Art 570 bis cp no reato figlio maggiorenne che puo’ lavorare
NIENTE REATO PER NON DARE SUSSITENZA ALFIGLIO MAGGIORENNE CHE PUO’ LAVORARE
l’inabilità al lavoro rilevante ai sensi del citato art. 570, comma 2, impone al genitore l’obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza anche al figlio maggiorenne va intesa,
in base alla definizione contenuta nella L. n. 118 del 1971, artt. 2 e 12, come totale e permanente inabilità lavorativa
Ne discende che non integra il reato in parola la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza a figli maggiorenni non inabili a lavoro, anche se studenti: l’onere di prestare i mezzi di sussistenza, penalmente sanzionato, ha infatti un contenuto soggettivamente e oggettivamente più ristretto di quello delle obbligazioni previste dalla legge civile, potendo sussistere la fattispecie delittuosa di cui all’art. 388 c.p., qualora ricorrano i requisiti previsti da tale norma (segnatamente il compimento di atti fraudolenti diretti ad eludere gli obblighi di cui trattasi) (Sez. 6, n. 895 del 25/11/1993 – dep. 1994, Cavallaro, Rv. 196946).
2.2. D’altra parte, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, l’inabilità al lavoro rilevante ai sensi del citato art. 570, comma 2, impone al genitore l’obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza anche al figlio maggiorenne va intesa, in base alla definizione contenuta nella L. n. 118 del 1971, artt. 2 e 12, come totale e permanente inabilità lavorativa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto insussistente il reato, in quanto al figlio maggiorenne, a cui l’imputato aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza, era stata riconosciuta una riduzione permanente della capacità lavorativa inferiore al 75%). (Sez. 6, n. 23581 del 13/02/2013, L. P, Rv. 256258).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sentenza 12 dicembre 2018 – 11 gennaio 2019, n. 1342
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –
Dott. TRONCI Andrea – Consigliere –
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere –
Dott. BASSI Alessandra – rel. Consigliere –
Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L.M., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/05/2016 della Corte d’appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DALL’OLIO Marco, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza del 23 settembre 2014, con cui il Tribunale di Ascoli Piceno ha condannato alla pena di legge L.M. per il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, per avere omesso di versare le somme stabilite dal giudice in favore della figlia.
2. Con atto a firma del difensore di fiducia, L.M. ricorre avverso il provvedimento e ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo, la difesa eccepisce la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione per avere la Corte d’appello erroneamente omesso di riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 388 c.p.;
2.2. Con il secondo e terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione, per avere i giudici di merito errato nell’applicare il disposto dell’art. 570 c.p.. A sostegno delle doglianze si evidenzia, per un verso, che l’imputato non ha mai tenuto alcun comportamento contrario all’ordine ed alla morale della famiglia, nè si è mai sottratto agli obblighi di assistenza relativi alla responsabilità genitoriale; per altro verso, che la Corte d’appello ha ritenuto integrato il reato sebbene la figlia maggiorenne abbia abbandonato il domicilio domestico, per libera scelta, a seguito del decesso della madre. La difesa sottolinea inoltre come l’inadempimento abbia riguardato tre sole mensilità, rispetto alle quali avrebbe dovuto essere applicata la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p.; come, all’epoca del fatto, la persona offesa fosse maggiorenne ed avesse raggiunto una condizione di autosufficienza economica, sicchè faceva difetto lo stato di bisogno; come l’imputato si trovasse in condizione di non poter adempiere agli obblighi ignorando il luogo di dimora della figlia – persona offesa.
2.3. Con il quarto motivo, l’impugnante rileva la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 124 c.p., per avere la Corte d’appello erroneamente omesso di dichiarare l’improcedibilità del reato per tardività della querela.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato in relazione al secondo ed assorbente motivo, con il quale il ricorrente si duole della ritenuta integrazione del reato contestato sul presupposto che la figlia beneficiaria dell’assegno di mantenimento fosse ormai maggiorenne all’epoca dei fatti.
2. Giova rilevare come, secondo il chiaro enunciato normativo, l’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, punisca – con le pene stabilite dal primo comma applicate congiuntamente – colui il quale “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro (…)”.
2.1. Ne discende che non integra il reato in parola la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza a figli maggiorenni non inabili a lavoro, anche se studenti: l’onere di prestare i mezzi di sussistenza, penalmente sanzionato, ha infatti un contenuto soggettivamente e oggettivamente più ristretto di quello delle obbligazioni previste dalla legge civile, potendo sussistere la fattispecie delittuosa di cui all’art. 388 c.p., qualora ricorrano i requisiti previsti da tale norma (segnatamente il compimento di atti fraudolenti diretti ad eludere gli obblighi di cui trattasi) (Sez. 6, n. 895 del 25/11/1993 – dep. 1994, Cavallaro, Rv. 196946).
2.2. D’altra parte, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, l’inabilità al lavoro rilevante ai sensi del citato art. 570, comma 2, impone al genitore l’obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza anche al figlio maggiorenne va intesa, in base alla definizione contenuta nella L. n. 118 del 1971, artt. 2 e 12, come totale e permanente inabilità lavorativa. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto insussistente il reato, in quanto al figlio maggiorenne, a cui l’imputato aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza, era stata riconosciuta una riduzione permanente della capacità lavorativa inferiore al 75%). (Sez. 6, n. 23581 del 13/02/2013, L. P, Rv. 256258).
2.3. Sulla scorta di quanto sopra, risulta di tutta evidenza l’insussistenza dei presupposti dell’incriminazione in oggetto.
Come si evince dalla sentenza, alla data dell’inizio del delitto permanente (17 ottobre 2009, giusta contestazione), la figlia era ormai maggiorenne (essendo nata il 4 dicembre 1985); d’altra parte, dalla ricostruzione in fatto tratteggiata in motivazione, risulta chiaro che la ragazza non era inabile al lavoro, tanto che svolgeva un lavoro con contratto part-time (v. pagina 4 della sentenza).
3. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2019.
Originally posted 2021-07-12 08:29:31.