Art. 40 – Rapporto di causalità del Codice penale

Art. 40 – Rapporto di causalità del Codice penale

 

Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione [c.p. 41].

Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

La norma dettata dall’art 40 cp è fondamentale, ci dice che comunque  un reato non puo’ essere attribuito a  una persona se  non dipende d auna sua azione o omissione.

REATO DI OMISSIONE

TIPICO E’ L’OMISSIONE DI SOCCORSO COME ALTRI REATI

Senza alcuna pretesa di approfondimento teorico o di esaustività – che implicherebbe la trattazione di temi non essenziali ai fini della decisione delle questioni poste con il ricorso -, ma solo per una migliore intelligenza delle cadenze della presente motivazione, è opportuno rammentare che la responsabilità penale per reato omissivo improprio (o reato commissivo mediante omissione) presuppone la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice violata, dalla quale deriva l’obbligo di attivarsi per la salvaguardia di quel bene; obbligo che si attualizza in ragione del perfezionarsi della c.d. situazione tipica. In presenza di tali condizioni la semplice inerzia assume significato di violazione dell’obbligo giuridico (di attivarsi per impedire l’evento) e l’esistenza di una relazione causale tra omissione ed evento apre il campo all’ascrizione penale, secondo la previsione dell’art. 40 cpv. c.p..

Art. 40 – Rapporto di causalità del Codice penale

Mentre quando il garante non impedisce la verificazione di un evento “naturalisticamente inteso”, tipico rispetto alla corrispondente fattispecie di natura commissiva, la responsabilità penale che ne consegue ha forma monosoggettiva, quando il mancato impedimento concerna l’altrui condotta criminosa lo schema giuridico che si prospetta è quello del concorso di persone nel reato. La responsabilità del garante omettente trae origine dal combinato disposto agli artt. 40 cpv. e 110 c.p..

5.3. Il profilo di tal ultima fattispecie di maggiore interesse in questa sede è quello soggettivo.

La giurisprudenza di legittimità in tema di concorso mediante omissione nel reato commissivo, in presenza dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, afferma che, perchè possa aversi responsabilità del garante, occorre che questi si sia rappresentato l’evento, nella sua portata illecita; tale rappresentazione può consistere anche nella prospettazione dell’evento come evenienza solo eventuale. Detto altrimenti, la giurisprudenza – in ciò avversata da parte minoritaria della dottrina – riconosce che il garante possa rispondere anche a titolo di dolo eventuale per non aver impedito la commissione di un reato da parte di altri. In tal senso, tra le ultime, Sez. 3, n. 28701 del 12/05/2010, Pg in proc. A. e altri, Rv.

248067, per la quale “la responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento può qualificarsi anche per il solo dolo eventuale, a condizione che sussista, e sia percepibile dal soggetto, la presenza di segnali perspicui e peculiari dell’evento illecito caratterizzati da un elevato grado di anormalità” (per Sez. 5, Sentenza n. 9736 del 10/02/2009, Cacioppo e altri, Rv. 243023, “la responsabilità del mero consigliere d’amministrazione di società per fatti di bancarotta fraudolenta, materialmente posti in essere dal presidente, presuppone la rappresentazione dell’evento, nella sua portata illecita, desunta da segnali perspicui e peculiari, e la volontaria omissione nell’impedirlo, sì che possa affermarsi che egli abbia quanto meno accettato il rischio di verificazione dello stesso”).

Invero, l’aspetto maggiormente problematico non concerne tanto la persuasività di tale interpretazione – non si vede perchè il dolo eventuale, cui si riconosce legittima cittadinanza fuori dal perimetro del reato omissivo improprio plurisoggettivo, dovrebbe vedersi negato analogo riconoscimento in quest’ultima provincia – quanto le cadenze dell’accertamento di una simile forma di dolo.

Se in linea di principio si può convenire e si conviene sulla tesi che sussiste la responsabilità penale dell’omittente quando, pur essendosi questo rappresentato la concreta possibilità di verificazione dell’evento, si è sottratto consapevolmente all’adempimento dei propri doveri di controllo, accettando il rischio che l’evento si verificasse, il punctum dolens si rinviene lì dove si formula il giudizio di concreta sussistenza del dolo eventuale, che a fronte di indubitabili difficoltà di accertamento, corre il rischio di scivolare verso l’evocazione di schemi tipici della responsabilità per colpa.

Al fine di evitare un simile esito non può farsi a meno di rifiutare concetti quali “prevedibilità” o “conoscibilità”, che rimandano alla struttura della colpa, ed accordare preferenza alla reale “previsione” dell’evento che, in quanto in itinere, si è ancora in condizioni ed in dovere di impedire.

Perchè ciò si realizzi non è certo sufficiente che si accerti la violazione dell’obbligo di attivarsi, poichè l’oggettivo inadempimento non dice ancora nulla in ordine al profilo soggettivo dell’autore del fatto (omissivo) (ma tende all’equazione Sez. 3, n. 6208 del 09/04/1997, Ciciani e altro, Rv. 208804, per la quale, anche per i reati imputati ai sensi dell’art. 40 cpv., in forza dei principi generali, per l’elemento soggettivo è sufficiente che il “garante” abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l’evento e si astenga, con coscienza e volontà, dall’attivarsi, con ciò volendo o prevedendo l’evento (nei delitti dolosi); sicchè risponde del reato l’amministratore titolare che conosceva i suoi doveri giuridici di vigilare sul comportamento dell’amministratore di fatto e aveva coscientemente omesso di esercitarli, con ciò accettando il rischio che l’amministratore effettivo commettesse i reati tributari che egli aveva il dovere di impedire).

Neppure è sufficiente che siano “oggettivamente” rinvenibili quei “segnali perspicui e peculiari in relazione all’evento illecito”, aventi un grado di anormalità (non in senso assoluto ma in relazione al soggetto garante di cui trattasi) che la giurisprudenza di legittimità ha elevato a guida nell’accertamento già a partire da Sez. 5, n. 23838 del 04/05/2007, P.M. in proc. Amato e altri, Rv.

mediante omissione nel reato commissivo

237251, essendo comunque necessario dare dimostrazione che quei segnali siano stati colti nel loro compiuto significato descrittivo dal garante in questione. Anche su questo punto si dissente da Sez. 3, n. 28701 del 12/05/2010, Pg in proc. A. e altri, Rv. 248067, che pare ammettere la sufficienza di una “possibilità di consapevolezza e di prevedibilità del rischio” di comportamenti censurabili. Ad avviso di questa Corte, il rilievo dell’esistenza di segnali noti non può non essere accompagnato dall’accertamento della elaborazione che degli stessi è stata fatta: quei segnali possono essere stati sottovalutati, malamente interpretati. Ciò indirizza verso un comportamento colposo; non certo doloso.

Va quindi data la prova di una corretta elaborazione dei segnali;

essa è legata alla valutazione delle capacità intellettive del soggetto, anche alla stessa evidenza e significatività dei segnali;

il giudice deve dimostrare con adeguata motivazione di aver analizzato come quei segnali sono stati elaborati.

Nè può essere sufficiente che detti segnali rivelino una indistinta condizione di rischio per il bene tutelato, poichè se la responsabilità vuoi essere per il concorso, in ipotesi, nel reato di “abuso sessuale”, non può essere idoneo a sostenere l’ascrizione penale il dolo, ad esempio, del reato di minaccia o di ingiurie. Non sembra seriamente dubitabile che l’evento di cui si discorre, in quanto oggetto del dolo, ancorchè eventuale, debba essere proprio lo specifico reato che andava impedito. Mentre per quanto concerne il quesito se la consapevolezza deve investire anche i singoli episodi illeciti, si può convenire con quanto affermato in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale: che, ad integrare il dolo dell’amministratore di diritto rispetto agli illeciti commessi dall’amministratore di fatto è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi (Sez. 5, n. 29896 del 01/07/2002 – dep. 20/08/2002, Arienti ed altri, Rv.

222389). Detto altrimenti, è necessario che si abbia la rappresentazione caratteristica del dolo eventuale di un evento-reato tipologicamente coincidente con quello del quale si è chiamati a rispondere; non però delle specifiche caratteristiche fattuali del reato commesso dal concorrente (in tal senso Sez. 5, n. 38712 del 19/06/2008, Prandelli e altro, Rv. 242022, per la quale “In tema di bancarotta fraudolenta, in caso di concorso “ex” art. 40 c.p., comma 2, dell’amministratore di diritto nel reato commesso dall’amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale; e così sembra potersi interpretare anche Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, Liberati, Rv. 232816, laddove afferma che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, la responsabilità dell’amministratore, che risulti essere stato soltanto un prestanome, nasce dalla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica, cui però va aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno”).

5.4. D’altro canto, l’approccio al tema del dolo eventuale del garante omittente non può non tener conto dell’elaborazione che la medesima giurisprudenza di legittimità sta svolgendo quanto alla più generale questione della definizione della linea di demarcazione tra il dolo eventuale e la colpa con previsione.

Anche in questo caso non vi può essere alcuna pretesa di esaurire il panorama delle opinioni in campo. E’ quindi sufficiente ricordare che la giurisprudenza fa proprio il criterio dell’accettazione del rischio, per il quale ricorre il dolo eventuale quando l’agente/omittente abbia tenuto la condotta tipica nella previsione dell’evento ed accettando la sua verificazione (quale evenienza accessoria al conseguimento dell’obiettivo prefissato), laddove nella colpa cosciente alla previsione dell’evento si accompagna la mancata accettazione dello stesso.

Tuttavia, la declinazione del criterio è invero piuttosto variegata.

Ora si afferma che sussiste il dolo eventuale quando “chi agisce non ha il proposito di cagionare l’evento delittuoso, ma si rappresenta la probabilità – od anche la semplice possibilità – che esso si verifichi e ne accetta il rischio” (Cass., Sez. Un., 6 dicembre 1991, n. 3428/1992); ora si rimarca il fatto che “l’agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenti la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria condotta, e ciononostante agisca accettando il rischio di cagionarle” (Cass., Sez. Un., 14 febbraio 1996, n. 3571); oppure si evoca “la consapevolezza che l’evento, non direttamente voluto, ha la probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione nonchè dell’accettazione volontaristica del rischio” (Cass., Sez. Un., 12 ottobre 2003, n. 748/1994).

In alcune decisioni si pone l’accento sull’alternativa astrattezza/concretezza della previsione dell’evento: nel dolo eventuale l’evento viene previsto come concretamente possibile mentre nella colpa cosciente la verificabilità dell’evento rimane un’ipotesi astratta, percepita dal reo come non concretamente realizzabile (Cass. sez. 4, 10.2.2009, n. 13083, P.M. Trib. Salerno in proc. Bodan; cfr. Cass. sez. 5, 17.9.2008, n. 44712; Cass. sez. 1, 14.6.2001, n. 30425, e la giurisprudenza in esse richiamata).

In altre si enfatizza il mancato superamento del dubbio circa la verificazione dell’evento quale connotato essenziale del dolo eventuale (Cass. Sez. 4, sent. n. 11222 del 18/02/2010, P.G. e p.c. in proc. Lucidi, rv. 249492; criterio al quale sembra contiguo, se non coincidente, quello della “previsione negativa” circa la possibilità che l’evento si verifichi).

Il dato che merita di essere sottolineato è che dolo eventuale e colpa cosciente non si pongono come concetti limitrofi, tanto che si può trascorrere dall’uno all’altro al variare di un particolare fattore, identificato come elemento scriminante. E’ ormai una consapevolezza radicata della cultura penalistica italiana, e non solo, che dolo e colpa sono strutturalmente diversi e non hanno una matrice comune, per quanto elementi della colpa si possano rinvenire anche nel dolo. Si tratta di un’osservazione tanto banale quanto utile, perchè chiarisce che non sono le forme che possono riconoscersi alla previsione dell’evento (astratta/concreta; evento probabile/possibile/certo) a poter assurgere di per sè a canone distintivo. Come è stato già affermato, la previsione assume rilievo quale indice di quella particolare volizione che si presenta nelle forme dell’accettazione del rischio: quanto più la previsione dell’evento è “concreta” o propone come certo il verificarsi dell’evento, tanto più potrà dirsi che l’agente/omittente ha accettato e quindi voluto l’evento.

E’ evidente che ogni concezione che propugni o sottenda una sorta di continuum tra dolo e colpa – con dolo eventuale e colpa cosciente a rappresentare le aree ove si manifesta la contiguità di trarne diverse ma appartenenti ad un medesimo ininterrotto tessuto – appare fallace e origine di affermazioni non condivisibili.

La differente struttura deve far dubitare che la previsione dell’evento si atteggi in ambo le aree (quella della condotta dolosa e quella della condotta colposa) allo stesso modo.

Com’è stato scritto da autorevole dottrina, il dolo è “decisione per l’illecito”; laddove la colpa è rimproverabilità della violazione di una regola cautelare che può essere anche totalmente ignota all’autore del fatto.

Il criterio dell’accettazione del rischio, stabilmente utilizzato dalla giurisprudenza quanto variamente inteso, non può valere ad indicare la struttura del dolo. Piuttosto, esse serve ad indirizzare l’accertamento dell’esistenza di quella “decisione per l’illecito” che davvero caratterizza il comportamento doloso.

Come è stato osservato, l’accettazione del rischio non è un vero processo mentale; potrebbe dirsi che essa è la parafrasi della genesi e della persistenza di una decisione per l’illecito che giunge sino all’esaurimento della condotta con la produzione dell’evento. In questa prospettiva dovrebbe essere ancor più evidente che la ricerca di opposizioni concettuali che dovrebbero connotare in modo caratteristico la differenza strutturale tra il dolo eventuale e la colpa cosciente rischia di condurre lungo la via dell’errore.

L’alternativa previsione concreta/previsione astratta dell’evento illecito; come quella possibilità di verificazione/elevata probabilità di verificazione dell’evento illecito; etc, possono solo offrire l’accesso alla ricostruzione dell’atteggiamento mentale del soggetto.

Il canone della “persistenza di una decisione per l’illecito che giunge sino all’esaurimento della condotta con la produzione dell’evento” permette di operare una puntualizzazione quanto all’oggetto del dolo eventuale.

Come è stato spiegato, l’accettazione non deve riguardare solo la situazione di pericolo posta in essere, ma deve estendersi anche alla possibilità che si realizzi l’evento non direttamente voluto, pur coscientemente prospettatosi… altrimenti si avrebbe la (inaccettabile) trasformazione di un reato di evento in reato di pericolo”. L’esemplificazione portata a sostegno dell’affermazione appare piuttosto calzante: se bastasse l’accettazione di una situazione di pericolo cagionata dalla propria condotta trasgressiva di una regola cautelare, “il conducente di un autoveicolo (che) attraversi col rosso una intersezione regolata da segnalazione semaforica, o non si fermi ad un segnale di stop, in una zona trafficata, risponderebbe, solo per questo, degli eventi lesivi eventualmente cagionati sempre a titolo di dolo eventuale”. Tale posizione risponde appieno al rilievo dottrinario secondo il quale “perchè sussista il dolo eventuale, ciò che l’agente deve accettare è proprio l’evento – proprio la morte -; è il verificarsi della morte che deve essere stato accettato e messo in conto dall’agente, pur di non rinunciare all’azione che, anche ai suoi occhi, aveva la seria possibilità di provocarlo” (Cass. sez. 4, sent. n. 11222 del 18/02/2010, P.G. e p.c. in proc. Lucidi, rv. 249492).

La necessità che l’accettazione del rischio concerna in realtà proprio l’evento tipico (e in ciò si assume consapevolmente una posizione opposta a quella espressa da questa Corte in occasione del primo giudizio rescindente) riconduce l’accertamento giudiziario al rispetto del principio di legalità e del principio di colpevolezza.

5.5. Ricondotte simili considerazioni nella vicenda che qui occupa, esse convincono ulteriormente circa il fatto che i segnali perspicui non possono che riguardare lo specifico evento che si intende porre a carico del garante omittente; essi devono essere stati percepiti ed assunti nel loro reale significato dal soggetto di cui trattasi; una condizione di dubbio circa la loro significatività non è di per sè in compatibile con l’accettazione dell’evento.

Il dubbio descrive una situazione irrisolta, perchè accanto alla previsione della verificabilità dell’evento vi è la previsione della non verificabilità. Il dubbio corrisponde ad una condizione di incertezza, che appare difficilmente compatibile con una presa di posizione volontaristica in favore dell’illecito, ad una decisione per l’illecito; ma che ove concretamente superato, avendo l’agente optato per la condotta anche a costo di cagionare l’evento, volitivamente accettandolo quindi nella sua prospettata verificazione, lascia sussistere il dolo eventuale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 30472 del 11/07/2011, Rv. 251484, Braidic).

Originally posted 2021-04-27 15:43:49.