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Pornografia minorile: diffusione di immagini e responsabilità penale

Pornografia minorile: diffusione di immagini e responsabilità penale.

Commette il reato di pornografia minorile colui il quale divulghi di propria iniziativa, diffondendole su un gruppo whatsapp, foto ricevute in via confidenziale da una terza persona; predetta fattispecie è integrata anche nel caso in cui si tratti di autoscatti che il minore sia stato indotto a produrre ed inviare all’agente. Ciò che rileva, infatti, è la diffusione ed il possesso di materiale a contenuto pedopornografico.

AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA SERGIO ARMAROLI 051 6447838 DIFENDE BOLOGNA TREVISO PADOVA VICENZA RAVENNA VENEZIA 

Cassazione penale sez. un., 28/10/2021, n.4616

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Integra reato diffondere materiale pornografico realizzato con un minore anche se l’interessato è d’accordo

La diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600-ter, commi 3 e 4, c.p., ed il minore non può prestare il consenso ad essa.

cassazione penale sez. un., 28/10/2021, n.4616

Pornografia minorile: la messa in circolazione del materiale prodotto se contestuale alla produzione integra il reato di cui all’art.600-ter, co. 1, c.p.

PORNOGRAFIA MINORILE – Circolazione del materiale – Individuazione temporale della stessa in rapporto alla produzione – Conseguenti reati configurabili.

Delitti contro la persona – Pornografia minorile – Produzione di materiale pornografico – Necessaria “utilizzazione” del minore – Circolazione e diffusione del materiale – Irrilevanza del consenso del minore.

In tema di pornografia minorile, la messa in circolazione del materiale abusivamente prodotto, ove contestuale alla produzione o, comunque, sin dall’inizio voluta da chi lo abbia realizzato, integra il reato di cui all’art. 600-ter, comma 1, c.p., mentre, se frutto di successiva determinazione, rientra nell’ambito applicativo dell’art. 600-ter, commi 3 e 4, c.p.

Ai fini dell’integrazione del reato di pornografia minorile non rileva il consenso del minore alla circolazione del materiale prodotto

PORNOGRAFIA MINORILE – Produzione di materiale pedopornografico – Diffusione – Rilevanza penale – Assenso del minore – Irrilevanza – Ragioni.

Delitti contro la persona – Pornografia minorile – Produzione di materiale pornografico – Necessaria “utilizzazione” del minore – Circolazione e diffusione del materiale – Irrilevanza del consenso del minore.

Ai fini dell’integrazione dei reati di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 600-ter c.p. non rileva il consenso del minore alla circolazione, comunque sempre vietata, del materiale prodotto, provenendo da soggetto che presuntivamente non ha ancora raggiunto un livello di maturità tale da consentirgli una valutazione consapevole circa le ricadute negative della mercificazione del proprio corpo attraverso la divulgazione delle immagini erotiche, anche in considerazione di una eventuale circolazione ritardata nel tempo rispetto al momento della loro realizzazione.

STALKING DEL LAVORATORE E MOBBING IMPORTANTE CASS 2022 N. 12827
STALKING DEL LAVORATORE E MOBBING IMPORTANTE CASS 2022 N. 12827

Corte Costituzionale, 20/05/2024, n.91

PEDOFILIA, PORNOGRAFIA E PROSTITUZIONE MINORILE – Pornografia minorile – – realizzazione di materiale pornografico

Per il reato di produzione di materiale pedopornografico, la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di modulare la pena, onde adeguarla alla concreta gravità della singola condotta, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata, poiché la formulazione normativa dell’art. 600-ter, c. 1, n. 1), c.p., nella sua ampiezza, è idonea a includere, nel proprio ambito applicativo, condotte marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, alcune delle quali anche estranee alla ratio sottesa alla severa normativa in materia di pedopornografia; tanto più in presenza di una cornice edittale del reato caratterizzata – proprio nella giusta considerazione dell’elevato disvalore di tale tipologia di reati e per i pericoli agli stessi correlati – da un minimo di significativa asprezza, pari a sei anni di reclusione. La mancata previsione di una diminuente, analoga a quella prevista per i delitti di violenza sessuale e atti sessuali con minorenne, preclude, al giudice di calibrare la sanzione al caso concreto che può essere riconducibile, pur nel suo innegabile disvalore, a un’ipotesi di minore gravità, individuabile grazie alla prudente valutazione globale del fatto in cui assumono rilievo le modalità esecutive e l’oggetto delle immagini pedopornografiche, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, nonché le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, pure in relazione all’età (e alla contenuta differenza con l’età del reo) e al danno, anche psichico, arrecatole.

 

Tribunale Treviso, 09/05/2022, n.101

PROVA  MINORE ETA’ IMMAGINI PEDOPORNOGRAFICHE SECONDO TRIB TREVISO I connotati fisici delle adolescenti ritratte e i files da siti internet il cui indirizzo “url” evoca la minore età sono la prova che le immagini riproducono ragazzi minori di anni diciotto

In tema di pedopornografia, la prova che i soggetti raffigurati nelle immagini riproducono effettivamente ragazzi minori di anni diciotto può essere desunta anche dai connotati fisici delle adolescenti ritratte e dal prelievo dei files da siti internet il cui indirizzo “url” evoca la minore età e denominazioni chiaramente riferibili a bambini o a contenuti pedopornografici.

Cassazione penale sez. III, 27/09/2018, n.1647

Foto pedopornografiche – Reato di invio al destinatario del messaggio Facebook – Violazione art. 600-ter, comma 4, c.p. – Sussistenza.

In tema di pedopornografia e invio di foto a persona determinata mediante posta elettronica o profilo facebook

Rigetta, CORTE APPELLO SALERNO, 21/11/2017

RESPONSABILITÀ PENALE – Sussiste il delitto di cui all’art. 600-ter, comma 3, c.p. nel caso in cui il soggetto inserisca foto pornografiche raffiguranti minori in un sito liberamente accessibile

La pronuncia precisa, inoltre, che non è applicabile nel caso di specie la fattispecie di cui all’art. 600-quater c.p., poiché, come è stato confermato da Sez. Un. pen., 31 maggio-15 novembre 2018, n. 51815, nell’ambito di una riflessione più ampia in ambito di pornografia minorile, il reato ex art. 600-quater c.p., sanzionando le condotte del « procurarsi » e del « detenere » materiale pedopornografico, ha natura residuale e di norma di chiusura, rappresentando cioè l’ultimo anello di una catena di condotte illecite di lesività decrescente, che iniziano con la produzione e proseguono con la commercializzazione e con le attività di diffusione e di cessione del materiale pedopornografico, condotte queste autonomamente sanzionate dai primi quattro commi dell’art. 600-ter c.p.

Corte appello Napoli sez. VI, 28/05/2021, n.4321

Pornografia minorile: diffusione di immagini e responsabilità penale.

Commette il reato di pornografia minorile colui il quale divulghi di propria iniziativa, diffondendole su un gruppo whatsapp, foto ricevute in via confidenziale da una terza persona; predetta fattispecie è integrata anche nel caso in cui si tratti di autoscatti che il minore sia stato indotto a produrre ed inviare all’agente. Ciò che rileva, infatti, è la diffusione ed il possesso di materiale a contenuto pedopornografico.

Corte appello Napoli sez. VI, 28/05/2021, (ud. 14/05/2021, dep. 28/05/2021), n.4321

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con la sentenza n. 254/2019 emessa in data 29.01.2019 dal Tribunale di Nola, in composizione collegiale, (…) veniva ritenuto penalmente responsabile del reato di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p. e, concesse le attenuanti generiche, condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Veniva interdetto dagli uffici di cui all’art. 500 septies co. 2. Altresì veniva condannato al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite, da liquidarsi in separata sede e, inoltre, alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili predette, che erano liquidate in Euro 1.800,00 per ciascun difensore, oltre al rimborso forfettario delle spese nella misura del 15% oltre iva, epa come per legge. Infine, veniva disposto il dissequestro del suo telefono cellulare, previa eliminazione dei files incriminanti.

Il convincimento del giudice di prime cure in ordine al giudizio di colpevolezza espresso a carico dell’imputato si è fondato, in special modo, sulla scorta delle escussioni testimoniali e sulle dichiarazioni della p.o. (…), che hanno trovato pieno riscontro negli accertamenti effettuati dal consulente tecnico ing. Lorenzo Laureto sul cellulare dell’imputato, sottoposto a sequestro; tali accertamenti si rivelavano idonei a suffragare il narrato offerto dalla persona offesa, Individuandosi nel dispositivo il riscontro probatorio necessario.

Dal l’istruttoria dibattimentale, infatti, emergeva che l’imputato (…) aveva conosciuto a scuola durante un corso di recupero estivo la minore (…) e avevano iniziato a scambiarsi messaggi anche attraverso il social network “Facebook”. Veniva inoltre appurato che la minore utilizzava un contatto falso sul social poiché i genitori erano contrari all’utilizzo di tali piattaforme virtuali. Durante il periodo in cui si erano inviati messaggi sulla piattaforma la (…), su insistente richiesta del (…), inoltrava atto stesso due foto che la ritraevano nuda. Invero, la minore non agiva volontariamente, ma veniva coartata dalle insistenti richieste dell’imputato, che la induceva a mandare tali foto minacciandola delle conseguenze che avrebbe potuto scatenare il suo rifiuto; il timore della (…) che il (…) potesse alludere all’informare i suoi genitori dell’utilizzo del social veniva confermato dallo stesso che, durante il corso di recupero, la minacciava espressamente di riferire tutto. Successivamente, la minore veniva a conoscenza del fatto che le foto che la ritraevano nuda erano state diffuse su Whatsapp e stavano circolando. All’esito dell’escussione testimoniale della cugina della vittima, (…), che per prima era venuta a conoscenza della circolazione delle foto tramite amici e lo aveva riferito alla cugina, si apprendeva che la prima aveva contattato direttamente il (…) ottenendo da quest’ultimo la conferma dell’azione; inoltre, dalla consulenza informatica effettuata dall’Ing. (…) si accertava che effettivamente le foto erano state inviate all’interno di un gruppo di ventotto persone, su iniziativa del (…). Tale ricostruzione dei fatti veniva ulteriormente corroborata dal recupero di una conversazione tra quest’ultimo e un tale “(…)” in cui effettivamente i due parlavano della questione delle foto in circolazione. Orbene, consolidata in tal modo la piattaforma probatoria, il Giudice di prime cure si convinceva della colpevolezza dell’imputato, oltre ogni ragionevole dubbio, pronunciando sentenza di condanna.

Avverso la sentenza de qua ha interposto appello il difensore di fiducia dell’imputato, articolando i motivi di gravame come segue:

1) In via preliminare dichiarare l’incompetenza per territorio del Tribunale di Nola a favore del Tribunale di Avellino

2) Assoluzione perché il fatto non sussiste ex art. 530 comma 1 c.p.p. o in subordine art. 530 comma 2 c.p.p.

3) Assoluzione per non aver commesso il fatto sempre ex art. 530 comma 1 c.p.p. o in subordine ex art. 530 comma 2 c.p.p.

4) In via gradata minima della pena e benefici di legge trattandosi di soggetto incensurato e che aveva da pochissimo compiuto i 18 anni al momento dei fatti.

L’odierna udienza si è svolta con le modalità di cui all’art. 23 bis L. 176/2020.

Ciò premesso, l’appello è infondato e deve essere rigettato.

Va preliminarmente osservato che, quanto al merito della decisione di condanna dell’imputato in ordine al reato contestato per il quale il predetto è stato ritenuto responsabile, questa Corte ritiene integralmente condivisibili la ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della pronuncia di primo grado, in aderenza alle risultanze processuali, legittimamente acquisite e pertanto pienamente utilizzabili, da parte del giudice di prime cure, ad esse riportandosi (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, ex multis v. Cass. pen., Sez. III, n.27300/04).

E, invero, le censure svolte nel gravame sono state sostanzialmente già esaminate e risolte, nel senso della loro infondatezza, dal primo giudice. E, qualora siano dedotte questioni già esaminate e risolte, il giudice dell’impugnazione può motivare per relationem (Cass. Pen. sez. V, n. 3751/00). Tale motivazione è consentita con riferimento alla pronuncia di primo grado, laddove le censure formulate contro quest’ultima non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, poiché il giudice di appello non è tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici, dovendo al contrario procedere ad integrare la motivazione laddove la stessa sia mancante, in virtù del principio di piena devoluzione (Cass. Sez. V, n. 7572/99; Cass. Sez. VI, n. 10260/19).

Orbene, per quanto concerne il primo motivo di gravame, esso non risulta fondato e va, pertanto, rigettato in virtù del fatto che questa Corte ritiene correttamente incardinata la competenza per territorio. Invero, come condivisibilmente osservato dal Giudice di prime cure, che ha rigettato l’eccezione, essendo avvenuto il primo atto di divulgazione con il trasferimento delle foto nel telefonino di un altro alunno, nell’istituto di Nola – fattispecie confermata da) Pubblico Ministero sulla scorta delle contestazioni e degli atti d’indagine – la competenza deve ritenersi correttamente incardinata. Infatti, si deve far riferimento al luogo dove viene percepita una parte dell’azione o dell’omissione ai sensi dell’art. 9 co. 1.

Peraltro, dalle risultanze probatorie emerge che effettivamente l’utente “a (…)” era entrato in possesso delle foto che poi aveva divulgato sotto richiesta espressa del (…) che, indipendentemente dall’invio in prima persona, commetteva il reato divulgando le foto ricevute in via confidenziale ad una persona terza, dopodiché le faceva diffondere su un gruppo whatsapp. La diffusione avveniva su sua iniziativa come pienamente verificato all’esito della consulenza informatica, che ha riscontrato la consumazione del reato.

In merito al secondo motivo di gravame, non si ritiene di poterlo accogliere sulla scorta di vari ordini di ragioni. Innanzitutto, la difesa sostiene che il convincimento del Giudice di prime cure si sia fondato semplicemente sulle dichiarazioni rese dalla p.o. (…) che, ad avviso della difesa, risulterebbero essere oltremodo contradittorie. Invero, risulta acclarato che le foto sono state scattate dalla p.o. stessa e altrettanto non può dubitarsi del fatto che sia stata indotta a mandarle al (…). Difatti, nonostante la difesa sostenga la contraddittorietà delle versioni offerte dalla (…), dall’esame condotto dal P.M, dal difensore di parte civile, dal controesame del difensore dell’imputato e dall’ esame condotto dal presidente emerge, chiaramente, che indipendentemente dalla circostanza esatta in cui la minore sarebbe stata indotta a inviare le foto, di fatti una coercizione vi è stata. La sua scelta non è stata dettata da volontà propria, bensì condizionata dalle richieste del (…). Appare quantomai imprevedibile che il (…) non sapesse del timore che la stessa aveva che i genitori venissero a sapere del profilo su Facebook. Infatti, com’è emerso dall’Istruttoria, la ragazza utilizzava un nome falso, onde evitare di essere scoperta dai genitori e con tale profilo intratteneva conversazioni tramite la Chat con il (…). Dunque, appare piuttosto probabile che la stessa abbia rivelato la sua condizione all’imputato che, avendo conoscenza della situazione, le abbia fatto pressione per l’invio delle foto. Il timore che la giovane aveva già si sarebbe concretizzato nel momento in cui lui le avesse fatto intendere che ci sarebbero state conseguenze; al di là della precisa definizione del tipo di conseguenze, le stesse costituiscono comunque una forma di induzione. Infatti, contrariamente a quanto sostiene la difesa, dall’esame della parte emerge chiaramente l’oppressione posta in essere a carico della minore. Indipendentemente dal tipo di minacce, e dal luogo in cui sono occorse, la stessa si è sentita costretta a procedere in tal senso e, sicuramente, se il (…) non avesse fatto perno sulle sue insicurezze, non si sarebbe sentita in dovere di inviarle. Dunque, non può escludersi in alcun modo, che la (…) sia stata indotta dalle pressioni psicologiche subite dai (…), di qualunque tipo. Ancora, va ulteriormente smentita la ricostruzione offerta dalla difesa in punto di sufficienza del compendio probatorio. Difatti, il convincimento del giudice di prime cure si è fondato non solo sulle dichiarazioni offerte dalla (…), ma anche su ulteriori elementi di prova che hanno corroborato il narrato offerto dalla parte. Inoltre, il consolidato orientamento giurisprudenziale (ex plurimis Cassazione penale sez. I, 20/04/2021, (ud. 20/04/2021, dep. 07/05/2021), n.17802) sostiene che: “Le regole dettate dall’art. 192 c.p.p. comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone” (Sez. U, n. 4161 del 19/07/2012, Be., Rv. 253214 – 01). Non si può, pertanto, non ribadire che, in tema di valutazione della prova testimoniale, a fondamento del libero convincimento del giudice, possono essere poste sia le dichiarazioni della persona offesa sia le dichiarazioni di un testimone legato da vincoli soggettivi, variamente rilevanti, con la vittima del reato. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur “se non può essere equiparata sic et simpliciter a quella del testimone estraneo ai fatti di reato. Può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità” (Sez. 4, n. 10513 dell’1/02/2020, C., Rv. 278609 – 01). Pertanto, una volta appurata la credibilità oggettiva e soggettiva, non sono richiesti riscontri esterni se non si sia indotti a dubitare della credibilità della persona offesa. L’attendibilità della stessa è confermata non solo dalle dichiarazioni rese più volte dalla stessa, ma anche da elementi ulteriori, che sebbene non strettamente necessari in quanto la dichiarazione da sola è sufficiente a costituire fonte di prova, sussistono in questa sede e sono rappresentati dalie ulteriori dichiarazioni testimoniali e non solo, Le contestazioni a cui si appella la difesa non sono sufficienti a smentire il quadro narrativo ricostruito; difatti è evidente che una ragazzina infradiciottenne nel rievocare un fatto spiacevole accadutole provi sensazioni difficili, si senta in imbarazzo e, soprattutto, abbia qualche difficoltà oggettiva nel ricostruire senza tentennamenti ed esitazioni, di alcuna sorta, la vicenda che la vede coinvolta. Tuttavia, qualche incertezza nel narrato, a cui la difesa fa riferimento in sede di contestazioni, non infida in alcun modo la ricostruzione offerta che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, risulta oltremodo coerente e attendibile, ma soprattutto riscontrabile dal compendio probatorio acquisito. Infine, in riferimento alta questione dei “selfie” prospettata dalla difesa, rinvenendo la ratio dell’art. 600 ter nel primo comma – così come espresso nell’atto d’appello – al fine di interpretare correttamente i commi 2, 3, 4, può essere richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia (Cassazione penale sez. III, 05/03/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 05/05/2020), n.17188) “Va ribadito il principio per cui risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall’art. 600 – ter c.p. comma 1, n. 1, anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo; in tal senso Sez. 3, n. 26862 del 18/04/2019, P., Rv, 276231-01 alla cui motivazione per ragioni di sintesi si rimanda. Tale principio di diritto si fonda per altro sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 51815 del 31/05/2018, M., Rv. 274087 – 01.” Dunque, pur trattandosi di autoscatti, cioè selfie, non può escludersi la sussistenza della fattispecie, difatti, l’asserzione della difesa secondo cui la minore non sarebbe stata in alcun modo indotta ad inviare le foto non trova fondamento logico; ancor più se si tiene conto del fatto che è sufficiente il mero rafforzamento di un’intenzione preesistente. D’altronde, come è stato precisato dal Giudice di prime cure, affinché venga integrata la fattispecie è necessario che sussista da un lato la qualificazione del materiale ritraente la minore come “pedopornografico” e dall’altro la condotta di diffusione dello stesso. Orbene, è stato precisato che la diffusione deve avere ad oggetto il materiale di cui al comma 1 dell’art. 500 ter c.p. Dunque, acclarata la presenza di entrambe le componenti può ritenersi integrata la fattispecie criminosa. Si precisa, inoltre, che lo scambio di foto intervenuto tra il (…) e la (…) è stato pienamente provato non solo dalle dichiarazioni rese, ma anche sulla scorta della consulenza informatica che ha appurato che nel cellulare dell’imputato le foto c’erano, seppur cancellate, poiché infatti risultavano acquisite al database di whatsapp ed inoltre che può parlarsi di strumentalizzazione della minore nella misura in cui la stessa sia stata indotta con evidenti pressioni psicologiche ad inviare le foto, come si è potuto ricostruire a seguito dell’Istruttoria.

Orbene, in merito al terzo motivo di gravame, questa Corte ritiene di non potorio accogliere in virtù della palese contraddittorietà delle affermazioni difensive; contrariamente a quanto afferma la difesa in merito all’estrapolazione di messaggi di una conversazione ben più ampia intervenuta tra il tale “(…)” e l’imputato, si evidenzia, chiaramente, che il primo aveva in qualche modo ottenuto le foto. Dunque, in virtù del fatto che la consulenza informatica aveva appurato la presenza delle foto nel cellulare di (…), sebbene fossero state rimosse, viene già smentita la tesi difensiva secondo cui l’imputato non avrebbe mai ricevuto le foto dalla (…) ed inoltre, avendo “(…)” affermato di averle mostrate a degli amici, quest’ultimo doveva esserne, per forza di cose, entrato in possesso. Indi, appare fortemente inverosimile che la fattispecie non si sia verificata, che la (…) non abbia inviato le foto e che le stesse non siano state divulgate, sulla scorta di numerosi elementi probatori che smontano l’impianto difensivo e corroborano quello accusatorio. D’altronde, se la minore aveva inviato foto così personali con riluttanza di sicuro non era intenzionata a renderle pubbliche, pur tuttavia la divulgazione è avvenuta, così come si è consumato il reato. Sulla scorta di tali valutazioni non può accogliersi la richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto ex art. 530 c.p.p.

Infine, in ultima istanza, risulta pleonastica la richiesta della difesa di minima della pena e benefici per un soggetto che aveva appena compiuto 18 anni sulla scorta del fatto che già il giudice di Prime cure, tenendo conto della situazione di incensuratezza e della giovane età dell’imputato, aveva applicato il minimo della pena indicata nella cornice edittale di cui all’art. 500 ter, inoltre, in virtù della tipologia di reato questa Corte ritiene di conformarsi interamente alle valutazioni effettuate in primo grado in merito al trattamento sanzionatorio da disporsi.

Alla luce di quanto suesposto ne consegue il rigetto dei motivi di appello e la conferma della sentenza del giudice di primo grado.

Il carico dell’Ufficio giustifica il termine di giorni 45 per il deposito della motivazione, non interamente fruito.

PQM

P.Q.M.

Letto l’art. 605 c.p.p. conferma la sentenza nr. 254 del 29/1/2019 del Tribunale di Nola, appellata da (…), che condanna alle spese anche del presente grado di giudizio.

Riserva in giorni quarantacinque per la stesura delle motivazioni.

Così deciso in Napoli il 14 maggio 2021.

Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2021.