AVVOCATO ESPERTO DIFESA VIOLENZA SESSUALE BOLOGNA ROIMINI RAVENNA VICENZA FORLI CESENA
L’inutilizzabilità prevista dall’art. 63, comma 2, c.p.p. ricorre anche in caso di dichiarazioni rese nella fase delle indagini da chi, sin dall’inizio dell’esame o dopo l’emersione di indizi a suo carico nel corso di tale atto, senza che lo stesso sia stato interrotto, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato o imputato di reato connesso o di reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni di diverse persone offese di violenza sessuale rese senza garanzie difensive nonostante fosse noto agli inquirenti che i delitti erano stati commessi nel corso di controlli effettuati a seguito di furti compiuti dalle medesime).
L’art. 600 ter comma 4 c.p., delinea una fattispecie residuale in cui trovano collocazione tutte le altre condotte di cessione, siano esse a titolo gratuito che oneroso, di materiale pornografico realizzato con lo sfruttamento sessuale di minori, che non rientrino nelle fattispecie di cui ai commi precedenti, cioè ai soli casi di cessione occasionale o sporadica, anche a titolo oneroso, attuata in favore di singoli e ben determinati soggetti, che non si inseriscano in una vera e propria attività di commercio o di indiscriminata diffusione a terzi, come la distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione (nella specie, il tribunale ha escluso che la condotta materiale dell’indagato, consistente nello scambio per posta di materiale pedopornografico, fosse qualificabile come commercio, per l’assenza di un dimostrato fine di lucro, e ha proceduto alla riqualificazione della condotta nel reato di distribuzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p., rilevando che si trattava di una ampia, continuativa attività di scambio e cessione, e quindi di diffusione, di tale materiale, attuata previa offerta effettuata per mezzo di annunci pubblicati su un giornale internazionale, in favore dei diversi soggetti che ne facevano richiesta, ciò desumendo da diversi indici significativi, quali la continuità nell’attività di acquisto e cessione, l’offerta ad un numero indistinto di soggetti di diversa nazionalità, la pluralità dei destinatari del materiale, l’esistenza di una, seppur minima, predisposizione di mezzi – quali, oltre alle inserzioni sul giornale internazionale, l’attivazione di un’apposita casella postale per gestire riservatamente il materiale pornografico oggetto di transazione – le qualità soggettive dell’indagato, già coinvolto in passato in un traffico di videocassette pedopornografiche).
Il reato di cui all’art. 609-quater c.p. (atti sessuali con minorenne), commesso dal pubblico ufficiale, è procedibile d’ufficio solo se il fatto è stato commesso nell’esercizio delle proprie funzioni (esclusa la procedibilità di ufficio ne caso de quo relativo al rapporto tra un conducente di scuolabus ed una ragazzina tredicenne, conosciuta proprio perché utilizzatrice dei servizio pubblico, con la quale egli aveva intrattenuto una corrispondenza telematica la cui finalità era quella di indurre la ragazzina ad avere il suo primo rapporto sessuale con lui. La Corte ha sottolineato che ai fini della procedibilità d’ufficio dei reato contestato, era necessario che il fatto fosse stato commesso nell’esercizio delle proprie funzioni, non a causa delle stesse, e che il reato fosse stato consumato in costanza dell’affidamento per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza e custodia, non, come nel caso di specie, mentre il minore si trovava a casa propria, insieme con i genitori che, peraltro, denunziando il fatto per aver osservato in tempo reale la conversazione della figlia con l’indagato, avevano dimostrato di possedere il pieno controllo delle attività della stessa).
Il reato di cui all’art. 609-quater c.p. (atti sessuali con minorenne), commesso dal pubblico ufficiale, è procedibile d’ufficio solo se il fatto è stato commesso nell’esercizio delle proprie funzioni (esclusa la procedibilità di ufficio ne caso de quo relativo al rapporto tra un conducente di scuolabus ed una ragazzina tredicenne, conosciuta proprio perché utilizzatrice dei servizio pubblico, con la quale egli aveva intrattenuto una corrispondenza telematica la cui finalità era quella di indurre la ragazzina ad avere il suo primo rapporto sessuale con lui. La Corte ha sottolineato che ai fini della procedibilità d’ufficio dei reato contestato, era necessario che il fatto fosse stato commesso nell’esercizio delle proprie funzioni, non a causa delle stesse, e che il reato fosse stato consumato in costanza dell’affidamento per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza e custodia, non, come nel caso di specie, mentre il minore si trovava a casa propria, insieme con i genitori che, peraltro, denunziando il fatto per aver osservato in tempo reale la conversazione della figlia con l’indagato, avevano dimostrato di possedere il pieno controllo delle attività della stessa).
Il reato di atti persecutori non è configurabile in presenza di un comportamento della vittima che assecondi l’atteggiamento in ipotesi molesto o minaccioso dell’agente inducendolo a persistere in tale atteggiamento, perché in tale evenienza non è dimostrabile la verificazione del requisito del pregiudizio della psiche della persona offesa in termini tali da consentire di ravvisare l’evento di danno che costituisce il reato (nella specie, è stato rigettato il ricorso del procuratore della Repubblica avverso l’ordinanza cautelare che aveva escluso il reato valorizzando il comportamento incongruo della persona offesa che aveva proseguito i rapporti telefonici con l’indagato, rispondendo all’interlocutore, anziché prenderne le distanze, e aveva altresì accettato un incontro chiarificatore con questi).
Il reato di cui all’art. 609-quater c.p. (atti sessuali con minorenne), commesso dal pubblico ufficiale, è procedibile d’ufficio solo se il fatto è stato commesso nell’esercizio delle proprie funzioni (esclusa la procedibilità di ufficio ne caso de quo relativo al rapporto tra un conducente di scuolabus ed una ragazzina tredicenne, conosciuta proprio perché utilizzatrice dei servizio pubblico, con la quale egli aveva intrattenuto una corrispondenza telematica la cui finalità era quella di indurre la ragazzina ad avere il suo primo rapporto sessuale con lui. La Corte ha sottolineato che ai fini della procedibilità d’ufficio dei reato contestato, era necessario che il fatto fosse stato commesso nell’esercizio delle proprie funzioni, non a causa delle stesse, e che il reato fosse stato consumato in costanza dell’affidamento per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza e custodia, non, come nel caso di specie, mentre il minore si trovava a casa propria, insieme con i genitori che, peraltro, denunziando il fatto per aver osservato in tempo reale la conversazione della figlia con l’indagato, avevano dimostrato di possedere il pieno controllo delle attività della stessa).
Cassazione penale sez. un., 29/04/2021, n.39005
Il giudice che ritenga adeguata la misura cautelare dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa può limitarsi ad indicare tale distanza
AVVOCATO ESPERTO DIFESA VIOLENZA SESSUALE BOLOGNA ROIMINI RAVENNA VICENZA FORLI CESENA
Sentenza
PROCEDIMENTO PENALE – Misure cautelari personali – Obbligo di distanza dalla persona offesa – Indicazione distanza – Sufficienza – Divieto di avvicinamento – Indicazione dettagliata dei luoghi – Necessità.
Il giudice che ritenga adeguata e proporzionata la sola misura cautelare dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa (art. 282-ter, comma 1, c.p.p.) può limitarsi ad indicare tale distanza. Nel caso in cui, al contrario, nel rispetto dei predetti principi, disponga, anche cumulativamente, le misure del divieto di avvicinamento ai luoghi da essa abitualmente frequentati e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente.
Tribunale S.Maria Capua V. sez. III, 27/12/2017, n.4994
Valore probatorio della testimonianza della persona offesa nel processo penale
Sentenza
La persona offesa può essere anche l’unico testimone del processo penale e il giudice può trarre dalla sua testimonianza il convincimento della responsabilità dell’imputato purché la ritenga credibile e dia atto nella motivazione della sentenza dei criteri adottati per ritenerla tale.( Nel caso di specie si trattava di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia e la persona offesa era stata ritenuta credibile perché la ricostruzione dei fatti da essa fornita non era contraddittoria ed era stata precisa nel riferire i vari episodi di violenza subita che si compenetravano tra loro).
Fonte:
Cassazione penale sez. III, 07/11/2019, n.8968
Il reato di violenza sessuale commesso dal conducente nella sosta al capolinea nei confronti di passeggeri è commesso nello svolgimento dell’attività lavorativa
Sentenza
Il reato di violenza sessuale commesso dal conducente dell’autobus durante la sosta al capolinea, nei confronti di passeggeri a bordo, deve essere ritenuto commesso nello svolgimento dell’attività lavorativa, la quale non comprende solo la guida, ma anche la vigilanza del mezzo; con la conseguenza che il nesso di occasionalità necessaria, che configura la responsabilità del responsabile civile (il datore di lavoro), deve essere ritenuto sussistente.
Cassazione penale sez. III, 18/09/2020, n.30922
Inutilizzabili le dichiarazioni rese in fase d’indagine da chi sin dall’inizio dell’esame avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato
Annulla con rinvio, CORTE APPELLO VENEZIA, 02/05/2019
L’inutilizzabilità prevista dall’art. 63, comma 2, c.p.p. ricorre anche in caso di dichiarazioni rese nella fase delle indagini da chi, sin dall’inizio dell’esame o dopo l’emersione di indizi a suo carico nel corso di tale atto, senza che lo stesso sia stato interrotto, avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato o imputato di reato connesso o di reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni di diverse persone offese di violenza sessuale rese senza garanzie difensive nonostante fosse noto agli inquirenti che i delitti erano stati commessi nel corso di controlli effettuati a seguito di furti compiuti dalle medesime).
Cassazione penale sez. III, 06/06/2024, n.30374
L’uso di prove ottenute illegalmente viola il principio di legalità e il diritto alla difesa
Sentenza
Documenti correlati
L’impugnazione della dichiarazione di assenza non richiede uno specifico mandato a impugnare o una nuova elezione di domicilio, la Cassazione ha quindi annullato senza rinvio la decisione d’appello che aveva dichiarato inammissibile il gravame proposto dal fratello nell’interesse dell’imputato avverso la condanna per il reato di violenza sessuale. In dettaglio, la Corte territoriale dichiarava inammissibile l’appello, per la mancanza dello specifico mandato a impugnare ex art. 581, comma 1-quater, c.p.p. In Cassazione veniva dedotta violazione di legge, atteso che era stata impugnata proprio la dichiarazione di assenza dell’imputato, del quale non si avevano avuto più notizie ben prima della celebrazione del processo, come da denuncia di scomparsa presentata dal fratello e prodotta sin dall’udienza preliminare e poi nel giudizio di primo grado. “Questa Suprema Corte ha di recente avuto occasione di chiarire – che «in tema di impugnazioni, il disposto di cui all’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non è applicabile al giudizio di cassazione, nel caso in cui formi oggetto del gravame l’ordinanza dichiarativa dell’assenza dell’imputato» (Cass. n. 9426/2024). Tali principi devono trovare applicazione anche nella fattispecie in esame, in cui la difesa aveva riproposto le censure già formulate avverso l’ordinanza dichiarativa dell’assenza dell’imputato emessa dal tribunale. La Corte d’appello “ avrebbe dovuto necessariamente confrontarsi con gli argomenti posti a sostegno della illegittimità della dichiarazione di assenza – e – solo all’esito di tale valutazione, adottare le conseguenti determinazioni , eventualmente nel senso della inammissibilità ai sensi del comma 1-quater dell’art. 581, in caso di infondatezza della prospettazione difensiva”. Invece, la corte territoriale si era limitata solo a rilevare l’applicabilità in astratto della suddetta disposizione e a prendere atto del mancato deposito dello specifico mandato ad impugnare. Da qui l’ annullamento senza rinvio dell’impugnata ordinanza , e la trasmissione degli atti alla Corte d’Appello per l’ulteriore corso.
AVVOCATO ESPERTO DIFESA VIOLENZA SESSUALE BOLOGNA ROIMINI RAVENNA VICENZA FORLI CESENA
Tribunale Monza, 03/05/2018, n.471
L’aggravante dell’uso di stupefacenti per il conseguimento di prestazione sessuale va esclusa perché assorbita dal reato di violenza sessuale
Deve escludersi l’aggravante contestata di cui all’art. 80 lett. F) DPR 9 ottobre 1990, n. 309, in quanto assorbita dal reato di violenza sessuale di cui al capo A). Infatti, lo stato di tossicodipendenza e l’uso di sostanza stupefacente finalizzata al conseguimento di prestazione sessuale sono già stati considerati quali elementi costitutivi del reato di violenza sessuale, così come riqualificato.
Cassazione penale, IV sez, sentenza n. 04928/23, Pres. Serrao, Rel. Esposito
- […] Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’attendibilità delle persone offese nei reati sessuali deve essere valutata in senso globale, tenendo conto di tutte le dichiarazioni e circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo (Sez. 3, n. 21640/10); in particolare, la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore persona offesa di reati sessuali presuppone un esame della sua credibilità in senso onnicomprensivo, dovendo tenersi conto a tal riguardo dell’attitudine, in termini intellettivi ed affettivi, a testimoniare, della capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, delle condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno, della qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute, con particolare attenzione a certe naturali e tendenziose affabulazioni (sez. 3, n. 29612/10).
Peraltro, come già ricordato nella sentenza rescindente, in tema di violenza sessuale sui minori, la valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla vittima deve tenere conto non solo della loro intrinseca coerenza, ma anche di tutte le altre circostanze concretamente idonee ad influire su tale giudizio, ivi inclusa la veridica sull’incidenza di plurime audizioni della persona offesa in punto di usura della fonte dichiarativa (sez. 3, n. 46592/17).
Va altresì ricordato che i protocolli prescritti dalla Carta di Noto si risolvono in meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni e la protezione psicologica del minore; pur non dettando regole di valutazione cogenti, rappresentano un importante strumenti di verifica dei dati probatori acquisiti al processo, ma la loro inosservanza non determina nullità né inutilizzabilità della prova (sez. 3, n. 15737/18).
Nella sentenza rescindente si ricordava che le dichiarazioni rese dal minore vanno analizzate considerando le modalità di narrazione delle vicende ai familiari, alla polizia giudiziaria, ai magistrati e agli altri soggetti, tenendo conto delle sollecitazioni, del numero di ripetizioni del racconto, delle modalità utilizzate per sollecitare il racconto, delle modalità delle narrazione dei fatti, del contenuto e delle caratteristiche delle prime dichiarazioni nonché delle loro modificazioni nelle eventuali reiterazioni sollecitate.
Si è altresì affermato che, in tema di reati sessuali, una volta accertata la capacità di comprendere e riferire i fatti della persona offesa minorenne, la sua deposizione deve essere inquadrata in un più ampio contesto sociale, familiare e ambientale, al fine di escludere l’intervento di fattori inquinanti in grado di inficiarne la credibilità (sez. 3 n. 8057/12); occorre accertare il complesso delle situazioni che attingono la sfera interiore del minore, il contesto delle relazioni con l’ambito familiare ed extrafamiliare e i processi di rielaborazione delle vicende vissute (sez. 3 n. 39994/07).
I giudici di merito devono stabilire se il racconto dei fatti, quale emerge dalle dichiarazioni de relato rese dai genitori o da chi abbia ricevuto il primo disvelamento dell’abuso sessuale, corrisponde a quanto il minore ha realmente vissuto, unitamente all’eventuale conferma del racconto stesso in sede di incidente probatorio, tenuto conto degli elementi scaturenti dalle perizie psicologiche effettuate. - Alla luce degli elementi di fatto riportati nelle sentenze di merito, emerge la sussistenza di molteplici fattori di rischio idonei ad inficiare l’attendibilità della minore, costituiti principalmente dal conflitto genitoriale, dalla situazione della minore quando si trovava dalla nonna, dagli incontri su turbative sessuali avvenute a scuola e dalle plurime ripetizioni delle dichiarazioni accusatorie a vari interlocutori.
Cassazione penale , sez. IV , 05/04/2022 , n. 16272
In tema di ammissione al patrocino a spese dello Stato, ai sensi dell’ art. 76, comma 4-ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 , la persona offesa da uno dei reati ivi elencati può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dallo stesso articolo; ne consegue che la relativa istanza necessita esclusivamente dei requisiti di cui alle lettere a) e b) del comma primo dell’art. 79 del decreto e non anche dell’allegazione da parte dell’interessato, prevista dalla lettera c) del medesimo articolo, di una dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione.
Cassazione penale , sez. I , 18/02/2022 , n. 9228
Il giudizio per la concessione di misure alternative alla detenzione ai condannati per violenza sessuale si basa su osservazione scientifica della personalità