Attentati alla sicurezza degli impianti di energia elettrica e del gas ovvero delle pubbliche comunicazioni-Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (1).

Attentati alla sicurezza degli impianti di energia elettrica e del gas ovvero delle pubbliche comunicazioni.

LIBRO SECONDO
DEI DELITTI IN PARTICOLARE

che nell’ipotesi in cui il fatto illecito si configuri come reato il danno non patrimoniale è risarcibile nella sua più ampia accezione di danno determinato da lesioni di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica; che la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l’effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo, assumendo rilievo la sua durata ai fini della quantificazione del risarcimento; che, nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula “danno morale” non individua un’autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata; che, in conclusione, è compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore uomo si siano verificate.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 13 maggio 2009, n. 11059

(Pres. Preden – est. Amatucci)

Motivi della decisione

  1. Con i sette motivi di ricorso la sentenza è rispettivamente censurata:
  2. a) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c. laddove aveva posto a base della decisione un’inesatta nozione di fatto notorio, violando anche le norme sulle presunzioni semplici e finendo col considerare notorio il danno stesso, che era invece il fatto da provare;
  3. b) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché per omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo nella parte in cui aveva ritenuto che dal fatto notorio della sottoposizione dei residenti nell’area contaminata a controlli sanitari ed a prescrizioni di comportamento potesse “certamente inferirsi, secondo l’id quod plerumque accidit, che in ciascuno dei soggetti anzidetti si sia determinato quel patema d’animo, ovvero quello stato di preoccupazione per la propria salute (esposta a pericolo di disastro ambientale, e quindi di turbamento, di tensione e di ansia – transeunte ancorché duraturo – che viene a configurare il danno morale” (pagina 9 della sentenza); si sostiene che in tema di prova per presunzioni il fatto ignoto da accertarsi deve profilarsi come la sola conseguenza logicamente possibile del fatto noto, o quantomeno in termini di ragionevole certezza e non di mera possibilità;
  4. c) per violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. per avere, in violazione del divieto del praesumptum de praesumpto, dedotto in via presuntiva che danno vi fosse stato dalla presunzione che dai controlli sanitari fossero derivati agli attori “evidenti timori sia per la propria salute che per quella di soggetti diversi …” (pagina 6 della sentenza);
  5. d) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 e 2697 c.c. per aver identificato il danno con la lesione dell’interesse, senza considerare che il danno, anche quello non patrimoniale, non è mai configurabile in re ipsa, ma è pur sempre conseguenza del fatto, che va dunque provato, e va inoltre personalizzato, come precisato nel precedente specifico costituito da Cass., sez. un., n. 2515/02;
  6. e) per violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c. laddove, mediante il rilievo conferito alla notorietà degli inconvenienti in cui era incappata “tutta la popolazione residente nelle zone circostanti lo stabilimento ICMESA”, dato in realtà ingresso ad una class action, ignota al nostro ordinamento, dove invece vige il principio secondo il quale, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere in nome proprio un diritto altrui;
  7. f) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2043 e 2697 c.c. giacché, affermando che il fatto avrebbe determinato riflessi nella vita sociale e di relazione degli attori per i controlli sanitari cui sarebbero stati sottoposti per dieci anni con conseguenti limitazioni del normale svolgimento della vita, la corte territoriale avrebbe in realtà riconosciuto non il danno morale, che per sua natura consiste in un transeunte perturbamento, ma il danno “esistenziale”, che consistendo in un non facere esteriore, va più rigorosamente provato;
  8. g) per violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., in relazione alla quantificazione uniforme del danno per tutti gli attori nel riconosciuto difetto di elementi per una differenziazione delle varie posizioni, a conferma della carenza di prova sopra rilevata ed a rivelazione di una carenza di motivazione in punto di effettuata liquidazione equitativa.
  9. – Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate per la connessione che le connota, sono tutte infondate.

La corte d’appello ha dato analiticamente conto (alle pagine 5, 6 e 7 della sentenza impugnata) delle ragioni che avevano indotto il tribunale all’accoglimento della domanda, espressamente riferendo che tutti coloro, come gli attori, che risiedevano nelle zone delimitate come “B” ed “R”, come risulta dalla documentazione prodotta (così, testualmente, a pagina 5) vennero sottoposti, in quanto soggetti a rischio, a ripetuti controlli sanitari, sia nell’immediatezza dell’evento sia successivamente, per parecchi anni, almeno fino al 1984. Lo stesso concetto è nuovamente espresso a pagina 9, capoverso, dove si afferma essere notorio e comunque documentato che i controlli interessarono anche specificamente gli attori/appellati, nessuno di essi escluso.

Il fatto da cui la corte ha preso le mosse per la configurazione del danno non patrimoniale in capo agli attori (ravvisato nel patema d’animo indotto in ognuno dalla preoccupazione per il proprio stato di salute) è stato dunque ritenuto, al di là del riferimento al notorio, documentalmente provato, sicché manca il presupposto stesso delle censure mosse alla sentenza con i primi tre motivi.

Per il resto la sentenza è del tutto conforme a diritto dove afferma che il danno non patrimoniale consistente nel patema d’animo e nella sofferenza interna ben può essere provato per presunzioni e che la prova per inferenza induttiva non postula che il fatto ignoto da dimostrare sia l’unico riflesso possibile di un fatto noto, essendo sufficiente la rilevante probabilità del determinarsi dell’uno in dipendenza del verificarsi dell’altro secondo criteri di regolarità causale.

Né è stata fatta confusione di sorta tra interesse leso e danno derivatone, avendo la corte d’appello chiarito che il tribunale – in linea con la richiamata Cass., sez. un., n. 2515/02 – aveva ritenuto che l’art. 449 c.p. prevede un delitto colposo di pericolo presunto a carattere plurioffensivo, in quanto incidente sia sul bene pubblico immateriale ed unitario dell’ambiente che sulla sfera individuale dei singoli soggetti che si trovano in concreta relazione con i luoghi interessati dall’evento dannoso in ragione della loro residenza o frequentazione abituale; sicché l’interesse nella specie leso è quello rafforzato, e niente affatto adespota, proprio dei soggetti che si siano trovati, come tutti gli attori, in particolare relazione con l’ambiente inquinato da sostanze altamente tossiche. Da tale relazione è derivato il patema d’animo e la preoccupazione che la corte ha correttamente ritenuto costituire danno non patrimoniale risarcibile in quanto derivante da reato.

E tanto evidenzia l’infondatezza del quarto e del quinto motivo.

Quella del sesto discende dai principi recentemente enunciati da Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, che ha escluso l’autonomia della categoria del cosiddetto danno esistenziale, al contempo chiarendo che nell’ipotesi in cui il fatto illecito si configuri come reato il danno non patrimoniale è risarcibile nella sua più ampia accezione di danno determinato da lesioni di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica; che la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l’effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo, assumendo rilievo la sua durata ai fini della quantificazione del risarcimento; che, nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula “danno morale” non individua un’autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata; che, in conclusione, è compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore uomo si siano verificate.

Comunque li abbia qualificati, la corte d’appello ha appunto risarcito tutti i pregiudizi che ha ragionevolmente ritenuto derivati dal reato, in linea con gli enunciati principi.

L’infondatezza del settimo motivo, infine, è connessa al rilievo che la corte d’appello ha ritenuto che, alla luce degli elementi che hanno caratterizzato la vicenda in questione (gravità del fatto e delle sue possibili conseguenze per la salute della popolazione residente nell’area inquinata, lungo periodo per cui si sono protratti i controlli di laboratorio ed il regime di vigilanza) l’importo di Euro 5.000 liquidato in via equitativa in favore di ciascuno degli attori corrispondesse ad una valutazione prudenziale, “se non addirittura minima” del danno morale in questione (a pagina 10 della sentenza, sub 2.3.). Il che non altro significa che, secondo l’apprezzamento di fatto compiuto dal giudice di merito con motivazione senz’altro adeguata, in nessun caso potesse ipotizzarsi, per ognuno, una valutazione equitativa del danno inferiore a quell’importo.

  1. – Il ricorso è respinto.

Le spese (in favore dei tre intimati che hanno depositato controricorso) seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.200, si cui 2.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

 

TITOLO VI
Dei delitti contro l’incolumità pubblica

Capo I
Dei delitti di comune pericolo mediante violenza

Art. 422.
Strage.

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 285, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con l’ergastolo.
Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l’ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni.

Art. 423.
Incendio.

Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni.
La disposizione precedente si applica anche nel caso d’incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica.

Art. 423-bis.
Incendio boschivo.

Chiunque cagioni un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
Se l’incendio di cui al primo comma è cagionato per colpa, la pena è della reclusione da uno a cinque anni.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se dall’incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree protette.
Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della metà, se dall’incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all’ambiente.

Art. 424.
Danneggiamento seguito da incendio.

Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 423-bis, al solo scopo di danneggiare la cosa altrui, appicca il fuoco a una cosa propria o altrui è punito, se dal fatto sorge il pericolo di un incendio, con la reclusione da sei mesi a due anni.
Se segue l’incendio, si applicano le disposizioni dell’articolo 423, ma la pena è ridotta da un terzo alla metà.
Se al fuoco appiccato a boschi, selve e foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento, segue incendio, si applicano le pene previste dall’articolo 423-bis.

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Cfr. Cassazione penale, sez. I, sentenza 27 aprile 2010, n. 16295 in Altalex Massimario.

Art. 425.
Circostanze aggravanti.

Nei casi preveduti dagli articoli 423 e 424, la pena è aumentata se il fatto è commesso:
1) su edifici pubblici o destinati a uso pubblico, su monumenti, cimiteri e loro dipendenze;
2) su edifici abitati o destinati a uso di abitazione, su impianti industriali o cantieri, o su miniere, cave, sorgenti o su acquedotti o altri manufatti destinati a raccogliere e condurre le acque;
3) su navi o altri edifici natanti, o su aeromobili;
4) su scali ferroviari o marittimi, o aeroscali, magazzini generali o altri depositi di merci o derrate, o su ammassi o depositi di materie esplodenti, infiammabili o combustibili;
[5. su boschi, selve e foreste.] (1)

(1) Numero abrogato dall’art. 11, L. 21 novembre 2000, n. 353.

Art. 426.
Inondazione, frana o valanga.

Chiunque cagiona un’inondazione o una frana, ovvero la caduta di una valanga, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

Art. 427.
Danneggiamento seguito da inondazione, frana o valanga.

Chiunque rompe, deteriora o rende in tutto o in parte inservibile chiuse, sbarramenti, argini, dighe o altre opere destinate alla difesa contro acque, valanghe o frane, ovvero alla raccolta o alla condotta delle acque, al solo scopo di danneggiamento, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di un’inondazione o di una frana, ovvero della caduta di una valanga, con la reclusione da uno a cinque anni.
Se il disastro si verifica, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

Art. 428.
Naufragio, sommersione o disastro aviatorio.

Chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di altrui proprietà è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.
La pena è della reclusione da cinque a quindici anni se il fatto è commesso distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche a chi cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di sua proprietà, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.

Art. 429.
Danneggiamento seguito da naufragio.

Chiunque, al solo scopo di danneggiare una nave, un edificio natante o un aeromobile, ovvero un apparecchio prescritto per la sicurezza della navigazione, lo deteriora, ovvero lo rende in tutto o in parte inservibile, è punito se dal fatto deriva pericolo di naufragio, di sommersione o di disastro aviatorio, con la reclusione da uno a cinque anni.
Se dal fatto deriva il naufragio, la sommersione o il disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

Art. 430.
Disastro ferroviario.

Chiunque cagiona un disastro ferroviario è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.

Art. 431.
Pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento.

Chiunque, al solo scopo di danneggiare una strada ferrata, ovvero macchine, veicoli, strumenti, apparecchi o altri oggetti che servono all’esercizio di essa, li distrugge in tutto o in parte, li deteriora o li rende altrimenti in tutto o in parte inservibili, è punito se dal fatto deriva il pericolo di un disastro ferroviario, con la reclusione da due a sei anni.
Se dal fatto deriva il disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Per le strade ferrate la legge penale intende, oltre le strade ferrate ordinarie, ogni altra strada con rotaie metalliche, sulla quale circolino veicoli mossi dal vapore, dall’elettricità, o da un altro mezzo di trazione meccanica.

Art. 432.
Attentati alla sicurezza dei trasporti.

Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, pone in pericolo la sicurezza dei pubblici trasporti per terra, per acqua o per aria, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Si applica la reclusione da tre mesi a due anni a chi lancia corpi contundenti o proiettili contro veicoli in movimento, destinati a pubblici trasporti per terra, per acqua o per aria.
Se dal fatto deriva un disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

Art. 433.
Attentati alla sicurezza degli impianti di energia elettrica e del gas ovvero delle pubbliche comunicazioni.

Chiunque attenta alla sicurezza delle officine, delle opere, degli apparecchi o di altri mezzi destinati alla produzione o alla trasmissione di energia elettrica o di gas, per l’illuminazione o per le industrie, è punito, qualora dal fatto derivi pericolo alla pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica a chi attenta alla sicurezza delle pubbliche comunicazioni telegrafiche o telefoniche, qualora dal fatto derivi pericolo per la pubblica incolumità.
Se dal fatto deriva un disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

Art. 433-bis
Attentato alla sicurezza delle installazioni nucleari (1)

Chiunque attenta alla sicurezza delle installazioni nucleari ovvero degli impianti, dei luoghi o dei mezzi adibiti alla produzione, alla conservazione o al trasporto di materie nucleari è punito, qualora dal fatto derivi pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da quattro a otto anni.
Se dal fatto deriva un disastro, la pena è della reclusione da cinque a venti anni

(1) Articolo inserito dall’art. 8, comma 1, L. 28 aprile 2015, n. 58.

Art. 434.
Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi.

Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene.

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Cfr. Cassazione penale, sez. III, sentenza 29 febbraio 2008, n. 9418 e Cassazione penale, sez. I, sentenza 27 ottobre 2009, n. 41306 in Altalex Massimario.

Art. 435.
Fabbricazione o detenzione di materie esplodenti.

Chiunque, al fine di attentare alla pubblica incolumità, fabbrica, acquista o detiene dinamite o altre materie esplodenti, asfissianti, accecanti, tossiche o infiammabili, ovvero sostanze che servano alla composizione o alla fabbricazione di esse, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Art. 436.
Sottrazione, occultamento o guasto di apparecchi a pubblica difesa da infortuni.

Chiunque, in occasione di un incendio, di una inondazione, di una sommersione, di un naufragio, o di un altro disastro o pubblico infortunio, sottrae, occulta o rende inservibili materiali, apparecchi o altri mezzi destinati all’estinzione dell’incendio o all’opera di difesa, di salvataggio o di soccorso, ovvero in qualsiasi modo impedisce, od ostacola, che l’incendio sia estinto, o che sia prestata opera di difesa o di assistenza, è punito con la reclusione da due a sette anni.

Art. 437.
Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.

Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

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Cfr. Cassazione penale, sez. I, sentenza 22 marzo 2017 n° 13937.

Capo II
Dei delitti di comune pericolo mediante frode

Art. 438.
Epidemia.

Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo. Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena di morte. (1)

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(1) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall’art. 1 del D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224.

Art. 439.
Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari.

Chiunque avvelena acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.
Se dal fatto deriva la morte di alcuno, si applica l’ergastolo; e, nel caso di morte di più persone, si applica la pena di morte. (1)

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(1) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall’art. 1 del D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224.

Art. 440.
Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari.

Chiunque, corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
La stessa pena si applica a chi contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio.
La pena è aumentata se sono adulterate o contraffatte sostanze medicinali.

Art. 441.
Adulterazione o contraffazione di altre cose in danno della pubblica salute.

Chiunque adultera o contraffà, in modo pericoloso alla salute pubblica, cose destinate al commercio, diverse da quelle indicate nell’articolo precedente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni o con la multa non inferiore a euro 309.

Art. 442.
Commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate.

Chiunque, senza essere concorso nei reati preveduti dai tre articoli precedenti, detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose che sono state da altri avvelenate, corrotte, adulterate o contraffatte, in modo pericoloso alla salute pubblica, soggiace alle pene rispettivamente stabilite nei detti articoli.

Art. 443.
Commercio o somministrazione di medicinali guasti.

Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio o somministra medicinali guasti o imperfetti è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 103.

Art. 444.
Commercio di sostanze alimentari nocive.

Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio, ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all’alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 51.
La pena è diminuita se la qualità nociva delle sostanze è nota alla persona che le acquista o le riceve.

Art. 445.
Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica.

Chiunque, esercitando, anche abusivamente, il commercio di sostanze medicinali, le somministra in specie, qualità o quantità non corrispondente alle ordinazioni mediche, o diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032.

Art. 446.
Confisca obbligatoria.

In caso di condanna per taluno dei delitti preveduti negli articoli 439, 440, 441 e 442, se dal fatto è derivata la morte o la lesione grave o gravissima di una persona, la confisca delle cose indicate nel primo comma dell’articolo 240 è obbligatoria.

[Art. 447.
Agevolazione dolosa dell’uso di sostanze stupefacenti. (1)

Chiunque, senza essere concorso nel delitto preveduto dall’articolo precedente, adibisce o lascia che sia adibito un locale, pubblico o privato, a convegno di persone che vi accedano per darsi all’uso di sostanze stupefacenti, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire ventimila a quattrocentomila.
Si applica la reclusione fino a sei mesi o la multa da lire quarantamila a duecentomila a chi accede nei detti locali per darsi all’uso di sostanze stupefacenti.]

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(1) Articolo abrogato dall’art. 110 della Legge 22 dicembre 1975, n. 685.

Art. 448.
Pene accessorie. 

La condanna per taluno dei delitti preveduti da questo capo importa la pubblicazione della sentenza.
La condanna per taluno dei delitti preveduti dagli articoli 439, 440, 441 e 442 importa l’interdizione da cinque a dieci anni dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere nonché l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per lo stesso periodo. La condanna comporta altresì la pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani a diffusione nazionale.

Capo III
Dei delitti colposi di comune pericolo

Art. 449.
Delitti colposi di danno.

Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nel secondo comma dell’articolo 423-bis, cagiona per colpa un incendio o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è raddoppiata se si tratta di disastro ferroviario o di naufragio o di sommersione di una nave adibita a trasporto di persone o di caduta di un aeromobile adibito a trasporto di persone.

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Cfr. Cassazione civile, sez. III, sentenza 13 maggio 2009, n. 11059 in Altalex Massimario.

Art. 450.
Delitti colposi di pericolo.

Chiunque, con la propria azione od omissione colposa, fa sorgere o persistere il pericolo di un disastro ferroviario, di una inondazione, di un naufragio, o della sommersione di una nave o di un altro edificio natante, è punito con la reclusione fino a due anni.
La reclusione non è inferiore a un anno se il colpevole ha trasgredito ad una particolare ingiunzione dell’autorità diretta alla rimozione del pericolo.

Art. 451.
Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro.

Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati all’estinzione di un incendio , o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 10 a euro 516.

Art. 452.
Delitti colposi contro la salute pubblica.

Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:
1) con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte;(1)
2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo;
3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l’articolo 439 stabilisce la pena della reclusione.
Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto.

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(1) La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita con l’art. 1, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 224, che ad essa ha sostituito la pena           dell’ergastolo.

 

Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale (1)

Se da uno dei fatti di cui all’articolo 452-bis deriva, quale conseguenza non voluta dal reo, una lesione personale, ad eccezione delle ipotesi in cui la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni; se ne deriva una lesione grave, la pena della reclusione da tre a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la pena della reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva la morte, la pena della reclusione da cinque a dieci anni.
Nel caso di morte di più persone, di lesioni di più persone, ovvero di morte di una o più persone e lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per l’ipotesi più grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non può superare gli anni venti

TITOLO VI -bis
Dei delitti contro l’ambiente (1)

(1) Titolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-bis
Inquinamento ambientale (1)

E’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-ter
Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale (1)

Se da uno dei fatti di cui all’articolo 452-bis deriva, quale conseguenza non voluta dal reo, una lesione personale, ad eccezione delle ipotesi in cui la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni; se ne deriva una lesione grave, la pena della reclusione da tre a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la pena della reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva la morte, la pena della reclusione da cinque a dieci anni.
Nel caso di morte di più persone, di lesioni di più persone, ovvero di morte di una o più persone e lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per l’ipotesi più grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non può superare gli anni venti.

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-quater
Disastro ambientale (1)

Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente:
1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema;
2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;
3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.

Art. 452-quinquies
Delitti colposi contro l’ambiente (1)

Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.
Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo.

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-sexies
Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (1)

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività.
La pena di cui al primo comma è aumentata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumità delle persone, la pena è aumentata fino alla metà.

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-septies
Impedimento del controllo (1)

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Art. 452-octies
Circostanze aggravanti (1)

Quando l’associazione di cui all’articolo 416 è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo articolo 416 sono aumentate.
Quando l’associazione di cui all’articolo 416-bis è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416-bis sono aumentate.
Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla metà se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale.

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-novies
Aggravante ambientale (1)

Quando un fatto già previsto come reato è commesso allo scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal presente titolo, dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge posta a tutela dell’ambiente, ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l’ambiente, la pena nel primo caso è aumentata da un terzo alla metà e nel secondo caso è aumentata di un terzo. In ogni caso il reato è procedibile d’ufficio.

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-decies
Ravvedimento operoso (1)

Le pene previste per i delitti di cui al presente titolo, per il delitto di associazione per delinquere di cui all’articolo 416 aggravato ai sensi dell’articolo 452-octies, nonché per il delitto di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, e diminuite da un terzo alla metà nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
Ove il giudice, su richiesta dell’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado disponga la sospensione del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno, al fine di consentire le attività di cui al comma precedente in corso di esecuzione, il corso della prescrizione è sospeso.

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-undecies
Confisca (1)

Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i delitti previsti dagli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies, 452-septies e 452-octies del presente codice, è sempre ordinata la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato.
Quando, a seguito di condanna per uno dei delitti previsti dal presente titolo, sia stata disposta la confisca di beni ed essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca.
I beni confiscati ai sensi dei commi precedenti o i loro eventuali proventi sono messi nella disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per la bonifica dei luoghi.
L’istituto della confisca non trova applicazione nell’ipotesi in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi.

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-duodecies
Ripristino dello stato dei luoghi (1)

Quando pronuncia sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dal presente titolo, il giudice ordina il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendone l’esecuzione a carico del condannato e dei soggetti di cui all’articolo 197 del presente codice.
Al ripristino dello stato dei luoghi di cui al comma precedente si applicano le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale.

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

Art. 452-terdecies
Omessa bonifica (1)

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000.

 

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2015, n. 68, che ha inserito l’intero Titolo VI-bis, a decorrere dal 29 maggio 2015, ai sensi di quanto disposto dall’art. 3, comma 1 della medesima L. 68/2015.

 

Art. 452-quaterdecies.

Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (1).

Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.
Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter, con la limitazione di cui all’articolo 33.
Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.
È sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca.

 

Originally posted 2019-05-28 14:03:33.