bancarotta fraudolenta e reati tributari come quando ?

bancarotta fraudolenta e reati tributari come quando ?

Ls Suprema corte ha stabilito che non ricorre un’ipotesi di violazione del principio del “ne bis in idem” (articolo 649 cpp) qualora, a seguito di una condanna per associazione a delinquere, finalizzata alla realizzazione di reati tributari, venga iniziato a carico di un imputato un procedimento per bancarotta fraudolenta patrimoniale, inerente alla distrazione delle risorse della medesima società in cui erano avvenuti gli illeciti fiscali.

Fatti

La Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza di prima cura, che – all’esito di giudizio abbreviato – aveva condannato Fasana Giulio e Garzetti Giovanbattista per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in relazione al fallimento della Euro 2000 srl, dichiarato il 4/7/2001. Secondo la ricostruzione operata in sentenza i due imputati, amministratori di fatto della fallita, distrassero beni sociali per oltre 700 milioni di lire e sottrassero o occultarono le scritture sociali per impedire l’accertamento delle loro malefatte, poste in essere in un contesto associativo rivolto a frodare – essenzialmente – il fisco


Ricorso per cassazione
ì

 uno dei due amministratori si doleva di essere già stato giudicato e condannato, per i medesimi fatti, nell’ambito di un altro procedimento, riguardante il reato di associazione a delinquere finalizzato alla commissione una serie indeterminata di reati finanziari (ex articoli 2, 5 e 8, Dlgs n. 74/2000), attuati mediante la creazione di società (tra cui la srl richiamata) deputate a emettere fatture false e attraverso la creazione e l’occultamento di una contabilità parallela.

Inoltre, sempre nell’ambito del medesimo procedimento connesso, il ricorrente era stato condannato per il reato di cui all’articolo 10 del Dlgs n. 74/2000, per avere, quale amministratore di fatto della detta srl, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occultato in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari; vale a dire, sottolineava il ricorrente, proprio le scritture contabili della stessa srl, al centro della vicenda connessa. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, ai fini della preclusione connessa al principio “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass, SU, n. 34655 del 28/6/2005, n. 231799-01).

LA CORTE COSTITUZIONALE

Tale impostazione, ha precisato la Corte costituzionale (sentenza n. 200 del 31/5/2016), è senz’altro corretta, a condizione che, nell’applicazione pratica, tutti gli elementi del reato siano assunti nella loro dimensione empirica, sicché anche l’evento non potrà avere rilevanza in termini giuridici, ma assumerà significato soltanto quale modificazione della 3 Corte di Cassazione – copia non ufficiale realtà materiale conseguente all’azione o all’omissione dell’agente.

art. 649 cod. proc. pen. – senza compromissione di altri principi di rilievo costituzionale

In questo modo è assicurato il massimo dispiegarsi della funzione di garanzia sottesa all’art. 649 cod. proc. pen. – senza compromissione di altri principi di rilievo costituzionale – e si evita che la valutazione comparativa – cui è chiamato il giudice investito del secondo giudizio – sia influenzata dalle sempre opinabili considerazioni sulla natura dell’interesse tutelato dalle norme incriminatrici, sui beni giuridici offesi, sulla natura giuridica dell’evento, sul ruolo che ha un medesimo elemento all’interno delle fattispecie, sulle implicazioni penalistiche del fatto e su quant’altro concerne i singoli reati. La Corte Costituzionale, poi, manipolando l’art. 649 cod. proc. pen., ha statuito, con la pronuncia sopra menzionata, che “il fatto” è il medesimo anche quando sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale. 1.2. Corollario del principio del ne bis in idem è, per la giurisprudenza di questa Corte, quello della “preclusione processuale”, che vieta allo stesso giudice non solo di condannare, ma anche di giudicare nuovamente la persona per lo stesso fatto. Non può, infatti, essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato dev’essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. Questo perché – esercitando l’azione penale – il Pubblico Ministero ha consumato il potere conferitogli dall’ordinamento nel caso specifico (Cass. SU, n. 34655 del 28/6/2005, n. 231800-01). 1.3.

 In tema di fallimento determinato da operazioni dolose, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, né il fatto che l’operazione dolosa contestata abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto.

Fallimento determinato da operazioni dolose e onere della prova. Poiché il fallimento determinato da operazioni dolose configura un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura dolosa dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonché dell’astratta prevedibilità di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare.

Dichiarazione infedele

Con la “dichiarazione infedele”, ai sensi dell’art. 4 d.lgs. 74/2000, è punita con reclusione da uno a tre anni anche la mera indicazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni annuali con la finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto. L’integrazione del reato, però, è subordinata al superamento di determinate soglie quantitative di rilevanza penale, aventi la finalità di circoscriverne l’ambito oggettivo di applicazione conferendo alla norma penale carattere di extrema ratio. Nello specifico, occorrono congiuntamente le seguenti condizioni: l’imposta evasa deve essere superiore ad € 50.000 e l’attivo sottratto all’imposizione fiscale deve essere superiore al 10% dell’attivo indicato nella dichiarazione o, comunque, superiore a € due milioni. 

Non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.

Non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b) di questo articolo.

Con questo delitto, quindi, viene punita la semplice presentazione di una dichiarazione dei redditi o dell’IVA ideologicamente falsa senza che, ai fini della rilevanza penale, sia necessario un ulteriore comportamento a sostegno del mendacio. Ciò, al contrario di quanto avviene nelle dichiarazioni fraudolente che presuppongono anche l’uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2) o la falsificazione delle scritture contabili (art. 3) e, vale a dire, una condotta ulteriormente frodatoria ed insidiosa. Pertanto, il reato di dichiarazione infedele è caratterizzato da un’ampia portata applicativa, essendo richiesta la mera presentazione di una dichiarazione non veritiera e non qualificata da ulteriori elementi fraudolenti finalizzata all’evasione d’imposta. Si tratta di una figura di confine, in quanto si pone a cavallo della linea di demarcazione tra l’area di intervento penale e l’area di rilevanza amministrativa, poiché le condotte di maggiore gravità rientrano nella portata applicativa dei reati di cui agli artt. 2 e 3 d.lgs. 74/2000, mentre le condotte alle quali consegue un evento evasivo che non supera le soglie predeterminate, vengono sanzionate per via amministrativa. 

Originally posted 2021-08-22 07:17:12.