, la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che l’elemento soggettivo richiesto per la sussistenza dell’illecito consiste, nel caso dell’occultamento delle scritture contabili, nel dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori e, nella diversa ipotesi della fraudolenta tenuta di tali scritture, nel dolo generico.

BANCAROTTA PREFERENZIALE ANNULLATO NON LUOGO PROCEDERSI GIP BRESCIA CASSAZIONE

BANCAROTTA PREFERENZIALE ANNULLATO NON LUOGO PROCEDERSI GIP BRESCIA CASSAZIONE
BANCAROTTA PREFERENZIALE ANNULLATO NON LUOGO PROCEDERSI GIP BRESCIA CASSAZIONE

BANCAROTTA PREFERENZIALE ANNULLATO NON LUOGO PROCEDERSI GIP BRESCIA CASSAZIONE BANCAROTTA PREFERENZIALE 

PRINCIPIO SENTENZA  BANCAROTTA PREFERENZIALE  

La funzione dell’udienza preliminare resta quindi pur sempre quella di verificare l’esistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di giudizio formulata dal P.M. Come hanno sottolineato le Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 39915 del 30/10/2002, Vottari, in motivazione), anche l’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto all’epilogo decisionale, attraverso gli strumenti di integrazione probatoria previsti dagli artt 421 -bis e 422 bis cod. proc. pen., non attribuisce infatti allo stesso il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza – colpevolezza dell’imputato, poiché la vantazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma dell’art. 425, “è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento”.

AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA

RAVENNA FORLI CESENA VICENZA PAVIA MILANO

BRESCIA DESENZANO

DIFENDE 

CHIAMA 051 6447838 PRENDI UN APPUNTAMENTO

BANCAROTTA PREFERENZIALE

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 dicembre 2013, n. 48802 BANCAROTTA PREFERENZIALE 

Fallimento ed altre procedure concorsuali – Criterio di proporzionalità dei creditori – Pagamenti prioritario alle banche a discapito di altri creditori – Bancarotta preferenziale – Sussiste

 

FATTO

1)Con sentenza dei 18/01/2013 il G.i.p. del Tribunale di Brescia ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di G.S. e C.G., cui era contestato, rispettivamente nella qualità di amministratore unico e di liquidatrice della R. s.r.l. di avere eseguito pagamenti in favore di tre banche in epoca in cui la società già versava in stato di dissesto (in particolare, pagamenti per euro 177.560,00 erano riferibili al primo, mentre pagamenti per euro 197.882,07, eseguiti durante l’amministrazione liquidatola, erano riferibili alla G.).

2)Il G.i.p., dopo avere sottolineato che, oltre ai pagamenti in favore delle banche, erano stati eseguiti versamenti anche in favore di altri soggetti per oltre 100.000,00 euro, ha ritenuto che, pur non essendo stato rispettato il criterio di proporzionalità tra i vari creditori, la condotta degli agenti non era finalizzata a favorirne alcuni, ma solo a tentare di proseguire nell’attività d’impresa, attraverso consistenti apporti di capitale personale ad opera dello S..

RICORSO PROCURATORE GENERALE BANCAROTTA PREFERENZIALE 

Il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione dell’art. 216, comma terzo, I. fall, e vizi motivazionali, per avere il giudice esaminato in modo superficiale le ragioni che avevano indotto gli imputati a ripianare, anche e soprattutto durante la fase della liquidazione, le passività sodali, non essendo dato rinvenire negli atti elementi dai quali desumere il convincimento, espresso in sentenza, dell’esistenza di un possibile scenario di riequilibrio o di ripresa finanziaria della società.

DIRITTO

Anche di recente, questa Corte si è espressa nel senso che il giudice dell‘udienza preliminare ha il potere di pronunciare la sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425, comma terzo, cod. proc. pen., solo quando l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi acquisiti rivestano caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente superabili nel giudizio (Sez. 6, n. 10849 del 12/01/2012, Petramaia, Rv. 252280).

La funzione dell’udienza preliminare resta quindi pur sempre quella di verificare l’esistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di giudizio formulata dal P.M. Come hanno sottolineato le Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 39915 del 30/10/2002, Vottari, in motivazione), anche l’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto all’epilogo decisionale, attraverso gli strumenti di integrazione probatoria previsti dagli artt 421 -bis e 422 bis cod. proc. pen., non attribuisce infatti allo stesso il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza – colpevolezza dell’imputato, poiché la vantazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma dell’art. 425, “è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento”.

Ciò posto in linea generale, deve ribadirsi che è certamente esatto che la bancarotta preferenziale (art 216, comma terzo, L. fall.), sul piano oggettivo richiede la violazione della par conditio creditorum nella procedura fallimentare e, sul piano soggettivo, la ricorrenza della forma peculiare del dolo, costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore (o ai creditori) soddisfatto, con l’accettazione dell’eventualità di un danno per altri, finalità che deve risultare primario interesse perseguito dal debitore, con la conseguenza che la strategia di alleggerire la pressione dei creditori, in vista di un ragionevolmente presumibile riequilibrio finanziario e patrimoniale, è incompatibile con il delitto, soprattutto alla luce della riforma, introdotta dal D.Lvo 269 del 2007, dell’azione revocatoria e specialmente dell’art. 67, comma terzo, L. fall. (Sez. 5, n. 31168 del 20/05/2009, Scala, Rv. 244490).

E, tuttavia, nel caso di specie, emerge proprio dai dati fattuali indicati nella sentenza impugnata che i pagamenti, in ampia parte intervenuti anche durante la fase liquidatoria e in una situazione di insolvenza solo attenuata dalle iniziative in esame (basti pensare ai debiti per euro 12.000,00 nei confronti dei dipendenti e per oltre euro 40.000,00 nei confronti della società Equitalia), sono stati indirizzati non a colmare passività assistite da titoli di prelazione prevalenti (come dimostrato proprio dai mancato soddisfacimento delle ragioni dei lavoratori), ma a sanare essenzialmente debiti nei confronti delle banche e senza, peraltro, che siano note le garanzie che assistevano questi ultimi.

In definitiva, mentre emerge con sicurezza una volontà di preferire alcuni creditori con correlativo danno per i restanti, rimasti insoddisfatti, non è dato cogliere negli atti processuali evidenziati alcuna ragionevole prospettiva di ripresa economica, da attuarsi attraverso un equilibrato e paritario trattamento delle posizioni dei creditori stessi.

Ne discende che la sentenza va annullata con rinvio al Tribunale di Brescia per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Brescia per nuovo esame.

BANCAROTTA PREFERENZIALE 

Invero, la nozione di distrazione è definita, dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamando ora il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, nè la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008 – dep. 02/12/2008, P.M. in proc. Quattrocchi, Rv. 241830; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014 – dep. 11/07/2014, P.M. in proc. Di Febo, Rv. 260486), ora la specifica offensività insita nel distogliere attività alla loro naturale funzione di garanzia dei creditori (Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006 – dep. 02/03/2006, De Rosa, Rv. 233413, in motivazione) e, dunque, il fatto diretto ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori (Sez. 5, n. 10220 del 19/09/1995 – dep. 09/10/1995, Guerrini, Rv. 203006): definizione, quest’ultima, che rende ragione dell’attribuzione, nella giurisprudenza di legittimità, alla nozione di distrazione di una funzione anche “residuale”, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto diverso dall’occultamento, dalla dissimulazione, etc. determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento (Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988 – dep. 08/08/1988, Fabbri, Rv. 179047; conf. Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984 – dep. 24/09/1984, Pompeo, Rv. 165673), il che rinvia comunque alla definizione degli altri fatti di bancarotta delineati dalla norma incriminatrice. In questa prospettiva, l’occultamento consiste in ogni manovra dell’imprenditore diretta a far credere non esistenti, in tutto o in parte, i suoi beni, che invece esistono, ossia ogni manovra diretta a separare in tutto o in parte tali beni impedendo di conoscere dove siano, mentre la dissimulazione consiste in qualsiasi forma di inganno diretta ad occultare la conoscenza di uno stato esistente, che si verifica normalmente sotto forma di negozi giuridici solo apparenti, mediante i quali si celano negozi reali compiuti in frode ai creditori, ovvero ben architettate operazioni dannose rivestite dell’abito apparente della legalità (Sez. 5, n. 8177 del 14/03/1974 – dep. 12/11/1974, Mele, Rv. 128364): integra, dunque, la fattispecie di dissimulazione nella bancarotta fraudolenta l’attività diretta a diminuire fittiziamente il patrimonio del fallito, mentre non è necessario che sia realmente conseguito il risultato al quale tende detta attività, bastando semplicemente la condotta volta alla dissimulazione (Sez. 5, n. 6681 del 19/04/1988 – dep. 06/06/1988, Ferlicca, Rv. 178538; conf. Sez. 5, n. 30442 del 22/08/2006 – dep. 14/09/2006, Preziosa).

 

 

 

BANCAROTTA PREFERENZIALE 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 10 luglio- 19 ottobre 2017, n. 48203

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –

Dott. CATENA Rossella – Consigliere –

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere –

Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi presentati da:

M.A., n. il (OMISSIS);

C.C., n. il (OMISSIS);

S.M., n. il (OMISSIS);

F.R.J., n. il (OMISSIS);

MA.AN., n. il (OMISSIS);

ME.MO., n. il (OMISSIS);

P.A., n. il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/02/2015 della Corte di appello di Salerno;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita nella pubblica udienza del 10/07/2017 la relazione svolta dal Consigliere Dott. Angelo Caputo;

Uditi: il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dott.ssa MARINELLI F., che ha concluso per l’annullamento senza rinvio nei confronti di C.C., l’inammissibilità del ricorso di S.M. e il rigetto degli altri ricorsi;

l’avv. N. Staglioli Cerino (per la parte civile), che ha concluso per l’inammissibilità e, in subordine, il rigetto dei ricorsi, depositando conclusioni e nota spese; l’avv. A. Di Perna (per F.R.J.), l’avv. G. Insolera e, in sostituzione dell’avv. A. Alessandri, l’avv. S. Lonati (per Ma.An.), l’avv. Amerigo Festa (per M.A., Ma.Mo. e P.A.), l’avv. M. Imbimbo (per Me.Mo.), l’avv. M. A. Tortora, in sostituzione dell’avv. R. A. Mancuso (per S.M.), l’avv. P. Coppola (per M.A.), che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

Svolgimento del processo

  1. Nei confronti di M.A., quale gestore di fatto di Bristol Hotel s.r.l. (dichiarata fallita il 09-10/12/1996), C.C., Me.Mo., S.M., Ma.An. (gestore di società anche estere utilizzate da M.A. per la distrazione del patrimonio di Bristol Hotel s.r.l.) e F.R.J. sono state formulate le imputazioni, relative a Bristol Hotel s.r.l., di seguito indicate:

1) bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione a:

  1. a) terreno sito in (OMISSIS) ceduto il 06/11/1995 a Dian Trading Import/Export, di cui era amministratore unico C.C., terreno poi rivenduto il 10/12/1996 a S.M.;
  2. b) abitazione e terreni alienati il 24/10/1995 a Immobiliare G.M.D. s.r.l., di cui era amministratore unico Me.Mo., beni rivenduti da F.R.J. (subentrato il 10/04/1996 a Me.Mo.) in parte, il 16/07/1996, a TMT Italia s.p.a., di cui era amministratore unico L.M. e in parte, il 21/12/1996, a S.M.;
  3. c) terreno e fabbricato alienati il 07/11/1995 ad Azienda Agrigola San Nicola Varco, di cui era amministratore unico Me.Mo. e poi rivenduto il 03/12/1996 da F.R.J. (subentrato il 10/04/1996 a Me.Mo.) a S.M.;
  4. d) otto appartamenti e relativi garages siti in (OMISSIS) alienati il 27/12/1995 a G.P.F. Trading Limited s.r.l., rappresentata dall’amministratore unico R.A. (coimputato deceduto), poi sostituito dal 10/04/1996 nella carica da F.R.J.;
  5. e) quattro appartamenti siti in (OMISSIS) alienati il 10/04/1996 a TMT Unitrading s.a. (con sede a (OMISSIS)), rappresentata dall’amministratore unico F.R.J.;
  6. f) autovettura alienata il 09/05/1995 in favore di P.E.;
  7. g) imbarcazione alienata 08/02/1996 in favore di Pa.Pi. e successivamente ceduta il 27/01/1997 a TMT Italia s.p.a.;
  8. h) attrezzi e mobili per circa 27 milioni di lire non meglio specificati alienati 02/05/1996 a G.M.D. Immobiliare s.r.l.;
  9. i) attrezzature non meglio specificate per circa 55 milioni di lire alienate il 12/07/1996 a Impresa A. V.;
  10. j) mobili e arredi non meglio specificati per 1 milione di lire alienati il 12/07/1996 a Pe.Fe.;

2) bancarotta fraudolenta documentale;

con le aggravanti di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità e della pluralità dei fatti di bancarotta.

In un diverso procedimento, nei confronti di P.A. sono state formulate, quale amministratore unico dal 17/04/1987 al 07/06/1995 di Bristol Hotel s.r.l. dichiarata fallita con sentenza del 09-10/12/1996, le seguenti imputazioni:

1) bancarotta fraudolenta documentale;

2) causazione del fallimento per operazioni dolose, consistite nel rilasciare fidejussioni a garanzia delle obbligazioni di Departures s.p.a., gestita dal coniuge M.A., per crediti pari a circa 70 miliardi di lire, esorbitanti rispetto al capitale e al patrimonio della società.

1.1. Con sentenza deliberata il 18/12/2007, il Tribunale di Salerno, per quanto è qui di interesse, aveva dichiarato:

M.A. colpevole dei reati ascrittigli, con esclusione delle circostanze attenuanti generiche;

C.C. colpevole del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale limitatamente al fatto sub a), con assoluzione dalle altre imputazioni e con le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate;

Me.Mo., colpevole del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale limitatamente alle condotte sub b) e sub c) e con le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate;

S.M., colpevole del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale limitatamente ai fatti sub a), b) e c), con assoluzione dalle altre imputazioni e con le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate;

Ma.An. colpevole del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale limitatamente ai fatti sub b), c), d) e), g) e h), con assoluzione dalle altre imputazioni, con esclusione delle circostanze attenuanti generiche.

F.R.J., colpevole del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale limitatamente ai fatti sub b), c), d), e) e h), con assoluzione dalle altre imputazioni e con le circostanze attenuanti generiche equivalenti sulle aggravanti contestate;

Gli imputati venivano inoltre condannanti al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore del fallimento Bristol Hotel s.r.l. costituitosi parte civile.

Con sentenza deliberata, nel diverso procedimento, il 16/07/2009, P.A. era stata dichiarata colpevole dei reati ascritti e, esclusa la circostanza aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta e con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, era stata condannata alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile.

1.2. Investita delle impugnazioni degli imputati, la Corte di appello di Salerno, riunito il procedimento relativo a P.A., con sentenza deliberata il 17/02/2015, ha dichiarato prevalenti le circostanze attenuanti generiche già applicate a F.R.J., riformando in melius nei suoi confronti la determinazione della pena e confermando, nel resto, le due sentenze di primo grado.

1.3. Investita dei ricorsi di alcuni coimputati, questa Corte, su eccezione delle difese (che avevano anche rappresentato la mancata notificazione dell’estratto contumaciale ad alcuni coimputati, quali P.A., la quale, dopo la sospensione dell’esecutività della sentenza e la notificazione dell’estratto contumaciale, aveva proposto ricorso per cassazione di cui si chiedeva la riunione), rilevava che la notificazione dell’estratto contumaciale non era stata effettuata nei confronti di C.C. e di Ma.An. (solo i cui difensori avevano proposto ricorso), sicchè disponeva trasmettersi copia degli atti alla Corte di appello di Salerno per i necessari adempimenti, rinviando il processo a nuovo ruolo. Per esigenze di sintesi, nell’esposizione dei motivi di ricorso saranno omesse le deduzioni difensive relative alla questione appena richiamata.

  1. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione M.A., attraverso i difensori avv. A. Festa e avv. P. Coppola, articolando nove motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2.1. Il primo motivo denuncia vizi di motivazione ed erronea applicazione della legge penale. I giudici di merito non hanno chiarito se le alienazioni siano state fatte in assenza di corrispettivo ovvero siano state effettive, ma a prezzo vile con distrazione in parte del valore dei beni. L’imputazione fa riferimento a cessioni in epoca immediatamente prossima alla dichiarazione di fallimento, ma la prima vendita risale a 19 mesi e l’ultima a 5 mesi prima di detta dichiarazione, all’epoca della quale residuava un solo immobile del valore di 82 milioni di lire, sicchè, ammontando il passivo a poche decine di migliaia di euro, sembrerebbe che con i cespiti siano venuti meno anche i debiti. Secondo la Corte di appello lo stato di insolvenza sarebbe risalente giacchè il primo ricorso di fallimento è del settembre del 1994, ma tale ricorso fu oggetto di desistenza, mentre erroneamente la Corte di appello fa riferimento all’indisponibilità del capitale. L’obbligo di rendere dichiarazione recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento è stato introdotto solo con il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35 conv. con L. 4 agosto 2006, n. 268, laddove la mancata approvazione delle cessioni da parte dell’assemblea della società rafforzava, non indeboliva, i creditori. Tutte le cessioni si palesavano come cessioni infragruppo in quanto avvenute a favore di altre società del gruppo M., il che, di per sè, non è illecito, e solo i cespiti sub a), b) e c) sono stati rivenduti.

2.2. Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione ed erronea applicazione delle legge processuale. A fronte della lettura alternativa dei fatti secondo cui la società aveva ceduto gli immobili a società collegate, che pagano o si accollano i debiti contratti per l’acquisto, non è stato dimostrato il carattere distrattivo delle cessioni.

2.3. Il terzo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale. Erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che, in pendenza di una situazione di insolvenza, qualsiasi cessione abbia carattere distrattivo, poichè una cessione a un prezzo corretto non è mai distrattiva.

2.4. Il quarto motivo denuncia vizi di motivazione. L’affermazione della sentenza impugnata secondo cui gli atti notarili di compravendita sarebbero generici, non indicando i mezzi di pagamento, e dimostrerebbero l’inesistenza di regolamenti cambiari, laddove all’epoca dei fatti la tecnica di redazione degli atti notarili era quella di dare quietanza del prezzo e il rilascio di effetti ben può essere avvenuto prima del rogito: i beni sono stati acquisiti in epoca non lontana dal fallimento, le cessioni sono annotate nelle scritture e appaiono avvenute nello sforzo di azzerare la debitoria.

2.5. Il quinto motivo denuncia vizi di motivazione. L’affermazione della sentenza impugnata circa l’oscurità delle scritture è liquidatoria a fronte degli specifici motivi di appello, che evidenziavano annotazioni precise e dettagliate, laddove non emerge la ricostruzione dei fatti in ordine all’esistenza delle cambiali, alla circostanza che esse siano state oggetto di accollo e alle ragioni per le quali i creditori/cedenti non si sono insinuati al passivo. La Corte di appello non ha confutato alcuno dei fatti storici esposti nella contabilità, nè sono stati sentiti i venditori degli immobili in ordine ai tempi e all’effettività del pagamento in loro favore o acquisiti gli estratti conto bancari dei vari soggetti interessati.

2.6. Il sesto motivo denuncia vizi di motivazione. La Corte di appello non ha valutato gli elaborati dei consulenti tecnici della difesa e ha disatteso la richiesta di una perizia tecnico-contabile, laddove la pretesa sottrazione del libro soci e delle “pezze d’appoggio” è stata smentita già in istruttoria, la pretesa irregolarità della contabilità era stata contestata con un motivo di appello, che aveva evidenziato come nelle relazioni del c.t. del P.M. fosse stato ricostruito l’andamento degli affari.

2.7. Il settimo motivo denuncia, in ordine all’applicazione della circostanza aggravante della gravità del danno e al disconoscimento dell’attenuante della speciale tenuità, erronea applicazione della F.Fall., art. 219 e vizi di motivazione. A fronte di uno stato passivo di scarsa entità, i giudici di merito non hanno ricostruito le distrazioni contestate, laddove il concetto di danno presuppone che taluno sia stato leso nelle sue consistenze o aspettative patrimoniali.

2.8. L’ottavo motivo denuncia vizi di motivazione per omesso esame dei motivi di appello. La Corte distrettuale non ha esaminato i motivi di appello in ordine agli atti di alienazione dei beni della società Hotel Bristol, alla loro qualificazione come atti distrattivi e al diniego della riconducibilità dei fatti al reato di della bancarotta preferenziale.

Quanto alla conoscenza dell’insolvenza, si era eccepito che la Banca Popolare dell’Irpinia aveva presentato il ricorso per fallimento nel maggio – e non nel marzo – del 1996, che il decreto ingiuntivo ad istanza della Banca era stato notificato alla società solo a gennaio del 1996 e non fu preceduto da alcuna contestazione o richiesta di somme, sicchè le richieste della Banca erano manifestazioni di pretese, non emersione di uno stato di insolvenza, visto il mancato riconoscimento del credito in provvedimenti giudiziari (come confermato dalla mancata ammissione al passivo fallimentare e dalla revoca del decreto ingiuntivo in danno di Hotel Bristol); pertanto, la maggior parte delle vendite avvenne prima delle avvisaglie di qualsiasi contenzioso e, in ogni caso, all’atto delle alienazioni gli amministratori non conoscevano la fideiussione per 70 miliardi di lire sulla quale BPI fondava le sue pretese. Quanto agli altri creditori, vi era una quasi totale sovrapposizione dei debiti accertati con le liquidità di cassa, tanto più che l’immobile comunque presente nel patrimonio aveva un valore di circa 80 milioni di lire, secondo la stima del consulente del curatore. La società non si trovava in stato di sofferenza o di insolvenza al momento della richiesta di fallimento della Rhoss e dopo le alienazioni permaneva in cassa una consistenza ben maggiore di quella necessaria agli adempimenti degli obblighi verso i residui creditori. La costituzione del pegno sulle quote in favore di un terzo non diminuiva la consistenza patrimoniale, ma limitava la titolarità e l’esercizio dei diritti correlativi dei soci, e quindi del loro patrimonio, ma non di quello della società. Le prime vendite, anteriori al 1996, perseguirono anche l’obiettivo di reperire risorse destinate al ripiano dei debiti, laddove il perfezionamento dell’intesa con Ma.An. era volto a reperire proventi utili a sistemare definitivamente le debitorie contratte, tanto più che è pacifico che i due si conobbero a febbraio del 1996, ossia dopo le prime alienazioni del dicembre del 1995.

Quanto all’oggettiva distrazione dei beni, l’atto di appello aveva dedotto che i proventi relativi alle alienazioni non furono distratti, ma utilizzati per pagare i debiti pregressi, così integrando, al più, l’ipotesi della bancarotta preferenziale, sottolineando il dato inconfutabile della mancanza di creditori vantanti ragioni derivanti dagli acquisti dei beni da parte della società.

Quanto alla questione delle scatole vuote e del patto di non utilizzo della fideiussione, l’appello aveva dedotto, da un lato, la mancanza di elementi dai quali dedurre l’incertezza di connotazione delle attività svolte e l’illegittima provenienza dei proventi della società fallita e, dall’altro, che le posizioni debitorie principali del gruppo (Departures e Cooperativa San Giuseppe) erano assistite da garanzie reali privilegiate rilasciate alla Banca su beni immobili per un valore di oltre 40 miliardi, il che dimostra il valore nullo della fideiussione di Hotel Bristol nel rilascio delle assistenze e che queste erano state deliberate sulla base di consistenze serie e non fittizie, smentendo l’argomento delle aperture di credito effettuate sulla base di garanzie inadeguate. Erano state dedotte l’irragionevolezza delle conclusioni della sentenza di primo grado circa la verosimiglianza del rilascio della fideiussione da parte di P.A. “in bianco”, ma con l’accordo di non attivarla e l’incompatibilità logica di far confluire i beni verso una società con la conoscenza dell’esposizione debitoria, sicchè la società non aveva conoscenza, nel suo piano di riorganizzazione proprietaria e delle debitorie, delle pretese della BPI. 2.9. Il nono motivo denuncia, in ordine all’elemento psicologico dei fatti di bancarotta per distrazione, inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 40 e 43 c.p. e dell’art. 27 Cost. , nonchè vizi di motivazione con riguardo al rilascio e al riempimento della fideiussione e alla conoscenza della stessa all’atto delle alienazioni e al diniego di assunzione di una prova decisiva. L’atto di appello aveva sollecitato l’esame delle vicende concernenti il rilascio della fideiussione per 70 miliardi di lire a firma di P.A., amministratore di Hotel Bristol, il 03/12/1993 a garanzia delle obbligazioni di Departures, al fine di escludere che la società e i suoi amministratori fossero a conoscenza dell’esistenza della garanzia al momento del compimento degli atti di alienazione e dello stato di insolvenza dichiarato, posto che tale fideiussione costituisce l’esito finale di attività illecite ed illegali da parte dei funzionari e dei vertici dell’istituto bancario in danno di Hotel Bristol, sicchè la vendita degli immobili non sarebbe stata sorretta dalla consapevolezza di recare danno ai creditori sociali, ma avrebbe avuto fini leciti. La decisione della Corte di appello sulla questione del dolo è in contrasto con l’interpretazione costituzionalmente orientata accolta dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza n. 47502 del 2012 e, in ogni caso, avrebbe dovuto valutare i profili di illegittimità, invalidità e inefficacia della fideiussione, frutto di un’attività illecita e dolosa attuata con modalità subdole e truffaldine che avrebbero senz’altro escluso la decozione della società. In ordine alla contraddittorietà delle diverse versioni rese, in particolare, dalla P.A., la Corte di appello non ha correttamente valutato i contenuti del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo e delle denunce presentate alla Procura di Avellino nel 1996 e nel 1999. L’esame delle fonti di prova consegnava una ricostruzione dei fatti secondo cui le fideiussioni furono rilasciate da Departures, Medil, Valsata e M.A. sotto pressioni qualificate dal denunciante come vere e proprie estorsioni, mentre quelle rilasciate da Hotel Bristol e da P.A. derivarono dall’inganno e dalla frode dei funzionari bancari. La Corte di appello ha inoltre trascurato che alla data del rilascio delle firme i coniugi M. – P.A. erano separati e che nel corso dell’incontro presso la Banca di Battipaglia, come conferma Me.Mo., la P.A. non avrebbe dovuto rilasciare alcuna fideiussione, ma solo apporre firme per sistemare la propria posizione personale. La Corte di appello sostiene la tesi della funzionalità dell’iniziale (e più credibile) denuncia per estorsione alla non contestabilità della riconduzione delle vicenda a M.A., ma se fosse stato più credibile denunciare l’estorsione, non si vede perchè P.A. avrebbe dovuto precisare la sua versione denunciando una truffa. La sentenza impugnata, inoltre, non ha valutato le deduzioni difensive circa l’inesistenza di un credito della BPI (unico ricorrente per la declaratoria di fallimento) a causa dei diversi profili di invalidità e di inefficacia del documento fideiussorio, profili da ricondursi ad un vero e proprio abuso dei funzionari della BPI consistito nell’acquisizione della sottoscrizione in proprio nome da parte della P.A. di moduli fideiussori “in bianco”: al riguardo, era stata denunciata la falsità delle indicazioni dei vari funzionari di BPI, anche alla luce del documento che indicava una fideiussione di Hotel Bristol pari a 35 miliardi di lire e delle dichiarazioni menzognere del teste c., chiedendo la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’acquisizione di tutti i moduli fideiussori in originale e segnalando le analogie delle vicende relative alla fallita con quelle concernenti Medil. Su tali punti, la Corte di appello ha omesso di motivare.

  1. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione P.A., attraverso il difensore avv. A. Festa, articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. c.p.p., comma 1.

3.1. Il primo motivo denuncia mancata assunzione di una prova decisiva e vizi di motivazione in ordine al rilascio di una fideiussione per 70 miliardi a firma della ricorrente, ma costituente l’esito di attività illecite di funzionari bancari. La Corte di appello ha disatteso le censure proposte con il gravame, omettendo la reale confutazione delle deduzioni e delle emergenze di fatto e logiche sulle quali si basavano. Quanto alle prospettata contraddittorietà delle diverse versioni rese al riguardo, la Corte di appello non ha correttamente visionato i contenuti dell’opposizione al decreto ingiuntivo e ha omesso di esaminare il contenuto delle denunce presentate dalla ricorrente e da M.A. e delle deposizioni rese nei due giudizi riuniti in appello, laddove la tesi della subita estorsione si riferiva alla maggior parte delle posizioni coinvolte, ma non a quella relativa all’Hotel Bristol. Quanto all’affermazione che la ricorrente agiva sotto l’egida del marito, la Corte distrettuale non ha considerato che alla data del rilascio delle firme i coniugi erano separati, nè le circostanze relative all’incontro all’esito del quale si era chiarito che la ricorrente avrebbe dovuto prestare garanzia solo per la propria posizione personale, laddove del tutto paradossale è la tesi della funzionalità dell’iniziale denuncia per estorsione alla non contestabilità della riconduzione delle vicende ad M.A.. La sentenza impugnata ha inoltre omesso di esaminare le deduzioni difensive circa l’abuso commesso dai funzionari bancari a proposito della compilazione di moduli sottoscritti dalla ricorrente in bianco e a nome proprio, nonchè i vari elementi indicati a sostegno di detta deduzione e, in particolare, la relazione interna del 03/12/1993 in cui si indicava che a quella data l’istituto bancario era già in possesso di una fideiussione pari a 35 miliardi di lire (il che rende del tutto implausibile il rilascio della ulteriore fideiussione) e gli accertamenti del consulente della difesa circa l’illegittimità delle fideiussioni omnibus, nonchè le varie incongruenze nell’operato della banca. In modo contraddittorio la Corte di appello conclude per la mancanza di prova dell’abusivo riempimento del foglio fideiussorio, laddove la sentenza di primo grado nei confronti dei coimputati aveva ritenuto che vi fosse stato un accordo tra banca e amministratori della fallita. Illegittimamente è stata rigettata la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, trattandosi di prova decisiva al fine di stabilire la successione delle diciture e della sottoscrizione.

3.2. Il secondo motivo denuncia, con riferimento all’imputazione di causazione del fallimento per operazioni dolose, mancanza di motivazione in ordine al nesso di causalità, avendo la Corte di appello omesso di motivare circa la sostanziale inesistenza del credito vantato dalla Banca Popolare dell’Irpinia (confermata dalla revoca del decreto ingiuntivo), l’interferenza di fattori causali relativi alle condotte qualificate distrattive di altri amministratori (come rilevato dalla Corte di appello di Salerno in sede civile).

3.3. Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine all’elemento psicologico, avendo la Corte di appello omesso di motivare circa la dedotta impossibilità per l’imputata di prevedere il fallimento e la capienza delle possidenze immobiliari delle principali società debitrici della banca.

3.4. Il quarto motivo denuncia vizi di motivazione in ordine all’elemento psicologico. La Corte di appello ha affermato in modo apodittico che le società per le quali fu rilasciata garanzia erano in condizioni di difficoltà e ha omesso di esaminare le censure difensive in ordine all’operazione di investimento fatta dalla società Departures, al fatto che il rilascio della fideiussione non aveva avuto alcun rilievo e che nel 1991 Hotel Bristol non aveva partecipato all’atto complesso stipulato, il che è segno dell’estraneità della garanzia personale all’erogazione.

3.5. Il quinto motivo denuncia, con riferimento all’imputazione di bancarotta documentale, vizi di motivazione. La Corte di appello ha sostanzialmente eluso le censure proposte con il gravame circa la pretesa sottrazione del libro soci e delle pezze d’appoggio, che è stata subito smentita in istruttoria, la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari offerta dalle difese e dai relativi consulenti, il mancato espletamento dell’invocata perizia contabile, la pretesa irregolarità della contabilità contestata sulla base del rilievo dell’adeguatezza della tecnica del giornalmastro, l’apodittico riferimento all’oscurità delle scritture, l’erronea prospettazione del dubbio sull’esistenza degli effetti in quanto non indicati nel rogito, posto che il relativo obbligo è stato introdotto nel 2006; la stessa relazione del consulente del P.M. dava atto di aver ricostruito l’andamento degli affari.

3.6. Il sesto motivo denuncia erronea applicazione della L. Fall., art. 219 e art. 223, comma 2, n. 2, e vizi di motivazione in ordine all’applicazione dell’aggravante della gravità del danno e al diniego dell’attenuante della speciale tenuità. La circostanza aggravante della gravità del danno non può essere applicata alle fattispecie di cui alla L. Fall., art. 223, laddove la sentenza impugnata non individua l’efficacia eziologica dei fatti ascritti alla ricorrente rispetto alle diminuzioni di valori, tanto più che in modo contradittorio si ricostruisce il contributo causale degli altri coimputati. I giudici di merito non hanno ricostruito le singole distrazioni e il conseguente valore complessivo dei beni sottratti.

  1. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione C.C., attraverso il difensore avv. E. Giovine, denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, – erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione. La Corte di appello non ha preso in considerazione le doglianze proposte con l’atto di appello, con il quale si era evidenziata la mancanza di prova circa la conoscenza in capo a C.C. dell’attività svolta da Bristol Hotel (il cui fallimento è intervenuto 18 mesi dopo il trasferimento a favore di Dian Trading) e delle fideiussioni dalla stessa rilasciate. I giudici di merito non hanno tenuto conto del fatto che quando C.C. ha dismesso la carica di amministratore della società, la stessa era in bonis e svolgeva regolare attività commerciale.
  2. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Salerno, nonchè avverso l’ordinanza reiettiva della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale del 13/05/2014, ha proposto ricorso per cassazione Me.Mo., attraverso i difensori avv. A. Festa e avv. M. Imbimbo, articolando otto motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

5.1. Il primo motivo denuncia, con riferimento alle imputazioni sub b) e c) del capo 1), erronea applicazione degli artt. 43 e 110 c.p.p. e vizi di motivazione. All’imputato, diciannovenne all’epoca dei fatti, è attribuito il dolo di concorso con il padre M.A. e altri, in mancanza della contestazione anche di un ruolo di amministratore di fatto; la sentenza di appello lo descrive sostanzialmente come un emissario del padre, laddove le rivendite dei beni di cui ai capi b) e c) sono avvenute a distanza di tempo dall’acquisto.

5.2. Il secondo motivo lamenta, con riferimento alla circostanza aggravante della gravità del danno e al diniego dell’attenuante della speciale tenuità, erronea applicazione della L. Fall., art. 219 e vizi di motivazione. La circostanza aggravante è stata ritenuta nonostante la pacifica scarsa entità del passivo (con attivi residui in grado di coprirlo), laddove il riferimento al valore complessivo dei beni sottratti è motivato sulla base dell’illogico assunto secondo cui le vendite avvenute sarebbero ipso iure distrattive in quanto asseritamente effettuate in condizioni di insolvenza, laddove neppure è chiarito se si sia in presenza di una distrazione di beni o di valore, con una ingiustificata svalutazione delle scritture contabili.

5.3. Il terzo motivo lamenta vizi di motivazione ed erronea applicazione della L. Fall., art. 216, artt. 2652 e 2643 c.c., D.L. 2 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 22, conv. con L. 4 ottobre 2006. La motivazione dei giudici di merito non chiarisce se, in relazione alle cessioni di cui all’imputazione, non è stato pagato alcun corrispettivo ovvero è stato pagato un prezzo vile. Dei vari argomenti addotti dalla sentenza impugnata, due sono affetti da errori di diritto (la società non è proprietaria del proprio capitale, l’obbligo di tracciare i pagamenti è successivo ai fatti), tre sono smentiti in fatto dalla sentenza impugnata (le cessioni non sono intervenute immediatamente prima del fallimento, non hanno riguardato tutti gli immobili, non sono intervenute in un breve volgere di tempo dalle prime, il primo ricorso di fallimento fu tacitato soddisfacendo il creditore), due sono di valenza opposta (il patrimonio residuo era congruo rispetto alla debitoria, i vizi delle cessioni avrebbero danneggiato gli acquirenti, anzichè favorirli), l’ultimo non prova nulla (le cessioni infragruppo non sono necessariamente distrattive). La società fallita aveva acquistato immobili e contratto debiti e successivamente ha ceduto gli immobili a società collegate, che hanno pagato o si sono accollate i debiti contratti per l’acquisto, sicchè l’effetto è stato quello di distribuire la debitoria all’interno del gruppo e, qualora non si dimostri il carattere distrattivo delle cessioni, la strategia imprenditoriale è lecita.

5.4. Il quarto motivo lamenta erronea applicazione della L. Fall., art. 216. A fronte delle molteplici deduzioni articolate con il gravame, la Corte di appello ritiene erroneamente che in pendenza di una situazione di insolvenza qualsiasi cessione avrebbe carattere distrattivo, laddove una cessione a un prezzo corretto non è mai distrattiva.

5.5. Il quinto motivo denuncia vizi di motivazione. A fronte del rilievo dei giudici di merito circa l'”oscurità” delle annotazioni contabili, non si spiega per quale ragione esso sia addebitato al ricorrente, che non era nè socio nè amministratore della fallita. La motivazione della sentenza impugnata è solo apparente, richiamando l’inattendibilità delle scritture contabili alla luce degli atti notarili, ma omettendo di considerare che il rilascio degli effetti cambiari può essere intervenuto prima del fallimento, mentre le acquisizioni sono intervenute in epoca non lontana dal fallimento, il che rende illogico l’intento distrattivo e inverosimile la falsificazione contabile, e le cessioni sono state annotate nelle scritture risultano finalizzate ad azzerare la debitoria. Le operazioni sono state ritenute cessioni infragruppo, ma ciò non le rende di per sè distrattive, mentre la rubrica richiama la perizia estimativa di una banca, in ordine alla quale i giudici di merito non motivano. La Corte di appello non ha motivato in ordine ai molteplici, specifici motivi di gravame, senza spiegare perchè, a fronte di annotazioni precise e dettagliate, le stesse sarebbero oscure o ambigue, tanto più che nessuno dei fatti storici annotati è stato confutato, nè è stata svolta alcuna istruttoria al riguardo. La stessa consulenza tecnica del P.M. si è appuntata su una modalità di annotazione in partita doppia di rilievo al più formale e comunque contestata dai vari consulenti delle difese. A conferma dell’inadeguatezza della motivazione si consideri che la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari è stata offerta dalle difese e dai relativi consulenti, non è stata disposta l’invocata perizia contabile, la pretesa sottrazione del libro soci e delle pezze d’appoggio è stata subito smentita in istruttoria, la pretesa irregolarità della contabilità era stata contestata con articolata censura e la stessa relazione del consulente del P.M. aveva ricostruito l’andamento degli affari.

5.6. Il sesto motivo lamenta inosservanza degli artt. 420-ter, 178 e 180 c.p.p. in relazione all’ordinanza che dispose la revoca dell’esame dell’imputato a fronte del legittimo impedimento a comparire dello stesso.

5.7. Il settimo motivo denuncia vizi di motivazione. La Corte di appello ha omesso di motivare in ordine alle specifiche deduzioni relative alla ritenuta insolvenza della società prima delle alienazioni e, in particolare, alla ricostruzione del passivo (non sussistendo alcun debito IVA), al valore dei beni e ai passaggi di proprietà degli stessi prima in favore di soggetti familiari, poi al gruppo Ma.An.. Il gravame aveva inoltre censurato la sentenza di primo grado con riguardo alle risorse impegnate per gli acquisti degli immobili, ma anche sul punto la sentenza impugnata è priva di motivazione.

5.8. L’ottavo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40 e 43 c.p. , L. Fall., art. 216 e art. 27 Cost., in relazione all’elemento psicologico del reato di bancarotta per distrazione, richiamando Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493.

5.9. Con memoria depositata il 03/07/2017, la difesa del ricorrente deduce l’erronea considerazione, ai fini della sospensione del corso della prescrizione, dei rinvii disposti a norma dell’art. 479 c.p.p. e dell’art. 132 bis disp. att. c.p.p. e D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 2 ter conv., con modif., con L. 24 luglio 2008, n. 125 .

  1. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Salerno ha proposto personalmente ricorso per cassazione S.M., articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Il primo motivo denuncia vizi di motivazione: la sentenza impugnata ha analizzato i vari episodi contestati al ricorrente attribuendogli il concorso in assenza di prova circa la partecipazione a qualsiasi atto interno alla società fallita e circa la consapevolezza dell’esistenza di detta società e del relativo stato di decozione al momento degli acquisti degli immobili.

Il secondo motivo denuncia erronea applicazione della L. Fall., artt. 216 e 219: la sentenza impugnata non ha motivato in ordine alla consapevolezza, in capo al ricorrente, dell’intera operazione e del significato agevolativo della propria condotta, non emergendo alcun contatto diretto con gli attori principali della vicenda e la consapevolezza che i trasferimenti degli immobili celavano operazioni di fraudolenta dismissione del patrimonio della fallita.

  1. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione Ma.An., attraverso i difensori avv. A. Alessandri e G. Insolera, articolando otto motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

7.1. Il primo motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 110 c.p. e L. Fall., art. 216 in relazione ai capi b), c), d) e g). Le condotte addebitate al ricorrente sono successive all’effettiva fuoriuscita del beni dal patrimonio della società fallita, mentre Ma.An. e M. si sono conosciuti dopo i trasferimenti dei beni da Bristol alle altre società riconducibili a M. o, con riguardo all’imbarcazione, a P.A.; solo tali trasferimenti “infragruppo” possono rilevare come condotte distrattive, laddove le successive cessioni delle quote sociali a vantaggio delle società del ricorrente non possono rappresentare autonome ipotesi di distrazione. Nè è stato provato un accordo tra M. e Ma.An. precedente alle prime distrazioni, elemento, questo, al quale i giudici di merito non hanno riconosciuto alcun rilievo.

7.2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione ai capi b), c), d) e g). La Corte di appello non ha esaminato lo specifico motivo di appello che denunciava l’autonoma e decisiva rilevanza della prima fuoriuscita dei cespiti dal patrimonio della Bristol e l’impossibilità di configurare il concorso di Ma.An..

7.3. Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione al concorso di Ma.An. nei fatti di distrazione di cui ai capi b), c), d) e g) contestati ad M.A. e altri imputati. Dalla sentenza di primo grado emerge che Ma.An. è stato coinvolto dopo i primi trasferimenti infragruppo e che il coinvolgimento serviva ad allontanare i beni dal “gruppo M.”: da tali fatti non si può ricavare il coinvolgimento del ricorrente nei primi trasferimenti se non sulla base di un non ipotizzato e comunque non provato previo concerto rispetto al successivo intervento post delictum. Ma.An. ha acquistato le quote delle società che avevano in precedenza rilevato i cespiti della Bristol, i cui beni, pertanto, non hanno subito alcun trasferimento, essendo rimasti nel patrimonio delle medesime società che li avevano direttamente acquistati da Bristol e, dunque, identificabili e rintracciabili esattamente come se l’intervento di Ma.An. non ci fosse stato. Le sentenze di merito non esaminano la deposizione del teste mo., secondo cui Ma.An. e M. si sono conosciuti nel febbraio del 1996 (ossia un anno dopo l’uscita dei beni da Bristol), nè quella del Maresciallo della Guardia di finanza b., che ha attestato l’avvenuto pagamento a M. delle quote da parte di Ma.An.. Analoghe censure riguardano il capo g), a proposito del quale è stata ignorata la prova del pagamento da parte di Ma.An. del corrispettivo della cessione della barca.

7.4. Il quarto motivo denuncia erronea applicazione della L. Fall., art. 216 in relazione al capo e). L’imputazione sub e) rappresenta l’unica transazione diretta (relativa a quattro appartamenti nel Comune di (OMISSIS)) tra Bristol e TMT: essa non può essere qualificata come distrattiva perchè si trattava di immobili che la fallita aveva già venduto sulla carta – ricevendone il corrispettivo controvalore e iscrivendo a bilancio il relativo debito – e che TMT ha proceduto a pagare al creditore/acquirente, determinando l’estinzione del debito di Bristol, il cui patrimonio non è stato in alcun modo intaccato, sicchè non può configurarsi il reato in esame qualora l’uscita di un bene dal patrimonio della fallita sia accompagnata dal pagamento di un debito di pari valore, precedentemente iscritto a bilancio.

7.5. Il quinto motivo denuncia vizi di motivazione in relazione al concorso di Ma.An. nei fatti di distrazione di cui al capo e) contestato a M.A. e altri imputati. La Corte di appello non ha esaminato la doglianza articolata con il gravame relativa alla neutralità dell’operazione in questione rispetto alla consistenza patrimoniale di Bristol, che aveva venduto gli immobili in fase di costruzione a tale s., il quale aveva versato il complessivo prezzo di acquisto in due tranches, risultando pertanto debitrice di quest’ultimo; la successiva cessione degli immobili a Ma.An. non prevedeva alcun flusso in entrata per Bristol, ma l’estinzione del debito nei confronti di s. (che aveva già pagato le villette), sicchè la cessione è stata interamente bilanciata dalla cancellazione del debito, di pari valore, già assunto nei confronti di s..

7.6. Il sesto motivo denuncia mancanza di motivazione in relazione al concorso di Ma.An. nei fatti di distrazione di cui al capo h). La Corte di appello non ha esaminato la doglianza articolata con il gravame in relazione all’assenza, già nella sentenza di primo grado, di qualsiasi elemento che consentisse di ravvisare una condotta distrattiva, il mancato accertamento dei beni di cui si trattava e della loro effettiva cessione, la partecipazione di Ma.An. all’operazione e la conoscenza da parte sua della stessa, l’effettiva acquisizione della disponibilità dei beni.

7.7. Il settimo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione all’esclusione della richiesta subordinata di qualificazione dei fatti ascritti a Ma.An. a norma della L. Fall., art. 232. I giudici di merito non hanno mai accertato l’esistenza di un accordo tra Ma.An. e M. relativo alla distrazione dei beni della fallita, limitandosi ad affermare, da un lato, la consapevolezza in capo al primo che il secondo versava in una situazione di difficoltà economica e, dall’altro, la provenienza (mediata o immediata) dei beni da Bristol e la prossimità temporale tra acquisti e fallimento, elementi, questi, compatibili, con la ricettazione fallimentare.

7.8. L’ottavo motivo denuncia erronea applicazione della L. Fall., art. 219, comma 1, e vizi di motivazione. La giurisprudenza di legittimità richiamata dalla sentenza impugnata deve essere contestualizzata, nel senso che la circostanza aggravante richiede sempre la verificazione di un danno, che è elemento accessorio delle fattispecie di bancarotta, costituite come reato di pericolo: presupposto logico di quella giurisprudenza è la sussistenza di un danno di rilevante gravità, rispetto al quale si sancisce l’esigenza di ricondurlo ai singoli fatti, così da accertare se anch’essi abbiano concorso in maniera rilevante al passivo totale e, in caso, fondare l’applicazione dell’aggravante.

Con atto a firma di Ma.An., il ricorrente, oltre a richiamare i motivi articolati con l’atto a firma dei difensori, articola due ulteriori motivi.

7.9. Il nono motivo denuncia vizio di motivazione in ordine al diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Illogicamente la Corte di appello motiva sul punto correlando l’intensità del dolo all’entità delle distrazioni, laddove – posto che il ricorrente ha rilevato non già quote della Bristol, bensì di tre società del gruppo che avevano in precedenza acquisito beni dalla Bristol – il fatto che alcune società del gruppo M. fossero in difficoltà non significa che lo fossero tutte. La sentenza impugnata non ha ricostruito l’intensità del dolo di ciascuno dei coimputati e, poichè a tutti – a parte M.A. – sono state riconosciute le attenuanti generiche, ha operato un’ingiustificata disparità di trattamento in danno del ricorrente.

7.10. Il decimo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale in ordine al calcolo del termine di prescrizione del reati e, segnatamente, erronea applicazione degli artt. 132 bis disp. att. c.p.p. e D.L. n. 92 del 2008, art. 2 ter conv. con L. n. 122 del 2008 e conseguente nullità delle ordinanze del 15/06/2010 e del 22/09/2011, nonchè erronea applicazione dell’art. 159 c.p. e art. 479 c.p.p. con conseguente nullità dell’ordinanza del 18/12/2012 e il mancato annullamento delle ordinanze del Tribunale che avevano erroneamente disposto la sospensione del corso della prescrizione. Erroneamente è stata disposto il rinvio del processo a norma dell’art. 132 bis disp. att. c.p.p., non applicabile ricadendo la posizione del ricorrente nella previsione della lett. d) della disposizione citata. Erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che la sospensione del procedimento ex art. 479 c.p.p. integri un’ipotesi di sospensione della prescrizione ex art. 159 c.p. , comma 1, n. 2.

7.11. Con atto a firma dell’imputato depositato il 23/06/2017, il ricorrente articola un motivo nuovo con il quale denuncia erronea applicazione dell’art. 159 c.p. in relazione al rinvio disposto dal Tribunale di Salerno all’udienza del 20/02/2000, rinvio che, essendo stato determinato dall’impossibilità di trattare il processo, non comportava alcuna sospensione del corso della prescrizione o, comunque, una sospensione non superiore ai 60 giorni se considerata come dipendente dalla richiesta di rinvio per legittimo impedimento professionale di uno dei difensori.

  1. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione F.R.J., attraverso il difensore avv. A. Di Perna articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

8.1. Il primo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato. La Corte di appello non fornisce alcuna motivazione in ordine alla condotta del ricorrente, con la conseguenza che l’affermazione di responsabilità è rimasta priva della individuazione e della individualizzazione della condotta stessa, sotto il profilo del dolo, limitandosi a procedere per ipotesi alternative e non chiarendo se le alienazioni coinvolgenti il ricorrente abbiano o meno determinato il dissesto (che, al contrario, risulta causato dalla fideiussione rilasciata da P.A.). In nessun passaggio la sentenza impugnata afferma che l’intraneus abbia messo a conoscenza l’extraneus di un proprio progetto depauperativo e che il secondo lo abbia accettato e ne fosse almeno a conoscenza.

8.2. Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine all’aggravante del danno di rilevante entità. La Corte di appello afferma contraddittoriamente, da un lato, che il l’effettivo pregiudizio ai creditori rileva ai fini della circostanza aggravante in esame e, dall’altro, che l’entità del danno va commisurata al valore complessivo dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale.

8.3. Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione in ordine all’invocata riqualificazione del fatto quale ricettazione pre-fallimentare. La sentenza impugnata omette di motivare in ordine alla prospettata configurabilità della fattispecie di ricettazione pre-fallimentare (il che comporterebbe l’estinzione per prescrizione del reato, salvo che si ritenga necessario soddisfare l’obbligo di motivazione), limitandosi a riepilogare la struttura astratta dei due reati, laddove non è emersa l’esistenza di alcun accordo tra fallito e terzo, nè sono state indicate le condotte a titolo di dolo del ricorrente.

8.4. Il quarto motivo ripropone l’eccezione di nullità – già avanzata in primo grado e respinta dal Tribunale con ordinanza in pari data – ex art. 416 c.p.p. nella formulazione vigente alla data della richiesta di rinvio a giudizio per omissione dell’invito all’imputato a rendere interrogatorio. Erroneamente la Corte di appello ha fatto riferimento alla nullità per mancato avviso della facoltà di chiedere interrogatorio a norma dell’art. 415 bis c.p.p., così omettendo di motivare in ordine all’eccezione, laddove la nullità ex art. 416 c.p.p. nella formulazione vigente all’epoca apparteneva alla sfera dell’intervento dell’imputato e potrebbe rientrare nel concetto di omessa citazione dell’imputato, sicchè saremmo in presenza di una nullità a regime intermedio deducibile fino alla deliberazione della sentenza di primo grado.

8.5. Il quinto motivo denuncia inosservanza delle norme processuali, reiterando l’impugnazione delle ordinanze della Corte di appello in data 15/06/2010 e 22/09/2011, nella parte in cui hanno dichiarato la sospensione dei termini di prescrizione. L’art. 132 bis disp. att. c.p.p. stabilisce che siano a trattazione prioritaria i processi nel corso dei quali (come nel caso di specie) gli imputati siano stati sottoposti a misure cautelari personali, sicchè era il presente processo a dover essere trattato in via prioritaria. Con riguardo all’ordinanza del 22/09/2011, inoltre, il processo non venne trattato per anomala composizione del Collegio, sicchè la sospensione del termine di prescrizione è illegittima.

Con atto depositato il 14/06/2017, il difensore di F.R.J. articola due motivi aggiunti.

8.6. Il primo motivo nuovo denuncia l’insussistenza del reato. La sentenza impugnata non ha motivato in ordine alla certezza, in capo all’extraneus, della conoscenza del pericolo concreto necessario per l’integrazione della fattispecie incriminatrice, tanto più che il passivo accertato è stato pari a circa 113 milioni di lire.

8.7. Il secondo motivo nuovo invoca l’esclusione della circostanza aggravante del danno di rilevante gravità, alla luce dell’entità dello stato passivo, con conseguente declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. In ordine alla sospensione del processo di primo grado ex art. 479 c.p.p. , la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, con riguardo ai relativi periodi, non può operare la sospensione della prescrizione ai sensi dell’art. 159 c.p. , sicchè l’esclusione di tali periodi comporta la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

Motivi della decisione

  1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di C.C. per essere il reato a lui ascritto estinto per morte dell’imputato, intervenuta, come da certificazione acquisita, il 28/09/2016. Nei confronti degli altri ricorrenti, la sentenza impugnata deve essere annullata per le ragioni e nei termini di seguito indicati.
  2. In premessa, è opportuno muovere dalle varie questioni poste dai ricorrenti in ordine alla prescrizione e alle relative cause di sospensione. Il secondo motivo dell’atto di impugnazione sottoscritto da Ma.An. e il motivo aggiunto dallo stesso proposto (parr. 7.10 e 7.11 del Ritenuto in fatto) e il quinto motivo ricorso nell’interesse di F.R.J. e il secondo motivo nuovo dallo stesso proposto (par. 8.5 e 8.7. del Ritenuto in fatto) devono essere in parte accolti.

2.1. Non meritano accoglimento le censure relative alle sospensioni del corso della prescrizione correlate a rinvii del procedimento disposti a norma dell’art. 132 bis disp. att. c.p.p.. Invero, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, “la norma invocata non impedisce affatto il differimento della trattazione dei processi considerati dalla legge a trattazione prioritaria; al contrario l’art. 132 bis disp. att. c.p.p. prevede che nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi venga assicurata la priorità assoluta ai processi aventi le caratteristiche indicate nella norma stessa sulla base di provvedimenti organizzativi adottati dal dirigenti degli uffici giudicanti e ciò può rendere necessario disporre dei rinvii anche per i processi rientranti nelle categorie per le quali è prevista la trattazione prioritaria” (Sez. 2, n. 44806 del 06/11/2012 – dep. 15/11/2012, Ndiaye, Rv. 253649; Sez. 5, n. 22878 del 15/05/2014 – dep. 30/05/2014; Sez. 5, n. 6537 del 16/01/2014 – dep. 10/02/2014, Roberto; Sez. 2, n. 16419 del 04/04/2013 – dep. 11/04/2013, Catanzaro). In analoga – per così dire, “simmetrica” – prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ritiene che la sospensione del termine di prescrizione, disposta a norma del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 2 ter convertito in L. 24 luglio 2008, n. 125 , produca i suoi effetti anche se l’imputato non poteva beneficiare dell’indulto concesso con la L. 31 luglio 2006, n. 241 , qualora l’imputato medesimo non si sia opposto nè abbia impugnato l’ordinanza che la ha deliberata (Sez. 6, n. 35225 del 21/05/2013 -dep. 21/08/2013, Lo Russo, Rv. 256093; conf. Sez. 5, n. 32665 del 11/03/2015 – dep. 24/07/2015, Bove). Pertanto, la riconducibilità del procedimento in esame ad una delle ipotesi considerate a trattazione prioritaria non precludeva il differimento del processo ex art. 132 bis disp. att. c.p.p., sicchè le censure articolate al riguardo dai ricorrenti non meritano accoglimento.

2.1.1. Nè a conclusioni diverse può giungersi sulla base delle deduzioni articolate nella memoria proposta nell’interesse di Me.Mo. e depositata il 03/07/2017. Quanto alla riconducibilità del processo ad una delle ipotesi considerate a trattazione prioritaria, si è già escluso che essa sia ostativa al rinvio, mentre privo di consistenza è il riferimento al limite edittale di cui alla L. n. 241 del 2006, art. 1 tanto più ove si pensi alla pena irrogata allo stesso ricorrente (anni 2 e mesi 6 di reclusione). Quanto alla pendenza in grado di appello, questa Corte ha già affermato il principio di diritto in forza del quale la sospensione del termine di prescrizione, prevista dal D.L. n. 92 del 2008, art. 2-ter convertito in L. n. 125 del 2008 , per la durata del rinvio della trattazione del processo ai sensi dell’art. 132-bis disp. att. c.p.p. , può essere disposta anche dal giudice d’appello. (Sez. 5, n. 22878 del 15/05/2014 – dep. 30/05/2014, Rv. 259886). A ciò si aggiunga, peraltro, il rilievo della tardività della memoria, posto che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’art. 611 c.p.p. relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di Cassazione dall’obbligo di prendere in esame le stesse (Sez. 1, n. 19925 del 04/04/2014 – dep. 14/05/2014, Cutrì e altro, Rv. 259618; conf., ex plurimis, Sez. 3, n. 50200 del 28/04/2015 – dep. 22/12/2015, Ciotti, Rv. 265935).

2.2. E’ invece, fondata la censura proposta dal ricorso nell’interesse di F. in ordine alla sospensione disposta all’udienza del 22/09/2011: in quell’occasione, infatti, il processo fu rinviato per anomala composizione del Collegio ed “anche” a norma dell’art. 132 bis disp. att. c.p.p., ma, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di prescrizione del reato, nel caso di concomitante presenza di due fatti legittimanti il rinvio del dibattimento, l’uno riferibile all’imputato o al difensore, l’altro ad esigenze di tipo processuale – nel caso esaminato, relative all’acquisizione della prova, ma analogo rilievo vale per l’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, di anomala composizione del Collegio giudicante – la predominante valenza di quest’ultima preclude l’operatività del disposto dell’art. 159 c.p. e la conseguente sospensione nel corso della prescrizione (Sez. 5, n. 49647 del 02/10/2009 – dep. 28/12/2009, Delli Santi, Rv. 245823; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 41557 del 05/10/2005 – dep. 17/11/2005, Mele, Rv. 232835). Pertanto, ai fini del computo del periodo complessivo di sospensione del corso della prescrizione, non può tenersi conto di quella disposta all’udienza del 22/09/2011.

2.3. A tale conclusione deve giungersi anche con riguardo al rinvio disposto in primo grado all’udienza del 22/02/2000, rinvio che fu disposto anche per impossibilità di trattazione del processo per ragioni attinenti alla complessità dell’istruttoria e al ruolo gravante sul Tribunale.

2.4. Sono, infine, parzialmente fondate le censure relative alle sospensioni del corso della prescrizione disposte a norma dell’art. 479 c.p.p. in relazione alla pendenza del giudizio civile relativo alla sentenza dichiarativa di fallimento. Al riguardo, infatti, questa Corte ha affermato il principio di diritto, condiviso dal Collegio, in forza del quale il termine di prescrizione non può essere sospeso per effetto della sospensione disposta a norma dell’art. 479 c.p.p. , in quanto detta sospensione non è imposta dalla legge, ma è disposta in via facoltativa e non rientra tra “fra le cause di sospensione del termine di prescrizione elencate tassativamente nell’art. 159 c.p. , non essendo compresa, in particolare, neppure fra “i provvedimenti di deferimento della questione ad altro giudizio” che sono quelli di devoluzione alla Corte costituzionale o ad altro giudice (come quello europeo) per la soluzione di questioni pregiudiziali” (Sez. 5, n. 32815 del 23/05/2016 – dep. 27/07/2016, Barilà; conf. Sez. 6, n. 44261 del 18/06/2013 – dep. 30/10/2013, Rv. 256864).

Deve tuttavia rilevarsi che alcune delle sospensioni in questione sono state disposte in accoglimento di richieste delle difese degli imputati (la sospensione disposta all’udienza del 06/04/2004 del procedimento principale di primo grado e quella disposta all’udienza del 03/05/2006 del procedimento di primo grado nei confronti di P.A.; la sospensione disposta nel giudizio di appello all’udienza del 18/12/2012), sicchè, pur basandosi dette richieste sulla disciplina di cui all’art. 479 c.p.p. , si verte comunque nell’ipotesi di sospensione del corso della prescrizione prevista dall’art. 159 c.p.p. , comma 1, n. 3), ossia della sospensione del procedimento o del processo “su richiesta dell’imputato o del suo difensore”. Disposizione, questa, che, come chiarito dalla concorde giurisprudenza di questa Corte, “è stata sempre interpretata nel senso che il rinvio dell’udienza, accordato su richiesta del difensore, determina la sospensione dei termini di prescrizione del reato” (Sez. U, n. 15427 del 31/03/2016 – dep. 13/04/2016, Cavallo, Rv. 267042), a prescindere dalle ragioni che la stessa parte ha posto a fondamento della richiesta, salvo che esse consistano in un legittimo impedimento della parte o del difensore (Sez. 3, n. 41349 del 28/05/2014 – dep. 06/10/2014, Zappalorti, Rv. 260753; conf. Sez. 7, n. 8124 del 25/01/2016 – dep. 29/02/2016, Nascio, Rv. 266469) e ancorchè il provvedimento di rinvio del procedimento su richiesta dell’imputato o del difensore sia stato illegittimamente adottato (Sez. 3, n. 26409 del 08/05/2013 -dep. 18/06/2013, Rv. 255579; Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014 – dep. 02/02/2015, Torchio, Rv. 262914).

Pertanto, fuori dei casi appena richiamati, anche alla luce dell’autonomia dei vari provvedimenti di sospensione (arg. ex art. 479 c.p.p. , comma 3), ai fini del computo del periodo complessivo di sospensione del corso della prescrizione, non può tenersi conto delle sospensioni disposte nel giudizio di primo grado del procedimento principale alle udienze del 14/12/2004, del 16/12/2005 e del 11/07/2006.

2.5. Alla luce dei rilievi svolti in precedenza, nel procedimento principale a carico di M.A. ed altri devono essere considerate le seguenti sospensioni del corso della prescrizione nel giudizio di primo grado: dal 20/05/2003 al 25/06/2003 e dal 25/06/2003 al 02/12/2003 (astensione degli avvocati: sospensione di 36 e di 160 giorni); dal 02/12/2003 al 06/04/2004 (su richiesta difensori ex I. 134/2003: 126 giorni); dal 06/04/2004 al 14/12/2004 (alla luce di quanto sopra rilevato: 252 giorni); dal 28/11/2006 al 20/12/2006 (impedimento professionale di un difensore: 22 giorni), per complessivi 596 giorni.

Nel giudizio di primo grado a carico di P.A. devono essere considerate le seguenti sospensioni del corso della prescrizione: dal 03/05/2006 all’11/10/2006 (alla luce di quanto sopra rilevato: giorni 161); dal 11/10/2006 al 05/03/2007 (astensione avvocati: giorni 145), per complessivi 306 giorni.

Nel giudizio di appello nei confronti degli imputati del procedimento principale devono essere considerate le seguenti sospensioni del corso della prescrizione: dal 15/06/2010 al 28/01/2011 (ex art. 132 bis disp. att. c.p.p.: 227 giorni; dal 18/12/2012 al 19/11/2013 (alla luce di quanto sopra rilevato: 336 giorni) per complessivi 563 giorni.

Nel procedimento di appello nei confronti di P.A., riunito a quello principale all’udienza del 18/12/2012, devono essere considerate le seguenti sospensioni del corso della prescrizione: dal 30/11/2010 all’11/02/2011, dal 11/02/2011 al 04/10/2011 e dal 04/10/2011 al 22/05/2012 (ex art. 132 bis disp. att. c.p.p.: 73, 235 e 231 giorni); dal 18/12/2012 al 19/11/2013 (alla luce di quanto sopra rilevato: 336 giorni) per complessivi 875 giorni.

2.6. Per gli imputati nei cui confronti sono state applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto alla ritenuta circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1, – S.M., F.R.J. e Me.Mo.- è più favorevole la disciplina della prescrizione anteriore a quella introdotta dalla L. n. 251 del 2005 , in quanto il termine di prescrizione, con l’aumento per le interruzioni, è pari ad anni 15, corrispondenti al 10/12/2011, di per sè solo successivo alla sentenza di primo grado: anche aggiungendo a tale termine la sospensione complessiva pari a 1.159 giorni (596 + 563), il termine è decorso al più tardi in data 11/02/2015: pertanto, nei confronti dei predetti ricorrenti, la sentenza impugnata deve essere annullata, agli effetti penali, senza rinvio, per essere i reati a ciascuno ascritti estinti per prescrizione, mentre i ricorsi devono essere esaminati a norma dell’art. 578 c.p.p..

Per M.A., Ma.An. e P.A. (nei confronti dei quali le circostanze attenuanti generiche sono state escluse, i primi due, o ritenute equivalenti alla circostanza aggravante L. Fall. , ex art. 219, comma 1, la terza) è più favorevole la disciplina introdotta dalla L. n. 251 del 2005 , sicchè il termine di prescrizione, con l’aumento per le interruzioni, è pari ad anni 18 e mesi 9, corrispondenti al 10/09/2015: aggiungendo a tale termine la sospensione complessiva pari a 1.159 giorni (596 + 563) per M.A. e per Ma.An., il termine non matura prima del 12/11/2018, mentre aggiungendo la sospensione complessiva pari a 1.181 giorni (306 + 875) per P.A., il termine non matura prima del 04/12/2018.

  1. Sempre in premessa, rileva la Corte che le sentenze di merito non danno conto, in termini di necessaria univocità, della qualificazione dei fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale ascritti agli imputati del procedimento principale. Ora, come questa Corte ha avuto modo di affermare, la questione della qualificazione giuridica del fatto rientra nel novero di quelle su cui la Corte di Cassazione può decidere ex art. 609 c.p.p., comma 2, (Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013 – dep. 21/03/2014, Rossi, Rv. 259730) e il suo esame è consentito quando, come nel caso di specie alla luce di quanto si osserverà, essa incida sul thema decidendum devoluto alla Corte, costituendo un passaggio logico essenziale ai fini della decisione del ricorso (Sez. 6, n. 2702 del 19/10/1990 – dep. 16/11/1990, Sica, Rv. 185762, in tema di rilevabilità ex officio da parte della Corte di Cassazione del carattere abnorme di un provvedimento).

3.1. I fatti sono delineati dalle conformi sentenze di merito in termini che delineano una molteplicità di tipologie di vicende.

La prima tipologia è caratterizzata da plurime, successive cessioni di beni; a tale tipologia di vicende devono essere ricondotti i seguenti fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al primo capo di imputazione del procedimento principale (n. 756/99: C.C. ed altri): i fatti sub a) (per i quali sono stati condannati M.A. e S.M., oltre a C.C.), relativi a un terreno sito in (OMISSIS) ceduto dalla fallita il 06/11/1995 a Dian Trading Import/Export, di cui era amministratore unico C.C. e poi rivenduto il 10/12/1996 a S.M.; i fatti sub g) (per i quali sono stati condannati M.A. e Ma.An.), relativi ad una imbarcazione alienata in data 08/02/1996 in favore di Pa.Pi. e successivamente ceduta il 27/01/1997 a TMT Italia s.p.a..

Una diversa tipologia di vicende è caratterizzata dalla alienazione dei beni ad una società, seguita dalla cessione delle quote e dalla successione nelle cariche amministrative della società alle quali la fallita aveva ceduto i beni e da una successiva alienazione; rientrano in questa tipologia i fatti sub b) (per i quali sono stati condannati M.A., S.M., F.R.J., Me.Mo. e Ma.An.), relativi a immobili alienati dalla fallita il 24/10/1995 a Immobiliare G.M.D. s.r.l., di cui era amministratore unico Me.Mo. e poi rivenduti da F.R. (subentrato il 10/04/1996 a Me.Mo.) in parte, il 16/07/1996, a TMT Italia s.p.a., di cui era amministratore unico L.M. (moglie di Ma.An., coimputata assolta in primo grado) e in parte, il 21/12/1996, a S.M.; i fatti sub c) (per i quali sono stati condannati M.A., S.M., F., Me.Mo. e Ma.An.), relativi ad immobili alienati dalla fallita il 07/11/1995 ad Azienda Agrigola San Nicola Varco, di cui era amministratore unico Me.Mo. e poi rivenduti il 03/12/1996 da F. (subentrato il 10/04/1996 a Me.Mo.) a S.M..

Una terza tipologia di vicende è caratterizzata dalla alienazione dei beni ad una società, seguita dalla cessione delle quote e dalla successione nelle cariche amministrative della società alle quali la fallita aveva ceduto i beni; rientrano in tale tipologia i fatti sub d) (per i quali sono stati condannati M.A., F. e Ma.An.), relativi all’alienazione di otto appartamenti e relativi garages siti in (OMISSIS) alienati dalla fallita il 27/12/1995 a G.P.F. Trading Limited s.r.l., rappresentata dall’amministratore unico R.A. (coimputato deceduto), poi sostituito dal 10/04/1996 nella carica da F.. Altra tipologia è caratterizzata da un’unica alienazione di beni, come, ad esempio, per i fatti sub e) (per i quali sono stati condannati M.A., F. e Ma.An.) relativi a quattro appartamenti siti in (OMISSIS) alienati il 10/04/1996 a TMT Unitrading s.a. (con sede a (OMISSIS)), rappresentata dall’amministratore unico F.R.J..

3.2. In ordine ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la sentenza di primo grado, diffusamente richiamata da quella di appello, ha fatto riferimento ora a “un vorticoso giro di passaggi in scatole vuote funzionali a rendere sempre più evanescente la originaria ed effettiva titolarità e ad impedire la soddisfazione di eventuali creditori”, ora a trasferimenti di immobili che “solo formalmente ne attribuivano la titolarità in capo” al cessionario ( S.M.), ma “in sostanza essi ricadevano nella disponibilità effettiva di M., che ne gestiva tutti i passaggi servendosi di prestanome di volta in volta individuati al fine di “ripulire” la provenienza e preservarli dall’aggressione ai creditori”; con specifico riguardo alla posizione di Ma.An. (ma con rilievo che, nel percorso argomentativo del giudice di primo grado, assume valenza più ampia), si è rimarcato il “carattere fittizio dei trasferimenti” effettuati “in favore di società formalmente amministrate dal figlio o dai parenti prossimi” di M.A., “effettivo dominus” delle società: invero, sottolinea ancora la sentenza di primo grado, “le vere finalità dei trasferimenti immobiliari conseguenti alla cessione delle quote societarie erano quelle di evitare l’aggressione degli immobili da parte dei creditori”, cancellando il legame del patrimonio immobiliare di Bristol Hotel s.r.l. con la stessa società, legame “solo in parte affievolito con il precedente passaggio, facilmente riconoscibile e sanzionabile in executivis, a società formalmente appartenenti a stretti congiunti dello stesso M.A. (il figlio Me.Mo. ed il cugino R.A.”, così assicurando, attraverso i nuovi trasferimenti, “una ulteriore “ripulitura” dei beni”. La stessa sentenza di appello ha evidenziato, con riguardo alle posizioni di C.C., di S.M. e di Me.Mo., che i tre erano privi di qualsiasi esperienza imprenditoriale, di autonomia decisionale e patrimoniale, erano dipendenti in tutto e per tutto dal volere di M.A. e, di conseguenza, avevano chiara, in quanto assolutamente evidente anche considerando che la dismissione dei cespiti avveniva immediatamente dopo il relativo acquisto, la natura fittizia delle operazioni.

3.3. Il carattere fittizio – del resto richiamato nella stessa imputazione delle alienazioni di cui ai molteplici dei capi di imputazione rende ragione della incerta qualificazione dei relativi fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale sub specie di distrazione, così come ritenuto dalle sentenze di merito, sulla scorta delle imputazioni, ovvero di dissimulazione. Invero, la nozione di distrazione è definita, dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamando ora il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, nè la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008 – dep. 02/12/2008, P.M. in proc. Quattrocchi, Rv. 241830; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014 – dep. 11/07/2014, P.M. in proc. Di Febo, Rv. 260486), ora la specifica offensività insita nel distogliere attività alla loro naturale funzione di garanzia dei creditori (Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006 – dep. 02/03/2006, De Rosa, Rv. 233413, in motivazione) e, dunque, il fatto diretto ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori (Sez. 5, n. 10220 del 19/09/1995 – dep. 09/10/1995, Guerrini, Rv. 203006): definizione, quest’ultima, che rende ragione dell’attribuzione, nella giurisprudenza di legittimità, alla nozione di distrazione di una funzione anche “residuale”, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto diverso dall’occultamento, dalla dissimulazione, etc. determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento (Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988 – dep. 08/08/1988, Fabbri, Rv. 179047; conf. Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984 – dep. 24/09/1984, Pompeo, Rv. 165673), il che rinvia comunque alla definizione degli altri fatti di bancarotta delineati dalla norma incriminatrice. In questa prospettiva, l’occultamento consiste in ogni manovra dell’imprenditore diretta a far credere non esistenti, in tutto o in parte, i suoi beni, che invece esistono, ossia ogni manovra diretta a separare in tutto o in parte tali beni impedendo di conoscere dove siano, mentre la dissimulazione consiste in qualsiasi forma di inganno diretta ad occultare la conoscenza di uno stato esistente, che si verifica normalmente sotto forma di negozi giuridici solo apparenti, mediante i quali si celano negozi reali compiuti in frode ai creditori, ovvero ben architettate operazioni dannose rivestite dell’abito apparente della legalità (Sez. 5, n. 8177 del 14/03/1974 – dep. 12/11/1974, Mele, Rv. 128364): integra, dunque, la fattispecie di dissimulazione nella bancarotta fraudolenta l’attività diretta a diminuire fittiziamente il patrimonio del fallito, mentre non è necessario che sia realmente conseguito il risultato al quale tende detta attività, bastando semplicemente la condotta volta alla dissimulazione (Sez. 5, n. 6681 del 19/04/1988 – dep. 06/06/1988, Ferlicca, Rv. 178538; conf. Sez. 5, n. 30442 del 22/08/2006 – dep. 14/09/2006, Preziosa).

3.4. A fronte dei richiamati, plurimi riferimenti ad attività negoziali solo apparenti in quanto preordinate a dissimulare la consistenza patrimoniale della fallita, di segno contrario risultano – oltre, come si è detto, al tenore letterale dell’imputazione e a numerosi passaggi delle sentenze di merito, che delineano i fatti oggetto di imputazione in termini di distrazione – alcuni riferimenti al fatto, ad esempio, che Ma.An. e F., per il tramite delle varie società, acquisirono “sostanzialmente l’intero patrimonio immobiliare della Bristol Hotel s.r.l.”, svolgendo “un ruolo determinante nella attività di svuotamento dell’intero patrimonio” della fallita ed offrendo “un robusto e decisivo contributo alle attività distrattive organizzate da M. in pregiudizio dei creditori”.

Nei termini indicati, la motivazione delle conformi sentenze di merito, come si è anticipato, non è idonea a dar conto della qualificazione di molti dei fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestati, ossia del presupposto necessario ai fini dell’esame di alcune delle questioni prospettate dai ricorrenti. Ad esempio, il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse di Ma.An. lamenta il mancato esame, da parte del giudice di appello, del motivo di gravame incentrato sull’autonoma e decisiva rilevanza della prima fuoriuscita dei cespiti dalla fallita, questione, questa, alla quale si ricollega anche il primo motivo che lamenta l’erronea applicazione della legge penale in reazione alla configurabilità quali autonome condotte distrattive delle condotte successive all’effettiva fuoriuscita dei beni dal patrimonio della fallita: al riguardo, la qualificazione dei fatti in questione sub specie di distrazioni, che presuppone, di regola, il distacco del bene dalla fallita, ovvero come dissimulazione, che presuppone invece il carattere simulato dell’alienazione, è suscettibile di assumere rilievo ai fini in esame. Rilievi di segno analogo sono riferibili anche alle censure proposte da vari ricorrenti in ordine alle caratteristiche delle alienazioni, se in assenza di corrispettivo o a prezzo di corrispettivo inadeguato.

Sotto questo profilo, dunque, la sentenza impugnata presenta un generale profilo di inadeguatezza della motivazione alla luce delle censure proposte dagli appellanti, inadeguatezza il cui superamento implica apprezzamenti di merito in ordine a ciascuno dei vari fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al procedimento principale – preclusi a questa Corte e, pertanto, necessariamente rimessi ai giudici del rinvio.

  1. Sul punto, si tornerà esaminando i singoli ricorsi, esame che può prendere le mosse dalle doglianze relative all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale ascritta a M.A. e ad P.A.. Il quinto e il sesto motivo del ricorso nell’interesse di M.A. e il quinto motivo del ricorso nell’interesse di P.A., che possono quindi essere esaminati congiuntamente, non meritano accoglimento.

4.1. La Corte distrettuale ha rilevato, a parte la mancata appostazione della voce concernente la fideiussione prestata a favore della Banca Popolare dell’Irpinia nei bilanci sociali, come le annotazioni contabili relative sia agli acquisti, sia alle cessioni dei beni fossero effettuate con ritardo (a volte alla fine dell’anno solare di riferimento) e con formule assolutamente oscure che non consentivano di comprendere il tipo di operazioni cui si riferivano e, soprattutto, le modalità di pagamento del prezzo di acquisto e di incasso del corrispettivo della vendita: al momento dell’acquisto veniva fatto riferimento ad effetti passivi “emessi” (senza specificarne natura, importo e scadenza), che poi al momento della vendita risultavano “ritirati”; il corrispettivo delle vendite, osserva ancora la sentenza impugnata, non era riportato come movimento in conto cassa o in conto banca, ma era contabilizzato sotto la voce “creditori e debitori vari” nel modo appena descritto, generico e oscuro, con una sorta di compensazione delle operazioni di acquisto che non trovava riscontro documentale negli atti di compravendita (con la limitata eccezione degli immobili di Monocalzati); le operazioni di acquisto e di vendita erano annotate senza neppure indicare i conti da movimentare e i movimenti (sia quelli in entrata, sia quelli in uscita) erano tutti riportati sotto quello generico “creditori e debitori”. Il curatore, sottolinea la Corte di appello, ha sintetizzato lo stato delle scritture contabili evidenziando l’impossibilità di ricostruire esattamente le movimentazioni finanziarie essendo esse indicate sotto una voce generica del libro giornale (“debitori e creditori”). Osserva ancora la sentenza impugnata che dalle scritture contabili non è risultato possibile stabilire, in ordine ai trasferimenti dei beni prima entrati e poi usciti dal patrimonio sociale della fallita, in che modo queste transazioni siano avvenute, se e in che modo abbiano importato prima l’uscita e/o poi l’incasso di denaro, se e in quale modo siano avvenuti gli accolli dei debiti ed eventuali compensazioni: circostanze, queste, intrinseche alla tenuta della contabilità, che la rendono del tutto inattendibile ai fini della ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita. Tale modo di tenuta della contabilità, ha osservato ancora la Corte distrettuale, era funzionale al modo di agire “imprenditoriale” di M., teso alla creazione di “scatole vuote” in cui far transitare immobili e attività acquistati con modalità di incerta connotazione (e, peraltro, neppure funzionali all’attività sociale della fallita). L’imputazione, osserva conclusivamente il giudice di appello, non si riferisce, dunque, all’aver basato la contabilità sul sistema della partita doppia attraverso il giornalmastro, ma nel descritto modo anomalo in cui è stata effettuata la contabilizzazione delle operazioni, modalità che rendevano incerte e controvertibili circostanze essenziali per la ricostruzione della movimentazione degli affari, modalità, a loro volta, funzionali, alla commissione dei fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

4.2. Ciò premesso, il quinto motivo del ricorso nell’interesse di M. non merita accoglimento. Esso riporta diffusamente l’atto di appello nella parte in cui ricostruiva analiticamente le annotazioni relativa a molteplici acquisti/vendite, lamentando la mancata, puntuale disamina del dedotto da parte del giudice di appello. La sentenza impugnata, tuttavia, pur non avendo preso in considerazione, con la stessa analiticità, le censure dell’appellante, ha rilevato che i consulenti della difesa hanno sì prospettato di avere ricostruito le operazioni oggetto di contestazione, ma sulla base della chiave interpretativa da essi stessi propugnata, ossia che si trattasse di compensazione di debiti assunti all’atto dell’acquisto: chiave interpretativa che non trova alcun riscontro documentale. Al riguardo, dunque, deve rilevarsi che l’analitica disamina contenuta nell’atto di appello è valutata dalla sentenza impugnata come collegata ad una chiave di lettura “asserita” dalla difesa, ma contraddetta dai dati documentali: il che rende ragione dell’infondatezza delle censure.

Conclusione, questa, da riferire anche alle ulteriori doglianze: i rilievi circa l’esistenza o meno dei fatti storici (cambiali, prima di tutto) trascurano di considerare che l’imputazione e i dati probatori valorizzati dai giudici di merito si riferiscono proprio all’impossibilità di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari, laddove il riferimento alle annotazioni in “partita doppia” omette di confrontarsi con le articolate argomentazioni della sentenza impugnata e quello alla mancata assunzione delle testimonianze dei venditori evoca, al più, inammissibile questioni di merito.

Alla medesima conclusione deve giungersi con riguardo al sesto motivo: le consulenze della difesa sono state valutate nei termini sopra indicati dalla sentenza impugnata, il che rende altresì ragione dell’inconsistenza del riferimento alla tecnica del giornalmastro (puntualmente esaminato e disatteso con congrua motivazione dalla Corte distrettuale), mentre la censura relativa al mancato espletamento di una perizia d’ufficio è del tutto generica. La sentenza impugnata non fa riferimento alla sottrazione del libro soci e delle pezze d’appoggio, sicchè inconferente è la deduzione difensiva sul punto, mentre del tutto generica è la censura basata sulla ricostruzione del consulente del P.M., comunque non decisiva a fronte degli argomentati rilievi del giudice di appello.

4.3. Anche il quinto motivo del ricorso nell’interesse di P.A. non merita accoglimento. Su un piano generale, si deve rilevare che il motivo non articola travisamenti della prova, ma, attraverso la prospettazione di illogicità o carenze del percorso argomentativo dei giudici di merito, deduce, in più punti, questioni di merito, volte a sollecitare una rivisitazione, esorbitante dai compiti del giudice di legittimità, della valutazione del compendio conoscitivo che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati ed immune da vizi logici: vengono in rilievo, in tal senso, i riferimenti alla ricostruzione offerta dai consulenti della difesa (a proposito della quale, peraltro, la ricorrente omette di confrontarsi con gli specifici rilievi formulati sul punto dalla Corte di appello) e ai motivi di appello incentrati sulla tecnica del giornalmastro (anch’essi, peraltro, oggetto di specifica confutazione da parte della sentenza impugnata). Quanto ai primi, mette conto osservare che la diffusa riproposizione operata dalla ricorrente delle prospettazioni dei consulenti non si confronta con il rilievo decisivo della sentenza impugnata circa la totale assenza di riscontri rispetto alla chiave interpretativa assunta dai consulenti stessi a fondamento della ricostruzione proposta. Per il resto, i rilievi circa l’indicazione in contabilità degli effetti cambiari e la redazione degli atti notarili isolano un aspetto della complessiva ricostruzione offerta dalla sentenza impugnata, omettendo di confrontarsi con il complesso degli elementi in forza dei quali è stata ritenuta l’impossibilità di ricostruire i movimenti finanziari della fallita, nonchè il tipo di operazioni annotate in contabilità e le modalità di pagamento del prezzo di acquisto e di incasso del corrispettivo delle alienazioni, laddove le ulteriori deduzioni circa la sottrazione delle pezze di appoggio e del libro soci risultano, come si è già rilevato, del tutto inconferenti. La Corte di appello, inoltre, ha puntualmente ricostruito i fatti di bancarotta documentale posti in essere nel periodo in cui la ricorrente rivestiva la carica amministrativa, il che priva di consistenza la relativa censura.

4.4. Il rigetto dei motivi afferenti all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale non consente, comunque, la declaratoria di irrevocabilità del relativo capo a norma dell’art. 624 c.p.p. , comma 2: infatti, come si vedrà, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio quanto alla sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1, sicchè, fermi restando gli effetti del rigetto ai fini civili, è solo all’esito dell’esame, da parte del giudice del rinvio, di tale punto che potrà essere valutato il perfezionamento o meno (anche alla data della deliberazione della presente sentenza) della fattispecie estintiva del reato per prescrizione.

  1. Il nono motivo del ricorso nell’interesse di M.A. e il primo motivo del ricorso nell’interesse di P.A. possono essere esaminati congiuntamente, attenendo entrambi alle fideiussioni di 70 miliardi di lire rilasciate alla Banca Popolare dell’Irpinia in data 02/12/1993 dalla fallita in favore di Departures s.p.a.: fideiussioni, queste, che, oltre a costituire l’oggetto dell’imputazione di causazione del fallimento per operazioni dolose nei confronti della P.A., vengono evocate nel ricorso M. soprattutto sotto il profilo della riconoscibilità dell’elemento psicologico dei reati contestati al capo 1) del procedimento principale, ma, può aggiungersi, sono rilevanti già sul piano della stessa ravvisabilità del pericolo concreto nelle alienazioni di cui alle imputazioni di bancarotta fraudolenta patrimoniale (e ciò a prescindere dalla puntuale qualificazione dei relativi fatti); esse, inoltre, nel percorso motivazionale dei giudici di merito si collocano all’origine delle vicende relative ai vari fatti di bancarotta ascritti agli imputati, rappresentandone l’antefatto storico-giuridico, sicchè le relative censure devono essere esaminate in via prioritaria rispetto alle altre afferenti alle imputazioni di bancarotta fraudolenta patrimoniale e della stessa imputazione di operazioni dolose. I motivi non meritano accoglimento.

5.1. La Corte di appello ha disatteso la prospettazione difensiva circa il “rilascio inconsapevole” delle fideiussioni, rimarcando come non vi sia alcuna prova che la sottoscrizione delle garanzie sia apocrifa, che sia stata estorta dai funzionari della Banca Popolare dell’Irpinia (come, secondo i giudici di merito, inizialmente sostenuto dalla difesa), che P. abbia sottoscritto moduli in bianco poi abusivamente “riempiti” dai funzionari della banca, come confermato da vari elementi ed argomenti. Al riguardo, la Corte di appello – richiamando anche le conformi pronunce di primo grado – ha evidenziato, in primo luogo, la contraddittorietà delle tesi sostenute sul punto dalle difese: mentre P. ha infine riconosciuto di avere sottoscritto le fideiussioni in questione, in sede civile – e, segnatamente, nell’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla Banca Popolare dell’Irpinia – la stessa aveva affermato che la sottoscrizione della fideiussione le era stata estorta (“… tutte le richiamate fideiussioni sono state estorte dalla Banca Popolare dell’Irpinia…”). D’altra parte, ha osservato ancora il giudice di appello, pochi mesi dopo il rilascio della fideiussione, ossia il 01/07/1994, P. aveva sottoscritto un atto di costituzione in pegno delle quote della fallita in favore della Banca Popolare dell’Irpinia: anche a questo proposito la difesa ha sostenuto la tesi della sottoscrizione “inconsapevole”, ma, sottolinea la sentenza impugnata, si è trattato di un atto pubblico rogato da un notaio, il che conferma l’inconsistenza della tesi difensiva, la sua inverosimiglianza e l’assoluta mancanza di prove a sostegno di essa. Il giudice di appello richiama poi il rilascio da parte della P.A., anche in proprio, del marito M.A. e di altre società del “gruppo” di altre fideiussioni di pari importo a quella oggetto di contestazione in favore Departures: da qui il rilievo che dette fideiussioni erano funzionali alla “sistemazione contingente” degli interessi del gruppo. Richiamata l’inattendibilità delle dichiarazioni del coimputato Me.Mo. (figlio degli imputati), che, anzi, ha negato che la madre intrattenesse rapporti con la banca diversi da quelli relativi alla fallita, così contraddicendo l’allegazione difensiva della P.A., la Corte di appello ha rimarcato come ella – indipendentemente dallo stato dei rapporti in quel periodo specifico – agisse “sotto l’egida” del marito M.A., vero e indiscusso dominus della costellazione di società e di attività indicate, per comodità espositiva, come c.d. Gruppo M.: la mancanza di autonomia della P.A. nella gestione di Bristol Hotel s.r.l. e la riconducibilità di tutte le operazioni relative a detta gestione allo stesso M., rende del tutto inverosimile, rileva ancora la Corte distrettuale, che P. potesse autonomamente determinarsi a sottoscrivere dei moduli in bianco.

Rilievi di segno analogo sono delineati dalle conformi sentenze di primo grado. Quella deliberata nel procedimento principale, in particolare, ha sottolineato i collegamenti e le cointeressenze tra le società che prestavano le fideiussioni e quelle a favore delle quali le garanzie erano prestate, le une e le altre riconducibili a M.A., il che rende ragione della funzionalità di tutte le operazioni alla mutua e reciproca garanzia di società formalmente facenti capo a soggetti diversi, ma sostanzialmente nella titolarità di un solo “burattinaio”, ossia, appunto, M.A.. Il giudice di primo grado – oltre a richiamare la testimonianza di c.d., funzionario della Banca Popolare dell’Irpinia, che ha riferito dell’invio delle fideiussioni alla P.A., anche quale responsabile di Bristol Hotel – ha fatto riferimento alle raccomandate del 22/06/1992 indirizzate dalla banca alla fallita, a P. e a M. (e debitamente recapitate ai destinatari) con le quali si comunicava l’importo pari a 70 miliardi di lire delle fideiussioni, in ossequio al disposto di cui alla L. n. 154 del 1992, art. 10: il che, nel percorso argomentativo del giudice di merito, conferma che nessun abuso fu posto in essere dalla banca, che la materiale stipula delle fideiussioni del 02/12/1993 altro non rappresentava se non la formalizzazione di una decisione già assunta e di cui gli imputati erano stati portati a conoscenza, in assenza di alcuna contestazione da parte loro. Del resto, all’esito delle indagini scaturite dalle denunce degli imputati, il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Avellino, con decreto del 28/04/2000, ha disposto l’archiviazione del procedimento.

5.2. A fronte degli elementi valorizzati dai giudici di merito e delle valutazioni, immuni da cadute di conseguenzialità logico-argomentativa, articolate sulla base di essi, i ricorrenti, su un piano generale, muovono dalla considerazione dei vari elementi di prova in una prospettiva atomistica ed indipendente dal necessario raffronto con il complessivo compendio probatorio valorizzato dalle concordi pronunce di merito (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012 – dep. 20/11/2012, Cimini, Rv. 254274), laddove è solo l’esame di tale compendio entro il quale ogni elemento è contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008 – dep. 06/05/2008, Ferdico, Rv. 239789), posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, così che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere provato il fatto (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992 – dep. 04/06/1992, P.M., p.c., Musumeci ed altri, Rv. 191230).

5.3. Ciò premesso, il primo motivo del ricorso nell’interesse di P.A. non merita accoglimento.

La ricorrente critica il rilievo della Corte di appello circa la contraddittorietà delle versioni fornite nelle diverse sedi richiamando, per un verso, quanto dedotto in sede di opposizione al decreto ingiuntivo in ordine al rilascio in bianco delle fideiussioni e il contenuto delle denuncia della P.A., nella quale la stessa assumeva di essere truffata: tuttavia, il dato tratto dall’opposizione al decreto ingiuntivo e puntualmente richiamato dalla sentenza impugnata (pag. 75: “… tutte le richiamate fideiussioni sono state estorte dalla Banca Popolare dell’Irpinia…”) non è oggetto di denuncia di travisamento dell’informazione probatoria che dallo stesso il giudice di merito ha ricavato, essendosi la ricorrente limitata ad addurre altri dati contrastanti con esso, il che, all’evidenza, non inficia il rilievo della Corte di appello circa la contraddittorietà delle versioni fornite dalle difese nelle varie sedi. Rilievo, questo, riferibile anche alla denuncia presentata da M. pure richiamata dal motivo in esame, mentre le deduzioni circa il contenuto delle deposizioni dibattimentali non scalfiscono la valenza del dato documentale valorizzato dalla sentenza impugnata.

Inammissibile è la doglianza che investe il rilievo della sentenza impugnata secondo cui P. agiva sotto l’egida del marito M.A.: la valutazione sul punto del giudice di appello non può essere disgiunta dalla considerazione del complesso delle operazioni fideiussorie relative a quello che il giudice di appello ha indicato come c.d. gruppo M., sicchè sul punto il ricorso risulta del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849). Gli ulteriori rilievi del ricorso volti ad accreditare la tesi dell’abusivo riempimento in bianco da parte dei funzionari bancari degli atti fideiussori incentrati, in particolare, sulla relazione interna del giugno 1994 e sulla deduzione di una pregressa fideiussione per il valore di 35 miliardi di lire omettono di confrontarsi con gli specifici elementi valorizzati dai giudici di merito, elementi tratti da dati probatori anteriori (le raccomandate del 22/06/1992, incontrovertibilmente ricevute dagli imputati) e successivi (la sottoscrizione, in data 01/07/1994, di un atto di costituzione in pegno delle quote della fallita in favore della Banca Popolare dell’Irpinia) al perfezionamento delle fideiussioni in questione, risolvendosi – anche alla luce della già evidenziata lettura frazionata del compendio probatorio – in censure inidonee a disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516). Privi di consistenza sono i riferimenti all’estraneità della fideiussione all’oggetto sociale della fallita, posto che, come evidenziato dalla Corte distrettuale, Bristol Hotel s.r.l. era una delle “scatole vuote” del c.d. Gruppo M. all’interno delle quali transitavano beni immobili acquistati e che, come sottolineato dalla sentenza di primo grado, i vari acquisti di immobili esulavano completamente dall’oggetto sociale della fallita.

Nel resto, le censure risultano manifestamente inconferenti (ad esempio, quella relativa all’invalidità delle fideiussioni omnibus, a fronte della ricostruzione dei giudici di merito circa la riconducibilità della fideiussione in questione alle modifiche normative intervenute in materia, così come quella concernente la prospettata discrasia tra le conclusioni del giudice di primo e quello di appello, che ha svolto argomentazioni funzionali a dar conto dell’infondatezza dei motivi di gravame) ovvero (quelle relative a prospettate incongruenze nell’operato della banca creditrice) integranti doglianze di merito, volte a sollecitare una rivisitazione, esorbitante dai compiti del giudice di legittimità, della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati ed immune da vizi logici. Del tutto generica è la invocata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, il cui oggetto – l’acquisizione delle fideiussioni – non risulta puntualmente correlato alla finalità probatoria perseguita, tanto più che, come dedotto dallo stesso ricorrente, uno degli originali delle stesse è stato acquisito in primo grado.

5.4. Anche il nono motivo del ricorso nell’interesse di M.A. non merita accoglimento. Esso riprende in larga misura censure già esaminate a proposito del ricorso nell’interesse di P.: pertanto, quanto alla diffusa riproposizione delle deduzioni circa le attività illecite attribuite a funzionari della Banca Popolare dell’Irpinia (comprese quelle relative alle dichiarazioni del teste c.), alla doglianza incentrata sui rapporti tra i due ricorrenti all’epoca e alle censure in merito alla contraddittorietà delle versioni fornite nelle diverse sedi dalle difese valgono i rilievi già esposti nei precedenti paragrafi. Con particolare riferimento alla doglianza incentrata sulla fideiussione pari a 35 miliardi di lire, deve rilevarsi che la Corte distrettuale fa riferimento a “plurime garanzie fideiussorie” e alla circostanza che garanzie del medesimo importo erano state rilasciate anche dalle persone fisiche e da altre società del gruppo, rilievo con il quale il ricorrente non si confronta specificamente, il che, considerato il contesto di intreccio tra le plurime posizioni debitorie e di garanzia di persone fisiche e giuridiche, attribuisce alla censura profili di genericità. A ciò si aggiunga che la sentenza di primo grado richiama la fideiussione per 35 miliardi prestata da Departures in favore della Banca Popolare dell’Irpinia a garanzia delle obbligazioni di Società Agricola San Giuseppe (pure rientrante nel reticolo societario di M.), aggiungendo che, in forza della fideiussione del 02/12/1993, la fallita era garante – oltre che delle esposizioni debitorie dirette di Departures – anche, quale fideiussore del fideiussore, delle esposizioni che tale società aveva nei confronti della Cooperativa Agricola San Giuseppe: rilievo, questo, che conferma l’aspecificità della doglianza. Le ulteriori doglianze incentrate su deduzioni logiche (in particolare, sulla credibilità della prospettazione della tesi dell’estorsione) o su “parallelismi” con altre vicende articolano, al più, questioni di merito, laddove le dichiarazioni del figlio Me.Mo. sono state ritenute inattendibili dai giudici di merito con valutazione incensurabile sul piano logico-argomentativo. La censura sulla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è del tutto generica e, comunque, manifestamente infondata posto che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, mentre, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità dell’imputato (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013 – dep. 12/03/2014, Coppola, Rv. 259893; conf.: Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013 – dep. 17/07/2013, Trecca, Rv. 257741): il che vale a fortiori nel caso di specie considerando quanto già rilevato in ordine all’acquisizione di uno degli originali della fideiussione in primo grado.

5.5. Il nono motivo del ricorso nell’interesse di M.A., infine, richiama l’orientamento espresso da Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493, secondo cui, nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento, in qualità di evento del reato, deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo. Anche sotto questo profilo il ricorso non merita accoglimento, dovendosi ribadire il consolidato orientamento in forza del quale l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805). Del resto, come questa Corte ha avuto modo più volte di osservare, molteplici sono gli argomenti che confermano l’orientamento consolidato, mettendo in luce i vari profili di infondatezza della ricostruzione offerta dalla sentenza Corvetta, argomenti che, in questa sede, è sufficiente ripercorrere in parte e in estrema sintesi: il dato normativo, per il quale la rilevanza del rapporto causale tra condotta e dissesto è previsto per le sole fattispecie di bancarotta impropria L. Fall. , ex art. 223, comma 2; il carattere di mero paralogismo dell’affermazione che il fallimento è l’evento del reato; la del tutto problematica ipotizzabilità di un rapporto causale tra dissesto e fatti di bancarotta documentale (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi; Sez. 5, n. 32031 del 07/05/2014, Daccò; Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi).

  1. Gli ulteriori motivi (primo, secondo, terzo, quarto e ottavo) proposti dal ricorso nell’interesse di M.A. in ordine ai fatti di bancarotta patrimoniale sono solo in parte fondati.

6.1. La Corte distrettuale ha confutato l’argomento difensivo secondo cui gli atti di alienazione erano intervenuti prima della notifica del decreto ingiuntivo di Banca Popolare dell’Irpinia (gennaio 1996) e quindi non potevano dirsi orientati a frustrare le ragioni creditorie, sulla base di plurimi argomenti. Rileva, in primo luogo, il giudice di appello, che gli atti di alienazione erano prossimi, coevi o addirittura successivi alla dichiarazione di fallimento e che presentavano un contenuto singolare almeno per ciò che riguarda le modalità di pagamento: invero, nessuno degli atti di vendita indicava l’esistenza e l’entità del debito contratto da Bristol Hotel s.r.l. per l’acquisto dei vari cespiti (nè la permanenza del debito al momento della cessione del medesimo cespite), garanzie reali o personali eventualmente prestate dalla debitrice o da terzi, l’accollo del debito pregresso da parte dell’acquirente, laddove, al contrario, gli atti pubblici di trasferimento riportavano sempre che il prezzo di vendita concordato era già stato ricevuto dalla venditrice, ossia da Bristol Hotel s.r.l., che, proprio per questo, rilasciava quietanza liberatoria di saldo con rinuncia all’ipoteca legale. Rileva inoltre la sentenza impugnata che i relativi dati contabili erano inaffidabili, sia con riguardo all’acquisto dei cespiti, sia con riguardo alla cessione degli stessi, mentre il carattere fraudolento delle alienazioni trova conferma nei collegamenti personali e societari esistenti tra la cedente Hotel Bristol s.r.l. e i soggetti acquirenti (sia immediati, che successivi) e nella retrocessione di alcuni dei beni ceduti a soggetti – persone fisiche o giuridiche – collegati ad M.A., tanto più, osserva ancora la Corte di appello, che lo stato di sofferenza si era già manifestato il 30/09/1994 con l’istanza di fallimento di Rhoss s.p.a. (istanza, precisa la sentenza di primo grado, relativa a un credito superiore ai 40 milioni di lire fondato su una sentenza irrevocabile, per il quale solo il 05/07/1996 intervenne la desistenza a fronte dell’avvenuto deposito giudiziario di una somma pari a 35 milioni). L’argomento difensivo secondo cui gli atti di cessione non avevano recato pregiudizio ai creditori, perchè gli acquirenti, quale adeguato corrispettivo, avevano assunto il debito a suo tempo contratto da Hotel Bristol per l’acquisto dei singoli cespiti (sicchè, al più, sarebbe configurabile una bancarotta preferenziale) è confutato dalla sentenza impugnata richiamando il già evidenziato contenuto singolare degli atti di alienazione e sottolineando come sia inverosimile e fuori da qualsiasi logica la tesi difensiva che presuppone l’accollo di un debito di cui non vi è alcuna traccia. Rimarcato il carattere del tutto oscuro dei dati contabili, il giudice di appello sottolinea come lo stesso atto di acquisto da parte di Hotel Bristol degli immobili in (OMISSIS) (fatti sub d) dell’imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale) riporti che solo una parte del prezzo veniva corrisposto in titoli (senza alcuna specificazione della loro natura, scadenza e importo di ciascuno) mentre altra, consistente, parte pari a 600 milioni di lire, viene indicata come versata in contanti. La tesi della bancarotta preferenziale, osserva ancora il giudice di appello, è smentita dai dati documentali richiamati, ossia dal contenuto dei singoli atti traslativi. Nella parte relativa alle imputazioni a carico della P.A., la sentenza impugnata, inoltre, ha, come si è visto, evidenziato l’estraneità dell’attività e delle operazioni della fallita al proprio oggetto sociale, il suo costituire una “scatola vuota” che ha finito con l’assumere la funzione di contenitore di beni immobili (significativamente mai adibiti ad attività turistico-ricreative) e di organismo utilizzato per la prestazione di garanzie nell’ambito di operazioni di credito definite dalla Corte di appello civile “spericolate”.

Ulteriori elementi sono valorizzati dalla sentenza di primo grado, che si integra con quella conforme di appello (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 – dep. 05/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145), ove si rimarca come nessun incasso sia mai stato contabilizzato, neppure delle somme indicate nelle scritture di trasferimento. Rileva ancora il Tribunale di Salerno che alla fine del 1995 (ma l’avvio delle procedure di rientro da parte della Banca Popolare dell’Irpinia delle esposizioni del “gruppo” M. è ovviamente anteriore) la banca, sotto la spinta delle ispezioni della Banca d’Italia, fu costretta ad agire per far valere le garanzie fideiussorie prestate, tra le altre, da Bristol Hotel, sicchè si rese necessario per M. adottare le “contromisure volte a contrastare il pericolo che l’intero patrimonio immobiliare” andasse “disperso” (ossia, divenisse oggetto delle azioni esecutive dei creditori): in tale contesto si collocano “i trasferimenti succedutisi in maniera vorticosa” inizialmente in favore di società facenti formalmente capo a membri della famiglia (come Me.Mo.) o congiunti (come il cugino R.A.) o a uomini di fiducia ( C.C.) e successivamente, “per offuscarne ulteriormente la provenienza”, ad altri soggetti cooptati nel circuito criminoso (in particolare, Ma.An. e F.), trasferimenti tutti “funzionali a paralizzare l’azione della Banca e ad evitare, in generale, l’aggressione da parte dei creditori”, che, sottolinea il giudice di primo grado, non si esaurivano nella Banca Popolare dell’Irpinia, ma comprendevano, oltre a Rhoss s.p.a., gli uffici finanziari per mancato versamento dell’IVA per 130 milioni, il Banco di Napoli, M.E. quale amministratore di Dalmar, società venditrice degli immobili di (OMISSIS), la Camera di Commercio. La sentenza di primo grado ha, inoltre, esaminato, disattendendola, la tesi difensiva incentrata sulla prospettazione del rilascio di effetti emessi quale corrispettivo degli acquisiti da parte dei Bristol Hotel s.r.l., effetti poi ritirati presso i venditori dalla società che avevano poi successivamente rilevato gli immobili da Bristol Hotel e avevano provveduto al pagamento: al riguardo, la sentenza di primo grado rileva che, a parte la vicenda dei fabbricati di (OMISSIS), la tesi è del tutto priva di riscontro, poichè per gli acquisti degli altri beni da parte della società poi fallita non risulta contabilmente alcun pagamento e, quanto ai fabbricati di (OMISSIS), il dato contabile è oscuro non potendosi comprendere il significato dell’espressione “ritirati dall’acquirente”, di che tipo di effetti si tratti, chi li abbia sottoscritti, se, quando e da chi siano stati ritirati. Sottolinea ancora il Tribunale di Salerno che gli effetti non sono mai stati sottoposti all’esame degli organi fallimentari o dell’autorità giudiziaria.

6.2. A fronte degli elementi valorizzati e degli argomenti sviluppati dalle conformi sentenze di merito, il primo motivo è solo in parte fondato.

Quanto alle doglianze relative all’epoca delle alienazioni e al rapporto delle stesse con lo stato di insolvenza di Hotel Bristol s.p.a., i giudici di merito hanno fatto riferimento alla manifestazione di insolvenza connessa all’avvio delle azioni di recupero da parte della Banca Popolare dell’Irpinia (in epoca anteriore alla fine del 1995), nonchè all’istanza di fallimento di Rhoss s.p.a. del 30/09/1994, istanza rispetto alla quale la desistenza è intervenuta a quasi due anni di distanza (il 05/07/1996): nei termini indicati, la collocazione operata dalla sentenza impugnata delle operazioni di cui all’imputazione in una fase in cui le manifestazioni di insolvenza si erano già realizzate non è inficiata, sul piano logico-argomentativo, dai rilievi del ricorrente. Del resto, la sentenza di primo grado nel processo principale (p. 44) richiama le dichiarazioni rese da Ma.An., secondo cui M.A., nel proporre le varie operazioni di acquisizione poi realizzate, gli aveva rappresentato di trovarsi in “gravi difficoltà economiche”.

Nè meritano accoglimento le censure relative all’individuazione dei corrispettivi delle alienazioni: fermi i rilievi formulati supra in ordine alla problematica ricostruzione di alcuni dei fatti di bancarotta patrimoniale in termini distrattivi, la sentenza impugnata ha richiamato plurimi elementi a sostegno del carattere fraudolento dei fatti di bancarotta, quali il contenuto singolare degli atti di vendita nessuno dei quali indicava l’esistenza e l’entità del debito contratto da Bristol Hotel s.r.l. per l’acquisto dei vari cespiti (nè la permanenza del debito al momento della cessione del medesimo cespite), le garanzie reali o personali eventualmente prestate dalla debitrice o da terzi, l’accollo del debito pregresso da parte dell’acquirente, laddove, al contrario, detti atti riportavano che il prezzo di vendita concordato era già stato ricevuto dalla venditrice: è dunque il rilievo dello specifico contenuto degli atti traslativi a rendere ragione, nel percorso argomentativo della Corte distrettuale, dell’infondatezza della tesi difensiva. A ciò si aggiunga che alla considerazione del contenuto singolare degli atti di vendita (che, di per sè solo considerato, priva di consistenza l’argomento del ricorrente circa gli obblighi nella stipula degli atti notarili introdotti dalla normativa del 2006), i giudici di merito affiancano ulteriori rilievi, quali la mancata esibizione, in qualsiasi sede, degli effetti utilizzati per le cessioni, la mancata contabilizzazione di alcun incasso (neppure delle somme indicate nelle scritture di trasferimento), l’inserirsi delle varie alienazioni nella “vorticosa” sequela di trasferimenti tra soggetti – individui e società – più o meno direttamente riferibili ad M.A.: il motivo, complessivamente valutato, omette di confrontarsi con l’apparato logico-argomentativo esibito dalle conformi sentenze di merito, risultando, per un verso, carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849) e, per altro verso, basato su un’erronea lettura atomistica del compendio probatorio. Il che, in particolare, priva di consistenza le censure, comunque del tutto generiche, circa la riconducibilità delle operazioni in questione al genus delle operazioni infragruppo. Nè in senso contrario può argomentarsi sulla base delle ulteriori doglianze del ricorrente: quella che investe la considerazione della Corte di appello circa la sopravvenuta indisponibilità del capitale della fallita a seguito del pegno sulle relative quote concesso alla Banca Popolare dell’Irpinia è all’evidenza inidonea a disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011 – dep. 15/11/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516), tanto più che il rilievo dei giudici di merito (in particolare, della sentenza di primo grado) circa la cessione delle quote che consentiva alla banca di partecipare alle assemblee che dovevano deliberare le cessioni deve essere posto in correlazione con la mancata approvazione assembleare che si registrava nella prassi di Bristol Hotel s.r.l., prassi che, quindi, vanificava il diritto della banca a partecipare alle assemblee della società: priva di fondamento, dunque, è l’affermazione del ricorrente secondo cui tale prassi sarebbe stata di giovamento ai creditori.

A diversa conclusione deve giungersi, invece, con riguardo alle censure relative alle connotazioni dei fatti di bancarotta (alienazioni simulate, senza il pagamento di alcun corrispettivo ovvero alienazioni effettive, ma a prezzo inferiore a quello congruo), censure che chiamano immediatamente in causa la questione relativa alla qualificazione dei fatti di bancarotta come distrattivi o come dissimulatori esaminata al par. 3: sotto questo profilo, la doglianza è fondata, poichè le sentenze di merito delineano un’alternativa irrisolta tra le due ricostruzioni dei fatti, funzionali, come si detto, alla qualificazione degli stessi. Resta, inoltre, assorbito il terzo motivo, che investe la qualificazione dei fatti in termini distrattivi e, dunque, anch’esso la questione ora richiamata.

6.3. Fermo quanto appena rilevato nonchè le conclusioni raggiunte in ordine alle imputazioni sub e) e h) in sede di esame del ricorso nell’interesse di Ma.An., il secondo motivo è inammissibile per genericità: il ricorrente omette di confrontarsi con il compendio probatorio e con l’apparato argomentativo esibito dai giudici di merito, sicchè, fatta salva, appunto, la necessità di una più puntuale ricostruzione dei singoli fatti in ordine al carattere simulato o meno delle alienazioni, la tesi difensiva basata sulla lettura alternativa secondo cui la società aveva ceduto gli immobili a società collegate, che pagano o si accollano i debiti contratti per l’acquisto, risulta, proprio sul punto concernente il pagamento o l’accollo dei debiti da parte dei soggetti acquirenti, fondata su una lettura atomistica e frazionata dei dati valorizzati dai giudici di merito. Del pari inammissibile è il quarto motivo, che, oltre a riproporre gli argomenti – già disattesi – incentrati sulla tecnica di redazione degli atti notarili e sulla normativa del 2006, ripropone la tesi esaminata dal giudice di appello: da un lato, si afferma che il rilascio di effetti “può ben essere avvenuto prima del rogito”, così, dunque, facendo leva, sostanzialmente, su una congettura comunque del tutto priva di correlazione critica con gli elementi e con gli argomenti valorizzati dai giudici di merito; dall’altro, si assume la regolare annotazione nelle scritture contabili, evenienza, questa, esclusa dai giudici di merito con motivazione in linea con i dati probatori richiamati ed esente da cadute di conseguenzialità logica.

6.4. L’ottavo motivo articola promiscuamente censure diverse, pur se riconducibili alla sussistenza dei fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestati. Non meritano accoglimento le censure relative alla conoscenza dell’insolvenza, posto che, con motivazione esente da vizi logico-argomentativi, la Corte di appello ha collocato le vendite nel contesto delle operazioni di rientro avviate dalla Banca Popolare dell’Irpinia dopo l’ispezione della Banca d’Italia: rilievo, questo, rafforzato dalle già richiamate dichiarazioni di Ma.An. in ordine alle “gravi difficoltà economiche” in cui, a dire di Me.An., quest’ultimo si trovava. Del tutto generiche sono poi le doglianze incentrate sulla liquidità di cassa e sul valore dell’unico immobile rimasto nel patrimonio della fallita, mentre per quelle relative al rilascio delle fideiussioni valgono i rilievi sopra formulati a proposito del nono motivo di ricorso. Le censure relative al rilievo concernente la provenienza delle disponibilità del ricorrente investe un profilo all’evidenza non incidente sul nucleo essenziale della ratio decidendi mentre quelle afferenti al dedotto patto di non utilizzo deducono, al più, inammissibili questioni di merito.

La censura relativa al dedotto mancato riconoscimento in sede giudiziaria del credito sotteso alla fideiussione non merita accoglimento. La conclusione delle conformi sentenze di merito circa le fideiussioni sottoscritte da P.A. per conto della fallita (anche nella veste di fideiussore di altre società del c.d. gruppo M.) e in favore della Banca Popolare dell’Irpinia rende ragione, di per sè sola, dell’esistenza di una – assai rilevante – posizione debitoria di Hotel Bristol s.r.l. nel contesto in cui furono perfezionate le varie alienazioni in esame, laddove i provvedimenti giudiziari resi nella varie sedi civili sono dedotti dal ricorrente in termini del tutto generici, senza alcuna puntuale indicazione delle ragioni ad essi sottostanti. Nei termini indicati, la censura proposta perde di autonoma valenza rispetto alle conclusioni raggiunte in ordine all’infondatezza delle doglianze relative alla formazione delle fideiussioni, tanto più che le garanzie reali provenienti da altre società del gruppo non rendevano “nullo” il valore delle fideiussioni della fallita, tanto è vero che analoghe fideiussioni erano state chieste anche alle persone fisiche. La posizione debitoria di Hotel Bristol s.r.l. nei confronti della Banca Popolare dell’Irpinia – alla quale si ricollegano le fideiussioni prestate – è del tutto idonea ad integrare gli “indici di fraudolenza” necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio della società funzionale, a sua volta, ad assicurare la garanzia dei suoi creditori. Rilievo, questo afferente al piano della sussistenza della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che, come si vedrà, non esclude la rilevanza delle vicende del rapporto tra la fallita e la Banca Popolare dell’Irpinia sul diverso piano della sussistenza della fattispecie circostanziale di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1. In questo senso, anche le ulteriori censure circa le garanzie reali dalle quali sarebbero stati assistiti i debiti delle altre società del c.d. gruppo M. non colgono nel segno, posto che comunque non inficiano le conclusioni dei giudici di merito in ordine alle fideiussioni che gravavano sulla fallita.

Devono invece essere accolte, le censure relative al rapporto con Ma.An.: viene in rilievo, anche al riguardo, la questione relativa alla specifica qualificazione dei vari fatti di bancarotta in esame, questione decisiva allo scopo di valutare la rilevanza dell’epoca alla quale risale il rapporto stesso. Restano assorbite le ulteriori doglianze circa la distrazione dei beni in questione.

  1. Il settimo motivo del ricorso nell’interesse di M.A., relativo all’aggravante del danno di rilevante gravità (e all’attenuante di cui alla L. Fall., art. 219, u.c.), deve essere accolto, nei termini di seguito indicati.

Mentre il più risalente orientamento della giurisprudenza di questa Corte ancorava la sussistenza della fattispecie circostanziale di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1, alla sola entità del passivo (Sez. 5, n. 5927 del 21/11/1989 – dep. 24/04/1990, Piras, Rv. 184139), l’orientamento oggi del tutto prevalente è nel senso che, mentre la bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo e non richiede – nell’azione del fallito – la dimostrazione di un danno reale ai creditori, essendo integrata anche soltanto con la mera messa in pericolo degli interessi creditori, senza necessità di un pregiudizio, questo – ove sussistente in termini di rilevante gravità – può integrare l’aggravante in esame (Sez. 5, n. 11633 del 08/02/2012 – dep. 26/03/2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307). In questa prospettiva, si è affermato che, ai fini dell’applicazione, della L. Fall., art. 219, “la valutazione del danno va effettuata con riferimento non all’entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, bensì alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta; pertanto, il giudizio relativo alla particolare tenuità – o gravità – del fatto non si riferisce al singolo rapporto che passa tra fallito e creditore ammesso al concorso, nè a singole operazioni commerciali o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posta in relazione alla diminuzione – non percentuale ma globale – che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti” (Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000 – dep. 23/11/2000, Di Muni, Rv. 217403; conf. Sez. 5, n. 8690 del 27/04/1992 -dep. 04/08/1992, Bertolotti, Rv. 191565). Infatti, la L. Fall., art. 219 “in funzione aggravante o attenuante considera il danno patrimoniale, il quale, ancorchè misurato al tempo del fallimento, è solo quello che consegue ai fatti di bancarotta” (Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi). Tale orientamento si è poi consolidato ribadendo il principio di diritto in forza del quale, in tema di reati fallimentari, l’entità del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell’attivo, ed indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo (Sez. 5, n. 49642 del 02/10/2009 – dep. 28/12/2009, Olivieri, Rv. 245822; conf. Sez. 5, n. 8037 del 03/06/1998 -dep. 07/07/1998, Urso G, Rv. 211637; Sez. 5, n. 13285 del 18/01/2013 – dep. 21/03/2013, Pastorello, Rv. 255063). Affermazione, quest’ultima relativa alla configurabilità della circostanza aggravante sulla base dell’entità del danno provocato dal fatto di bancarotta e indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo, che merita una puntualizzazione: essa, infatti, mette in luce come la circostanza aggravante possa essere integrata anche in presenza di un danno derivante dal fatto di bancarotta che, pur essendo, in sè considerato, di rilevante gravità, rappresenti una frazione “non rilevante” del passivo globalmente considerato. La medesima affermazione, tuttavia, non può essere intesa – come mostra di aver fatto la Corte distrettuale – nel senso che la circostanza aggravante sia configurabile in presenza di un fatto di bancarotta pur, in sè, di rilevante gravità quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, senza, tuttavia, che il pregiudizio in capo ai creditori, complessivamente considerato sia esso stesso di rilevante gravità: un’interpretazione del genere, invero, priverebbe la circostanza di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1, della sua connotazione di fattispecie di danno e non di pericolo. Se, dunque, per la particolare condizione patrimoniale della fallita, da un fatto di bancarotta patrimoniale di rilevante gravità non è derivato un danno – anch’esso – di rilevante gravità, la fattispecie circostanziale non può dirsi integrata.

Rilevata la carenza motivazionale della sentenza impugnata, la verifica circa la riconoscibilità, nel caso di specie, dei requisiti della circostanza aggravante implica accertamenti di merito (con riguardo, in particolare, all’incidenza del credito della Banca Popolare dell’Irpinia connesso alla fideiussione per 70 miliardi di lire – in base al quale è stato dichiarato il fallimento di Bristol Hotel – in relazione al pregiudizio, complessivamente considerato, in capo ai creditori) preclusi a questa Corte, sicchè, anche in parte qua, la sentenza deve essere annullata con rinvio.

Come si è anticipato a proposito dell’imputazione di bancarotta documentale, l’annullamento con rinvio quanto alla sussistenza della circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1, preclude qualsiasi verifica in ordine alla eventuale irrevocabilità di tutti i capi relativi ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale (e, può anticiparsi, in ordine all’imputazione di fallimento causato da operazioni dolose ascritta a P.).

  1. Gli ulteriori motivi proposti dal ricorso nell’interesse di P.A. sono solo in parte fondati.

8.1. In premessa, mette conto segnalare che la sentenza impugnata ha ricostruito le vicende del giudizio civile relativo alla declaratoria di fallimento di Hotel Bristol s.r.l., anche richiamando i dati riportati dalla sentenza di primo grado. Da quest’ultima si apprende che l’opposizione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento del 09-10/12/1996 era stata, in un primo momento, accolta dal Tribunale di Salerno con sentenza del 03/12/2003, pronuncia, questa, poi riformata dalla Corte di appello con sentenza depositata il 14/11/2006, che aveva dunque rigettato l’opposizione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento: la Corte di appello, infatti, aveva ritenuto la sussistenza di tutti i presupposti per la declaratoria di fallimento, rilevando, in particolare, che, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale, la garanzia azionata dalla banca non era nè invalida, nè inefficace e tanto mento poteva ritenersi che fosse stata estorta alla P.A.. Dalla sentenza impugnata, poi, si apprende che la citata sentenza della Corte di appello di Salerno del 06/06/2006, depositata il 14/11/2006, è divenuta irrevocabile a seguito della sentenza n. 19551 del 26/08/2013 di questa Corte, il che, osserva la sentenza in esame, ha definitivamente sancito la legittimità della dichiarazione di fallimento.

8.2. Ciò premesso, il secondo motivo non merita accoglimento. La tesi circa la sostanziale inesistenza del credito vantato oblitera gli esiti – definitivi – della vicenda civile relativa alla declaratoria di fallimento, laddove, in ordine ai requisiti oggettivi del reato e, segnatamente, al nesso di casualità, la Corte distrettuale ha rilevato che la garanzia prestata con la fideiussione del 02/12/1993 era assolutamente esorbitante rispetto non solo al capitale sociale, ma anche all’effettivo patrimonio di Bristol Hotel s.r.l. e, nei fatti, rispondeva solo alla logica speculativa imposta dai collegamenti e dagli intrecci esistenti tra la società stessa e le altre società e le persone fisiche tutte riconducibili ad M.A.; d’altra parte, l’attività di Bristol Hotel, nella piena consapevolezza di P.A. che ne era amministratore, aveva finito per assolvere alla funzione di “contenitore” di beni immobili utilizzati per la prestazione di garanzie nell’ambito di operazioni di credito definito dalla Corte di appello in sede civile “spericolate”: risulta, pertanto, evidente, rileva ancora la sentenza impugnata, la sussistenza del rapporto di causalità tra l’operazione posta in essere dall’imputata e il successivo fallimento della società, determinato proprio dalla messa in esecuzione, da parte della Banca Popolare dell’Irpinia, della garanzia prestata. Nei termini indicati, la motivazione della sentenza impugnata è esente dai vizi denunciati: la riconducibilità, sotto il profilo eziologico, del fallimento alla fideiussione in favore del creditore istante rilasciata, per conto della società, dall’imputata è univocamente dimostrata dai rilievi delle concordi sentenze di merito, mentre la prospettata valenza delle condotte distrattive ascritte ad altri amministratori non neutralizza, già sul piano logico, il dato rappresentato dal fatto che, come incisivamente affermato dalla sentenza di primo grado, l’operazione ascritta a P. ha determinato il dissesto della società, costituendo il debito fideiussorio l’unico posto a base della dichiarazione di fallimento. Anche il terzo e il quarto motivo, che, attenendo entrambi all’elemento psicologico del reato, possono essere esaminati congiuntamente, non meritano accoglimento. La sentenza impugnata ha dato conto del carattere del tutto esorbitante della garanzia fideiussoria nonchè degli intrecci e dei collegamenti esistenti tra società e individui facenti capo ad M.A., nonchè della funzionalizzazione delle stesse ad operazioni di credito “spericolate”, il che rende ragione della riconoscibilità dell’elemento psicologico del reato.

8.3. Il sesto motivo, relativo alle circostanze (aggravanti e attenuanti) del danno L. Fall. , ex art. 219, è solo in parte fondato.

8.3.1. La ricorrente, in primo luogo, censura, sia pure in termini privi di particolare approfondimento, l’applicabilità della circostanza aggravante del danno di rilevante gravità alle fattispecie L. Fall. , ex art. 223. La censura è manifestamente infondata, in quanto, superando l’indirizzo espresso da un’isolata pronuncia di segno contrario (Sez. 5, n. 8829 del 18/12/2009 – dep. 05/03/2010, Truzzi, Rv. 246154), del tutto consolidato è, nella giurisprudenza di questa Corte il principio di diritto in forza del quale, in tema di reati fallimentari, la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1, è applicabile alle ipotesi di bancarotta impropria previste dalla L. Fall., art. 223, commi 1 e 2 (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010 – dep. 07/05/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 247320; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 2903 del 22/03/2013 – dep. 22/01/2014, P.G. e Venturato, Rv. 258446, in relazione a fattispecie L. Fall. , ex art. 223, comma 2, Sez. 5, n. 10791 del 25/01/2012 – dep. 19/03/2012, Bonomo e altro, Rv. 252009; Sez. 5, n. 18695 del 21/01/2013 – dep. 26/04/2013, Liori, Rv. 255839; Sez. 5, n. 38978 del 16/07/2013 – dep. 20/09/2013, Fregnan, Rv. 257762).

8.3.2. Le censure relative alla sussistenza, nel caso di specie, degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale, invece, devono essere accolte per le ragioni indicate al par. 7 a proposito del ricorso di M.A., assorbenti rispetto agli ulteriori rilievi della ricorrente.

  1. Il ricorso proposto nell’interesse di Me.Mo. è solo in parte fondato.

9.1. Il sesto motivo, dal quale occorre prendere le mosse in ordine di priorità logico-giuridica, è inammissibile. In premessa, mette conto rilevare che, adducendo l’impedimento dell’imputato a comparire all’udienza del 18/12/2007, la difesa aveva chiesto non già il rinvio dell’udienza stessa, ma solo il differimento dell’esame dello stesso Me.Mo., mentre le censure articolate attraverso il motivo in esame investono, da un lato, l’ordinanza dibattimentale resa all’udienza del 18/12/2007 che aveva revocato l’ammissione di tale mezzo di prova e, dall’altro, la valutazione della Corte di appello, che ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale indispensabile per poter procedere all’esame dell’imputato. Ciò premesso, il motivo è inammissibile, posto che il ricorrente neppure deduce di avere immediatamente eccepito la nullità della revoca dell’ordinanza ammissiva, che resta altrimenti sanata (Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013 – dep. 20/12/2013, Abatelli, Rv. 257891; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015 – dep. 06/03/2015, Rizzello, Rv. 263210).

9.2. Il quinto motivo, complessivamente valutato, è inammissibile, per carenza di specificità. Esso, infatti, presenta una caotica esposizione delle doglianze, dal tenore confuso e scarsamente perspicuo (Sez. 2, n. 7801 del 19/11/2013 – dep. 19/02/2014, Hussien, Rv. 259063), articolando plurime censure relative a fatti di bancarotta (ad esempio, l’imputazione di bancarotta documentale, quella di bancarotta patrimoniale di cui punto d), concernente gli otto appartamenti ubicati a (OMISSIS)) per i quali il ricorrente non ha riportato condanna, il che rende ragione della complessiva aspecificità del motivo.

9.3 L’ottavo motivo non merita accoglimento: esso si fonda sull’orientamento espresso da Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, le cui argomentazioni sono già state confutate nell’esame del nono motivo del ricorso nell’interesse di M.A..

9.4. Il primo motivo, che attiene alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, deve essere accolto, nei termini di seguito indicati. Nella ricostruzione delle conformi sentenze di merito, Me.Mo. risponde quale concorrente extraneus del reato di bancarotta e, segnatamente, quale acquirente dei cespiti cui ai capi b) e c) a titolo di amministratore, rispettivamente di Immobiliare G.M.D. s.r.l. e di Azienda Agricola San Nicola Varco, cespiti poi rivenduti da F. subentrato in entrambe le cariche.

Al riguardo, questa Corte ha avuto modo più volte di affermare il principio di diritto in forza del quale, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016 – dep. 23/03/2016, Morosi, Rv. 267059; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 9299 del 13/01/2009 – dep. 02/03/2009, Poggi Longostrevi, Rv. 243162; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010 – dep. 29/04/2010, Fiume, Rv. 246879). I contenuti del dolo del concorrente extraneus non differiscono dunque da quelli dell’intraneus, rispetto ai quali le Sezioni unite di questa Corte hanno di recente ribadito che l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805). Ricostruito l’elemento psicologico della bancarotta fraudolenta patrimoniale in termini di dolo generico, i suoi specifici contenuti sono delineati dalla giurisprudenza di legittimità valorizzando la riconducibilità della fattispecie nel genus dei reati di pericolo concreto: il progressivo approfondimento della portata di tali contenuti ha condotto infatti questa Corte a ritenere che, per la sussistenza del dolo di bancarotta patrimoniale, sia necessaria “la rappresentazione da parte dell’agente della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice” (Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi). Lungi dall’esaurirsi nella rappresentazione e nella volizione del fatto distrattivo, dissipativo, dissimulatorio etc., il dolo di bancarotta investe anche la pericolosità di tali fatti rispetto alla preservazione della garanzia patrimoniale dei creditori: in questa prospettiva, “la “fraudolenza”, intesa come connotato interno alla distrazione, implica, dal punto di vista soggettivo, che la condotta di tutti coloro che si predica concorrono nella attività distrattiva risulti perlomeno assistita dalla consapevolezza che si stanno compiendo operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare danno ai creditori” (Sez. 5, n. 9807 del 13/02/2006, Caimmi, Rv. 234232, in motivazione). Consapevolezza, questa integrante il dolo di bancarotta in correlazione alla necessaria “fraudolenza” del fatto distrattivo, che non può comunque essere confusa con un dolo specifico, estraneo alla fattispecie in esame: invero, l’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione o per occultamento è il dolo generico e consiste nella “coscienza e volontà di compiere gli atti di distrazione o di occultamento, per i quali, sebbene abbiano la sostanza della frode, non è richiesto il fine specifico di recare pregiudizio ai creditori” (Sez. 5, n. 14905 del 25/02/1977, Marzollo, Rv. 137341). La pericolosità concreta del fatto di bancarotta patrimoniale, declinata in correlazione con la sua intrinseca “fraudolenza”, richiede che la relativa condotta “risulti assistita dalla consapevolezza di dare al patrimonio sociale o a talune attività una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori”, occorrendo, in altri termini, che l’agente, pur non perseguendo direttamente il danno dei creditori, “sia quantomeno in condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo (…), anche remoto ma concreto” (Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006, De Rosa, Rv. 233413, in motivazione). Se, dunque, sul piano dei contenuti del dolo la posizione del concorrente extraneus non differisce da quella dell’intranues, gli oneri motivazionali del giudice di merito, saldamente ancorati alla fattispecie concreta, possono risultare più gravosi in punto accertamento della consapevolezza di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori. E’ solo, dunque, sul terreno della adeguatezza della motivazione della decisione di merito che, sempre facendo puntuale riferimento alla fattispecie concreta, il dolo dell’extraneus può richiedere approfondimenti, appunto, motivazionali ulteriori rispetto a quelli relativi alla posizione dell’amministratore della fallita.

I rilievi che precedono rendono ragione della lacuna motivazionale della sentenza impugnata in merito alla sussistenza del dolo del reato contestato, fatto oggetto di specifica censura articolata con il gravame. Sul punto, il giudice di appello rimarca che, ai fini del dolo della bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, affermazione, questa, di per sè senz’altro esatta, che, tuttavia, non esaurisce la portata dell’accertamento rimesso al giudice di merito: come si è visto, in quanto afferente a un reato di pericolo concreto, caratterizzato dalla “fraudolenza” come connotato interno del fatto, tale accertamento deve dar conto della rappresentazione da parte dell’agente della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, della consapevole volontà del compimento di operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare un danno ai creditori, ossia, nel caso di specie, ai creditori della società alienante. D’altra parte, la Corte distrettuale sottolinea, anche con specifico riferimento alla posizione di Me.Mo., nonchè a quella di S.M. (e a quella di C.C.), la natura fittizia delle operazioni compravendita delle quali erano parti apparenti, il che ripropone la già esaminata questione dell’esatta configurazione dei fatti di bancarotta patrimoniale contestati, sicchè, anche sotto questo profilo la sentenza impugnata deve essere annullata. Da questo punto di vista, il terzo motivo, nella parte in cui denuncia la carente ricostruzione, da parte dei giudici di merito, dei connotati delle operazioni sotto il profilo della mancanza di corrispettivo ovvero della corresponsione di un prezzo vile, evoca il problema sopra evidenziato in ordine alla qualificazione del fatto in termini di distrazione ovvero di dissimulazione. Pertanto, assorbite le ulteriori doglianze (comprese quelle articolate con il quarto e il settimo motivo), la sentenza deve essere annullata.

9.4. Valgono per il secondo motivo i rilievi già formulati supra in ordine alla circostanza aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 1, che, peraltro, con riguardo alla posizione del ricorrente, come si è visto, non è decisiva ai fini dell’immediata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

  1. Anche nei confronti di S.M. – “secondo acquirente” dei cespiti sub a), b) e c) – la sentenza impugnata deve essere annullata nei termini di seguito indicati.

10.1. Come si è detto, la sentenza di appello dedica alcuni rilievi alla posizione di S.M. (assimilata a quelle di C.C. e di Me.Mo.) evidenziando che era consapevole di “ricevere beni per centinaia di milioni di lire dall’amministratore di fatto di Bristol Hotel”: i tre erano (come dagli stessi ammesso) erano privi di qualsiasi esperienza imprenditoriale, di autonomia decisionale e patrimoniale, erano dipendenti in tutto e per tutto dal volere di M.A. e, di conseguenza, avevano chiara, in quanto assolutamente evidente anche considerando che la dismissione dei cespiti avveniva immediatamente dopo il relativo acquisto, la natura fittizia delle operazioni di compravendita delle quali erano parti apparenti. La sentenza di primo grado (pag. 42) evidenzia come l’imputato fosse un prestanome di M., un agricoltore che non aveva alcuna possibilità economica di acquistare nel giro di poche settimane vari cespiti, cessioni avvenute senza corrispettivi.

10.2. Ciò premesso, il primo e il secondo motivo investono prevalentemente la configurabilità, nel caso di specie, del dolo, rispetto alla quale, riguardando la qualificazione del fatto, è comunque prioritaria la questione generale della configurabilità della fattispecie distrattiva ovvero di quella dissimulatoria. Peraltro, anche nella prospettiva accolta dai giudici di merito, che hanno qualificato in termini di distrazione i vari trasferimenti dei cespiti oggetto dei fatti di bancarotta patrimoniale, i rilievi svolti in precedenza in ordine alla motivazione del dolo del concorrente extraneus valgono a fortiori per gli imputati aventi causa, come S.M., non dalla fallita, ma dai “primi acquirenti” degli immobili.

  1. Il ricorso proposto nell’interesse di Ma.An. deve essere accolto nei termini di seguito indicati.

11.1. In ordine al primo, al secondo e al terzo motivo – tutti relativi ai capi b), c), d) e g) – viene in rilievo la questione della qualificazione dei fatti di bancarotta in termini di distrazioni o dissimulazioni. Nei motivi di gravame come risulta dalla stessa sintesi offertane dalla sentenza di appello – la difesa dell’imputato aveva dedotto, sia pure con riferimento ai capi b), c) e d) (ma, alla luce di quanto rilevato, con argomentazioni riferibili anche al capo g), che le alienazioni degli immobili di Bristol Hotel in favore di altre società del “gruppo M.” erano avvenute nel 1995, quando non erano iniziati i rapporti tra M.A. e Ma.An. e che il trasferimento ad altra società, per quanto appartenente al medesimo gruppo, già di per sè valeva ad impedire che i beni potessero confluire nell’attivo fallimentare, sicchè la fuoriuscita dei cespiti dal patrimonio della fallita non consentiva ai creditori di questa di aggredire i beni, il che esclude che Ma.An. abbia potuto, nel 1996, contribuire alla realizzazione dei fatti distrattivi. Alle specifiche doglianze dell’appellante la Corte distrettuale non ha dato congrua risposta, riproponendo, come si è visto la ricostruzione anfibologica delle vicende delineata, sotto il profilo della configurabilità delle contestate distrazioni, dalla sentenza di primo grado, il che, per un verso, come si è anticipato, preclude l’univoca qualificazione dei fatti di bancarotta in esame in termini di distrazione o di dissimulazione e, per altro verso, rende ragione del necessario accoglimento delle censure del ricorrente, che, ora in chiave di error in iudicando, ora lamentando vizi motivazionali, fanno leva sul rilievo della non configurabilità di autonome ipotesi di distrazione in relazione a condotte successive alla dedotta fuoriuscita dei beni dal patrimonio della fallita (primo motivo) e su dati probatori allegati come rilevanti ai fini della ricostruzione dei fatti e della prova del concorso (terzo motivo), nonchè sul mancato esame, da parte del giudice di appello, del motivo di gravame incentrato sulla prospettata autonoma e decisiva rilevanza della prima fuoriuscita dei beni dal patrimonio di Bristol Hotel (secondo motivo). Motivi, questi, che, pertanto devono essere accolti, restando assorbito il settimo motivo.

11.2. Anche il quarto e il quinto motivo devono essere accolti. Essi investono l’imputazione di bancarotta patrimoniale sub e), ossia la cessione, il 10/04/1996, di quattro appartamenti siti in (OMISSIS) a TMT Unitrading s.a., rappresentata dall’amministratore unico F.R.J.. Sul punto specifico, la sentenza di primo grado aveva esaminato la deduzione difensiva secondo cui, negli anni precedenti (1993 e 1994), Bristol Hotel aveva incassato l’importo complessivo di 780 milioni di lire da tale s.: alla data della cessione degli appartamenti, ha rilevato ancora il Tribunale di Salerno, nella contabilità della società fallita risultava la voce “giroconto caparra villette” per l’importo di 770 milioni di lire, ma, come evidenziato dal consulente del pubblico ministero, alla data del 10/04/1996 non è risultata alcuna movimentazione finanziaria effettiva dimostrativa del fatto che Bristol Hotel abbia incassato somme di denaro da tale compravendita, mentre tutte le annotazioni relative a somme incassate a titolo di caparra confirmatoria sono precedenti al trasferimento degli immobili alla società di Ma.An. e, comunque, del tutto generiche. Nei motivi di gravame come risulta dalla stessa sintesi offertane dalla sentenza di appello – la difesa dell’imputato aveva, tra l’altro, dedotto l’insussistenza dell’elemento materiale, in quanto, a fronte della pregressa vendita e dei versamenti registrati a nome di s.a., la cessione in esame era stata accompagnata dalla cessione del debito gravante sull’immobile, tanto è vero che s., originario creditore di Bristol Hotel, non aveva chiesto di essere ammesso al passivo. Le specifiche censure articolate con il gravame non sono state esaminate dalla Corte di appello, sicchè sussiste il vizio di mancanza di motivazione in quanto le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato sono prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività (Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 – dep. 22/01/2014, Dall’Agnola, Rv. 257967), vizio che, che, non essendo fondato su motivi esclusivamente personali al ricorrente Ma.An., è estensibile ex art. 587 c.p.p. , comma 1, ai coimputati M.A. e F.R.J..

11.3. Il sesto motivo, relativo all’imputazione di bancarotta patrimoniale sub h), deve parimenti essere accolto. Mentre la sentenza di primo grado si limitava a segnalare che la somma di circa 23 milioni dichiarata per la vendita dei beni non era stata rinvenuta, il gravame – nella stessa sintesi offertane dalla sentenza impugnata – denunciava le carenze motivazionali della sentenza di primo grado, anche con riguardo a quanto dichiarato da Ma.An., che aveva riferito trattarsi di un insieme di utensileria mai ricevuto. Anche sul punto, la sentenza impugnata omette qualsiasi riferimento al motivo di appello, che anch’esso estensibile ai coimputati M.A. e F.R.J. – deve essere accolto.

11.4. Anche l’ottavo motivo deve essere accolto, per le ragioni indicate supra al par. 7.

11.5. L’accoglimento dei motivi relativi alle varie imputazioni per le quali il ricorrente è stato dichiarato responsabile nei gradi di merito impone di ritenere assorbito il nono motivo relativo al diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, diniego la cui statuizione dovrà essere valutata all’esito dell’esame delle censure relative alle diverse imputazioni.

  1. Anche il ricorso proposto nell’interesse di F.R.J. deve essere accolto, nei termini di seguito indicati.

12.1. Muovendo, in ordine di priorità logico-giuridica, dal quarto motivo, esso non merita accoglimento. La Corte di appello ha osservato (con rilievo non contestato, in fatto, dal ricorrente) che l’eccezione di nullità per omesso invito a presentarsi per rendere interrogatorio a norma dell’art. 375 c.p.p. (nella formulazione all’epoca vigente dell’art. 416 c.p.p. ), non era stata proposta all’udienza preliminare, sicchè, trattandosi di nullità a regime intermedio, opera la preclusione di cui all’art. 182 c.p.p. , comma 2. Escluso che detta nullità sia riconducibile nel genus di quelle assolute (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 44159 del 01/10/2003 – dep. 19/11/2003, Duraccio, Rv. 226696, nonchè, con riguardo all’analoga disciplina ex art. 415 bis c.p.p., Sez. 2, n. 32901 del 09/05/2007 – dep. 14/08/2007, P.G. in proc. Batacchi, Rv. 237489), l’ulteriore tesi del ricorrente secondo cui l’eccezione poteva essere proposta fino alla sentenza di primo grado è smentita da quanto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui “devono essere tenuti distinti i limiti temporali di deducibilità delle nullità a regime intermedio di cui all’art. 180 c.p.p. da quelli per la formulazione dell’eccezione di cui all’art. 182 c.p.p. , comma 2: nel primo caso si individua uno spazio procedimentale nell’ambito del quale od oltre il quale è possibile “dedurre” o rilevare le nullità, nel secondo caso, invece, si stabilisce una correlazione temporale tra il compimento di un atto nullo e la relativa “eccezione” di parte; ciò significa non solo che in questo secondo caso la mancanza dell’eccezione consente al giudice di non “rilevare” la nullità di ordine generale, perchè essa deve intendersi sanata, ma anche che, pur non essendo ancora decorso lo spazio temporale di cui al citato art. 180, la nullità, essendo stata sanata, non può più essere “dedotta”” (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011 – dep. 01/06/2011, Scibè).

12.1. Trovandosi il ricorrente in posizione del tutto analoga a quella di Ma.An., l’annullamento disposto nei confronti di quest’ultimo in ordine ai capi b), c) e d) estende ex art. 587 c.p.p. i propri effetti anche alla posizione di F.. Alla medesima conclusione deve giungersi, come già anticipato, con riguardo alle residue imputazione sub e) ed h). Restano quindi assorbiti il primo e il terzo motivo del ricorso principale, nonchè il primo motivo nuovo.

12.2. Per le doglianze relative alla circostanza aggravante L. Fall. , ex art. 219, comma 1, (secondo motivo del ricorso principale e, in parte, secondo motivo nuovo) valgono le ragioni – e le conclusioni – indicate supra al par. 7.

  1. Pertanto, nei confronti di C.C., la sentenza impugnata deve essere annullata senza per estinzione del reato per morte dell’imputato.

Nei confronti di M.A., Ma.An. e P.A., la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame alla competente Corte di appello di Napoli.

Nei confronti degli altri ricorrenti ( Me.Mo., S.M. e F.R.J.), invece, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali, per essere i reati estinti per prescrizione, e, agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Nei confronti di tali ricorrenti, infatti, nulla resta da accertare agli effetti penali e il nuovo esame devoluto al giudice civile competente per valore in grado di appello involge solo profili attinenti alla responsabilità civile: soluzione, questa, imposta dal favor separationis che ispira l’assetto codicistico dei rapporti tra azione civile e azione penale (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013 – dep. 27/09/2013, Sciortino). Nè il rinvio anche per tali posizioni al giudice penale può trovare giustificazione nella considerazione che, investita la Corte di appello in sede penale, dell’esame delle posizioni per le quali non è decorso il termine di prescrizione, il relativo esame potrebbe condurre all’accertamento dell’insussistenza del fatto: osserva il Collegio che, al riguardo, vale il rilievo, formulato con riferimento ad una diversa questione, dalle Sezioni unite, ossia che “ammettere una riapertura del tema penale solo per effetto della incidenza che su esso potrebbe in via di mera ipotesi determinare la rivisitazione dell’accertamento sulla responsabilità civile (o, meglio, con riguardo al caso in esame, la rivisitazione dell’accertamento sulla responsabilità penale dei coimputati: n.d.r.) equivarrebbe a stravolgere finalità e meccanismi decisori della giustizia penale in dipendenza da interessi civilistici ancora sub judice, che devono essere invece isolati e portati all’esame del giudice naturalmente competente ad esaminarli”. La giurisprudenza di questa Corte, del resto, in presenza di più coimputati per i medesimi reati e della rinuncia di uno solo di essi alla prescrizione, ha annullato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello in sede penale, per l’imputato rinunciante alla prescrizione, e con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per i coimputati nei confronti dei quali i reati erano stati dichiarati estinti per prescrizione (Sez. 6, n. 51527 del 15/10/2013 – dep. 20/12/2013, Ioverno e altri).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nei confronti di C.C. per essere il reato a lui ascritto estinto per morte dell’imputato;

annulla la stessa sentenza senza rinvio agli effetti penali nei confronti di Me.Mo., S.M. e F.R.J. per essere i reati a ciascuno rispettivamente ascritti estinti per intervenuta prescrizione, nonchè, agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello;

annulla la sentenza impugnata nei confronti di M.A., Ma.An. e P.A., con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

 

Originally posted 2020-04-17 11:56:28.