BANCAROTTA patrimoniale COME DIFENDERSI?

MASSIMA attenzione 3 BANCAROTTA patrimoniale 2 AVVOCATO difesa Esperto 1 PERICOLO ATTENZIONE ) che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso

Bancarotta fraudolenta per distrazione Bancarotta fraudolenta per distrazione 

Bancarotta fraudolenta per distrazione 

Il delitto di bancarotta fraudolenta per dissipazione si distingue da quello di bancarotta semplice per consumazione del patrimonio in operazioni aleatorie o imprudenti sotto il profilo oggettivo, per l’inconciliabilità con lo scopo sociale e l’incoerenza con il soddisfacimento delle esigenze dell’impresa delle operazioni poste in essere, e soggettivo, per la consapevolezza, da parte dell’autore della condotta, di diminuire il patrimonio societario per scopi del tutto estranei all’oggetto sociale. (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO MILANO, 17/09/2019)

Cass. pen., Sez. V, 15/03/2019, n. 26211

E’ configurabile il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione a carico dell’amministratore di una società per azioni che procede al rimborso di finanziamenti erogati dai soci in violazione della regola, applicabile nel caso di specie, della postergazione, di cui all’art. 2467 cod. civ., o di versamenti effettuati in conto capitale, in quanto le somme versate devono essere destinate al perseguimento dell’oggetto sociale e possono essere restituite solo quando tutti gli altri creditori sono stati soddisfatti.

Integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di una società, successivamente dichiarata fallita, a favore di altra società alla quale siano conferiti beni di rilevante valore, qualora tale operazione, in sé astrattamente lecita, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava la società al momento della scissione, si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale, non essendo le tutele previste dagli artt. 2506 e seg. cod. civ. di per sé idonee ad escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie. (Fattispecie in cui la società dichiarata fallita, in stato di pregressa insolvenza, in attuazione di un programma di riqualificazione industriale, realizzava plurime operazioni straordinarie depauperatorie, quali la cessione di ramo d’azienda in favore di impresa nella titolarità dello stesso amministratore della cedente e la parziale scissione con costituzione di nuove società, anch’esse fallite, beneficiarie di parte del patrimonio sociale e di un ramo d’azienda della fallita). (Annulla con rinvio, CORTE APPELLO ROMA, 17/05/20 Cass. pen., Sez. V, 22/07/2020, n. 25834

In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa.

 Cass. pen., Sez. V, Sentenza, 06/10/2020, n. 36850 (rv. 280106-01)

REATI FALLIMENTARI – Bancarotta fraudolenta – In genere – Bancarotta fraudolenta per distrazione – Distacco dei beni dal patrimonio sociale senza utile o corrispettivo – Configurabilità – Fattispecie in tema di fitto di ramo di azienda

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori. (Fattispecie relativa al fitto di due rami di azienda, costituenti l’intero “asset” della fallita, in immediata prossimità della dichiarazione di fallimento e in favore di cessionario che, il giorno successivo, presentava istanza di auto fallimento, ponendosi nell’impossibilità di adempiere all’obbligazione contratta). (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO MILANO, 17/02/2020)


Ed invero i motivi che ripropongono acriticamente le stesse ragioni già
discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, devono
considerarsi non specifici, ma meramente apparenti, in quanto non
assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza
oggetto di ricorso (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 – 13.1.1998, n. 256, rv.
210157; Cass., sez. V, 27.1.2005 – 25.3.2005, n. 11933, rv. 231708;
Cass., sez. V, 12.12.1996, n. 3608, rv. 207389).
Orbene, nel caso in esame, la corte territoriale, attraverso una puntale
disamina delle risultanze processuali, ha evidenziato come il Cosi “non è
stato un semplice prestanome, come invece si è cercato di sostenere
nell’atto di appello, ma ha partecipato attivamente alla gestione di
entrambe le società, tollerando e anche avallando le ingerenze del
Piconese, che, malgrado l’assenza di cariche formali, partecipava alla
conduzione di entrambe le società e non era un semplice socio di capitali
ma piuttosto un coannministratore” (cfr. pp. 14-16 della sentenza
impugnata).
Tale conclusione non appare né contraddittoria, né manifestamente
illogica, essendo sorretta da una serie di elementi di fatto, valutati dalla
corte territoriale, con logico argomentare, sintomatici della diretta e
fattiva partecipazione del Cosi alla gestione di entrambe le società
(l’imputato, infatti, manteneva rapporti con agenti e fornitori; gestiva i
rapporti di lavoro con i dipendenti insieme con il Piconese; era l’unico
soggetto legittimato ad operare sul conto corrente intestato alla “Soft
World s.r.l.”, acceso presso la Banca Popolare Pugliese, dal quale
vennero distratte somme per complessivi euro 28.353,94, attraverso
tredici operazioni di prelievo, di cui undici direttamente effettuate dal
Cosi; fu sempre il Cosi a consegnare le scritture contabili di entrambe le
società fallite ai rispettivi curatori fallimentari).
Infondato è il rilievo sub n. 4), posto che, come chiarito
dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, in tema
di reati fallimentari, il regime tributario di contabilità semplificata,
previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l’esonero
dall’obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, previsto dall’art.
2214 cod. civ., con la conseguenza che il suo inadempimento può
integrare – ove preordinato a rendere impossibile la ricostruzione del
patrimonio dell’imprenditore – la fattispecie incriminatrice del reato di
bancarotta fraudolenta documentale (cfr. Cass., sez. V, 13.11.2013, n.
656, rv. 257958; Cass., sez. V, 30.10.2014, n. 52219, rv. 262198), che
nel caso in esame la corte territoriale ha escluso, con coerente
argomentare, proprio perché ha ritenuto non dimostrata la
preordinazione della condotta a rendere impossibile la ricostruzione del
patrimonio dell’imprenditore, con conseguente riqualificazione di
entrambi i fatti di bancarotta fraudolenta documentale in fatti di
bancarotta documentale semplice (imposta dal difetto di prova
dell’elemento soggettivo tipico della bancarotta fraudolenta
documentale: cfr. Cass., sez. V, 29.4.2014, n. 23251, rv. 262384), per i
quali pronunciava sentenza di non doversi procedere nei confronti dei
ricorrenti, per essere i reati estinti per prescrizione.
Sicché appare evidente che non si giustifica la pronuncia di una formula
assolutoria più favorevole per gli imputati.
Come chiarito, infatti, dall’orientamento dominante nella giurisprudenza
di legittimità, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è
legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129,
co. 2, c.p.p., soltanto nei casi in cui, a differenza di quanto riscontrato
nella fattispecie in esame, proprio per la sua particolare complessità,
testimoniata indirettamente anche dal profluvio dei motivi di ricorso, le
circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del
medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano
dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la
valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al
concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello
di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento (cfr. Cass., Sez. Un., 28.5.2009, n.
35490, rv. 244274; Cass., sez. VI, 22.1.2014, n. 10284, rv. 259445), .
Con riferimento alle diverse doglianze prospettate dal Cosi attraverso i
motivi sintetizzati nelle pagine precedenti sub n. 5) e n. 6), ne va
ribadita la natura generica e meramente fattuale, oltre alla manifesta
infondatezza di alcuni rilievi ed, in particolare, delle argomentazioni
sviluppate sul presupposto che, nel delitto di bancarotta fraudolenta
patrimoniale per distrazione il fallimento costituisca l’evento del reato e
debba, pertanto, formare oggetto dell’elemento psicologico, fondando su
tale specifico profilo, il ricorrente, la distinzione tra bancarotta
fraudolenta patrimoniale e bancarotta semplice..
Come affermato, infatti, dall’orientamento dominante nella
giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, ai fini della
sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per
distrazione, che ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell’art. 216
I. fall., in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione
di quest’ultimo, il quale non costituisce l’ evento del reato che, invece,
coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale della massa. (cfr., ex
plurimis, Cass., sez. V, 24.3.2010, n. 16579, rv. 246879).
Ciò in quanto il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato
di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è
necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza
dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai
creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al
patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle
obbligazioni contratte (cfr. Cass., sez. V, 14.12.2012, n. 3229, rv.
253932; Cass., sez. V, 13.2.2014, n. 21846, rv. 260407; Cass., Sez.
Un., 31.3.2016, n. 22474, rv. 266805).
Né va taciuto che anche in una recente e, per il momento, isolata
pronuncia della Suprema Corte, che, in relazione al reato di bancarotta
fraudolenta prefallimentare, costruisce la dichiarazione di fallimento
come condizione oggettiva di punibilità, si ribadisce come trattasi di un
evento estraneo all’offesa tipica ed alla sfera di volizione dell’agente (cfr.
Cass., sez. V, 8.2.2017, n. 13910, rv. 269388).
Va, dunque, ribadito, anche in questa sede il consolidato e prevalente
orientamento della giurisprudenza di legittimità (rispetto al quale si pone
un solo precedente di segno contrario, ormai risalente nel tempo: cfr.
Cass., sez. V, 24.9.2012, n. 47502), secondo cui in tema di bancarotta
fraudolenta per distrazione a configurare l’elemento soggettivo del reato
è sufficiente il dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di
dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità
dell’impresa, con la consapevolezza che tale destinazione determina un
depauperamento del patrimonio sociale ai danni della classe creditoria,
non essendo invece richiesta la specifica conoscenza dello stato di
dissesto della società h Non si richiede, pertanto, al fine di integrare il
dolo generico del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per
distrazione, che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza
dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai
creditori (cfr. Cass., sez. V, 24/03/2010, n. 16579; Cass., sez. V,
23/04/2013, n. 28514; Cass., sez. V, 14.12.2012, n. 3229, rv. 253932;
Cass., sez. V, 13.2.2014, n. 21846, rv. 260407).
5. Quanto alla posizione del Piconese, si deve ribadire come la maggior
parte dei motivi di ricorso siano generici e di natura meramente fattuale.
Con particolare riferimento alla qualifica di amministratore di fatto
rivestita dal Piconese, la corte territoriale ha reso una motivazione
assolutamente conforme ai principi elaborati al riguardo dalla
giurisprudenza della Suprema Corte.
Ed invero, consolidato appare, all’interno della giurisprudenza di
legittimità, l’orientamento secondo cui la nozione di amministratore di
fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo
continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla
funzione, anche se “significatività” e “continuità” non comportano
necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri propri dell’organo di
gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria,
svolta in modo non episodico od occasionale.
La posizione dell’amministratore di fatto, destinatario delle norme
incriminatrici della bancarotta fraudolenta, dunque, va determinata con
riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della
qualifica di imprenditore e di amministratore di diritto, costituiscono la
parte precettiva di norme che sono sanzionate dalla legge penale. La
disciplina sostanziale si traduce, in via processuale, nell’accertamento di
elementi sintomatici di gestione o cogestione della società, risultanti
dall’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge
funzioni gerarchiche e direttive, in qualsiasi momento dell’”iter” di
organizzazione, produzione e commercializzazione dei beni e servizi –
rapporti di lavoro con i dipendenti, rapporti materiali e negoziali con i
finanziatori, fornitori e clienti – in qualsiasi branca aziendale, produttiva,
amministrativa, contrattuale, disciplinare.
Peraltro l’accertamento degli elementi sintomatici di tale gestione o
cogestione societaria costituisce oggetto di apprezzamento di fatto che è
insindacabile in sede di legittimità, se sostenuto da motivazione congrua
e logica (cfr. Cass., sez. V, 14.4.2003, n. 22413, rv. 224948; Cass., sez.
I, 12.5.2006, n. 18464, rv. 234254).
In conclusione può dunque affermarsi che in tema di bancarotta
fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I. fall.
vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già
rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti
posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (cfr. Cass., sez.
V, 13.4.2006, n. 19145, rv. 234428).

Con particolare riferimento al reato di bancarotta fraudolenta
patrimoniale per distrazione, si è, infatti, affermato, che affinché
l’amministratore di fatto di una società possa esserne ritenuto
responsabile, occorre che egli abbia posto in essere atti tipici di gestione,
offrendo così un contributo obiettivo alle decisioni adottate da chi è
formalmente investito della qualifica di amministratore, nella
consapevolezza delle implicazioni della condotta tipica del soggetto
qualificato (cfr. Cass., sez. I, 11/01/2012, n. 5063, G.M.).
Quanto all’elemento soggettivo, consistente anche per l’amministratore
“di fatto” nella consapevole volontà dei singoli atti di distrazione e della
idoneità dei medesimi a cagionare danno ai creditori, in quanto privi di
sinallagma rispondente al fine istituzionale dell’impresa, in
considerazione, ad esempio della natura fittizia o della entità
dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della società
(cfr. ex plurimis, Cass., sez. V., 24.3.2010, n. 16579, Fiume, rv.
246879), esso si evince dalla diretta e continuativa partecipazione
dell’imputato all’attività di gestione dell’impresa in cui si sono consumati
i singoli episodi illeciti a lui contestati.
L’amministratore “di fatto” della società fallita, infatti, è da ritenere
gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di
diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e
soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i
comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (cfr., ex plurimis,
Cass., sez. V, 20.5.2011, n. 39593, rv. 250844).
Egli, inoltre, essendo tenuto ad impedire ex art. 40, co. 2, c.p., le
condotte illecite riguardanti l’amministrazione della società o a
pretendere l’esecuzione degli adempimenti previsti dalla legge, è
responsabile di tutti i comportamenti, sia omissivi che commissivi, posti
in essere dall’amministratore di diritto, al quale è sostanzialmente
equiparato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 5.7.2012, n. 33385, rv.
253269).
D’altro canto di bancarotta fraudolenta risponde l’amministratore di
diritto, unitamente all’amministratore di fatto, anche per non avere
impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente,
sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che
l’amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi
i beni sociali, la quale non può dedursi dal solo fatto che il soggetto
abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministrato,
occorrendo anche la dimostrazione di una sua diretta ed effettiva
ingernza nella gestione dell’impresa (cfr. Cass., sez. V, 7.1.2015, n.
7332, rv. 262767).

REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampa

MASSIMA attenzione BANCAROTTA patrimoniale AVVOCATO difesa Esperto

PERICOLO ATTENZIONE ) che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento,

La giurisprudenza di legittimità è consolidata attorno ad alcuni pilastri ricostruttivi.

In particolare, va ribadito: a) che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804); b) che l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, nè lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli cit.; c) che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Zazzini, Rv. 271437).

SECONDO LA CASSAZIONE : I creditori la cui posizione viene in rilievo, ai fini della valutazione della concretezza del pericolo, sono coloro che possono contare sulla garanzia generica rappresentata, ai sensi dell’art. 2740 cod. civ., dal patrimonio del proprio debitore.

In tale contesto, l’attuale sistema normativo è saldamente ancorato al principio in forza del quale il collegamento societario è fenomeno meramente economico che non dà vita ad un unitario centro imprenditoriale dotato di una sua propria soggettività (Sez. 5, n. 6904 del 04/11/2016 – dep. 14/02/2017, Gandolfi, Rv. 269107, che ne trae la coerente conseguenza che, in tema di reati fallimentari, qualora il fallimento riguardi società appartenenti ad un gruppo ma dotate di autonoma personalità giuridica, non è ravvisabile un reato unitario di bancarotta ma, ove ne sussistano i presupposti, un’ipotesi di reato continuato), ossia, può aggiungersi, di una unitaria responsabilità sulla quale il creditore possa fare affidamento nel momento in cui le sue ragioni sono fatte valere (direttamente o per il tramite del curatore, una volta intervenuto il fallimento).

In tale contesto è certamente esatto che la giurisprudenza di legittimità si è ormai orientata nel senso di ritenere che la natura distrattiva di un’operazione infra-gruppo possa essere esclusa in presenza di vantaggi compensativi che riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzino gli svantaggi per i creditori sociali (v., ad es., di recente, Sez. 5, n. 16206 del 02/03/2017, Magno, Rv. 269702).

In particolare, si è rilevato che la previsione di cui all’art. 2634 cod. civ. – che esclude, relativamente alla fattispecie incriminatrice dell’infedeltà patrimoniale degli amministratori, la rilevanza penale dell’atto depauperatorio in presenza dei c.d. vantaggi compensativi dei quali la società apparentemente danneggiata abbia fruito o sia in grado di fruire in ragione della sua appartenenza a un più ampio gruppo di società – conferisce valenza normativa a principi – già desumibili dal sistema, in punto di necessaria considerazione della reale offensività – applicabili anche alle condotte sanzionate dalle norme fallimentari e, segnatamente, a fatti di disposizione patrimoniale contestati come distrattivi o dissipativi.

Pertanto, ove si accerti che l’atto compiuto dall’amministratore non risponda all’interesse della società ed abbia determinato un danno al patrimonio sociale, è onere dello stesso amministratore dimostrare l’esistenza di una realtà di gruppo, alla luce della quale quell’atto assuma un significato diverso, si che i benefici indiretti della società fallita risultino non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente gli effetti immediati negativi dell’operazione compiuta, di guisa che nella ragionevole previsione dell’agente non sia capace di incidere sulle ragioni dei creditori della società (Sez. 5, n. 49787 del 05/06/2013, Bellemans, Rv. 257562; Sez. 5, n. 8253 del 26/06/2015 – dep. 29/02/2016, Moroni, Rv. 271149, che insiste sull’onere dell’interessato di dimostrare il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo,

elemento indispensabile per considerare lecita l’operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata; Sez. 5, n. 7079 del 13/10/2015 – dep. 23/02/2016, Roccetti, Rv. 266512, secondo cui, i cd. vantaggi compensativi per la società fallita facente parte di una realtà di “gruppo” non possono essere successivi al fallimento nè possono consistere in una diminuzione dell’entità del passivo, conseguente a concordato preventivo cui venga ammessa altra società controllante, appartenente allo stesso gruppo, grazie a mutui fondiari concessi per la destinazione del patrimonio immobiliare della società fallita; Sez. 5, n. 30333 del 12/01/2016, Falciola, Rv. 267883, per la quale, qualora il fatto si riferisca a rapporti fra società appartenenti al medesimo gruppo, il reato deve ritenersi insussistente se, operando una valutazione ex ante, i benefici indiretti per la società fallita si dimostrino idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi e siano tali da rendere il fatto incapace di incidere sulle ragioni dei creditori della società).

La veloce rassegna della giurisprudenza di questa Corte mostra, in definitiva, che l’ordinamento non giustifica qualunque operazione infragruppo, ma solo quelle attività, immediatamente svantaggiose per un soggetto imprenditoriale, che possano trovare efficace correlazione in vantaggi, economicamente valutabili, per lo stesso soggetto, tali da elidere, prima della dichiarazione di fallimento, il depauperamento realizzato e, in ultima analisi, il pericolo rappresentato dalla originaria iniziativa per le ragioni dei creditori.

Vi è un’altra puntualizzazione necessaria, sollecitata dall’analisi delle decisioni di legittimità e dallo stesso ricorso, quanto ai profili probatori.

BANCAROTTA PER DISTRAZIONE

Premesso che la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa (Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, Buttitta, Rv. 249715),

va ribadito che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, Zanettin, Rv. 255385), in quanto le condotte descritte all’art. 216, comma 1, n. 1 L. fall., hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto della garanzia che su di lui grava in vista della conservazione delle ragioni creditorie. E’ in funzione di siffatta garanzia che

si spiega l’onere dimostrativo posto a carico del fallito, nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura. Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 2011 cit., in motivazione).

Originally posted 2018-10-19 08:44:41.