BANCAROTTA FRAUDOLENTA TRIBUNALE PAVIA SENTENZA CASSAZIONE AVVOCATO REATI FALLIMENTARI

BANCAROTTA FRAUDOLENTA TRIBUNALE PAVIA SENTENZA CASSAZIONE AVVOCATO REATI FALLIMENTARI bancarotta fraudolenta documentale

BANCAROTTA LA SENTENZA  DI FALLIMENTO E’ CONDIZIONE ESSENZIALE ! LA SENTENZA DI FALLIMENTO RISPETTO ALLA BANCAROTTA E’ CONDIZIONE DI ESISTENZA DEL REATO

BANCAROTTA FRAUDOLENTA TRIBUNALE PAVIA SENTENZA CASSAZIONE AVVOCATO REATI FALLIMENTARI
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che è facoltà del legislatore inserire nella struttura dell’illecito penale elementi costitutivi estranei alla cennata dicotomia (Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi cit.). Sez. 5, n. 32031 del 07/05/2014, Daccò, cit., dal canto suo, ha osservato che la qualificazione, da parte della citata sentenza n. 2 del 25/01/1958, della dichiarazione di fallimento come ‘condizione di esistenza del reato’ manifesti chiaramente l’intento di denotare una realtà diversa da quella dell’elemento costitutivo del reato, quanto meno nel significato proprio del termine, indicando essa una componente necessaria perchè il fatto sia penalmente rilevante, ma, come evidenziato dal termine condizione, distinta dai dati costitutivi della struttura essenziale del reato: di qui il riferimento ad una nozione di elemento costitutivo in senso assolutamente improprio, riferimento, questo, ripreso anche da Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, Geronzi cit.

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L’avvocato penalista Bologna  fa presente come per una corretta difesa nel reato di bancarotta fraudolenta sia a volte necessario l’ausilio di valido commercialista o per analisi documenti contabili che hanno convinto il Pm a chiedere rinvio a giudizio dell’imputato per il reato di Bancarotta.bancarotta fraudolenta documentale

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Ma quale è il presupposto della bancarotta ?

In particolare, si è ritenuto, da parte della giurisprudenza di legittimità sinora largamente prevalente, che la sentenza dichiarativa di fallimento integra una condizione di esistenza del reato, che ne segna il momento consumativo, senza, tuttavia, che le si possa attribuire la qualifica di evento, come se non fosse data via di uscita rispetto all’alternativa tra condizione obiettiva di punibilità ed evento del reato: al contrario, può certamente affermarsi che è facoltà del legislatore inserire nella struttura dell’illecito penale elementi costitutivi estranei alla cennata dicotomia (Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi cit.). Sez. 5, n. 32031 del 07/05/2014, Daccò, cit., dal canto suo, ha osservato che la qualificazione, da parte della citata sentenza n. 2 del 25/01/1958, della dichiarazione di fallimento come ‘condizione di esistenza del reato’ manifesti chiaramente l’intento di denotare una realtà diversa da quella dell’elemento costitutivo del reato, quanto meno nel significato proprio del termine, indicando essa una componente necessaria perchè il fatto sia penalmente rilevante, ma, come evidenziato dal termine condizione, distinta dai dati costitutivi della struttura essenziale del reato: di qui il riferimento ad una nozione di elemento costitutivo in senso assolutamente improprio, riferimento, questo, ripreso anche da Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, Geronzi cit.

Secondo consolidata giurisprudenza  (v, infra, p. 6), da Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804, le quali hanno rilevato che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, sicchè, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza.

E’, dunque, l’effettiva offesa alla conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa, costituente la garanzia per i creditori della medesima (Corte cost., ord. n. 268 del 1989) che funge da parametro della concreta applicazione della norma incriminatrice e consente di configurare il reato in esame come di pericolo concreto.

Conferma di tale conclusione si trae dalla costante giurisprudenza di legittimità in tema di bancarotta cd. ‘riparata’, che si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno (Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Lelli, Rv. 261347).

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BANCAROTTA LA SENTENZA  DI FALLIMENTO E’ CONDIZIONE ESSENZIALE ! LA SENTENZA DI FALLIMENTO RISPETTO ALLA BANCAROTTA E’ CONDIZIONE DI ESISTENZA DEL REATO

Sempre nella prospettiva del reato di pericolo concreto, si apprezzano anche gli approdi in tema di elemento psicologico, la cui sussistenza richiede la rappresentazione da parte dell’agente della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 15613/15 del 05/12/2014, Geronzi, cit.).

  • In definitiva, il dolo di bancarotta investe anche la pericolosità di tale condotta rispetto alla preservazione della garanzia patrimoniale dei creditori, in tal modo rivelando la fraudolenza degli atti posti in essere (Sez. 5, n. 9807 del 13/02/2006, Caimmi, Rv. 234232, in motivazione).
  • Labancarotta documentale, invece, tutela l’interesse a conoscere l’entità del patrimonio del fallito attraverso la corretta tenuta dei libri e delle scritture contabili, per cui vengono ad essere sanzionate la sottrazione e la falsificazione delle scritture, nonché la loro tenuta in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
  • la bancarotta preferenziale è il reato previsto dal comma terzo dell’art. 216 l. fall., un tempo noto come “favoreggiamento dei creditori”, per cui viene preferito il pagamento di un credito verso un determinato soggetto (c.d. pagamento preferenziale) o si simulano dei titoli di prelazione a carico di un creditore.
  • La costante giurisprudenza di questa Corte è infatti orientata nel senso che «per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, per espresso dettato dell’articolo 216, primo comma n. 2, della legge fallimentare, è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, mentre per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla tenuta delle scritture in maniera da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, è richiesto invece il dolo intenzionale, perché la finalità dell’agente è riferita ad un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva – l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa – anziché a un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, quale è il pregiudizio per i creditori» (Cass., Sez. V, n. 5905 del 06/12/1999, Amata, Rv 216267; v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. V, n. 21075 del 25/03/2004, Lorusso).
    Nell’analisi della fattispecie offerta dalla Corte territoriale, anche in relazione ai motivi di appello sviluppati nell’interesse dell’imputato, non si rinvengono invece indicazioni di sorta circa la ritenuta prova del dolo specifico – per quanto detto, volto ad arrecare pregiudizio ai creditori, ovvero a perseguire un ingiusto profitto – che avrebbe animato il T.: i giudici di secondo grado, come già il Tribunale, si limitano piuttosto ad evidenziare che l’imputato fu senz’altro consapevole delle conseguenze che la sua condotta avrebbe avuto in ordine alle possibilità di ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della società nell’arco di tempo in cui egli ne era stato il liquidatore.
  • Reati fallimentari – Bancarotta fraudolenta – In genere – Emissione di fatture per operazioni inesistenti bancarotta fraudolenta documentale
  • In tema di reati fallimentari, integra distrazione rilevante ai fini della bancarotta fraudolenta la condotta di finanziamento di ingenti somme in favore di societa’ dello stesso gruppo, effettuato dalla societa’ fallita quando gia’ si trovava in situazione di difficolta’ finanziaria, in mancanza di garanzie e senza vantaggi compensativi sia per il gruppo nel suo complesso che per la stessa societa’ fallita 
  • Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazionela restituzione da parte dell’amministratore della società emittente fatture per operazioni inesistenti del corrispettivo versato dal simulato acquirente, transitato nel patrimonio della società e restituito decurtato dal compenso pattuito per l’emittente. Anche il temporaneo ingresso nel patrimonio della fallita di beni che in forza di un patto illecito vengano restituiti al dante causa determina, invero, un incremento dello stesso che espande le garanzie dei creditori, con la conseguenza che la restituzione costituisce atto ingiustificato idoneo a integrare la condotta di distrazione.
  • In materia di reati fallimentari, il delitto di bancarotta per distrazione-bancarotta fraudolenta documentale

 è qualificato dalla violazione del vincolo legale che limita, ai sensi dell’articolo 2740 del codice civile, la libertà di disposizione dei beni dell’imprenditore, il quale li destina a fini diversi da quelli propri dell’azienda sottraendoli ai creditori. L’elemento oggettivo di tale fattispecie si configura tutte le volte in cui vi sia un ingiustificato distacco di beni e di attività, con conseguente depauperamento patrimoniale che si risolve in un danno per la massa dei creditori. Nel caso di specie, il Tribunale ha condannato gli amministratori di una società dichiarata fallita perché avevano distratto denaro e beni della medesima, facendone un uso personale.

Il socio amministratore di una società di capitali che prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati per il lavoro prestato-bancarotta fraudolenta documentale

nell’interesse della società, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti, commette il reato di bancarotta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale. Motivo per cui l’obbligo di tenuta delle scritture contabili è normativamente stabilito non solo a tutela dei terzi, ma anche a tutela degli amministratori e soci, proprio in quanto, attraverso la prova documentale anteriormente esistente rispetto alla condotta contestata, è possibile documentare i movimenti di denaro. (Nella fattispecie nulla era stato rinvenuto a proposito del presunto finanziamento della socia in favore della società, con conseguente natura distrattiva del prelievo arbitrariamente effettuato). Niente imputazione del reato di bancarotta patrimoniale per l’amministratore formale che prende il comando dell’azienda ma che di fatto non abbia la consapevolezza di sottrarre beni ai creditori. Il tutto – precisa la Cassazione con la sentenza n. 9951/18 – in funzione del principio di diritto secondo cui nelle ipotesi di distrazione di cespiti aziendali, non può, nei confronti del soggetto investito solo formalmente di una carica gestoria della società, trovare automatica applicazione la massima di orientamento secondo cui, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione a essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

I reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, comma primo, L.F.) e quello di bancarotta impropria di cui all’ art. 223 comma secondo, n. 2, L.F. hanno ambiti diversi:

il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività – né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili – ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati, mentre è da escludere il concorso formale è, invece, possibile il concorso materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 L.F., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico finanziario della società – siano stati causa del fallimento.

DOLO NELLA BANCAROTTA

  • Nella prospettiva dell’accertamento, alle diverse configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione nell’onere probatorio per l’accusa, perche’ e’ pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialita’ dell’imprenditore fallito. Infatti, un atteggiamento di superficialita’ e’ proprio della bancarotta documentale semplice, che puo’ essere caratterizzata dal dolo o indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volonta’ o per semplice negligenza, di tenere le scritture Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 febbraio – 4 giugno 2014, n. 23220 bancarotta fraudolenta documentale
  • Presidente Savani – Relatore Micheli
  • Ritenuto in fatto
  • Il difensore di S.T. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa il 06/05/2009 dal Tribunale di Pavia nei confronti del suddetto imputato, ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale: i fatti si riferiscono al fallimento della Europa Impianti s.r.l., dichiarato nel febbraio 2007, di cui il T. era stato liquidatore a far data dal 25/05/2005.
    La difesa deduce:
    1. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 216 legge fall., in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto contestato sul piano dell’elemento materiale
    Secondo il ricorrente, l’istruttoria dibattimentale non avrebbe dimostrato adeguatamente quali scritture contabili siano risultate mancanti od irregolari, al punto da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società: ciò, in particolare, tenendo conto della circostanza – sicuramente provata – dell’avvenuta consegna al curatore fallimentare, da parte del T., di tutta la documentazione fattagli pervenire dal professionista già incaricato della tenuta delle scritture
    2. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 216 legge fall., in ordine alla ravvisabilità del dolo del reato medesimo

    La tesi difensiva è che la prova dell’elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta documentale non possa derivare dalla mera presa d’atto della mancanza od irregolarità delle scritture; a riguardo, evidenzia ancora l’elemento della consegna dei libri agli organi della procedura da parte del T.
    3. mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata
    Secondo il ricorrente, la ricostruzione della vicenda da parte dei giudici di merito sarebbe fondata su una serie di forzature, non essendosi tenuto conto della circostanza pacifica che l’imputato si era «affidato completamente a terze persone per la regolare tenuta della contabilità della società»; nel caso in esame, pertanto, sarebbe al più ravvisabile il diverso e meno grave reato di bancarotta semplice, giacché il T. poté essere consapevole della tenuta confusa delle scritture ma non del fatto che ne sarebbe derivata l’impossibilità di ricavarne elementi indicativi sul movimento degli affari dell’impresa
    4. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 81 cpv. cod. pen.
    Il difensore del T. si duole dell’omesso riconoscimento della continuazione fra il reato qui contestato e quello di cui ad una precedente sentenza di applicazione di pena emessa dal Gup del Tribunale di Vigevano nei confronti del medesimo, già passata in giudicato; contesta in particolare l’osservazione dei giudici di appello, secondo cui l’identità di disegno criminoso dovrebbe desumersi dalla mera presa d’atto che si trattava di fallimenti distinti ed autonomi, dichiarati in tempi diversi. Al contrario, il ricorrente segnala che ai fini della ravvisabilità della continuazione criminosa, in tema di reati fallimentari, deve aversi riguardo ai periodi in cui si assumono realizzate le condotte presupposte, piuttosto che alle formali sentenze dichiarative: nel caso di specie il T. aveva svolto in entrambe le occasioni funzioni identiche e «nell’esercizio di un’attività imprenditoriale sostanzialmente unitaria».
    5. inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 168 cod. pen.

    La Corte di appello risulta avere revocato la sospensione condizionale della pena concessa al prevenuto con la sentenza di primo grado, nonché l’analogo beneficio riconosciutogli dalla richiamata pronuncia del Gup del Tribunale di Vigevano: a riguardo, fa presente che l’art. 168, comma primo, n. 2, cod. pen. richiede che, affinché una condanna per un reato anteriormente commesso comporti la revoca di una già disposta sospensione condizionale, detta condanna divenga irrevocabile entro il termine del periodo di esperimento della sospensione medesima, a decorrere dal passaggio in giudicato della prima pronuncia. Tale condizione non risulterebbe qui soddisfatta, atteso che la decisione impugnata non poteva avere ancora carattere di definitività.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è fondato, nei limiti di cui appresso. 2. La prima ragione di doglianza non è condivisibile: le sentenze di merito risultano avere senz’altro chiarito che le scritture contabili la cui mancanza avrebbe reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della Europa Impianti s.r.l. furono il libro giornale ed i registri IVA acquisti e vendite, né può assumere rilievo la circostanza che il T. avrebbe consegnato tempestivamente al curatore i documenti che chi si era occupato della tenuta della contabilità gli aveva fatto pervenire, atteso che l’addebito consiste proprio nell’avere egli, in ipotesi, messo a disposizione della procedura tutte le scritture ad eccezione di quelle, oggetto invece di sottrazione o parziale distruzione. La peculiarità della contestazione, appena ricordata, impone peraltro di prendere atto della carenza motivazionale della sentenza impugnata – non emendabile, sul punto, richiamando il contenuto della pronuncia del Tribunale di Pavia – quanto all’elemento psicologico. La costante giurisprudenza di questa Corte è infatti orientata nel senso che «per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, per espresso dettato dell’articolo 216, primo comma n. 2, della legge fallimentare, è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, mentre per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla tenuta delle scritture in maniera da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, è richiesto invece il dolo intenzionale, perché la finalità dell’agente è riferita ad un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva – l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa – anziché a un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, quale è il pregiudizio per i creditori» (Cass., Sez. V, n. 5905 del 06/12/1999, Amata, Rv 216267; v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. V, n. 21075 del 25/03/2004, Lorusso). Nell’analisi della fattispecie offerta dalla Corte territoriale, anche in relazione ai motivi di appello sviluppati nell’interesse dell’imputato, non si rinvengono invece indicazioni di sorta circa la ritenuta prova del dolo specifico – per quanto detto, volto ad arrecare pregiudizio ai creditori, ovvero a perseguire un ingiusto profitto – che avrebbe animato il T.: i giudici di secondo grado, come già il Tribunale, si limitano piuttosto ad evidenziare che l’imputato fu senz’altro consapevole delle conseguenze che la sua condotta avrebbe avuto in ordine alle possibilità di ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della società nell’arco di tempo in cui egli ne era stato il liquidatore. 3. Si impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata, per nuovo esame sul punto appena evidenziato; gli ulteriori motivi di ricorso debbono intendersi assorbiti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

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Originally posted 2021-07-09 09:20:35.