adempimento dell’onere di verifica dei fatti riportati e delle fonti, la consultazione dei più noti motori di ricerca e dell’enciclopedia web “Wikipedia”, trattandosi di strumenti inidonei a garantire la necessaria completezza informativa. (Fattispecie relativa all’erronea attribuzione alla persona offesa del coinvolgimento nella strage di Bologna del 1980, nel contesto di una pubblicazione che ne descriveva il profilo politico e l’appartenenza alla “destra eversiva”).

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esimente del diritto di critica nella forma satirica sussiste quando l’autore presenti, in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione di persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa, e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino storicamente false. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la responsabilità dell’imputato, ex art. 595, comma terzo, cod. pen., per avere pubblicato su un “blog” una dichiarazione storicamente falsa attribuita ad un noto personaggio politico, aggiungendola a dichiarazioni rese effettivamente da quest’ultimo nel corso di un’intervista, inserita nel contesto di un articolo dal tono né ironico né scherzoso, e, dunque, ingannevole).

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In tema di diffamazione, nell’ambito delle trasmissioni dedicate al c.d. “gossip”, caratterizzate dalla spettacolarizzazione del pettegolezzo, i limiti dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e della continenza espressiva, immanenti all’esercizio del diritto di critica, assumono una maggiore elasticità in considerazione del contesto dialettico nel quale si sono realizzate le condotte e, in particolare, il parametro dell’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, che in siffatte trasmissioni ruota attorno alla curiosità determinata dalla vita privata di personaggi noti, deve necessariamente ampliarsi, tenendo in considerazione anche la scelta dell’interessato di partecipare a siffatti dibattiti, che implica la volontaria esposizione al pericolo che vengano colpiti da critica anche aspetti della sfera personale ulteriori rispetto a quelli che egli ha deciso di rendere noti; mentre la continenza espressiva deve valutarsi secondo i parametri propri della critica di costume, che consente toni anche sferzanti, purché non gratuiti e pertinenti al fatto narrato e al concetto da esprimere.

E’ configurabile il concorso tra il delitto di trattamento illecito di dati personali e quello di diffamazione, poiché la clausola di riserva di cui all’art. 167, comma 1, d.lgs 30 giugno 2003, n. 196 (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) presuppone l’identità dei beni giuridici tutelati dai diversi reati, identità che non ricorre nel caso di specie, poiché il delitto di diffamazione tutela la reputazione, attinente all’aspetto esteriore della tutela dell’individuo e al suo diritto di godere di un certo riconoscimento sociale, mentre il delitto di trattamento illecito di dati personali è posto a tutela della riservatezza che ha riguardo all’aspetto interiore dell’individuo e al suo diritto a preservare la propria sfera personale da ingerenze indebite e ricorrendo, altresì, tra le due fattispecie, un rapporto di eterogeneità strutturale, sotto il profilo dell’oggetto materiale (che, nel delitto di cui all’art. 167 d.lgs. n. 196 del 2003, può essere costituito dai soli dati sensibili) e del dolo (configurato nel solo delitto di trattamento illecito come dolo specifico orientato al profitto dell’agente o al danno del soggetto passivo) che esclude la configurazione di un rapporto di specialità ai sensi dell’art. 15 cod. pen.

In tema di delitti contro l’onore, il requisito della continenza non può essere evocato come strumento oggettivo di selezione degli argomenti sui quali fondare la comunicazione dell’opinione al fine di costituire legittimo esercizio del diritto di critica, selezione che, invece, spetta esclusivamente al titolare di tale diritto, giacché altrimenti il suo contenuto ne risulterebbe svuotato, in spregio del diritto costituzionale di cui all’art. 21 Cost.. Il rispetto del canone della continenza esige, invece, che le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non si traducano, pertanto, in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato.

Cass. pen. n. 2784/2015

In tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora l’espressione lesiva dell’altrui reputazione sia riferibile, ancorché in assenza di indicazioni nominative, a persone individuabili e individuate per la loro attività, esse possono ragionevolmente sentirsi destinatarie di detta espressione, con conseguente configurabilità del reato di cui all’art. 595 cod. pen.

Cass. pen. n. 39986/2014

In tema di diffamazione, la comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi affissa al portone condominiale integra il reato di cui all’art. 595 c.p., non sussistendo alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di tali fatti ancorché veri.

Cass. pen. n. 11895/2014

Per procedere al sequestro preventivo di un sito “internet” in cui siano stati pubblicati messaggi e commenti a carattere diffamatorio è necessaria una potenzialità offensiva del sito in sé, non individuabile nello sviluppo di un “blog” di libera informazione, che rappresenta una modalità fisiologica ed ordinaria dell’utilizzo del sito. (Nella fattispecie terze persone avevano utilizzato il “blog”, gestito dall’indagato, per diffondere “post” offensivi nei confronti di politici locali).

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Cass. pen. n. 27675/2019

In tema di diffamazione, è legittimo il sequestro preventivo di un “blog” che integra un “mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, per cui non trova applicazione la normativa di rango costituzionale e di livello ordinario che disciplina l’attività di informazione professionale diretta al pubblico, che rimane riservata, invece, alle testate giornalistiche telematiche. (Fattispecie relativa a un “blog” pubblicato su un sito gestito da un soggetto non iscritto nel Registro degli operatori di comunicazione, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto da un lato legittimo il sequestro, dall’altro insussistenti i presupposti del reato di pubblicazione di stampa clandestina, contestato insieme a varie ipotesi di diffamazione).

Cass. pen. n. 27616/2019

In tema di diffamazione, i valori della riservatezza e della dignità possono essere compressi nel bilanciamento con il diritto all’informazione espresso dal pubblico interesse alla notizia, ma non possono essere compromessi oltre la soglia imposta dalla destinazione della notizia a soddisfare un bisogno sociale di conoscenza. (Fattispecie in tema di divulgazione della relazione extraconiugale del marito dell’imputata con la persona offesa).

Cass. pen. n. 19960/2019

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’affermazione circa la natura diffamatoria di un articolo di stampa implica la valutazione del suo contenuto complessivo e degli elementi tipografici della comunicazione, e cioè del titolo, dell’occhiello e di eventuali foto. (Fattispecie in tema di intervista contenente la critica dell’operato di un magistrato inquirente, nella quale la Corte ha rilevato come nel titolo, nell’occhiello e nel testo dell’articolo, integralmente considerato, fossero riportate informazioni veridiche e obiettive, funzionali alla corretta rappresentazione della condotta professionale oggetto di critica).

Cass. pen. n. 12548/2019

Il direttore responsabile di un giornale risponde del reato di cui all’art. 595, comma terzo, cod. pen., in relazione al titolo di tenore diffamatorio che accompagni l’articolo pubblicato, soltanto laddove sia provato che egli abbia formato o contribuito a formare detto titolo o abbia consapevolmente aderito ai contenuti dello scritto prima della pubblicazione.

Cass. pen. n. 12180/2019

In tema di diffamazione, l’esercizio del diritto di critica, reso legittimo dall’interesse pubblico della notizia e dalla funzione pubblica esercitata dal soggetto criticato, non autorizza l’offesa rivolta alla sfera privata di quest’ultimo mediante l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ravvisato la scriminante del diritto di critica nella condotta dell’imputato che, nel commentare sul proprio sito “web” l’attività di una donna architetto in servizio presso una soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, aveva fatto gratuito riferimento a presidi sanitari di ordinario utilizzo femminile, con un chiaro coinvolgimento della persona e della sua sfera intima).

Cass. pen. n. 55386/2018

La diffamazione, che è reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono le espressioni offensive e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state inserite in un messaggio di posta elettronica diretto a più destinatari, non è sufficiente il mero inserimento nella rete, ma occorre quanto meno la prova dell’effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato “scaricato” mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario. (In motivazione la Corte ha precisato che tale prova non deve essere necessariamente frutto di accertamenti tecnici, potendo essere oggetto di testimonianza e anche di prova logica acquisita in via inferenziale, ad esempio facendo riferimento all’accertata abitudine del destinatario di accedere con frequenza al “server” di posta elettronica).

Cass. pen. n. 54496/2018

La cronaca giudiziaria è lecita quando sia esercitata correttamente,

limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o a commentare l’attività investigativa o giurisdizionale; quando invece le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario sono utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo reinterpretare i fatti nel contesto di un’autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica.

Cass. pen. n. 16751/2018

In tema di diffamazione, l’amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell’art. 57 cod.pen.

, in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook) . (In motivazione, la Corte ha precisato che il mero ruolo di amministratore di un forum di discussione non determina il concorso nel reato conseguente ai messaggi ad altri materialmente riferibili, in assenza di elementi che denotino la compartecipazione dell’amministrazione all’attività diffamatoria).

Cass. pen. n. 7859/2018

Esula dai limiti del corretto esercizio di critica politica e dà luogo alla configurabilità del delitto di diffamazione con l’aggravante della finalità di discriminazione razziale l’espressione “rassegni le dimissioni e se ne ritorni nella giungla dalla quale è uscita”, pubblicamente rivolta ad un esponente politico di provenienza africana a commento di talune non condivise proposte di legge dal medesimo avanzate.

Cass. pen. n. 50187/2017

Sussiste il reato di diffamazione nel caso in cui un “blogger”,

 nel dare la notizia della morte di un esponente apicale di un sodalizio mafioso, adopera espressioni tese ad umiliare e a ricoprire di disprezzo la persona del defunto, in quanto esula dai limiti del diritto di critica l’accostamento di quest’ultimo a cose o concetti ritenuti ripugnanti, osceni o disgustosi, considerata la centralità che i diritti della persona hanno nell’ordinamento costituzionale. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza del tribunale che aveva ritenuto non costituire reato l’accostamento del criminale defunto ad “un gran bel pezzo di merda”).

Cass. pen. n. 22193/2017

diffamazione commessa con il mezzo della stampa ,

il giornalista può operare accostamenti tra notizie vere, a condizione che esse non producano un ulteriore significato che trascenda la notizia stessa, acquisendo autonoma valenza lesiva; occorre, pertanto, fare riferimento al risultato che il detto accostamento determina e, qualora esso consista in un mero corollario o dato logico, pur insinuante e suggestivo, l’effetto denigratorio è da escludere. Viceversa, ove l’effetto consista in una notizia sostanzialmente nuova, grava sul giornalista l’onere di accertarne la rispondenza al vero. (Fattispecie in cui l’articolo oggetto della contestazione era stato frutto di accostamenti tra alcune affermazioni rese sul blog dalla persona offesa e l’esistenza di criminalità nella città di Brindisi, con l’effetto di aver determinato in concreto l’attribuzione alla P.O. di opinioni e giudizi sui cittadini della città di Brindisi che invece non risultava aver espresso).

Cass. pen. n. 4873/2017

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone e tuttavia non può dirsi posta in essere “col mezzo della stampa”, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza anche dell’aggravante di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1948).

Cass. pen. n. 2200/2017

Costituisce legittima espressione del diritto di critica,

tale da escludere la punibilità del fatto, l’uso, da parte del preside di istituto, dell’espressione “futili e superficiali”, in risposta alle considerazioni contenute nella lettera di un insegnante inviata in precedenza agli stessi destinatari.

Cass. pen. n. 50659/2016

È da escludersi che il termine “omosessuale”

abbia conservato nel presente contesto storico un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in passato, essendo entrato nell’uso comune. A differenza di altri appellativi che veicolano il medesimo concetto con chiaro intento denigratorio secondo i canoni del linguaggio corrente, il termine in questione assume infatti un carattere di per sé neutro, limitandosi ad attribuire una qualità personale al soggetto evocato.

Cass. pen. n. 42755/2016

diffamazione tramite intervista televisiva diffusa successivamente su rete internet

 sussiste la responsabilità penale del giornalista che non manifesti distacco dalle affermazioni dell’intervistato che risultino prive di verosimiglianza e tali da indurre discredito sulla persona offesa. (Nella specie, in cui l’intervistato aveva dichiarato che, per ottenere un mutuo quale vittima di estorsione, aveva dovuto versare denaro al rappresentante di un’associazione proprio a tutela delle vittime di estorsione ed usura, la Corte ha disatteso l’argomento difensivo secondo cui si trattava di intervista “in diretta” con impossibilità di intervenire, precisando, peraltro, che tale responsabilità non sarebbe stata esclusa neppure in quest’ultimo caso, in quanto il giornalista sarebbe stato comunque tenuto ad intervenire con richieste di chiarimenti e precisazioni, dopo essersi reso conto della offensività delle dichiarazioni).

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Cass. pen. n. 41671/2016

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’esercizio del diritto di critica giudiziaria non deve trasmodare nel dileggio e nella gratuita attribuzione di malafede a chi conduce le indagini, ovvero in condotte lesive della reputazione professionale e dell’intangibilità della sfera di onorabilità del pubblico ministero, in quanto ogni provvedimento giudiziario può essere oggetto di critica anche aspra, purché questa non si risolva in un attacco alla stima di cui gode il soggetto criticato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto intrinsecamente offensive – senza dunque necessità di approfondimenti sull’elemento soggettivo del reato – le dichiarazioni fatte dall’imputato, di professione avvocato, ad un incontro pubblico su fatti di grave allarme sociale, secondo cui il pubblico ministero competente “voleva chiudere l’indagine in un sol modo, prima ancora di cominciarla”, conducendo una “pseudo-indagine”, in quanto intese ad attribuire al medesimo l’esercizio del proprio ruolo professionale sulla scorta di un’idea preconcetta).

Cass. pen. n. 33287/2016

Il reato di diffamazione, non consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, commesso a mezzo di trasmissione televisiva diffusa in diretta su tutto il territorio nazionale si consuma al momento della percezione del contenuto offensivo dell’altrui reputazione da parte di soggetti diversi dall’agente e dalla persona offesa, per cui la competenza territoriale appartiene al giudice del territorio in cui si è verificata la percezione del messaggio offensivo contenuto nella trasmissione televisiva. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la possibile concorrenza di più giudici derivante dalla cognizione dell’informazione offensiva da parte di più persone può essere risolta mediante l’applicazione delle regole

Cass. pen. n. 24065/2016

Il reato di diffamazione è costituito dall’offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità del reato in relazione a delle generiche affermazioni offensive, pronunciate nel corso di una trasmissione radiofonica, caratterizzate da preconcetti e luoghi comuni riferiti ad asserite caratteristiche degli abitanti di una zona del territorio nazionale).

Cass. pen. n. 24431/2015

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.

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Cass. pen. n. 18170/2015

Cass. pen. n. 4031/2014

In tema di diffamazione, è configurabile l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica nel caso in cui un consigliere di minoranza di un ordine professionale diffonda – a mezzo “e mail”- la notizia di aver presentato un esposto nei confronti di altri consiglieri del medesimo ordine, con l’accusa di aver percepito indebitamente rimborsi per la partecipazione ad un convegno, in quanto gli ordini professionali sono, ai sensi degli artt. 45-49 del d.p.r. n. 328 del 2001, enti di diritto pubblico, ferma restando la necessità di verificare che la riprovazione non trasmodi in un attacco personale portato direttamente alla sfera privata dell’offeso e non sconfini nella contumelia e nella lesione della reputazione dell’avversario.

Originally posted 2021-12-01 08:00:12.