BANCAROTTA E REATI TRIBUTARI MILANO BOLOGNA VENEZIA RAVENNA
Nei reati tributari, la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5), può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta” (Sez. 3 -, Sentenza n. 18936 del 19/01/2016 Ud. – dep. 06/05/2016 – Rv. 267022 – 01).
PRINCIPIO AFFERMATO DALLA SENTENZA :
Non sussiste la violazione del principio del “ne bis in idem” (art. 649 c.p.p.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penal-tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dalla L. Fall., art. 216, n. 2, si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sè o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”. (Sez. 5, n. 16360 del 01/03/2011 – dep. 26/04/2011, Romele, Rv. 25017501; vedi anche Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015 – dep. 27/01/2016, Cepparo, Rv. 26613301; vedi anche da ultimo Sez. 3, n. 18927 del 24/02/2017 RV 269910).
Deve confermarsi la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che ha rilevato come l’entità del superamento della soglia di punibilità e la conoscenza dell’ammontare dell’imposta evasa costituiscono elementi di prova del dolo specifico di evasione: “In tema di reati tributari, la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5), può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta” (Sez. 3 -, Sentenza n. 18936 del 19/01/2016 Ud. – dep. 06/05/2016 – Rv. 267022 – 01).
Nel caso in giudizio, la soglia di punibilità è stata superata per i due anni di imposta nella piena consapevolezza dell’importo da parte del ricorrente. La migliore convenienza (sotto il profilo delle sanzioni penali) tra il presentare le dichiarazioni e evadere le imposte e non presentarle affatto, non risulta determinante per escludere il dolo specifico.
La sentenza sul punto, anche se in sintesi, risulta motivata adeguatamente con il richiamo pertinente alla giurisprudenza in materia di questa Corte di Cassazione, rilevando, peraltro, che la presentazione delle dichiarazioni per gli anni precedenti non esclude la valutazione della sussistenza del dolo specifico per i successivi anni. E, comunque, sul punto non risultavano neanche rilevanti le questioni di insolvenza della società poi fallita.
- Il ricorrente pone, poi, una questione di ne bis in idem relativamente alla precedente condanna per il reato fallimentare.
La Corte già si è pronunciata sull’insussistenza della specialità (e quindi del “ne bis in idem” sostanziale, in fattispecie analoghe alla presente, tra il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 e la bancarotta documentale): “Non sussiste la violazione del principio del “ne bis in idem” (art. 649 c.p.p.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penal-tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dalla L. Fall., art. 216, n. 2, si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sè o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”. (Sez. 5, n. 16360 del 01/03/2011 – dep. 26/04/2011, Romele, Rv. 25017501; vedi anche Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015 – dep. 27/01/2016, Cepparo, Rv. 26613301; vedi anche da ultimo Sez. 3, n. 18927 del 24/02/2017 RV 269910).
Anche per l’omessa dichiarazione D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 5, si tratta di oggetto giuridico e di condotta completamente distinti da quelli che vengono in considerazione nella bancarotta documentale.
Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “Non sussiste specialità, ex art. 15 c.p., tra la bancarotta fraudolenta documentale, L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2 e l’omessa dichiarazione D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 5, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella tributaria la sola omissione della presentazione della dichiarazione (chiunque… non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali); diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dalla L. Fall., art. 216, n. 2, si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi dei creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sè o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”.
BANCAROTTA E REATI TRIBUTARI MILANO BOLOGNA VENEZIA RAVENNA
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Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 11/05/2021) 21/09/2021, n. 34881
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Sentenza
IntestazioneSvolgimento del processoMotivi della decisioneP.Q.M.Conclusione
BANCAROTTA E REATI NEL FALLIMENTO › Bancarotta fraudolenta
IMPOSTE E TASSE IN GENERE › Violazioni tributarie
Intestazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Luigi – Presidente –
Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere –
Dott. SOCCI Angelo M. – rel. Consigliere –
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere –
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/05/2020 della CORTE APPELLO di TRENTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO MATTEO SOCCI;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. GIORDANO Luigi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
- La Corte d’Appello di Trento con sentenza del 27 maggio 2020, ha confermato la decisione del Tribunale di Rovereto del 19 febbraio 2019 (giudizio abbreviato) che aveva condannato S.A. alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, relativamente ai reati di cui all’art. 81c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, per omessa dichiarazione IVA, per gli anni di imposta 2011 e 2012.
- L’imputato propone ricorso in cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione e violazione di legge (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5) relativamente al dolo specifico. La Corte di appello ritiene sussistente il dolo specifico dalla constatazione delle omissioni dei versamenti dell’IVA per due anni di seguito. La mancata presentazione delle dichiarazioni e il mancato versamento dell’IVA sono dipesi da molteplici fattori, ovvero la crisi di impresa sfociata poi nel fallimento (nel marzo 2014). La società ha continuato ad emettere fatture tanto che l’importo delle evasioni è stato determinato con il cassetto fiscale della società.
La mancanza del dolo specifico si rileva dal fatto che all’imputato sarebbe stato più favorevole presentare le dichiarazioni IVA (le soglie di punibilità per gli omessi versamenti dell’IVA dichiarata sono più alte) e non pagare l’imposta, che omettere di presentare le dichiarazioni. Infatti, per i precedenti anni le dichiarazioni furono presentate e l’imposta non versata. Conseguentemente l’omessa presentazione delle dichiarazioni IVA non era finalizzata all’evasione delle imposte.
2.2. Assenza di motivazione e violazione di legge (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5). La Corte di appello omette ogni motivazione sull’accertamento del dolo specifico di evasione. Se il ricorrente avesse voluto evadere non avrebbe emesso (e registrato) più le fatture (Cassazione n. 20897/2017). La possibilità di ricostruire l’IVA evasa esclude, infatti, il dolo specifico di evasione.
2.3. Violazione di legge (art. 649 c.p.p.). L’imputato già è stato condannato per bancarotta documentale, L. Fall., art. 217, comma 2. La Corte di appello esclude il rapporto di specialità tra le due fattispecie, in considerazione dei beni giuridici diversi tutelati dalle due norme.
Il reato per cui è intervenuta la condanna è quello di bancarotta documentale semplice, per non aver tenuto le scritture contabili (tra le quali figura proprio la dichiarazione IVA) nei tre anni anteriori al fallimento. Il bene giuridico tutelato dalla norma fallimentare è proprio quello di esercitare le verifiche documentali sulla corretta determinazione dei redditi. Si tratta dello stesso bene giuridico tutelato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5.
2.4. Violazione di legge (art. 81 c.p.). La Corte di appello ha ritenuto insussistente la continuazione tra il reato fallimentare di bancarotta e quello di omessa dichiarazione IVA, nonostante l’identità della condotta tenuta per le due fattispecie dal ricorrente, consistente nell’omessa tenuta della contabilità, e specificamente della dichiarazione IVA per i due anni in contestazione. Si tratta di un medesimo disegno criminoso evidente.
Tutti gli elementi sono stati prospettati ai giudici di merito mediante la allegazione della sentenza di condanna per bancarotta e della relazione del curatore.
Ha chiesto, quindi, l’annullamento della decisione impugnata.
Motivi della decisione
- Il ricorso è inammissibile perchè i motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
Deve confermarsi la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che ha rilevato come l’entità del superamento della soglia di punibilità e la conoscenza dell’ammontare dell’imposta evasa costituiscono elementi di prova del dolo specifico di evasione: “In tema di reati tributari, la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5), può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta” (Sez. 3 -, Sentenza n. 18936 del 19/01/2016 Ud. – dep. 06/05/2016 – Rv. 267022 – 01).
Nel caso in giudizio, la soglia di punibilità è stata superata per i due anni di imposta nella piena consapevolezza dell’importo da parte del ricorrente. La migliore convenienza (sotto il profilo delle sanzioni penali) tra il presentare le dichiarazioni e evadere le imposte e non presentarle affatto, non risulta determinante per escludere il dolo specifico.
La sentenza sul punto, anche se in sintesi, risulta motivata adeguatamente con il richiamo pertinente alla giurisprudenza in materia di questa Corte di Cassazione, rilevando, peraltro, che la presentazione delle dichiarazioni per gli anni precedenti non esclude la valutazione della sussistenza del dolo specifico per i successivi anni. E, comunque, sul punto non risultavano neanche rilevanti le questioni di insolvenza della società poi fallita.
- Il ricorrente pone, poi, una questione di ne bis in idem relativamente alla precedente condanna per il reato fallimentare.
La Corte già si è pronunciata sull’insussistenza della specialità (e quindi del “ne bis in idem” sostanziale, in fattispecie analoghe alla presente, tra il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 e la bancarotta documentale): “Non sussiste la violazione del principio del “ne bis in idem” (art. 649 c.p.p.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella penal-tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dalla L. Fall., art. 216, n. 2, si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sè o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”. (Sez. 5, n. 16360 del 01/03/2011 – dep. 26/04/2011, Romele, Rv. 25017501; vedi anche Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015 – dep. 27/01/2016, Cepparo, Rv. 26613301; vedi anche da ultimo Sez. 3, n. 18927 del 24/02/2017 RV 269910).
Anche per l’omessa dichiarazione D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 5, si tratta di oggetto giuridico e di condotta completamente distinti da quelli che vengono in considerazione nella bancarotta documentale.
Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “Non sussiste specialità, ex art. 15 c.p., tra la bancarotta fraudolenta documentale, L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2 e l’omessa dichiarazione D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 5, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici, richiedendo quella tributaria la sola omissione della presentazione della dichiarazione (chiunque… non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali); diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dalla L. Fall., art. 216, n. 2, si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi dei creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sè o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale”.
- Manifestamente infondato e generico anche l’ultimo motivo sulla violazione dell’art. 81c.p., relativo alla continuazione tra i due reati.
La valutazione del medesimo disegno criminoso è una questione di merito sindacabile solo se la motivazione fosse assente o manifestamente illogica o contraddittoria (“In tema di continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione” Sez. 1, Sentenza n. 12936 del 03/12/2018 Cc. – dep. 25/03/2019 – Rv. 275222 – 01).
Nel caso in giudizio la Corte di appello evidenzia la mancanza di allegazioni di elementi concreti per rilevare il medesimo disegno criminoso tra il reato fallimentare già giudicato e quello in giudizio. L’unico elemento prospettato era quello del dissesto finanziario, non sufficiente per la valutazione di un medesimo disegno criminoso per due reati a contenuto diverso, con condotta e oggetto distinti.
Del resto, l’imputato non aveva neanche effettuato uno specifico motivo di appello, ma nelle sole conclusioni aveva richiesto l’applicazione della continuazione, senza ulteriori specificazioni sul medesimo disegno criminoso.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 3.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021
Originally posted 2021-10-04 07:57:52.