PENALE TRIBUTARIO AVVOCATO ESPERTO MILANO BOLOGNA VENEZIA BERGAMO PAVIA ESPERTO PENALE TRIBUTARIO
BENEFICIO INVENTARIO AVVOCATO BOLOGNA-
Reati tributari delle società
– Violazioni del made in Italy
– Consulenza preventiva
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Assistenza nella fase delle indagini e processuale
Nel diritto tributario penale, cioè perla difesa dei reati tributari occorre la vicinanza e collaborazione assidua con dottori commercialisti molto utili per la preparazione della difesa tecnica nel processo penale tributario.
ANALIZZIAMO IL FATTO
REATI CONTRO LA PERSONA – Diffamazione – Diffamazione commessa con il mezzo della stampauna frode fiscale, riconducibile al fenomeno delle “frodi carosello” realizzata mediante una serie di operazioni volte a realizzare attività economiche fittizie che, utilizzando lo strumento del deposito IVA all’interno del mercato dell’Unione Europea, dove la legislazione consente la neutralizzazione dell’imposta sul valore aggiunto all’impresa acquirente residente in Italia, e il ricorso a società cd. “cartiere”, prive cioè di operatività effettiva, costituite al solo scopo di emettere fatture che altri soggetti utilizzano, mirano ad evadere l’imposizione fiscale con il conseguimento di crediti di imposta. Con sentenza pronunciata in data 12.3.2013 il GIP presso il Tribunale di Livorno, aderendo alla ricostruzione dei fatti operata dall’accusa, ha così ricostruito lo schema delle operazioni commercial
IL PRINCIPIO
il prestanome che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, risponde comunque a titolo di dolo eventuale esponendosi alle conseguenze dell’operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all’art.2392 cod. civ., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi. (cfr. Cass. 26 gennaio, 2006 n. 7208; Cass. 26 novembre 1999 Dragomir Rv 215199; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006 – dep. 04/07/2006, Furini, Rv. 234474; Sez. 3, n. 47110 del 19/11/2013 – dep. 27/11/2013, PG in proc. Piscicelli, Rv. 258080 che ha precisato che in tema di reati tributari il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società). Sussiste pertanto la responsabilità dell’amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di utilizzo di false fatturazioni, afferenti cioè a prestazioni inesistenti, con l’amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all’interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma secondo, cod. pen., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita.
CORTE di CASSAZIONE, sez. penale, sentenza n. 18924 del 20 aprile 201 AVVOCATO ESPERTO PENALE TRIBUTARIO MILANO BOLOGNA VENEZIA BERGAMO PAVIA
RITENUTO IN FATTO
- Il presente procedimento trae origine da un’indagine svolta negli anni 2010-2012 dalla Guardia di Finanza che aveva portato all’emersione, così come contestato nei capi di imputazione, di una frode fiscale, riconducibile al fenomeno delle “frodi carosello” realizzata mediante una serie di operazioni volte a realizzare attività economiche fittizie che, utilizzando lo strumento del deposito IVA all’interno del mercato dell’Unione Europea, dove la legislazione consente la neutralizzazione dell’imposta sul valore aggiunto all’impresa acquirente residente in Italia, e il ricorso a società cd. “cartiere”, prive cioè di operatività effettiva, costituite al solo scopo di emettere fatture che altri soggetti utilizzano, mirano ad evadere l’imposizione fiscale con il conseguimento di crediti di imposta. Con sentenza pronunciata in data 12.3.2013 il GIP presso il Tribunale di Livorno, aderendo alla ricostruzione dei fatti operata dall’accusa, ha così ricostruito lo schema delle operazioni commerciali: la società svizzera P. con sede in Austria, i cui legali rappresentanti erano F. P. e la moglie K. S. importava, tramite la società Euroshopping merci cinesi che venI.o inviate a Livorno e qui messe secondo quanto dichiarato alla dogana a deposito IVA così da sottrarre temporaneamente la merce al pagamento del tributo; successivamente la merce veniva estratta da tre società a responsabilità limitata, la World Trade, la Elf e la Prinnatist, risultate,dagli accertamenti, non operative e di fatto gestite dal P., insieme alla moglie, la quale si limitava a collaborare come mera esecutrice delle decisioni assunte dal marito, mediante auto fatturazione; le suddette cartiere cedevano a loro volta la merce a tre società italiane, la I.tools (di cui era I.r. I. M.), la Bit Store (di cui era I.r. D. B.) e la H. M. Tools (della quale era I.r. V. D.R.), tra loro soggettivamente collegate essendone i legali rappresenti legati tra loro da rapporti di parentela, le quali portavano a credito l’IVA mai corrisposta alla società venditrice ed acquistavano la merce ad un prezzo concorrenziale, senza che sul loro costo venisse applicata l’IVA. Ha pertanto ritenuto la penale responsabilità, per quanto qui interessa, di tutti gli indagati per i reati di contrabbando doganale, falso in atto pubblico per induzione, soppressione di documenti ed evasione fiscale ai sensi degli artt. 2, 5, 8, 10 ed 11 d.lgs. 74/2000, infliggendo la pena della reclusione nella misura di 5 anni a F. P., di 3 anni a K. S. ed I. M., di 3 anni e 4 mesi a S. B., di 2 anni e 2 mesi a D. B. e di 1 anno e 10 mesi a V. e S. D.R. e ha contestualmente disposto la confisca per equivalente sui beni degli imputati senza limitazioni di valore. Con sentenza pronunciata il 18.5.2015 la Corte d’Appello ha integralmente confermato sia la penale responsabilità di tutti gli imputati sia il trattamento sanzionatorio, ed ha invece riformato la sentenza di primo grado contenendo la confisca per equivalente nei limiti degli importi complessivi delle imposte evase così come contestati. Avverso la suddetta sentenza tutti i suddetti imputati hanno proposto ognuno autonomamente, per il tramite dei rispettivi difensori, ricorso per Cassazione.
- F. P. e Kannila S. hanno articolato un unico ed identico motivo con il quale censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione sul punto relativo alla confisca sostenendo che pur essendo stata ridotta, rispetto alla pronuncia del primo giudice, agli importi complessivi delle imposte evase, di fatto non ne era stato indicato l’ammontare. In sintesi la censura si traduce nella violazione del principio, già affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.24965 del 22.4.2015 secondo il quale il profitto, costituito dal risparmio economico derI.te dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale non coincide con l’importo indicato in fattura, dovendo invece essere individuato nel risultato contabile ricavabile da tutti gli elementi attivi e passivi indicati dal dichiarante, oltre al fatto che trattandosi di reati in concorso l’importo risultava in tal modo oltremodo elevato.
- D. B. ha censurato la sentenza per i seguenti motivi:
1) violazione di legge in relazione all’art. 110 c.p. e vizio motivazionale per essere stata la propria responsabilità fondata sul solo elemento oggettivo, ovverosia sulla posizione di intermediario nelle frodi carosello per il ruolo svolto all’interno della Bit Store ef sul presunto vantaggio economico ricavabile dal /f(- commercializzare merci prive di ricarico IVA senza che nulla fosse stato dedotto sull’elemento soggettivo, ovverosia sul dolo di concorso che postula la dimostrazione che il soggetto sia stato in grado di rappresentarsi l’evento nella sua portata illecita, non essendo sufficiente il mero richiamo all’interesse personale;
2) violazione di legge in relazione agli artt. 62-bis e 133 c.p. e vizio motivazionale per mancata dosimetria della pena inflitta sulla base delle stesse motivazioni a tutti gli imputati, arbitrariamente accomunati malgrado le diverse posizioni giuridiche, il diverso vissuto, essendo ad esempio l’imputato incensurato, ed il diverso ruolo rivestito.
- V. D.R. e S. D.R. hanno articolato un unico identico motivo con il quale censurano la sentenza impugnata sotto vari profili:
1) per essere stati ritenuti corresponsabili della frode fiscale esclusivamente sulla base del ruolo di legali rappresentanti dai medesimi ricoperto rispettivamente nella H. M. Tool e nella I.tools sul presupposto che l’eventuale disinteresse dell’amministratore alla gestione sociale da parte di terzi che operino in sua vece ponendo in essere operazioni illecite ne comporta in ogni caso la riconducibilità al legale rappresentante per violazione del dovere di vigilanza, sostenendosi invece che nessuna dimostrazione era stata data sui contatti commerciali tra la società importatrice delle merci dall’estero, le cartiere e gli imputati, onde non poteva ritenersi in alcun modo accertato che costoro fossero a conoscenza del meccanismo fraudolento ordito da terzi per evadere l’IVA, né tantomeno che fossero parte di un accordo con gli altri coimputati destinato a produrre utilità reciproca, essendosi sul punto soltanto valorizzati elementi del tutto neutri come nel caso della V. D.R. il rinvenimento in una casella di posta elettronica, di cui costei aveva negato la paternità, di una fattura emessa da Primatist indirizzata alla H. M. Tools;
2) in relazione all’affermazione secondo la quale le operazioni asseritamente illecite con i venditori intermedi (le cd. cartiere), operanti in regime di esenzione IVA, sarebbero operazioni non reali perché avvenute fra soggetti diversi da quelli effettivi, non potendo desumersi da fatture soggettivamente inesistenti la mancanza oggettiva della prestazione, senza che peraltro fosse stata tenuta in alcun conto la doglianza sollevata con i motivi di appello sulla circostanza che la coincidenza dei codici identificativi degli articoli provenienti dal venditore cinese con quelli rinvenuti presso le proprie società non costituiva, così come affermato dalla sentenza di primo grado, prova dell’identità della merce trattandosi invece di codici identificativi di una categoria omogenea di articoli comuni a tutti gli operatori;
3) in relazione alla mancata riduzione della pena in considerazione del ruolo marginale rivestito da entrambi nell’ambito delle operazioni incriminate.
- I. M. ha anch’egli svolto un unico pluriarticolato motivo con il quale contesta la sussistenza di un vizio motivazionale, declinato sub specie di motivazione omessa od illogica, sui seguenti punti:
1) sulla sussistenza di un accordo tra la società importatrice delle merci dall’estero, le cartiere e l’imputato, destinato a produrre utilità reciproca, del tutto neutro essendo l’unico elemento valorizzato al riguardo costituito dal rinvenimento in una casella di posta elettronica, di cui costui aveva negato la paternità, di una fattura emessa da Primatist indirizzata alla H. M. Tools;
2) sull’elemento soggettivo del reato, ovverosia sulla consapevolezza da parte propria di acquistare la merce dall’intermediario al fine di precostituire uno schermo atto ad eludere l’IVA, costituente dolo specifico;
3) sui codici identificativi delle merci;
4) sulla riconducibilità di fatture soggettivamente inesistenti alla fattispecie incriminata dall’art.2 d. Igs. 74/2000; 5) sulla richiesta riduzione della pena, sugli ultimi tre punti svolgendo contestazioni identiche a quelle articolate da V. e S. D.R..
- Anche S. B. ha articolato un unico motivo con il quale deducendo il vizio motivazionale ha contestato la mancata dimostrazione della propria responsabilità tratta dai soli contatti intrattenuti con il M., con il quale vi è pure un rapporto di parentela, ed ha altresì articolato censure di contenuto analogo a quelle svolte dal D.R. e dal M..
CONSIDERATO IN DIRITTO
- I motivi articolati dal B., dal M., dai D.R. e dal B., traducendosi in censure sovrapponibili le une con le altre, possono essere esaminati congiuntamente. Ai fini di un puntuale inquadramento della questione occorre premettere che il sistema delle frodi carosello si configura come un meccanismo fraudolento volto ad evadere l’imposta sul valore aggiunto posto in essere attraverso una serie di operazioni commerciali aventi ad oggetto prestazione di servizi o cessione di merci con l’interposizione fittizia di società cartiere tra il venditore e l’acquirente finale al fine di ottenere crediti di imposta ai quali corrispondono profitti anche molto elevati. Attraverso tale meccanismo – intrinsecamente connesso al regime transitorio di applicazione dell’IVA agli scambi tra soggetti passivi di imposta aventi sede in differenti paesi dell’Unione Europea secondo il quale il cessionario della transazione intracomunitaria viene ai fini del computo dell’imposta a debito, stante la diversità delle aliquote vigenti nei differenti Stati membri, a sostituirsi al cedente accollandosi i relativi oneri tra cui il versamento dell’imposta sul valore aggiunto che potrà effettuare solo al momento in cui la stessa gli verrà corrisposta dai successivi acquirenti nazionali (D.L. 331/1993, convertito nella L.427/1993) – il venditore non versa l’IVA, ma attraverso il soggetto interposto che emette la fattura con l’IVA senza tuttavia versarla, la merce viene acquistata dal contribuente che invece la detrae. L’operazione illecita così descritta si realizza, come nel caso in esame, attraverso l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti con le quali si intendono quelle che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, anch’esse ricomprese secondo la norma definitoria di cui all’art.1 d.lgs. 74/2000 nell’ambito delle “fatture per operazioni inesistenti”, avendo il legislatore inteso colpire non soltanto la mancanza assoluta dell’operazione, ma ogni tipo di divergenza tra realtà commerciale e risultanze documentali. La divergenza in siffatto sistema riguarda i soggetti reali dell’operazione tra i quali vengono interposti fittiziamente altri soggetti, le cd. società cartiere, alle quali è affidato il compito del “lavaggio” dell’IVA: pertanto per quanto concerne la operazione “apparente” non sorge tra le parti contraenti alcun obbligo di natura fiscale, non potendo il fittizio cedente pretendere il pagamento del prezzo e dell’IVA in rivalsa e, correlativamente, non insorgendo a favore del cessionario alcun diritto alla detrazione della imposta liquidata nella falsa fattura, mentre per quanto riguarda l’operazione “reale”, condotta con il terzo-interponente, trattandosi di operazione per la quale è stata omessa del tutto la fattura, alcun diritto alla detrazione IVA potrà evidentemente essere esercitato dal cessionario (Sez. 3, n. 42994 del 07/07/2015 – dep. 26/1.0/2015, De Angelis, Rv. 265154). Di tale meccanismo danno puntualmente conto i giudici di merito, saldandosi la motivazione della sentenza impugnata con quella di primo grado così da fornire un’unica e complessa trama argomentativa, a fronte della quale le censure mosse dai ricorrenti che ripropongono gli stessi motivi articolati con l’appello, si appalesano destituite di fondamento, oltre che in buona parte affette da genericità atteso che, così come prospettate, solo apparentemente denunciano, in assenza di un reale confronto argomentativo con le motivazioni sviluppate nella decisione censurata, un errore logico o giuridico determinato. Seguendo un coerente e rigoroso percorso motivazionale la sentenza impugnata chiarisce come il meccanismo criminoso fosse strutturato su più livelli per cui la merce, prima di giungere definitivamente alle cosiddette imprese destinatarie finali (nel caso di specie, la I., la H. M. Tools e la B. Store), è stata fatta oggetto di operazioni di compravendita, solo cartolari, eseguite in sequenza e finalizzate esclusivamente alla creazione in capo a queste ultime di un credito Iva utilizzato dalle medesime per compensare il debito Iva da versare mensilmente all’erario. Lo schema della frode prevedeva innanzitutto che la merce acquistata sul mercato cinese dalla società austriaca P., di cui erano rappresentanti in Italia il P. e la moglie K. S., venisse al momento di essere importata in Italia posizionata temporaneamente in deposito presso la Dogana di Livorno in regime di sospensione IVA, utilizzando cioè un meccanismo fiscale che consente di differire il pagamento dell’imposta al momento di estrazione della merce dal deposito, per poi venire estratta da tre società cartiere, la Primatist, la World Trade e la Elf, tutte riconducibili al P., che procedendo attraverso l’autofatturazione, operazione fiscalmente neutra essendo l’IVA ivi riportata sia a debito che a credito, acquistavano fittiziamente la merce senza corrispondere l’Iva. Attraverso questo passaggio la società importatrice, mera scatola vuota, si liberava, attraverso il deposito IVA dall’obbligo del pagamento della relativa imposta che trasferiva, previe false dichiarazioni di cessione delle merci in deposito, sulle tre società fittizie, le quali a loro volta neppure onoravano il pagamento dell’imposta su di esse transitato a seguito della cessione. Queste ultime infatti cedevano la merce alle società destinatarie finali – la I. Tools (di cui era legale rappresentante S. D.R.), la H. M. Tools (di cui era legale rappresentante V. D.R.) e la Bit Store Group (di cui era amministratore D. B.), tutte però di fatto o gestite (come avveniva per per la I. Tools e per la H. M.) o comunque coordinate dal B. e dal M. che si affiancavano per la Bit Store Group al B. – che la acquistavano ad un prezzo altamente competitivo in quanto privo di tributi e al contempo si precostituI. un credito tributario di fatto inesistente portando in detrazione l’IVA fittiziamente pagata dalle società cartiere sulle merci acquistate con fattura. Con argomentazioni, seppur sintetiche, ma comunque intrinsecamente logiche e puntuali, la Corte fiorentina ha ricostruito la dinamica delle operazioni come sopra illustrate per quanto concerne le posizioni del B. e del M., legati fra loro da legami di parentela, sulla base delle intercettazioni telefoniche intervenute tra costoro ed il P., che oltre ad essere il rappresentante della P. in Italia, era il gestore di fatto delle intermediarie, evidenzianti la sostanziale gestione di fatto da parte dei medesimi delle società H. M. ed I. Tools, per conto delle quali discutevano delle modalità di consegna delle merci importate dalla Cina tramite la P. presso la dogana di Livorno e della relativa distribuzione tra le due società ed anche la Bit Store, che invece coordinavano nell’ambito della intera operazione, nonchè dal controllo incrociato dei conti correnti bancari facenti capo alla Primatist e alle società destinatarie finali che evidenzia l’esatta corrispondenza tra i prezzi corrisposti da queste ultime alle società filtro a quelli girati dalla Primatist alla P. senza alcun ricarico. Per quanto concerne il B. i riscontri all’ipotesi accusatoria sono dati dai rapporti di fornitura in relazione alla commercializzazione della merce intercorsi a fasi alterne tra la Bit Store, di cui egli era amministratore, e le altre due società destinatarie finali (essendo stato accertato sulla base della documentazione contabile che in più di un’occasione ognuna delle tre società era a sua volta fornitrice dell’altra), nonché dai corrispettivi versati alle società cartiere per le merci sensibilmente inferiori a quelli di mercato. E’ evidente che è insita nella stessa gestione di fatto delle tre società, e conseguentemente nella regia e supervisione delle operazioni commerciali descritte, la piena consapevolezza in capo ai tre imputati del sistema fraudolento complessivo, di cui la prova principe è data dall’esiguità del prezzo di acquisto della merce rispetto a quello corrente, tale da consentirne la rivendita con amplissimi margini di guadagno, comunque corrispondenti all’entità dell’imposta sul valore aggiunto in tal modo evasa. Le operazioni congegnate attraverso le cd. “frodi carosello” consente, infatti alle tre società cessionarie collocate al termine della filiera di acquistare allo stesso prezzo dichiarato dalla società importatrice all’atto dell’importazione, in tal modo potendo immettere sul mercato beni altamente competitivi per quanto attiene al prezzo di rivendita in quanto non gravato dall’incidenza dell’imposta sul valore aggiunto. Univocamente con gli orientamenti pressoché unanimi della dottrina si è ritenuto, muovendo dal criterio funzionalistico in forza del quale il dato fattuale della gestione sociale deve prevalere sulla qualifica formalmente rivestita, l’irrilevanza dell’etichetta per privilegiare il concreto espletamento della funzione e la conseguente equiparazione degli amministratori di fatto a quelli formalmente investiti della carica, la quale trova conferma anche sul piano normativo nell’art.2639 c.c. che dispone per i reati societari previsti jieflé dal codice civile l’equiparazione al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge di chi esercita in materia continuativa e significativa i poteri tipici inerenti alla qualifica o funzione. Sebbene dettata in materia di reati societari, tale norma è stata ritenuta la codificazione di un principio generale applicabile ad altri settori penali dell’ordinamento, così come in campo civile e tributario, la qual viene in tal modo ad incidere non solo sulla configurabilità del concorso dell’amministratore di fatto nei reati commissivi, ma anche in quelli omissivi propri, nel senso che autore principale del reato è proprio l’amministratore di fatto. In ogni caso limitatamente alla responsabilità dell’amministratore di fatto nei reati omissivi propri formalmente imputabili al prestanome, è stato ripetutamente affermato da questa Corte in relazione ai reati tributari previsti dal d. Igs. 74/2000 che l’amministratore di fatto risponde o quale autore principale, in quanto titolare effettivo della gestione sociale, (Sez. 3, n.38780 del 14/05/2015, Biffi, Rv. 264971), o comunque perchè equiparato a quello di diritto (Sez.4 n.24650 del 16/04/2015, Longoni, Rv. 263728, Sez. 3, n. 33385 del 05/07/2012, Gencarelli, Rv. 25326901). La sussistenza del dolo da partecipazione è stata del resto diffusamente argomentata dalla sentenza di primo grado, destinata a fondersi in un unicum inscindibile con la pronuncia d’appello, secondo la quale “la prova della combinazione dei consensi è in re ipsa”, traendo entrambe le parti (importatore da una parte e cessionari finali dall’altra) un utile diretto dal meccanismo frodatorio, il che è sufficiente ad escludere qualunque supposta ignoranza delle altrui condotte: intanto il P. importava in evasione di imposta in quanto sapeva, in forza di preventivi accordi, che alla fine della filiera, che si snodava attraverso l’estrazione delle merci dal deposito IVA da parte delle società interposte, si ponevano le tre società acquirenti cd.finali, come tali definite rispetto alla complessiva operazione in contestazione; a loro volta gli amministratori delle società acquirenti sapevano, in forza di pregressi accordi con l’importatore, che sarebbero ad essi giunte merci a prezzi estremamente vantaggiosi in quanto introdotte in Italia in evasione dell’IVA sull’importazione, e che avrebbero creato, come poi hanno fatto, un credito IVA fittizio da utilizzare in compensazione con l’IVA addebitata al cliente finale. Trova invece fondamento nell’art.40, 2° comma c.p. la responsabilità di S. e V. D.R., amministratori in carica rispettivamente della I. Tools e della H. M. Tools, ma a loro stessa detta meri prestanome del B. e del M. che amministravano in concreto le suddette società. Sul punto i giudici di merito hanno ritenuto che entrambi rispondano dei reati loro ascritti per avere assunto consapevolmente la veste di rappresentanti legali delle due società, così essendosi prestati a coprire, attraverso la violazione del dovere di vigilanza che incombeva loro per effetto della carica ricoperta, le condotte illecite dei reali amministratori. La linea argomentativa così sviluppata dalla sentenza impugnata, immune da qualsiasi caduta di consequenzialità logica e coerente al compendio probatorio di riferimento, non è in alcun modo scalfita dalle argomentazioni addotte in ricorso che si limitano a contestare in fatto l’inquadramento giuridico della fattispecie, concentrandosi del tutto vanamente gli sforzi difensivi sull’insussistenza di elementi probatori in ordine ai rapporti tra i due imputati con le società cartiere così come con la società importatrice dall’estero, e non invece sul mancato esercizio del dovere di controllo che competeva loro ex lege, argomento questo del tutto tralasciato, e che invece sarebbe stato l’unico spendibile al fine di sostenere che essi erano privi di qualunque potere di ingerenza nella gestione delle società dai medesimi formalmente amministrate. Non vi è perciò alcuna ragione per discostarsi dal principio generale condivisibilmente affermato da questa Corte secondo il quale il prestanome che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, risponde comunque a titolo di dolo eventuale esponendosi alle conseguenze dell’operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, in base alla posizione di garanzia di cui all’art.2392 cod. civ., in forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi. (cfr. Cass. 26 gennaio, 2006 n. 7208; Cass. 26 novembre 1999 Dragomir Rv 215199; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006 – dep. 04/07/2006, Furini, Rv. 234474; Sez. 3, n. 47110 del 19/11/2013 – dep. 27/11/2013, PG in proc. Piscicelli, Rv. 258080 che ha precisato che in tema di reati tributari il prestanome non risponde dei delitti in materia di dichiarazione previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, solo se è privo di qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società). Sussiste pertanto la responsabilità dell’amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di utilizzo di false fatturazioni, afferenti cioè a prestazioni inesistenti, con l’amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all’interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma secondo, cod. pen., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita. A fronte di tale ricostruzione dei fatti e della loro qualificazione giuridica, di nessuna rilevanza è stato ritenuto dalla Corte fiorentina, con argomentazione assolutamente pertinente, il codice identificativo che, quand’anche riferito al genere degli articoli acquistati e non ai singoli prodotti, non costituiva comunque argomentazione idonea ad escludere il dato dirimente, dimostrato dall’intero compendio probatorio acquisito, relativo alla concreta provenienza delle merci e al sistema fraudolento ad essa collegato. Del pari irrilevante – in linea con il principio consolidato secondo il quale il vizio motivazionale denunciabile in sede di legittimità deve essere comunque decisivo, ovverosia idoneo ad incidere sul compendio indiziario così da incrinarne la capacità dimostrativa – può ritenersi la fugace motivazione fornita dalla Corte di merito a proposito del disconoscimento da parte del B. e di V. D.R. dell’indirizzo di posta elettronica di due fatture emesse dalla Primatist nei confronti della H. M., in quanto priva di valore decisivo rispetto all’operazione complessiva, e ai numerosi riscontri probatori acquisti. In ordine, infine, alla contestata dosimetria del trattamento sanzionatorio è sufficiente rilevare che la determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello, ritenendo ciò nondimeno di confermare le valutazioni del giudice di primo grado. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 Rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242). Anche sotto tale profilo la sentenza impugnata, che fa peraltro esplicito riferimento al diverso contributo causale apportato da ciascuno ed alla conseguente differenziazione del trattamento sanzionatorio, risulta quindi immune da censure.
- In relazione al motivo articolato dal P., insieme al quale va esaminato quello svolto dalla S. in quanto di identico contenuto, deve essere rilevato in primo luogo la genericità della censura svolta che si limita ad indicare in via astratta la non corrispondenza tra l’imposta evasa ed il profitto conseguito dagli stessi imputati che dovrebbe invece essere identificato “nel risultato contabile ricavabile dalla lettura complessiva di tutti gli elementi attivi e passivi indicati dal dichiarante”, senza alcuna indicazione delle cifre che evidenzierebbero la discrasia tra i due dati. Va tuttavia osservato che mentre gli elementi attivi sono chiaramente individuabili corrispondendo agli importi IVA analiticamente elencati nelle fatture riportate nell’imputazione, non viene invece indicato alcunché di specifico in ordine agli elementi passivi, che peraltro ,quand’anche dedotti,non avrebbero alcuna rilevanza sul piano fiscale tenuto conto che i soggetti emittenti le fatture risultano solo schermi fittiziamente interposti ai fini dell’incriminata operazione fraudolenta, ovverosia così come definite dalla stessa sentenza impugnata “società fittizie, non operative e che non avevano mai assolto alcun obbligo fiscale”. Il precedente giurisprudenziale invocato dal ricorrente (Sez. 3, 10.6.2015 n.24965) secondo il quale “il profitto illecito suscettibile di sequestro e di confisca, derI.te dalla fattura non è costituito dall’importo nella sua totalità, ma dall’ammontare dell’imposta che lo stesso consente di evadere, attraverso una indebita indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale” non scalfisce la sentenza impugnata la quale, correttamente, non estende il sequestro all’importo totalizzato nella fattura ma lo limita unicamente all’imposta sul valore aggiunto evasa. Peraltro, il precedente richiamato afferiva alla ben diversa ipotesi in cui non soltanto parte dell’imposta evasa era stata pagata, ma in cui la dichiarazione annuale di imposta presentata dall’emittente consentiva di verificare gli elementi passivi da computare nel risultato contabile complessivo. Deve quindi in conclusione ritenersi che del tutto legittimamente la Corte territoriale abbia disposto la confisca per equivalente nei confronti di soggetti ritenuti responsabili di utilizzo di fatture inesistenti ai fini della dichiarazione di imposta sul valore aggiunto in misura corrispondente agli importi complessivi della imposta IVA evasa, con conseguente rigetto del motivo di ricorso in esame.
- I ricorsi proposti da tutti gli imputati devono essere, conseguentemente, rigettati. Segue a tale esito la condanna dei ricorrenti, a norma dell’art.616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
- DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74 Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205(Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie generale n. 76 del 31 marzo 2000)
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Visto l’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205, che delega il Governo ad emanare, entro otto mesi dall’entrata in vigore della stessa legge, un decreto legislativo recante la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto in conformità dei principi e dei criteri direttivi stabiliti dal medesimo articolo, procedendo all’abrogazione del titolo I del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, e delle altre norme vigenti incompatibili con la nuova disciplina;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 5 gennaio 2000;
Acquisito il parere delle competenti commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, previsto dall’articolo 17 della predetta legge n. 205 del 1999;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 marzo 2000;
Sulla proposta del Ministro delle finanze e del Ministro della giustizia;
E m a n a
il seguente decreto legislativo:
Titolo I
DEFINIZIONI1. Ai fini del presente decreto legislativo:
a) per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi;
b) per “elementi attivi o passivi” si intendono le componenti, espresse in cifra, che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto e le componenti che incidono sulla determinazione dell’imposta dovuta; (1)
c) per “dichiarazioni” si intendono anche le dichiarazioni presentate in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche o di sostituto d’imposta, nei casi previsti dalla legge; (2)
d) il “fine di evadere le imposte” e il “fine di consentire a terzi l’evasione” si intendono comprensivi, rispettivamente, anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta, e del fine di consentirli a terzi;
e) riguardo ai fatti commessi da chi agisce in qualità di amministratore, liquidatore o rappresentante di società, enti o persone fisiche, il “fine di evadere le imposte” ed il “fine di sottrarsi al pagamento” si intendono riferiti alla società, all’ente o alla persona fisica per conto della quale si agisce;
f) per “imposta evasa” si intende la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine; non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili; (3)
g) le soglie di punibilità riferite all’imposta evasa si intendono estese anche all’ammontare dell’indebito rimborso richiesto o dell’inesistente credito di imposta esposto nella dichiarazione;
g-bis) per “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” si intendono le operazioni apparenti, diverse da quelle disciplinate dall’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti; (5)
g-ter) per “mezzi fraudolenti” si intendono condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà (4).
Titolo II
DELITTI
Capo I
Delitti in materia di dichiarazione
Art. 2. Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
1. È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. (2)
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
2-bis. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. (3)
[3. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07 (lire trecento milioni), si applica la reclusione da sei mesi a due anni.] (1)
(1) Comma abrogato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera a), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36-vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011.
(2) Comma così modificato dall’ art. 2, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 e, successivamente, dall’ art. 39, comma 1, lett. a), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale ultima disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
(3) Comma aggiunto dall’ art. 39, comma 1, lett. b), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
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Art. 3. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (1) (2)
1. Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da tre a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente: (3) a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
2. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.
Art. 4. Dichiarazione infedele
1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: (3)
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila; (1)
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni (2).
1-bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali.
1-ter. Fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b). (4)
(1) La presente lettera è stata così modificata dall’ art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 e dall’ art. 39, comma 1, lett. e), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale ultima disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
(2) La presente lettera è stata così modificata dall’ art. 39, comma 1, lett. f), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale ultima disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
(3) Alinea così modificato dall’ art. 39, comma 1, lett. d), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale ultima disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
(4) Comma così modificato dall’ art. 39, comma 1, lett. g), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale ultima disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
- Dichiarazione infedele: la dichiarazione integrativa non salva dal reato, Cassazione penale, sez. III, sentenza 29 maggio 2019 n° 23810.
1. È punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. (1)
1-bis. È punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila. (2)
2. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
(1) Da ultimo il presente comma è stato così modificato dall’ art. 39, comma 1, lett. h), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
(2) Comma così modificato dall’ art. 39, comma 1, lett. i), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
1. I delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo (1).
1-bis. Salvo che il fatto integri il reato previsto dall’articolo 8, la disposizione di cui al comma 1 non si applica quando gli atti diretti a commettere i delitti di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell’Unione europea, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un valore complessivo non inferiore a dieci milioni di euro. (2)
(1) La Corte costituzionale, con sentenza 27 febbraio -15 marzo 2002, n. 49 (Gazz. Uff. 20 marzo 2002, n. 12, serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 9, comma 1, lettera b), sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
(2) Comma aggiunto dall’ art. 2, comma 1, D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75.Art. 7. Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio (1)
[1. Non danno luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile, nonché le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio.
2. In ogni caso, non danno luogo a fatti punibili a norma degli articoli 3 e 4 le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste nel comma 1, lettere a) e b), dei medesimi articoli. ]
(1) Articolo abrogato dall’ art. 14, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
Capo II
Delitti in materia di documenti e pagamento di imposte
Art. 8. Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
1. È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. (2)
2. Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.
2-bis. Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta, è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. (3)
[3. Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a euro 154.937,07 (lire trecento milioni) per periodo di imposta, si applica la reclusione da sei mesi a due anni. (1) ]
(1) Comma abrogato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera g), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36-vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011.
(2) Comma così modificato dall’ art. 39, comma 1, lett. l), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
(3) Comma aggiunto dall’ art. 39, comma 1, lett. m), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
Art. 9. Concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
1. In deroga all’articolo 110 del codice penale:
a) l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 2;
b) chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 8 (1).
(1) La Corte costituzionale, con sentenza 27 febbraio -15 marzo 2002, n. 49 (Gazz. Uff. 20 marzo 2002, n. 12, serie speciale), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 9, comma 1, lettera b), sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Art. 10. Occultamento o distruzione di documenti contabili
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. (1)
(1) Comma così modificato dall’ art. 39, comma 1, lett. n), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale ultima disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.
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Art. 10-bis. Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (1) (2) (4) (5)
1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta. (3)
Art. 10-ter Omesso versamento di IVA (1) (2)
1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta. (3)
(1) Articolo inserito dall’art. 35, comma 7, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, e, successivamente, così sostituito dall’ art. 8, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
(2) Sull’esclusione della punibilità per i reati di cui al presente articolo, vedi l’art. 5-quinquies, commi 1, lett. a), e 2, D.L. 28 giugno 1990, n. 167, aggiunto dall’ art. 1, comma 1, L. 15 dicembre 2014, n. 186.
(3) Il presente comma era stato modificato dall’ art. 39, comma 1, lett. p), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, con l’efficacia prevista dal comma 3 del medesimo art. 39; successivamente, tale modifica non è stata confermata dalla legge di conversione (L. 19 dicembre 2019, n. 157).______________
Cfr. Cassazione penale, sez. III, sentenza 16 ottobre 2018 n° 46953.
Art. 10-quater Indebita compensazione (1)
1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.
2. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.
(1) Articolo inserito dall’art. 35, comma 7, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, e, successivamente, così sostituito dall’ art. 9, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
Art. 11. Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (1)
1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
(1) Articolo così sostituito dall’art. 29, comma 4, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.
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Giurisprudenza
- Sottrazione fraudolenta con trust, da quando decorre la prescrizione, Cassazione penale, sez. III, sentenza 10 settembre 2019, n. 37469.
- Reati tributari: trust dopo cartelle? È sottrazione fraudolenta, Cassazione penale, sez. III, sentenza 21 gennaio 2019 n° 2569.
- Cassazione penale, sez. III, sentenza 17 ottobre 2017 n° 47827.
Titolo III
DISPOSIZIONI COMUNI
1. La condanna per taluno dei delitti previsti dal presente decreto importa:
a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni;
b) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni;
c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni;
d) l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria;
e) la pubblicazione della sentenza a norma dell’articolo 36 del codice penale.
2. La condanna per taluno dei delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 8 importa altresì l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni, salvo che ricorrano le circostanze previste dagli articoli 2, comma 3, e 8, comma 3.
2-bis. Per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto l’istituto della sospensione condizionale della pena di cui all’articolo 163 del codice penale non trova applicazione nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d’affari; b) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro. (1) (2)
(1) Comma aggiunto dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera h), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36-vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011.
(2) La Corte costituzionale, con sentenza 14 – 28 maggio 2015, n. 95 (Gazz. Uff. 3 giugno 2015, n. 22, 1ª Serie speciale), ha dichiarato fra l’altro inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 2-bis, aggiunto dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera h), del D.L. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, sollevata in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione.1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta.
(1) Articolo inserito dall’ art. 10, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
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Cfr. Cassazione penale, sez. III, sentenza 13 luglio 2018 n° 32213.
Art. 12-ter. Casi particolari di confisca (1)
1. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti di seguito indicati, si applica l’articolo 240-bis del codice penale quando:
a) l’ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a euro duecentomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 2;
b) l’imposta evasa è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 3;
c) l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a euro duecentomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 8;
d) l’ammontare delle imposte, delle sanzioni e degli interessi è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 11, comma 1;
e) l’ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a euro duecentomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 11, comma 2.(1) Articolo inserito dall’ art. 39, comma 1, lett. q), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019. A norma di quanto disposto dall’ art. 39, comma 1-bis, del citato D.L. n. 124/2019 tale disposizione si applica esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente al 25 dicembre 2019, data di entrata in vigore della L. 19 dicembre 2019, n. 157.
Art. 13. Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario (1)
1. I reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.
2. I reati di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. (2) 3. Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione.
(1) Articolo modificato dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lett. i) e m), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36-vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011. Successivamente il presente articolo è stato così sostituito dall’ art. 11, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
(2) Comma così modificato dall’ art. 39, comma 1, lett. q-bis), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157; per l’efficacia di tale disposizione vedi l’ art. 39, comma 3, del medesimo D.L. n. 124/2019.Art. 13-bis Circostanze del reato (1)
1. Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.
2. Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2.
3. Le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale.
(1) Articolo inserito dall’ art. 12, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.
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Cfr. Cassazione penale, sez. III, sentenza 18 gennaio 2018 n° 1999.
Art. 14. Circostanza attenuante. Riparazione dell’offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito tributario
1. Se i debiti indicati nell’articolo 13 risultano estinti per prescrizione o per decadenza, l’imputato di taluno dei delitti previsti dal presente decreto può chiedere di essere ammesso a pagare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, una somma, da lui indicata, a titolo di equa riparazione dell’offesa recata all’interesse pubblico tutelato dalla norma violata.
2. La somma, commisurata alla gravità dell’offesa, non può essere comunque inferiore a quella risultante dal ragguaglio a norma dell’articolo 135 del codice penale della pena minima prevista per il delitto contestato.
3. Il giudice, sentito il pubblico ministero, se ritiene congrua la somma, fissa con ordinanza un termine non superiore a dieci giorni per il pagamento (1).
4. Se il pagamento è eseguito nel termine, la pena è diminuita fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12. Si osserva la disposizione prevista dal comma 3 dell’articolo 13.
5. Nel caso di assoluzione o di proscioglimento la somma pagata è restituita.
(1) Con D.M. 13 giugno 2000 sono state definite le modalità di documentazione dell’avvenuta estinzione dei debiti tributari previsti dal presente comma.
Art. 15. Violazioni dipendenti da interpretazione delle norme tributarie
1. Al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’articolo 47, terzo comma, del codice penale, non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione.
Art. 16. Adeguamento al parere del Comitato per l’applicazione delle norme antielusive (1)
[1. Non dà luogo a fatto punibile a norma del presente decreto la condotta di chi, avvalendosi della procedura stabilita dall’articolo 21, commi 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai pareri del Ministero delle finanze o del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell’istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso. ]
(1) Articolo abrogato dall’ art. 14, comma 1, lett. a), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.Art. 17. Interruzione della prescrizione
1. Il corso della prescrizione per i delitti previsti dal presente decreto è interrotto, oltre che dagli atti indicati nell’articolo 160 del codice penale, dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle relative violazioni.
1-bis. I termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo. (1)
(1) Comma aggiunto dall’ art. 2, comma 36-vicies semel, lettera l), D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148; per l’applicazione di tale disposizione, vedi comma 36-vicies bis del predetto art. 2, D.L. n. 138/2011.
Art. 18. Competenza per territorio
1. Salvo quanto previsto dai commi 2 e 3, se la competenza per territorio per i delitti previsti dal presente decreto non può essere determinata a norma dell’articolo 8 del codice di procedura penale, è competente il giudice del luogo di accertamento del reato.
2. Per i delitti previsti dal capo I del titolo II il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. Se il domicilio fiscale è all’estero è competente il giudice del luogo di accertamento del reato.
3. Nel caso previsto dal comma 2 dell’articolo 8, se le fatture o gli altri documenti per operazioni inesistenti sono stati emessi o rilasciati in luoghi rientranti in diversi circondari, è competente il giudice di uno di tali luoghi in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’articolo 335 del codice di procedura penale.
Art. 18-bis Custodia giudiziale dei beni sequestrati (1)
1. I beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti dal presente decreto e a ogni altro delitto tributario, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.
2. Restano ferme le disposizioni dell’articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell’articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181.
Titolo IV
RAPPORTI CON IL SISTEMA SANZIONATORIO AMMINISTRATIVO E FRA PROCEDIMENTI
Art. 19. Principio di specialità
1. Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.
2. Permane, in ogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato.
Art. 20. Rapporti tra procedimento penale e processo tributario
1. Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione.
Art. 21. Sanzioni amministrative per le violazioni ritenute penalmente rilevanti
1. L’ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato.
2. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicati dall’articolo 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. In quest’ultimo caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all’ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi.
3. Nei casi di irrogazione di un’unica sanzione amministrativa per più violazioni tributarie in concorso o continuazione fra loro, a norma dell’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, alcune delle quali soltanto penalmente rilevanti, la disposizione del comma 2 del presente articolo opera solo per la parte della sanzione eccedente quella che sarebbe stata applicabile in relazione alle violazioni non penalmente rilevanti.
Titolo V
DISPOSIZIONI DI COORDINAMENTO E FINALI
Art. 22. Modalità di documentazione dell’avvenuta estinzione dei debiti tributari
1. Con decreto del Ministero delle finanze , emanato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, sono stabilite le modalità di documentazione dell’avvenuta estinzione dei debiti tributari indicati nell’articolo 13 e di versamento delle somme indicate nell’articolo 14, comma 3.
Art. 23. Modifiche in tema di utilizzazione di documenti da parte della Guardia di finanza
1. Nell’articolo 63, primo comma, secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e nell’articolo 33, terzo comma, secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, le parole: “previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto” sono sostituite dalle seguenti: “previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che può essere concessa anche in deroga all’articolo 329 del codice di procedura penale”.
Art. 24. Modifica dell’articolo 2 della legge 26 gennaio 1983, n. 18
1. L’ottavo comma dell’articolo 2 della legge 26 gennaio 1983, n. 18, è sostituito dal seguente:
“Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque manomette o comunque altera gli apparecchi misuratori previsti nell’articolo 1 o fa uso di essi allorché siano stati manomessi o alterati o consente che altri ne faccia uso al fine di eludere le disposizioni della presente legge è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.032,91 (lire due milioni) a euro 7.746,85 (lire quindici milioni). Con la stessa sanzione è punito, salvo che il fatto costituisca reato, chiunque, allo stesso fine, forma in tutto o in parte stampati, documenti o registri prescritti dai decreti indicati nell’articolo 1 o li altera e ne fa uso o consente che altri ne faccia uso; nonché chiunque, senza avere concorso nella falsificazione, fa uso degli stessi stampati, documenti o registri.”.1. Sono abrogati:
a) l’articolo 97, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602;
b) l’articolo 8, undicesimo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 249;
c) l’articolo 7, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1978, n. 627;
d) il titolo I del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516;
e) l’articolo 3, quarto comma, della legge 25 novembre 1983, n. 649;
f) l’articolo 2, quarto comma, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 1984, n. 17;
g) l’articolo 1, quarto comma, secondo periodo, del decreto-legge 28 novembre 1984, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 gennaio 1985, n. 6;
h) l’articolo 2, commi 27 e 28, e l’articolo 3, comma 14, del decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1985, n. 17;
i) l’articolo 12, comma 13, della legge 30 dicembre 1991, n. 413;
l) l’articolo 54, comma 8, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;
m) l’articolo 6, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30.
2. E’ abrogata ogni altra disposizione incompatibile con il presente decreto.
Originally posted 2019-05-26 18:54:15.