Articolo 167 Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF)
Gestione infedele
AVVOCATO ESPERTO CONSULENTI FINANZIARI E PENALE FINANZIARIO BOLOGNA MELANO FIRENZE ROMA BRESCIA BERGAMO VENEZIA VICENZA
- Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chi, nella prestazione del servizio di gestione di portafogli o del servizio di gestione collettiva del risparmio, in violazione delle disposizioni regolanti i conflitti di interesse, pone in essere operazioni che arrecano danno agli investitori, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con l’arresto da sei mesi a tre anni e con l’ammenda da lire dieci milioni a lire duecento milioni.
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 aprile 2020, n.7905
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere – Dott. TRICOMI Laura – Consigliere – Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere – ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi iscritti al n. 26753/2015 R.G. proposti da:
B.L., F.I., I.M., P.W., R.R., V.C.B., Ba.An., S.A.M., domiciliati in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentati e difesi dagli avvocati D.R. e B.D. in forza di procure speciali su fogli separati allegati in calce al ricorso;
– ricorrenti-
contro
B.I.S. Spa, Fl.Fr., L.F.;
– intimati –
nonché da:
B.I.S. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via di Villa Grazioli 15, presso lo studio dell’avvocato B.G. che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati A.C., G.A. e V.T., in forza di procura speciale su foglio separato allegato al controricorso;
– controricorrente ricorrente incidentale –
contro
B.L., F.I., I.M., P.W., R.R., V.C.B., Ba.An., S.A.M., domiciliati, rappresentati e difesi
come sopra;
– controricorrenti al ricorso incidentale –
e contro
Fl.Fr. e L.F., domiciliati in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentati e difesi dall’avvocato D.R. in forza di procure speciali su fogli separati allegati in calce al ricorso;
– controricorrenti al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 1457/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/01/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;
uditi gli Avvocati D.R. e R.C. per delega dell’Avvocato B.G.;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e dei primi due motivi del ricorso incidentale e per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
- Gli attori originari B.L., F.I., P.W., R.R., I.M. e V.C.B. con atto di citazione del 15/9/2004 hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze la Banca Intesa s.p.a., chiedendo l’accertamento della nullità e/o inefficacia e/o annullabilità dei contratti di acquisto di obbligazioni (OMISSIS) da loro conclusi e la condanna della Banca convenuta alla restituzione delle somme impiegate per l’acquisto dei titoli, oltre che al risarcimento dei danni, lamentando un comportamento dell’intermediario non conforme al parametro di specifica diligenza richiesto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23 (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria: TUF).
In particolare, gli attori hanno dedotto di aver subito vere e proprie sollecitazioni all’investimento da parte dei dipendenti della Banca convenuta, che avevano loro evidenziato la natura particolarmente vantaggiosa delle operazioni proposte; hanno lamentato la mancata consegna del contratto di intermediazione, del prospetto informativo e di un documento sui rischi connessi alle operazioni finanziarie; hanno sostenuto di non essere stati informati né dell’alto rischio insito nell’operazione, né dell’emissione di titoli fuori mercato dalla società olandese Parmalat Finance BV. Si è costituita Banca Intesa, chiedendo il rigetto della domanda e sostenendo che gli acquisti effettuati dagli attori erano il frutto di una loro scelta consapevole e di aver correttamente adempiuto a tutti gli obblighi informativi a suo carico.
Nel giudizio sono successivamente intervenuti Fl.Fr., L.F., Ba.An. e S.A.M., formulando domande analoghe a quella degli attori originari.
Con sentenza del 25/9/2009 il Tribunale di Firenze ha accolto le domande proposte dagli attori e dagli intervenuti, ritenendo che la Banca fosse stata inadempiente agli obblighi informativi gravanti a suo carico con la conseguente risoluzione per inadempimento dei contratti di intermediazione finanziaria; il Tribunale ha altresì condannato la Banca a pagare agli attori e agli intervenuti somme corrispondenti a quelle impiegate per l’acquisto dei titoli; il Tribunale ha tuttavia escluso il risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria e il risarcimento dei danni ulteriori.
- Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello Intesa Sanpaolo s.p.a., a cui hanno resistito gli attori e intervenuti appellati, riproponendo anche le domande non decise in primo grado (nullità degli ordini per mancanza del contratto quadro, violazione degli obblighi informativi quanto alle operazioni fuori dai mercati regolamentati, inadeguatezza delle operazioni, conflitto di interessi); l’appellato R. ha proposto altresì appello incidentale, lamentando un rilevante errore per difetto sulla somma da lui investita.
La Corte di appello di Firenze con sentenza del 3/8/2015 ha accolto l’appello principale, rigettando tutte le domande proposte dagli attori e intervenuti appellati, eccezion fatta per Fl.Fr. e L.F., e li ha perciò condannati a restituire quanto percepito in forza della sentenza di primo grado con interessi legali dal pagamento al saldo, a spese compensate per l’intero giudizio.
La Corte di appello ha ritenuto nuova la domanda di dichiarazione della nullità dei contratti per mancanza nella copia prodotta dalla Banca della sua sottoscrizione, poiché negli atti introduttivi di primo grado era stata lamentata solamente la mancata consegna del contratto di intermediazione; ha condiviso la valutazione di non rilevanza espressa dal Tribunale circa le prove orali dedotte dalla Banca, non riferite alle concrete informazioni fornite ai clienti in causa; le questioni, riproposte dagli appellati, relative alle operazioni fuori dai mercati regolamentati e al conflitto di interessi sono parse ultronee perché non potevano portare a conseguenze diverse dalla risoluzione del contratto di intermediazione finanziaria disposta in primo grado; ha conferito rilievo, ai fini del nesso causale, al comportamento pregresso degli appellati che le produzioni documentali della Banca miravano a dimostrare; ha ritenuto tempestive le produzioni effettuate dalla Banca nell’ambito del procedimento trattato con il rito c.d. “societario” di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, nonostante fossero state depositate solo con il deposito delle comparse di costituzione rispettivamente nei confronti degli attori e degli intervenuti in sede di costituzione in giudizio in data 25/11/2004 e 13/12/2004, trattandosi di documenti offerti in comunicazione già con la comparsa di risposta notificata; ha osservato che i titoli acquistati erano qualificati come rating BBB, con livello di rischio non particolarmente tranquillizzante, ma neppure inquietante; ha ritenuto non contestata l’affermazione della Banca in ordine alle informazioni fornite dai clienti circa il loro profilo di propensione al rischio di investimento (“medio”), tranne i signori I., V.C. e Ba., che l’avevano dichiarato “alto”; ha ritenuto ininfluente la pregressa qualità del B. di operatore qualificato del settore; ha invece ritenuto rilevante e idonea a elidere il nesso causale la prova degli investimenti in precedenza effettuati dai vari clienti in strumenti speculativi e rischiosi, come azioni e obbligazioni strutturate convertibili; ha accertato che tale situazione valeva per tutti gli attori e intervenuti, ad eccezione di Fl.Fr. e L.F.; ha escluso per costoro il preteso concorso colposo e il conseguimento di utilità alternative.
- Avverso la predetta sentenza del 3/8/2015, non notificata, con atto notificato il 29/11/2015 hanno proposto ricorso per cassazione B.L., F.I., P.W., R.R., I.M. e V.C.B., Ba.An. e S.A.M., svolgendo sette motivi.
Con atto notificato il 22/12/2015 ha proposto controricorso e ricorso incidentale Intesa Sanpaolo s.p.a., chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di tre motivi, per la cassazione della sentenza di secondo grado.
Con separati controricorsi notificati il 29/1/2016 sia Fl.Fr. e L.F., da un lato, sia i ricorrenti, dall’altro, hanno resistito al ricorso incidentale avversario, chiedendone il rigetto.
Tutte le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
- Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, i ricorrenti denunciano violazione di legge in relazione del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 4, 8 e 10 e art. 115 c.p.c., nonché degli artt. 24 e 111 Cost..
1.1. I ricorrenti premettono che nella fase introduttiva del giudizio di primo grado, svoltosi con il cosiddetto “rito societario” di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, la convenuta Banca Intesa aveva notificato la propria comparsa di risposta, chiedendo l’immediata fissazione dell’udienza, cosa che, come eccepito e ribadito da attori e intervenuti, comportava la decadenza di tutte le parti dalla facoltà di deposito di documenti; l’eccezione era stata però ignorata dal Tribunale e rigettata dalla Corte di appello sulla base di una interpretazione errata delle norme del processo “societario”.
Infatti, secondo i ricorrenti, la convenuta poteva notificare l’istanza di fissazione di udienza solo dopo la sua costituzione in giudizio ai sensi del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 8, comma 2, lett. c), ovvero nel caso di cui all’art. 5, ossia di difetto di documentazione da allegare.
Il concetto di “documento nuovo” andava perciò rapportato non già ai documenti indicati in comparsa come quelli che la parte intendeva allegare, ma solo ai documenti effettivamente depositati, sicché erano nuovi tutti i documenti non concretamente depositati prima dello spirare del termine perentorio, anche se prima della istanza di fissazione di udienza.
1.2. Il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 8, riguardante l’istanza di fissazione di udienza, prevedeva che l’attore potesse notificare alle altre parti istanza di fissazione di udienza, entro venti giorni: a) dalla data di notifica della comparsa di risposta del convenuto a cui non intendeva replicare, ovvero dalla scadenza del termine per la notifica della comparsa di risposta; b) in caso di chiamata di terzo, dalla data di notifica della comparsa di risposta del terzo chiamato ovvero dalla scadenza del termine per la notifica della comparsa stessa; c) dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intendeva replicare ovvero dalla scadenza del relativo termine.
Il convenuto invece poteva notificare alle altre parti istanza di fissazione di udienza, entro venti giorni: a) se aveva proposto domanda riconvenzionale ovvero sollevato eccezioni non rilevabili d’ufficio, o ancora se aveva svolto difese dalle quali sorgesse l’esigenza dell’esercizio del diritto di replica dell’attore (Corte Costituzionale, sentenza 24/7/2007, n. 321) dalla data di notifica della memoria di replica dell’attore ovvero dalla scadenza del relativo termine; b) se erano stati chiamati in causa terzi, dalla data di notifica della comparsa di risposta del terzo chiamato ovvero dalla scadenza del relativo termine; c) al di fuori dei casi precedenti, dalla data della propria costituzione in giudizio, ovvero dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intendeva replicare ovvero dalla scadenza del relativo termine.
L’istanza di fissazione presentata fuori dei casi stabiliti dal presente articolo poteva essere dichiarata inammissibile, su richiesta della parte interessata depositata in cancelleria nel termine perentorio di dieci giorni dalla notifica dell’istanza, dal presidente che, sentite le parti, provvede con ordinanza non impugnabile (D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 8, comma 5).
L’art. 10, comma 2, prevedeva poi che, salvo quanto disposto dall’art. 12, comma 8, e dall’art. 13, comma 3, a seguito della notificazione dell’istanza di fissazione di udienza tutte le parti decadessero, fra l’altro dal potere di “depositare nuovi documenti”.
L’art. 5 del decreto, in tema di forme e termini della costituzione del convenuto disponeva che il convenuto dovesse costituirsi a mezzo di procuratore depositando in cancelleria, entro 10 giorni dalla notifica della comparsa di risposta, ovvero dalla scadenza del termine di cui all’art. 3, comma 2 (costituzione dell’attore entro dieci giorni dall’ultima notificazione), il fascicolo contenente l’originale ovvero la copia della comparsa di risposta notificata all’attore, la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione.
1.3. Secondo i ricorrenti, la scelta processuale della convenuta di richiedere immediatamente la fissazione dell’udienza contestualmente alla notificazione della comparsa di risposta, ampliativa del thema decidendum e del thema probandum, prima della costituzione della Banca in giudizio, comportava l’inammissibilità delle produzioni documentali, solamente “preannunciate” con la comparsa di risposta e non ancora depositate in ragione della barriera processuale frapposta dal predetto art. 10, comma 2, dovendosi considerare “nuovi” i documenti ancora non depositati al momento della formulazione dell’istanza.
1.4. L’eccezione sollevata dai ricorrenti è stata esaminata dalla Corte toscana alla pagina 12, p. 2.3.2., sostenendo l’ammissibilità della condotta processuale della Banca, consistita, sia con riferimento all’atto di citazione originario, sia con riferimento all’atto di intervento dei terzi, nella notifica della comparsa di risposta con richiesta contestuale di fissazione di udienza prima della costituzione in giudizio, dovendosi considerare “nuovi” ex art. 10, comma 2, solo i documenti non preventivamente indicati in comparsa.
1.5. La questione proposta dai ricorrenti trascura però un fatto processuale di fondamentale e decisivo rilievo, puntualmente evidenziato dalla controricorrente.
Gli attori e gli intervenuti in primo grado, infatti, avevano proposto rituale opposizione avverso entrambe le richieste di fissazione di udienza avanzate da Banca Intesa con le proprie comparse di costituzione e risposta, e, dopo la costituzione in giudizio avvenuta in data 25/11/2004 la convenuta ha notificato in data 14/12/2004 una terza istanza di fissazione di udienza, che, al contrario delle prime due, non era stata oggetto di opposizione e aveva prodotto gli effetti processuali di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 10, comma 2; era stata quindi questa terza istanza, non opposta, a produrre l’effetto processuale della radicazione del giudizio dinanzi al giudice, tanto che proprio su queste basi il Presidente del Tribunale aveva ritenuto ormai superata l’opposizione dispiegata da attori e intervenuti avverso le prime due istanze.
Evidentemente questa circostanza priva di ogni rilievo le precedenti istanze di fissazione di udienza, che non hanno determinato l’ingresso del processo nella fase successiva, tanto da provare di attualità l’opposizione dispiegata da attori e intervenuti avverso le prime due istanze.
- Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 345, 112 c.p.c., art. 23 TUF, art. 30 Reg. Consob n. 11522/1998 in tema di forma del contratto, nonché contraddittorietà, errore e falsa applicazione di legge, omessa pronuncia e violazione dell’art. 115 c.p.c..
2.1. Con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità come domanda nuova della domanda di dichiarazione di nullità dei contratti di investimento per mancanza del contratto quadro, i ricorrenti osservano che la conclusione attinta dalla Corte territoriale era il frutto di una errata lettura dell’atto di citazione e dell’atto di intervento, poiché essi avevano affermato di non aver mai perfezionato il contratto di borsa nei termini esatti in cui era prescritto.
La documentazione prodotta dalla Banca era irrituale e non poteva essere considerata ai fini della necessaria prova scritta ad substantiam; in ogni caso, i documenti dimostravano solo la formulazione di proposte non accettate poiché recavano la sottoscrizione dei soli clienti e non quella della Banca.
2.2. A pagina 10, la Corte di appello ha ritenuto che la richiesta di dichiarazione di nullità dei contratti di investimento per mancanza del contratto quadro, in difetto nella copia prodotta dalla Banca della sua stessa sottoscrizione, fosse nuova perché attori e intervenuti avevano lamentato solamente una cosa “ben diversa”, ossia che non fosse stato loro consegnato il contratto di intermediazione.
2.3. Le obiezioni sollevate dai ricorrenti non paiono persuasive.
Essi affidano, infatti, il loro assunto sulla pretesa formulazione della domanda in primo grado a una deduzione estremamente generica ed oscura, riconducibile a uno stringatissimo accenno contenuto negli atti di citazione e di intervento, secondo cui gli investitori non avrebbero “perfezionato il contratto di borsa nei termini esatti in cui è prescritto”, frase che, pur nell’assenza di specifiche doglianze formali, lascerebbe
intendere che i contratti erano stati perfezionati ma con irregolarità formali non meglio determinate; conclusione questa rafforzata dal rilievo, invece oggetto di insistenza negli stessi atti, circa la mancata consegna di un contratto che, a scanso di autocontraddizioni, i ricorrenti assumevano stipulato.
2.4. Il motivo poi, se non è incomprensibile, appare almeno affetto da incoerenza interna della censura che lo rende perciò inammissibile.
I ricorrenti, infatti, argomentano circa la necessità di forma scritta del contratto quadro, ma trascrivono passi dell’atto di citazione in cui non si parla del contratto quadro, bensì della necessità della forma scritta per il “contratto di investimento”: espressione, questa, che indica piuttosto il negozio successivo, e cioè quello di sottoscrizione dell’investimento effettuato in esecuzione del contratto quadro.
Ciò tanto più che viene dedotto – sempre nel passo dell’atto di citazione riprodotto nel ricorso – che la Banca aveva omesso di “consegnare copia del contratto e dell’intera documentazione afferente la vendita”, concetto questo che non può attenere al contratto quadro, ma invece riguarda inequivocabilmente l’esecuzione dell’ordine di acquisto in base al contratto quadro.
Di conseguenza, non è affatto chiaro quale fosse la questione effettivamente proposta nel giudizio di merito; né, conseguentemente, quella proposta con il ricorso per cassazione.
- Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, i ricorrenti denunciano errata valutazione dei fatti processuali e del contenuto della sentenza di primo grado, omessa pronuncia, violazione dell’art. 112 c.p.c., errore o falsa applicazione di legge, violazione dell’art. 115 c.p.c., ed errata valutazione delle prove.
3.1. La Corte fiorentina ha accolto l’appello con riferimento alla posizione dei ricorrenti, affermando che non vi era prova del nesso causale tra inadempimento e danno, a carico dei ricorrenti e pur suscettibile di prova presuntiva, perché si doveva presumere che i ricorrenti, pur debitamente informati, avrebbero nondimeno dato corso all’operazione di acquisto.
Siffatta pronuncia, secondo i ricorrenti, è viziata in fatto per errata valutazione delle risultanze processuali e del contenuto della sentenza di primo grado (che aveva attribuito le somme agli attori non già a titolo di risarcimento del danno, ma a titolo di ripetizione delle somme investite in conseguenza della risoluzione dei contratti), palesemente contraddittoria, erronea nella applicazione della disciplina della prova del nesso causale, nonché fondata su prove inammissibili (per quanto censurato con il primo motivo di ricorso).
La sentenza di primo grado aveva dichiarato risolto il contratto quadro e non era stata oggetto di impugnazione, come riconosciuto dalla stessa Corte (pag. 10, p. 2.1.1.), con conseguente vizio di ultra-petizione.
3.2. Il motivo, al pari di altri esaminati infra, richiede la verifica del contenuto della pronuncia di primo grado e di quella di appello.
Il Tribunale fiorentino ha dichiarato risolti per inadempimento degli obblighi informativi incombenti sull’intermediario tutti i contratti di intermediazione finanziaria intercorsi fra le parti e quindi ha ritenuto che la Banca Intesa dovesse essere condannata a pagare agli attori e agli intervenuti le somme corrispondenti a quelle impiegate per l’acquisto dei titoli, oltre accessori, senza specificare se tale condanna fosse emessa a titolo di restituzione dell’indebito ob causam finitam in conseguenza della risoluzione ex tunc dei contratti ovvero a titolo risarcitorio.
La controricorrente, messo preventivamente in luce che gli attori e intervenuti avevano chiesto, in principalità, la dichiarazione di nullità dei contratti e la condanna della Banca alla restituzione delle somme versate, e, in subordine, l’accertamento dell’inadempimento della Banca e la sua condanna al risarcimento del danno, sostiene che il Tribunale aveva accolto la domanda risarcitoria subordinata, unica domanda riferibile all’inadempimento degli obblighi informativi, ritenendo che essa presupponesse anche la risoluzione del contratto.
Secondo la controricorrente, quindi, la pronuncia del Tribunale atteneva al risarcimento del danno, oggetto di domanda subordinata, e non già alla restituzione, poiché tale domanda non era mai stata formulata con riferimento all’inadempimento ravvisato dal Tribunale; per contro, il Tribunale non aveva accolto la domanda principale e la correlativa richiesta restitutoria.
La controricorrente aggiunge che gli stessi ricorrenti sembravano aver concordato su tale lettura, allorché, a pagina 45 del ricorso, avevano ammesso che il Tribunale aveva accolto la domanda subordinata, qualificata come domanda di risoluzione del contratto base, salvo poi dissentire sulla natura del titolo (restitutorio e non risarcitorio) della conseguente condanna.
3.3. La Corte di appello ha interpretato la condanna in parola come risarcitoria, ponendo a tal fine in risalto il fatto che gli attori e intervenuti avevano chiesto in subordine proprio il risarcimento del danno e osservando che l’eventuale vizio di ultra-petizione sarebbe stato semmai ravvisabile nella pronuncia di risoluzione dei contratti di intermediazione finanziaria (in effetti, non espressamente richiesta), vizio però che non era stato denunciato dalla parte che ne avrebbe avuto interesse e cioè dalla convenuta appellante Banca Intesa.
3.4. Tale interpretazione della sentenza di primo grado, circa la natura risarcitoria e non restitutoria della condanna, effettuata dalla Corte fiorentina, non è stata censurata efficacemente dai ricorrenti, che pure a pagina 45 del ricorso, nell’ambito del terzo motivo, mostrano inizialmente di dissentire dalla lettura della sentenza di primo grado offerta dalla Corte di appello, sostenendo che il Tribunale aveva accolto la loro domanda subordinata, qualificandola, però, come domanda di risoluzione del contratto base e disponendo la restituzione della somma investita (e non già il risarcimento del danno).
L’argomentazione critica dei ricorrenti patisce però una evidente frattura di continuità logico giuridica, che ne inficia irrimediabilmente la capacità di confutazione del decisum; da questa premessa i ricorrenti infatti ritraggono irrazionalmente, a pagina 46, solo la conseguenza della consumazione di un vizio di ultra-petizione,
asseritamente consistente in una implicita riforma (del tutto insussistente) del capo della sentenza che aveva disposto la risoluzione del contratto quadro.
- Con il quarto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 21 e art. 23, comma 6, TUF, artt. 26, 28 e 29 Reg. Consob 11522/1998 con riferimento al nesso causale, violazione dell’art. 115 c.p.c., ed errata valutazione delle prove.
4.1. Il ricorrenti sostengono che secondo la giurisprudenza di legittimità, in caso di inadempimento degli obblighi informativi, doveva presumersi, fino a prova del contrario da parte dell’intermediario, che il rischio sottaciuto non sarebbe stato corso dal cliente ove fosse stato debitamente informato; la Corte territoriale aveva invece sovvertito tale distribuzione degli oneri probatori, dando rilievo al fatto che il sig. B. avesse in precedenza investito in titoli azionari, che i signori F., P. e R. avessero in precedenza investito in titoli di pari rischio, che i signori Ba. e S. avessero in precedenza investito più in titoli azionari che obbligazionari e che i signori I. e V.C., pur avendo acquistato solo obbligazioni, avessero manifestato alta propensione al rischio.
4.2. Il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 21, prescrive agli intermediari finanziari, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori di: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; c) utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti;
d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività.
L’art. 28, comma 1, del Regolamento Consob 11522/1998 impone agli intermediari prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, di chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio e precisa che l’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo art. 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore (lett. a)); prescrive inoltre agli intermediari di consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’Allegato n. 3. del Regolamento Consob 11522/1998 (lett. b)).
Il successivo art. 29, prevede che gli intermediari autorizzati si debbano astenere dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione, tenendo conto a tal fine delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati e che, quando ricevono da un investitore disposizioni relative a una operazione non adeguata, debbano informare il cliente di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguirla solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.
4.3. Secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, in conformità alla regola generale stabilita dall’art. 1218 c.c. e ai principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, l’investitore, che lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, deve allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante una sintetica ma circostanziata indicazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrargli, e deve fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole, se fosse stato adeguatamente informato; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute (Sez. 1, n. 10111 del 24/04/2018, Rv. 648553-01; Sez. 1, n. 4727 del 28/02/2018, Rv. 647617-01; Sez. 1, n. 12544 del 18/05/2017; Rv. 644206-01; Sez. 1, n. 22147 del 29/10/2010, Rv. 615479-01).
4.4. Occorre precisare che nella fattispecie la Corte di appello non ha affatto riformato la decisione di primo grado in punto risoluzione dei contratti, ma ha solamente escluso la condanna (ritenuta) risarcitoria per la gran parte degli attori e degli intervenuti sul presupposto della ravvisata insussistenza del nesso causale fra inadempimento dell’obbligo informativo e danni.
Sul punto concordano sia la controricorrente (cfr. pag. 67 e seguenti del controricorso), che ha coerentemente dispiegato al riguardo il primo motivo di ricorso incidentale, sia apparentemente gli stessi ricorrenti (cfr. pag. 25 del controricorso al ricorso incidentale, laddove essi appaiono remissivi rispetto alla diversa lettura della sentenza di appello proposta da Banca Intesa).
Tale interpretazione è comunque corretta, in assenza nella sentenza impugnata di qualsiasi menzione della caducazione della pronuncia di risoluzione e tenuto conto della ratio fondante della sentenza della Corte territoriale, edificata sulla mancanza di nesso causale fra inadempimento e pregiudizio, e quindi attinente alla sola pronuncia risarcitoria.
V’è di più: la Corte fiorentina, a pagina 11, p. 2.1., ha disatteso le doglianze degli appellanti incidentali in punto riproposizione delle questioni relative alla natura estranea ai mercati regolamentati delle operazioni e al denunciato conflitto di interessi, proprio sul presupposto, altrimenti inspiegabile, che tali deduzioni non avrebbero potuto portare a conseguenze diverse e ulteriori rispetto alla già disposta risoluzione del contratto di intermediazione finanziaria.
E’ così evidente che la Corte di appello, se avesse ritenuto inficiata la statuizione risolutoria della sentenza del Tribunale, non avrebbe potuto esimersi dal rivalutarne il fondamento alla stregua delle concorrenti ragioni rimaste assorbite e riproposte dagli appellati-appellanti incidentali, ritenute invece irrilevanti.
4.5. La pronuncia impugnata, secondo il Collegio, è effettivamente inficiata da violazione di legge.
La Corte territoriale ha escluso la rilevanza causale dell’inadempimento dell’obbligo
informativo, assumendo che i clienti, alla luce delle loro scelte pregresse di investimento, orientate verso il mercato azionario o verso obbligazioni convertibili e strutturate, o, ancor più genericamente, della loro dichiarazione di propensione al rischio, avrebbero comunque deciso di effettuare l’investimento proposto, anche se, diversamente da quanto effettivamente accaduto, la Banca li avesse adeguatamente informati circa i rischi connessi all’operazione.
Così ragionando, da un lato, la Corte di appello ha ignorato la funzione specifica dell’obbligo posto a carico dell’intermediario, preordinato a colmare l’handicap informativo e la dissimmetria consequenziale nelle cognizioni delle parti e in tal modo a consentire all’investitore una scelta consapevole e razionale.
Tali principi sono stati ancora assai recentemente ribaditi dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 28314 del 4/11/2019, in cui viene descritto lo squilibrio, di carattere prevalentemente conoscitivo-informativo, nella posizione delle parti, fondato sull’elevato grado di competenza tecnica richiesta a chi opera nell’ambito degli investimenti finanziari, che è oggetto dell’intervento correttivo del legislatore, attuato anche attraverso la previsione di un rigido sistema di obblighi informativi a carico dell’intermediario.
Inoltre la Corte territoriale ha erroneamente attribuito capacità indiziante a circostanze del tutto prive di valore inferenziale, successivamente utilizzate ai fini del giudizio controfattuale presuntivo; ciò l’ha condotta a ritenere che se l’intermediario avesse fornito le opportune informazioni, diversamente da quanto accaduto nella realtà, i clienti avrebbero comunque deciso di effettuare lo stesso investimento che, pur non adeguatamente informati, hanno scelto di fare.
4.6. Quanto al primo profilo critico sopra evidenziato, in tema di distribuzione dell’onere della prova nei giudizi relativi a contratti d’intermediazione finanziaria, questa Corte ha affermato che alla stregua del sistema normativo delineato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 23 (TUF) e dal Reg. Consob n. 11522 del 1998, l’inadempimento dei doveri informativi da parte della banca intermediaria costituisce di per sè un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento e ingenera una presunzione di riconducibilità alla banca intermediaria della responsabilità dell’operazione finanziaria.
Tale condotta omissiva, pertanto, viene considerata normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze capaci di deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa (Sez. 1, n. 3914 del 16/02/2018, Rv. 647234-01).
Vale a dire: è pur vero che in tema di risarcimento del danno per la perdita del capitale investito dovuta all’acquisto di un prodotto finanziario, mentre grava sull’intermediario l’onere di provare, D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 23, di aver adempiuto positivamente agli obblighi informativi relativi non solo alle caratteristiche specifiche dell’investimento, ma anche al grado effettivo di rischiosità, incombe invece sull’investitore l’onere di provare, sia pur anche in via presuntiva, il nesso causale tra l’inadempimento dell’obbligazione informativa specificamente allegata e il danno, nonché il pregiudizio patrimoniale dovuto all’investimento eseguito.
Non si può trascurare, tuttavia, che nei contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento l’intermediario finanziario ha l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente; di conseguenza, l’assolvimento di tale obbligo implica la formulazione, da parte dell’intermediario medesimo, di indicazioni idonee a descrivere la natura, la quantità e la qualità dei prodotti finanziari ed a rappresentarne lo specifico coefficiente di rischio (Sez. 1, n. 8089 del 21/04/2016, Rv. 639317-01; Sez. 1, n. 16861 del 07/07/2017, Rv. 644971-01).
I predetti obblighi d’informazione impongono così la comunicazione di tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione, in modo puntuale, di tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un’operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, ivi comprese quelle attinenti al rischio di default dell’emittente con conseguente mancato rimborso del capitale investito, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno (Sez. 1, n. 12544 del 18/05/2017, Rv. 644206-01).
La prova del nesso causale non è eliminata, quindi, dal mero rilievo di elementi generici, come il profilo speculativo o l’elevata propensione al rischio dell’investitore: si deve infatti escludere che il cliente possa accettare anche i profili di rischiosità del prodotto finanziario che gli sono ignoti e sono invece conosciuti o prevedibili da parte dell’intermediario finanziario.
Sia l’adeguatezza dell’operazione al profilo di rischio del cliente, sia la buona conoscenza del mercato finanziario da parte sua sono totalmente privi di valore inferenziale quanto alla circostanza che il cliente stesso, se informato, avrebbe comunque proceduto all’acquisto. Il fatto che un investitore propenda per investimenti rischiosi non toglie, infatti, che egli selezioni tra gli investimenti rischiosi quelli a suo giudizio aventi maggiori probabilità di successo, grazie appunto alle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli o altrimenti reperite. Parimenti, la buona conoscenza del mercato finanziario è indizio, semmai, della capacità di distinguere tra investimenti consigliabili e sconsigliabili, sempre che, però, si disponga delle necessarie informazioni sullo specifico prodotto oggetto dell’operazione, che dunque si ha tutto l’interesse a ricevere (Sez. 1, n. 8333 del 04/04/2018, Rv. 648142-01) L’accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del prodotto, in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità (Sez. 1, n. 4727 del 28/02/2018, Rv. 647617-01).
Pertanto all’investitore è rimesso il potere decisionale di stabilire il grado di aleatorietà dell’investimento che intende sostenere, a condizione che l’investimento corrisponda al suo profilo personale, desumibile dalle informazioni assunte sulla tipologia di propensione all’investimento finanziario e soprattutto sia frutto di una scelta informata e consapevole in concreto del rapporto tra rischio e rendimento, in relazione alla peculiarità del prodotto e alla sua effettiva rischiosità, quest’ultima con particolare riferimento al pericolo della perdita del capitale investito. Queste prescrizioni derivanti dal sistema integrato costituito dall’art. 21 T.U.F. e dagli artt. 26
- 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, si completano con il regime giuridico, anch’esso imperativo, dell’onere della prova in sede di azione risarcitoria.
L’obbligo positivo specifico di provare il puntuale adempimento degli obblighi informativi a carico dell’intermediario sarebbe sostanzialmente vanificato se si ritenesse che verso un investitore impropriamente qualificato “speculativo” l’intermediario sia esonerato dal fornire le informazioni relative al grado di rischio di perdita del capitale derivante dalla tipologia specifica del prodotto proposto ed acquistato. Al contrario, si deve ritenere che il grado di rischio sia direttamente proporzionale al livello di puntualità delle informazioni (Sez. 1, 28/02/2018, n. 4727; Sez. 1, n. 12544 del 18/05/2017, citate).
Al riscontro dell’inadempimento degli obblighi di corretta informazione consegue, secondo l’orientamento di questa Corte, l’accertamento in via presuntiva del nesso di causalità tra il detto inadempimento e il danno patito dall’investitore; presunzione che spetta all’intermediario superare, dimostrando che il pregiudizio si sarebbe comunque concretizzato quand’anche l’investitore avesse ricevuto le informazioni omesse.
4.7. La presunzione di sussistenza del nesso causale così delineata, pur suscettibile di prova contraria, scaturisce dalla funzione assegnata dal sistema normativo all’obbligo informativo gravante sull’intermediario, che è preordinato al riequilibrio dell’asimmetria strutturale del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta di investimento realmente consapevole.
A tale presunzione, anche se non espressamente prevista dalla legge, deve riconoscersi natura legale ex artt. 2727 e 2728 c.c., come si è detto juris tantum, in quanto essa discende complessivamente dal sistema normativo e in particolare dalla funzione specifica degli obblighi accollati dalla legge all’intermediario finanziario.
La presunzione è costituita da una argomentazione logica che permette di risalire da un fatto noto a un fatto ignorato; è legale allorché è “stabilita” (art. 2728, art. 2729, comma 1, a contrario) dalla legge e dispensa da qualunque prova coloro a favore dei quali è prevista.
La previsione di una presunzione legale, tuttavia, può non essere esplicita e può derivare, in modo implicito ma inequivocabile, da una disposizione normativa o da un complesso sistematico di disposizioni di legge, che la implichino in modo logicamente e giuridicamente necessario.
Il mancato rispetto di una presunzione legale ben può essere fatto valere con il mezzo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo il vizio di violazione o falsa applicazione di legge.
4.8. Deve quindi presumersi, nell’ambito del giudizio controfattuale diretto alla valutazione della serie causale alternativa, non perturbata dall’omissione informativa da parte dell’intermediario, che l’investitore, puntualmente avvertito dei rischi connessi alla sua scelta, non l’avrebbe posta in essere: salva, beninteso, la possibilità di prova contraria con la quale l’intermediario dimostri, sulla base di
elementi univocamente concludenti, che il cliente, pur avendo ricevuto la specifica informazione omessa, avrebbe confermato comunque la scelta.
Elementi questi che non possono consistere in una generica propensione al rischio, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l’investitore, speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi, deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato e alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati.
4.9. Quanto all’altro profilo, la Corte territoriale ha violato anche le regole che presiedono all’applicazione della prova presuntiva.
Questa Corte, con orientamento meritevole di continuità, ha affermato che in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice di merito presenti i requisiti minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato); la Corte di Cassazione non può sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata dal giudice di merito, ma può disattenderla solo quando l’inferenza probatoria non sia neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera apparenza del discorso giustificativo. Peraltro, non ogni vizio logico può condurre alla cassazione, ma solo quello incidente su elementi determinanti ai fini dell’individuazione della disciplina giuridica della fattispecie (Sez. L, n. 13984 del 24/10/2000, Rv. 541177-01; Sez. L, n. 3161 del 05/03/2002, Rv. 552825-01; Sez. L, n. 4070 del 20/02/2018, Rv. 647268-01).
Nella fattispecie, la Corte di appello ha considerato erroneamente quale elemento indiziante, dotato di efficacia inferenziale, le scelte pregresse di investimento degli investitori, consistite – del tutto genericamente – nell’acquisto di prodotti intrinsecamente caratterizzati da elementi di rischiosità, come azioni o obbligazioni convertibili strutturate.
Tale comportamento, al contrario, non dimostra altro che una generica disponibilità dell’investitore ad accollarsi margini di rischio e ad accettare la possibilità del mancato recupero del capitale investito; le predette circostanze sono invece neutre, o comunque insufficienti, nella prospettiva del giudizio controfattuale alternativo che richiede di determinare il presumibile ipotetico comportamento dell’investitore che fosse stato opportunamente avvertito dei rischi connessi all’investimento con riferimento al rischio specificamente corso nel caso concreto.
Altrettanto inconsistente – ed anzi ancor più generica – appare la valenza indiziante desunta dal profilo di propensione al rischio manifestata dall’investitore.
La prova contraria consentita all’intermediario ai fini del giudizio controfattuale deve infatti assumere pregnante concretezza, come, a mero titolo esemplificativo, la dimostrazione che in altra successiva occasione, l’investitore, invece debitamente avvertito del rischio, abbia deciso comunque di disporre un investimento analogamente rischioso.
4.10. Il quarto motivo di ricorso per i motivi esposti merita accoglimento con il conseguente rinvio alla Corte di appello di Firenze che dovrà attenersi al seguente principio di diritto ex art. 384 c.p.c..
“Dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati”.
- Con il quinto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 23, comma 6 TUF, dell’art. 21 TUF, degli artt. 27 e 32 Reg. Consob. 11522/1998, dell’art. 8 del regolamento Consob 11678/98, dell’art. 1455 c.c., nonché violazione delle regole in tema di inadempimento degli obblighi di diligenza, contraddittorietà, errore e falsa applicazione di legge.
5.1. Secondo i ricorrenti, ritenere, come aveva fatto la Corte territoriale, che non fosse necessario considerare il conflitto di interessi perché tale situazione era stata dedotta nel quadro della violazione degli obblighi informativi configurava mancanza di motivazione e violazione dell’art. 1455 c.c..
Inoltre, non vagliare una domanda perché il suo accoglimento avrebbe comportato la risoluzione del contratto quadro, già dichiarata per altri motivi, e poi assolvere la Banca per carenza di nesso causale fra inadempimento informativo e danno realizzava il vizio di omessa pronuncia e comportava il venir meno alla valutazione della gravità dell’inadempimento e dell’incidenza del nesso causale.
5.2. Gli assunti dei ricorrenti non sono persuasivi.
Da un lato, non si può parlare di omessa pronuncia sulle questioni riproposte dagli appellati, visto che la Corte fiorentina ha espressamente considerato i profili di inadempimento dedotti dagli investitori, ritenendoli assorbiti.
La figura dell’assorbimento “in senso proprio” ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno; si parla invece di assorbimento “in senso improprio” quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande.
Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare una decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione consiste proprio in quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa. (Sez. 1, n. 28995 del 12/11/2018, Rv. 651580-01).
Nella fattispecie l’assorbimento è stato ravvisato dalla Corte territoriale in senso proprio e, fra l’altro, del tutto correttamente, una volta letta la sentenza ut supra (vedi p.p. 3.2-3.4 e p. 4.4.) nel senso della conferma della dichiarazione di risoluzione dei contratti intercorsi fra le parti, poiché non assumeva rilievo l’una o l’altra delle concorrenti ragioni alternative di risoluzione per inadempimento dei contratti in questione.
5.3. Vi è poi un ulteriore profilo di dedotta rilevanza del conflitto di interessi che viene segnalato dai ricorrenti anche nella ulteriore prospettiva del risarcimento del danno da inadempimento dell’obbligo informativo.
La censura appare assorbita dall’accoglimento del quarto motivo, che ha provocato la cassazione della statuizione (assorbente, quanto alla domanda risarcitoria) di difetto del nesso di causalità tra inadempimento dell’obbligo informativo e danno.
- Con il sesto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 112 c.p.c., degli artt. 26 e 29 Reg. Consob. 11522/1998, contraddittorietà, errore e falsa applicazione di legge.
6.1. I ricorrenti avevano addebitato alla Banca anche l’effettuazione di operazioni inadeguate al profilo degli investitori e il Tribunale non si era espresso sul punto; la Corte di appello, pur destinataria della riproposizione della deduzione, aveva sostanzialmente omesso di motivare al proposito, dando rilievo a circostanze non rilevanti come le operazioni compiute in passato dal cliente o il risalente profilo di rischio.
6.2. I ricorrenti censurano la valutazione di adeguatezza delle operazioni al profilo di rischio (medio e, in due casi, alto) degli investitori, lamentando che l’intermediaria non aveva fornito le necessarie informazioni e non aveva avvisato dell’elevata rischiosità delle operazioni stesse, e deducono in particolare l’irrilevanza delle caratteristiche della pregressa operatività degli investitori ai fini della valutazione di adeguatezza.
Il motivo, a rigore, non è assorbito dall’accoglimento del quarto motivo, che faceva questione del nesso causale, mentre in questo caso si discute della sussistenza di un ulteriore inadempimento.
La censura configura però una sostanziale critica di merito, perché la valutazione di adeguatezza o meno di una operazione di investimento è una valutazione appunto di merito, che la Corte territoriale ha effettuato sulla base sia della propensione al rischio dichiarata dagli investitori, sia dalle caratteristiche della loro pregressa operatività, che non può affatto essere ritenuta del tutto irrilevante ai fini della valutazione della propensione al rischio.
- Il settimo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, riguarda la posizione specifica del sig. R. e l’entità del danno da lui subito.
Con il motivo si denuncia omessa pronuncia su di una domanda formulata con riferimento all’appello incidentale in punto quantum proposto dal R., avendo la Corte di appello ritenuto superflua la domanda alla luce dell’accoglimento del gravame principale; la censura viene riproposta in via condizionata all’accoglimento degli altri motivi di ricorso.
7.1. La Corte di appello ha rigettato il motivo di gravame svolto sul punto dal sig. R. (p. 6.3.), pur dando atto (p. 2.3.7.4.) di una ben diversa entità delle somme da lui investite, a causa dell’accoglimento dell’appello principale e dell’esclusione del nesso di causalità, il che rendeva ovviamente irrilevante il quantum del pregiudizio lamentato.
7.2. Il motivo è da ritenersi inammissibile appunto perché riguardante questione ritenuta assorbita dalla Corte di appello.
Secondo orientamento consolidato, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso di legittimità che proponga censure non dirette contro una statuizione della sentenza di merito, ma relative a questioni sulle quali il giudice di appello non si è pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione; esse peraltro possono essere riproposte nel giudizio di rinvio in caso di accoglimento del ricorso.
Pertanto la questione sollevata dal motivo in esame rimane aperta davanti al giudice di rinvio, che verrà adito a seguito dell’accoglimento del quarto motivo di ricorso (riguardante la questione assorbente).
- Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente Intesa Sanpaolo denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1455 c.c..
8.1. La Banca ricorrente si riferisce alla mancata considerazione da parte della Corte di appello del requisito della non scarsa importanza dell’inadempimento, avuto riguardo all’interesse della controparte ai fini della pronuncia di risoluzione del contratto.
La ricorrente premette che la Corte di appello non aveva riformato la sentenza di primo grado nella parte relativa alla dichiarazione di risoluzione del contratto quadro per inadempimento degli obblighi informativi ex art. 28 Reg. Consob 11522/1998.
A fronte dell’appello della Banca, che aveva rimproverato alla sentenza di primo grado di non aver tenuto conto di tutta una serie di elementi di fatto che delineavano la scarsa importanza dell’inadempimento che le era stato attribuito, la Corte territoriale, dopo aver escluso, correttamente, l’inadempimento per mancata segnalazione di inadeguatezza, avrebbe dovuto, prima ancora di riformare la sentenza in punto nesso causale fra inadempimento e danno, escludere la ricorrenza di un inadempimento grave tale da giustificare la risoluzione sulla base delle stesse circostanze valutate ai fini dell’esclusione del nesso eziologico fra inadempimento e danno.
8.2. Il motivo è inammissibile.
Il Tribunale (p.p. 34-37 della sentenza di primo grado) aveva valutato la gravità dell’inadempimento della Banca ex art. 1455 c.c., giudicandolo “di non scarsa importanza”, specificamente argomentando in ordine alla funzione pubblicistica degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario destinati a colmare l’handicap di conoscenze ella parte debole del rapporto, permettendogli di confidare sull’esperienza e la professionalità del fornitore professionale di servizi finanziari.
La ricorrente non dà conto di aver proposto uno specifico motivo di gravame ex art. 342 c.p.c., volto a censurare la statuizione della sentenza di primo grado circa la non scarsa gravità dell’inadempimento, che invece era stata apprezzata dal primo Giudice quale presupposto della pronuncia di risoluzione, né la proposizione di tale motivo risulta dalla registrazione delle varie doglianze della parte appellante effettuata nella sentenza impugnata.
- Con il secondo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 112, 342 e 345 c.p.c..
9.1. La Banca si lamenta del fatto che la Corte di appello ha ritenuto preclusa la disamina della doglianza relativa alla mancata detrazione delle cedole, a causa della mancata deduzione della circostanza in primo grado e in appello.
Al contrario, secondo la ricorrente incidentale, la deduzione difensiva era stata tempestivamente formulata ed erano stati prodotti i documenti che la comprovavano: la Corte quindi avrebbe dovuto verificare, alla luce delle prove fornite, la circostanza dell’acquisizione delle cedole da parte dei clienti.
9.2. Il motivo va riferito alla posizione dei soli controricorrenti signori Fl. e L., unici investitori vittoriosi in punto risarcimento all’esito del giudizio di appello, per i quali la Corte di Firenze ha esaminato l’eccezione in questione, che è rimasta ovviamente assorbita per gli altri attori e intervenuti, che hanno subito in appello il ribaltamento della decisione favorevole di primo grado.
9.3. La stessa ricorrente incidentale implicitamente riconosce di non aver formulato l’eccezione entro la soglia preclusiva prevista dalla legge per le eccezioni di merito non rilevabili d’ufficio, menzionando fra i propri atti processuali con cui l’ha fatta valere la comparsa conclusionale di primo grado, l’atto di appello e la comparsa conclusionale di appello (controricorso e ricorso incidentale, pag. 78); la ricorrente sostiene tuttavia che l’eccezione sarebbe rilevabile d’ufficio e suffragata dalla documentazione prodotta.
Certamente la mancata tempestiva formulazione dell’allegazione esclude in radice la configurabilità di una non contestazione da parte dei ricorrenti, poiché tale condotta presuppone, a monte, una attività processuale avversaria di deduzione a cui va rapportata e confrontata.
9.4. La Corte condivide la tesi della ricorrente che riconduce la propria eccezione alla figura della cosiddetta eccezione di compensatio lucri cum damno.
Il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso (Sez. 3, n. 12248 del 20/05/2013, Rv. 626397-01; Sez. 1, n. 5841 del 09/03/2018,
Rv. 647434-01).
La corretta applicazione del criterio generale della compensatio lucri cum damno postula che, quando unico è il fatto illecito generatore del lucro e del danno, nella quantificazione del risarcimento si debba tener conto anche di tutti i vantaggi nel contempo derivati al danneggiato, perché il risarcimento è finalizzato a sollevare dalle conseguenze pregiudizievoli dell’altrui condotta e non a consentire una ingiustificata locupletazione del soggetto danneggiato (Sez. 1, n. 16088 del 18/06/2018, Rv. 649565-01; in applicazione di tale principio, è stata confermata la sentenza di appello che aveva correttamente quantificato il danno, conseguente all’acquisto di obbligazioni argentine, in misura pari al capitale investito, sottraendo da tale importo il valore delle cedole riscosse ed il controvalore dei titoli concambiati, considerati un arricchimento derivante dal medesimo fatto illecito).
9.5. Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, in relazione all’opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attore a fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione.
Il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte.
In ogni altro caso si deve ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, perché il generale potere dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell’attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile (Sez. Un., 03/02/1998, n. 1099).
Le Sezioni Unite, ribadendo che nel nostro ordinamento vige il principio della normale rilevabilità di ufficio delle eccezioni e che la necessità dell’istanza di parte deriva solo da una specifica previsione normativa, hanno poi precisato che l’eccezione in senso lato (nel caso di giudicato esterno), in difetto di una tale previsione, è rilevabile d’ufficio ed il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa, qualora il suo fondamento risulti da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito; di qui la conseguenza che, in mancanza di pronuncia o nell’ipotesi in cui il giudice del merito abbia affermato la tardività dell’allegazione – e la relativa pronuncia sia stata impugnata – il giudice di legittimità accerta l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini e accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice del merito (Sez. Un., 25/05/2001, n. 226).
Principio poi ribadito dalle Sezioni Unite, quando hanno affermato che il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Sez. un., 07/05/2013, n. 10531).
L’eccezione di compensatio lucri cum damno è perciò considerata dalla giurisprudenza di questa Corte come un’eccezione in senso lato, che attiene all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, ed è, come tale, rilevabile d’ufficio dal giudice, il quale, per determinarne l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio (Sez. 6-3, n. 20111 del 24/09/2014, Rv. 632976-01; Sez. 3, n. 533 del 14/01/2014, Rv. 629728-01).
Alla stessa logica può essere ascritta anche la sentenza capostipite delle Sezioni Unite 03/02/1998, n. 1099, che si riferiva alla rilevazione officiosa dell’aliunde perceptum o percipiendum quale posta da detrarsi dal risarcimento del danno da licenziamento illegittimo.
9.6. La ricorrente incidentale documenta la tempestiva produzione dei documenti collegati all’eccezione in questione e la sua prospettazione nei propri scritti difensivi di primo grado, nonché in appello, come del resto riconoscono i controricorrenti al ricorso incidentale; pertanto la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminarne il fondamento nel merito.
Il motivo va pertanto accolto.
- Con il terzo motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5, la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo della controversia, nonché violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 167 c.p.c., comma 1, nonché D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 10, comma 2 bis, nonché violazione dell’art. 1223 c.c. e art. 1227 c.c., comma 2, il tutto in relazione alla mancata considerazione della conversione delle obbligazioni (OMISSIS) in warrants loro valorizzazione e successivo ricavato della vendita in detrazione del danno.
10.1. La Corte di appello, quanto alle azioni e diritti ottenuti dai signori Fl. e L., in sede di omologa del concordato, ha osservato che i clienti non erano affatto tenuti ad aderire alla proposta di concordato, così non tenendo conto del fatto decisivo dell’acquisizione di tali diritti, della loro valorizzazione e della successiva vendita, tempestivamente dedotta dalla Banca e non contestata ex adverso, puntualmente rilevante ai fini della determinazione del danno effettivamente subito dagli attori e intervenuti.
10.2. La censura è fondata e va accolta.
La risposta della Corte territoriale è chiaramente inficiata, in primo luogo, dalla mancata considerazione del fatto decisivo dedotto dalla Banca e sottolineato negli scritti difensivi conclusionali di secondo grado che i signori Fl. e L. non solo avevano conseguito nuovi titoli azionari dal concambio disposto nell’ambito della procedura (OMISSIS), ma avessero altresì venduto tali titoli (azioni e warrants) ricavandone un utile (documento n. 8A prodotto in secondo grado).
Le difese dei controricorrenti imperniate sulla non utilizzabilità dei documenti prodotti da Banca Intesa sono state confutate nel p. 2, anche a non voler considerare che in questo caso i documenti decisivi sono stati prodotti in primo grado (quanto all’omologazione del concordato (OMISSIS) e relativi rapporti di concambio delle obbligazioni con azioni e warrants) e in secondo grado (quanto alla venduta dei titoli ricevuti in concambio) dall’appellante come documenti sopravvenuti in corsoi di causa.
L’osservazione della Corte di appello potrebbe ritenersi pertinente rispetto all’eccezione di mancato contenimento del danno ex art. 1227 c.c., comma 2, anche se tutt’altro che convincente, poiché l’investitore danneggiato da un acquisto di titoli obbligazionari che hanno perso completamente valore per l’insolvenza dell’emittente non può pretendere il risarcimento anche di quei danni che avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza accettando in luogo delle obbligazioni prive di valore titoli azionari e diritti relativi dotati di una, sia pur molto più modesta, quotazione di mercato.
Come annota puntualmente la ricorrente incidentale, nella fattispecie la deduzione della Banca non si atteggiava, come era stato proposto inizialmente, in termini di mera possibilità per il cliente danneggiato di evitare il danno, ma, per effetto prima del ricevimento dei titoli sostitutivi e poi della loro vendita, si risolveva nella rappresentazione di un danno già concretamente evitato, con la conseguenza che la sua liquidazione doveva essere limitata alla perdita effettivamente subita ex art. 1223 c.c..
- In sintesi: devono essere accolti il quarto motivo del ricorso principale e il secondo e terzo motivo del ricorso incidentale, con la correlativa cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il quarto motivo di ricorso principale, rigettato il primo, dichiarati inammissibili il secondo e il terzo, assorbiti il quinto e il sesto, dichiarato inammissibile il settimo, e accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso incidentale, rigettato il primo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.