AVVOCATO PER PROCESSI BANCAROTTA FRAUDOLENTA CASSAZIONE

AVVOCATO PER PROCESSI BANCAROTTA FRAUDOLENTA CASSAZIONE

 AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA VICENZA MILANO PAVIA RAVENNA ROVIGO PADOVA FORLI CESENA  CHIAMA 051 6447838 SEDE  UNICA A BOLOGNA 

Si analizzera’ ancora il difficile argomento della bancarotta fraudolenta o bancarotta fraudis, uno dei reati piu’ diffusi  e complessi

l’orientamento giurisprudenziale prevalente prende le mosse dalla risalente pronuncia a Sezioni Unite del 5 gennaio 1958, n. 2, Mezzo, tesa a qualificare la sentenza dichiarativa di fallimento come “condizione di esistenza del reato”, i.e. come elemento costitutivo.

Pur adottando locuzioni in parte diverse (elemento indispensabile per attribuire rile­vanza penale a condotte altrimenti lecite[5]; elemento costitutivo del reato[6]; elemento costitutivo del reato in senso improprio[7]), la giurisprudenza successiva ha sempre attribuito valenza costitutiva alla dichiarazione di fallimento, pur senza qualificarla come evento natura­listico in senso tecnico e senza pertanto esigere la prova del nesso causale tra le condotte di bancarotta e il successivo dissesto, né tantomeno la dimostrazione del dolo.

Alla base della qualificazione della sentenza ex art. 16 l. fall. alla stregua di un elemento costitutivo dei reati di bancarotta vi è essenzialmente la convinzione per cui la medesima “inerisce così intimamente alla struttura del reato da qualificare quei fatti, i quali, come fatti di bancarotta, sarebbero penalmente irrilevanti fuori del fallimento”. In altri termini, l’apertura della procedura concorsuale avrebbe un ruolo essenziale nell’individuazione del nucleo di disvalore sotteso alla fattispecie criminosa, al punto che, a prescindere da esso, le condotte censurate dalla disposizione risulterebbero prive di ogni rilievo penale. D’altra parte, la assoluta centralità della dichiarazione di fallimento nella descrizione dei reati in esame sarebbe incoerente con la sua qualificazione in termini di mera condizione oggettiva di punibilità: appare più congruente alla ratio dell’incrimi­nazione la qualificazione come elemento costitutivo, che “segna il momento consu­mativo del reato ad ogni effetto di legge”: primi tra tutti l’individuazione del locus e del tempus commissi delicti.

BOLOGNA MILANO FIRENZE TREVISO VICENZA

PADOVA ROVIGO RAVENNA CESENA FORLI

SEI IMPUTATO DI BANCAROTTA?

AFFIDATI A  UN AVVOCATO ESPERTO

CHIAMA L’AVVOCATO SERGIO ARMAROLI

051 6447838

OPERAZIONI DOLOSE DI CUI ALL’ART 223 LF

dominante nella giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, I. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa individuabile e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa,

Come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, I. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa individuabile e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa, come nel caso di mancato pagamento dei contributi previdenziali e dei debiti tributari, con carattere di sistematicità (cfr., ex plurimis, Cassazione penale, sez. V, 15/05/2014, n. 29586, rv. 260492; Cass., sez. V, 29/11/2013, n. 12426, rv. 259997).

Peraltro proprio la dimostrata inidoneità della intervenuta cessione di azienda a rendere possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale, senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società cedente (che avrebbe legittimato una estensione della contestazione di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale anche a tale condotta: cfr. Cass., sez. V, 10/01/2012, n. 10778, rv. 252008), rende del tutto evidente l’infondatezza della tesi difensiva.

Al riguardo si osserva che l’elemento soggettivo richiesto non è l’intenzionalità dell’insolvenza, essendo sufficiente la coscienza e volontà da parte degli amministratori di porre in essere abusi o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta ovvero atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria dell’impresa, non essendo necessaria la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare, ma solo la consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico, derivanti dalla propria azione (cfr. Cass., sez. V, 16/12/1998, n. 2905; Cass., sez. V, 18/02/2010, n. 17690, rv. 247320; Cass., sez. V, 06/05/2014, n. 42257, rv. 2603).

La Corte (v. 11 gennaio 2008 n. 7203 e di poi 19 febbraio 2010 n. 19049) ha, poi, formulato una distinzione in tema di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta, evidenziando il diverso atteggiarsi dei criteri di imputazione di quella patrimoniale e di quella documentale, sotto il profilo soggettivo quando l’amministratore di diritto non sia anche quello effettivo ma risulti affiancato dalla figura dell’amministratore di fatto, eventualmente con esautorazione dei poteri del primo che per questo viene comunemente definito “testa di legno”.

Ebbene, si è opportunamente affermato che, con riguardo alla bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione ovvero per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’Impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture.

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Non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della bancarotta patrimoniale o per distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittimi la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.

Ovviamente, per la figura dell’amministratore di fatto, accertata in riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente, vale il principio della assoluta equiparazione alla figura dell’amministratore di diritto quanto a doveri, sicché si è rilevato che l’amministratore “di fatto”, in base alla disciplina dettata dal novellato articolo 2639 cod.civ., è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’articolo 40, comma 2 cod.pen.

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BOLOGNA MILANO FIRENZE TREVISO VICENZA

PADOVA ROVIGO RAVENNA CESENA FORLI

SEI IMPUTATO DI BANCAROTTA?

AFFIDATI A  UN AVVOCATO ESPERTO

CHIAMA L’AVVOCATO SERGIO ARMAROLI

051 6447838

sufficiente l’ostacolo alla ricostruzione e lettura delle scritture contabili (Cass. Pen., Sez. V, 16 marzo 2022, n. 8960) per aversi

Bancarotta fraudolenta documentale

Circa la bancarotta fraudolenta “documentale”, l’art. 216, comma 1, n. 2), l.f. prevede che sia punito penalmente l’imprenditore dichiarato fallito che abbia “sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”.

Sul punto, i Giudici di legittimità hanno ribadito un importante principio di diritto secondo cui il delitto di bancarotta fraudolenta documentale non tutela solo l’interesse all’informazione in relazione alle vicende patrimoniali di una società, ma altresì l’interesse alla conoscenza documentata e utile ai fini giuridici delle stesse, specificando che, proprio per tale ragione, il reato in parola non è integrato unicamente dall’impossibilità di ricostruzione della contabilità, ma anche in presenza di un difficoltoso accertamento della stessa.

Pertanto – ha precisato la Corte – il Giudice del rinvio nel riformare l’impugnata sentenza dovrà tenere conto del sopra richiamato principio, secondo cui, come detto, il reato in parola si configura anche laddove la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, sebbene possibile, sia stata ostacolata per gli organi fallimentari da “difficoltà superabili solo con particolare diligenza”.

 

 

la Suprema Corte ha ricordato che “nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l’interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza”.

(Cass. Pen., Sez. V, 16 marzo 2022, n. 8960)

BANCAROTTA DOCUMENTALE 

CASS 2483/2011

reato di bancarotta fraudolenta documentale, allo stesso contestato come commesso attraverso la condotta descritta nel capo d’imputazione

l’elemento oggettivo del delitto in esame, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, è integrato dalla fisica sottrazione delle scritture contabili agli organi del fallimento, causata dalla sottrazione o dalla distruzione delle stesse ovvero dalla omessa tenuta, condotte tutte equivalenti ai fini della sussistenza della fattispecie in parola (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, n. 26379 del 5.3.2019, rv. 276650; Cass., sez. V, n. 42754 del 26.5.2017, rv. 271847). Con riferimento all’elemento soggettivo del delitto di cui si discute, la giurisprudenza di legittimità è saldamente attestata sul principio che la fisica sottrazione delle scritture contabili agli organi del fallimento integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio all’interesse dei creditori ad una ricomposizione completa ed esaustiva delle scritture sociali attinenti a tutte le iniziative economiche del fallito (cfr. Cass., sez. V, 27/03/2013, n. 20999; Cass., Cass., sez. V, 11/04/2012, n. 25432, rv. 252992; Cass., sez. V, 11/06/2014, n. 40015). Più recentemente, in una serie di condivisibili arresti, si è ulteriormente precisato che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno alla L.Fall., art. 216, comma 1, lett. b), rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr. Cass., Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Rv. 269904; Cass., Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650; Cass., Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838). Si parlerà, dunque, nel primo caso, di bancarotta fraudolenta documentale specifica, sorretta dal dolo specifico; nel secondo, di bancarotta fraudolenta documentale generica, sorretta dal dolo generico. Al riguardo deve osservarsi che gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica (e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica) non possono coincidere con la scomparsa dei libri contabili (o con la tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari), che rappresentano semplicemente gli eventi fenomenici, dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente – Dott. ZAZA Carlo – Consigliere – Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere – Dott. ROMANO Michele – Consigliere – Dott. BORRELLI Paola – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: R.O., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 31/10/2016 della CORTE APPELLO di ANCONA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere GUARDIANO ALFREDO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FILIPPI PAOLA; Il Proc. Gen. conclude per l’inamnnissibilità. udito il difensore: il difensore presente si riporta ai motivi. Svolgimento del processo – Motivi della decisione 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte d’appello di Ancona confermava la sentenza con cui il tribunale di Ancona, in data 16.7.2014, aveva condannato R.O. alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta documentale, allo stesso contestato come commesso attraverso la condotta descritta nel capo d’imputazione, in qualità di titolare della ditta individuale “Idromec di R.O.”. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando: 1) vizio di motivazione, con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato in addebito, posto che le circostanze di fatto dalle quali la corte territoriale ha desunto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato (il ritiro da parte del R. dalla CNA di Falconara della documentazione degli anni 2007-2008, la consegna della documentazione al curatore fallimentare, l’intervenuta redazione, da parte del curatore fallimentare, della relazione di propria competenza, in cui è stato possibile giungere alla quantificazione di un passivo), avrebbero dovuto essere valutate in favore dell’imputato, non in suo danno, come ha fatto il giudice di appello, ritenendoli sintomatici del dolo, dimostrando, piuttosto, la buona fede dell’imprenditore, che, a tutto voler concedere, può essere ritenuto responsabile del meno grave reato di bancarotta documentale semplice, senza tacere, infine, che nessuna prova è stata fornita in ordine all’avvenuta falsificazione, distruzione od occultamento delle scritture contabili; 2) violazione di legge processuale, avendo i giudici di merito fondato la propria decisione anche sulle dichiarazioni rese dallo stesso R., in assenza di difensore, al curatore fallimentare, riportate in apposito verbale. 3. Il ricorso è fondato e va accolto nei seguenti termini. 4. Fondato, in particolare, appare il primo motivo di ricorso, in esso assorbito ogni ulteriore doglianza, che impone una riflessione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui si discute. Al riguardo va premesso che l’elemento oggettivo del delitto in esame, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, è integrato dalla fisica sottrazione delle scritture contabili agli organi del fallimento, causata dalla sottrazione o dalla distruzione delle stesse ovvero dalla omessa tenuta, condotte tutte equivalenti ai fini della sussistenza della fattispecie in parola (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, n. 26379 del 5.3.2019, rv. 276650; Cass., sez. V, n. 42754 del 26.5.2017, rv. 271847). Con riferimento all’elemento soggettivo del delitto di cui si discute, la giurisprudenza di legittimità è saldamente attestata sul principio che la fisica sottrazione delle scritture contabili agli organi del fallimento integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio all’interesse dei creditori ad una ricomposizione completa ed esaustiva delle scritture sociali attinenti a tutte le iniziative economiche del fallito (cfr. Cass., sez. V, 27/03/2013, n. 20999; Cass., Cass., sez. V, 11/04/2012, n. 25432, rv. 252992; Cass., sez. V, 11/06/2014, n. 40015). Più recentemente, in una serie di condivisibili arresti, si è ulteriormente precisato che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno alla L.Fall., art. 216, comma 1, lett. b), rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr. Cass., Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Rv. 269904; Cass., Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650; Cass., Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838). Si parlerà, dunque, nel primo caso, di bancarotta fraudolenta documentale specifica, sorretta dal dolo specifico; nel secondo, di bancarotta fraudolenta documentale generica, sorretta dal dolo generico. Al riguardo deve osservarsi che gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica (e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica) non possono coincidere con la scomparsa dei libri contabili (o con la tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari), che rappresentano semplicemente gli eventi fenomenici, dal cui verificarsi dipende l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato. Dovendo, piuttosto, consistere in circostanze di fatto ulteriori, in grado di illuminare la ratio dei menzionati eventi alla luce della finalità di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale specifica; della consapevolezza che l’irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale generica. Appare, pertanto, evidente che tra le suddette circostanze assume un rilievo fondamentale la condotta del fallito nel suo concreto rapporto con le vicende attinenti alla vita economica dell’impresa. Nel caso in esame la corte territoriale non ha reso una motivazione in linea con siffatti principi. I giudici di merito, infatti, pur ritenendo che la condotta del R. fosse sussumibile nell’alveo della bancarotta fraudolenta documentale specifica, si sono limitati a valorizzare una serie di elementi di fatto, sicuramente idonei a dimostrare l’avvenuta omessa consegna agli organi fallimentari in forma integrale della documentazione contabile della società fallita, ma non anche la finalità di recare pregiudizio ai creditori. La sussistenza di tale finalità viene semplicemente affermata dalla corte di appello, ma non provata, non essendo sufficiente al riguardo evidenziare il verificarsi dell’evento rappresentato dal mancato soddisfacimento delle pretese creditorie, che rappresenta un dato neutro rispetto alla premessa da dimostrare, potendo essere, in ipotesi, anche riconducibile ad una condotta meramente colposa del R.. 5. Un ulteriore rilievo va svolto in ordine alla determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, previste dalla L.Fall., art. 216, u.c., fissata in anni dieci dai giudici di merito, senza alcuna motivazione specifica che giustifichi tale durata, cui si perviene sulla base di una sorta di “automatismo” sanzionatorio. Al riguardo si osserva che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 222 del 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L.Fall., art. 216, u.c., nella parte in cui dispone: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anzichè: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”. In conseguenza dell’intervento del Giudice delle leggi, è sorto, nella giurisprudenza di legittimità un contrasto tra due diverse opzioni interpretative. Secondo un primo orientamento in tema di bancarotta fraudolenta, le pene accessorie previste dalla L.Fall., art. 216, u.c., nella formulazione derivata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, devono essere commisurate alla durata della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo, sono soggette alla disciplina di cui all’art. 37 c.p., con la conseguenza che, in caso di sentenza di condanna pronunciata prima della menzionata declaratoria di illegittimità costituzionale, va annullato il capo relativo alla durata delle pene accessorie, da rideterminare in quella corrispondente alla durata della pena principale inflitta all’imputato (cfr., tra le altre, Cass., sez. V, n. 1968, del 7.12.2018, rv. 274228). Secondo un diverso orientamento, invece, in tema di bancarotta fraudolenta, la durata delle pene accessorie previste dalla L.Fall., art. 216, u.c., nella formulazione derivata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, non necessariamente deve essere parametrata alla stessa durata della pena principale ai sensi dell’art. 37 c.p., in quanto i principi di proporzionalità e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, posti alla base della decisione di illegittimità costituzionale, non consentono di applicare alcun tipo di automatismo sanzionatorio. In applicazione del principio la Corte, riconoscendo d’ufficio l’illegalità delle pene accessorie irrogate prima della declaratoria di illegittimità costituzionale della L.Fall., art. 216, u.c., ha annullato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie, al fine di consentire al giudice di merito di stabilire la durata delle stesse, trattandosi di giudizio, che implicando valutazioni discrezionali, è sottratto al giudice di legittimità (cfr. Cass., sez. V, 29.1.2019, 5882, rv. 274413). Tale opzione risulta confermata da un recente arresto delle Sezioni Unite, in cui, proprio con riferimento all’irrogazione delle pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta, è stato ribadito che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p., e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37 c.p. (cfr. Cass., Sez. U., n. 28910, del 28.2.2019, rv. 276286). Sul punto, pertanto, non potendo essere conservata una pena determinata in relazione ad una cornice edittale prevista da una norma dichiarata incostituzionale e, quindi, inesistente sin dalla sua origine, in quanto non conforme al principio costituzionale di proporzione tra offesa e pena (cfr. Cass., Sez. U. n. 33040 del 26.2.2015, rv. 264207), il disposto annullamento comporta che il giudice del rinvio non solo provveda a colmare la segnalata lacuna motivazionale riguardante l’elemento soggettivo del reato, ma, ove ritenga, all’esito del nuovo giudizio, di confermare la condanna del R., proceda anche ad una rideterminazione della durata delle pene accessorie fallimentari. Sulla base delle svolte considerazioni la sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio alla corte di appello di Perugia per un nuovo giudizio, da condurre in ossequio ai principi di diritto in precedenza affermati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Perugia. Così deciso in Roma, il 5 novembre 2020. Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

Originally posted 2018-02-10 17:49:22.