ABUSO MEZZI CORREZZIONE ART 571 CP.
Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina (1) in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente (2), con la reclusione fino a sei mesi.
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- Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni .
- l’uso di un mezzo astrattamente lecito (un rimprovero particolarmente severo potrà esser valutato come eccessivo se rivolto ad una persona psichicamente fragile) potrà qualificarsi, se valutato in base alla natura del rapporto, come in base alle condizioni in cui lo stesso rapporto si svolge, illecito in quanto non adeguato o sproporzionato rispetto al fine correttivo che deve raggiungere.
- Per stabilire se è configurabile il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina oppure altro reato (nella specie, maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli), assumono rilevanza sia l’elemento oggettivo della fattispecie concreta, e cioè la correlazione tra i mezzi e i metodi utilizzati e la finalità educativa e disciplinare, sia l’elemento soggettivo, e cioè che il motivo determinante dell’agente sia quello disciplinare e correttivo.
- (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 3536 del 11 aprile 1996)
- L’abuso dei mezzi di correzione previsto e punito dall’art. 571 c.p. presuppone un uso consentito e legittimo di tali mezzi tramutato per eccesso in illecito (abuso). Ne consegue che non è configurabile tale reato qualora vengano usati mezzi di per sé illeciti sia per la loro natura che per la potenzialità di danno. (Nella specie è stato ritenuto che le frustate a sangue e le punizioni umilianti e degradanti, quali: pulire il pavimento con la lingua, mangiare in ginocchio per un mese, cospargere la vittima di pomate irritanti, etc., integrino gli estremi del reato di violenza privata).
(Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 10841 del 14 ottobre 1986)
SECONDO LA GIURISPRUDENZA
Tutto ciò deve considerarsi un abuso, riconducibile alla sfera di operatività dell’art. 571 cod. pen., a prescindere dalla metodologia utilizzata e dalle finalità perseguite, dovendosi ritenere che un siffatto comportamento ecceda ampiamente il limite dell’educazione rispettosa della dignità del bambino – che implica pur sempre l’esercizio del potere disciplinare con mezzi consentiti e proporzionati -, e trasmodi invece in comportamenti afflittivi dell’altrui personalità (si rinvia ancora a Cass. Sez. 6, n. 34492 del 2012, V., cit., nonchè a Cass. Sez. 6, n. 18289 del 16/2/2010, P.G., rv. 247367, secondo cui il reato di abuso di mezzi di correzione non ha natura di reato necessariamente abituale, sicchè può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell’abuso ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell’incolumità fisica e della serenità psichica del minore che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzano l’evento, quale che sia l’intenzione correttiva o disciplinare del soggetto attivo).
D’altro canto deve ribadirsi che non è stata neppure allegata la ragione del concreto ricorso a siffatta metodologia correttiva in rapporto a specifiche situazioni devianti, non potendosi far generico riferimento al numero dei bambini affidati e presupporre che si trattasse di bimbi scalmanati, tali da imporre sistemi rigorosi: deve dunque oggettivamente apprezzarsi il dato fenomenico ed ontologico, che si risolve nella rappresentazione di condotte abusive, destinate a manomettere in primo luogo la personalità morale delle vittime, fermo restando che i Giudici di merito sulla base delle testimonianze acquisite hanno ricondotto quei comportamenti a situazioni prive di concreto allarme, quale, ad esempio, quella del rifiuto di sottostare all’imposizione prolungata del canto.
I Giudici di merito hanno inoltre correttamente posto in luce come dalla condotta sia effettivamente derivato il pericolo di una malattia nel corpo o della mente.
Al riguardo va segnalato che ‘la nozione di malattia rilevante è più ampia di quella relativa al reato di lesione personale, comprendendo ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato di ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento (Cass. Sez. 3, n. 49433 del 22/10/2009, 8.,rv. 245753; Cass. Sez. 6, n. 16491 del 7/2/2005, C., rv. 231452).
In concreto è stato posto in luce come i bimbi nei cui confronti erano state tenute le condotte segnalate avessero manifestato reazioni anomale, consistite nel rifiuto di recarsi a scuola, nel rifiuto di mangiare, nell’insonnia e nell’enuresi (sentenza della Corte a ff. 7 e 8).
Tali elementi, rappresentativi di concreto disagio, sono stati desunti dalle dichiarazioni delle mamme piuttosto che da valutazioni di consulenti, in tal senso giustificandosi l’affermazione, altrimenti illogica, dell’irrilevanza della rispondenza delle valutazioni della consulente di parte a criteri strettamente scientifici.
D’altro canto nel ricorso, pur deducendosi che il consulente dell’imputata aveva demolito le osservazioni formulate dalla consulente di una parte civile, non è stato in concreto dedotto alcunchè, per confutare l’assunto incentrato sul concreto riscontro di quel disagio, tradottosi in quelle manifestazioni esteriori, idoneamente descritte dalle testimoni escusse.
4.3. Ricostruito dunque l’elemento oggettivo del reato, è d’uopo rilevare come l’elemento soggettivo sia costituito dal dolo generico, non essendo richiesto un fine specifico, cioè un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di realizzare la condotta di abuso (Cass. Sez. 6, n. 18289 del 16/2/2010, P.G., rv.247368).
Nel caso di specie, la ricostruzione operata dai Giudici di merito è del tutto in linea con l’assunto della configurabilità del dolo, a fronte delle condotte tenute dall’imputata, espressione di violenza fisica o psicologica, a prescindere dalla concreta finalità perseguita e, si ribadisce, in assenza di qualsivoglia concreta prospettazione della peculiarità delle situazioni nelle quali quelle condotte erano state tenute.
È manifestamente infondata — ai sensi degli artt. 26 comma primo della L. 11 marzo 1953, n. 87 e 9 comma secondo delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte cost. 16 marzo 1956 — la questione di legittimità costituzionale dell’art. 571 comma secondo c.p. sollevata in riferimento all’art. 3 comma primo Cost., sostenendo che il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d’ufficio (anche) quando ne deriva una lesione personale lievissima (comma secondo), in tal caso punita con un terzo della pena del reato di lesione personale lievissima, mentre quest’ultimo delitto, nonostante la maggior gravità della sanzione, è perseguibile soltanto a querela di parte (art. 582, comma secondo). Ma nel nostro ordinamento giuridico penale, la perseguibilità d’ufficio non è necessariamente in relazione alla gravità del reato, quale si rivela con la misura della pena, ma, talvolta, si ricollega alla particolarità della fattispecie e del bene che con la condotta criminosa venga offeso. Nell’art. 571 il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina è perseguibile d’ufficio perché non si rimetta all’iniziativa dell’offeso, spesso un minore, o un minorato, o un dipendente, la punibilità di chi ha tradito la sua funzione di educatore o istruttore: motivo, questo, che basta ad escludere l’irrazionalità della norma. Allorquando dal reato derivi una lesione personale lievissima, la perseguibilità d’ufficio è connessa all’abuso e non alla lesione, che, fra l’altro, ne è conseguenza solo eventuale. Pertanto, la disparità di trattamento fra reato di abuso con lesioni personali lievissime e reato di lesioni personali lievissime è giustificata dalla disparità di situazioni, poiché, qualunque sia la misura della pena nei due casi, nell’uno c’è l’abuso e nell’altro no.
In tema di esercizio del potere di correzione Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 51591 del 2 dicembre 2016)e disciplina in ambito lavorativo, configura il reato previsto dall’art. 571 cod. pen. la condotta del datore di lavoro che superi i limiti fisiologici dell’esercizio di tale potere (nella specie rimproveri abituali al dipendente con l’uso di epiteti ingiuriosi o con frasi minacciose), mentre integra il delitto di cui all’art. 572 cod. pen. la condotta del datore di lavoro che ponga in essere nei confronti del dipendente comportamenti del tutto avulsi dall’esercizio del potere di correzione e disciplina, funzionale ad assicurare l’efficacia e la qualità lavorativa, e tali da incidere sulla libertà personale del dipendente, determinando nello stesso una situazione di disagio psichico (nella specie, lancio di oggetti verso il dipendente e imposizione di stare seduto per lungo tempo davanti alla scrivania del datore di lavoro senza svolgere alcuna funzione).
Cass. pen. n. 4444/2011
Non è configurabile il reato di abuso di mezzi di correzione, qualora soggetto passivo sia il figlio già divenuto maggiorenne ancorchè convivente, trattandosi di persona non più sottoposta all’autorità del genitore.
Ai fini dell’integrazione della fattispecie prevista dall’art. 571 c.p. è sufficiente il dolo generico, non essendo richiesto dalla norma il fine specifico, ossia un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di realizzare la condotta di abuso.
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Il reato di abuso dei mezzi di correzione (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 18289 del 13 maggio 2010)
o di disciplina non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché ben può ritenersi integrato da un unico atto espressivo dell’abuso, ovvero da una serie di comportamenti lesivi dell’incolumità fisica e della serenità psichica del minore, che, mantenuti per un periodo di tempo apprezzabile e complessivamente considerati, realizzano l’evento, quale che sia l’intenzione correttiva o disciplinare del soggetto attivo. (Fattispecie in cui alcuni bambini affidati ad un’insegnante di scuola materna erano stati in più occasioni oggetto di minacce e percosse, ovvero sottoposti a umilianti dileggi per il loro basso rendimento scolastico).
Secondo la suprema corte Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché può essere integrato anche da un unico atto espressivo dell’abuso.
Con importante sentenza della suprema corte In tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia nella mente (il cui rischio di causazione implica la rilevanza penale della condotta) è più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento.
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In materia di abuso dei mezzi di correzione e di disciplina il pericolo di una malattia fisica o psichica richiesto dall’art. 571 c.p.
non deve essere accertato necessariamente attraverso una perizia medico-legale, ma può essere desunto anche dalla natura stessa dell’abuso, secondo le regole della comune esperienza; e può ritenersi, senza bisogno di alcuna indagine eseguita sulla base di particolari cognizioni tecniche, allorquando la condotta dell’agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto di produrre siffatta conseguenza. Né occorre, trattandosi di tipico reato di pericolo, che questa si sia realmente verificata, atteso che l’esistenza di una lesione personale è presa in considerazione come elemento costitutivo della ipotesi diversa e più grave prevista dal secondo comma dell’art. 571.
Originally posted 2020-03-20 14:43:17.