SUPERBONUS 110 ATTENTI!! : SEQUESTRO CREDITI POSSIBILE
Deve essere preliminarmente osservato come il ricorrente non contesta la configurabilità dei reati ipotizzati in capo agli attuali indagati, rispetto ai quali (in particolare il capo di imputazione riguardante la truffa aggravata), peraltro, è la stessa prospettazione accusatoria a qualificare la veste della parte ricorrente Banco Desio e della Brianza S.p.A. quale persona offesa dal reato.
Il tema, inedito nella giurisprudenza di legittimità, riguarda invece la sequestrabilità dei crediti di imposta ceduti, nella specie del valore di oltre 46 milioni e mezzo di euro, in capo al terzo estraneo al reato, quale cessionario di tali crediti, in seconda battuta, rispetto alla Alternative Capital Partners SGR, che ha acquistato il credito di imposta dal cedente consorzio Sgai con sede in Napoli.
- Tanto premesso, il Collegio ritiene necessario, in primo luogo, operare una rigorosa delimitazione dell’ambito di intervento di questa decisione, e dunque delle questioni da esaminare, per come direttamente ricavati dalla natura del sequestro disposto a carico del Banco Desio e della Brianza S.p.A., poi confermato dal Tribunale del riesame.
3.1. In particolare, la lettura del provvedimento genetico in atti, sostenuta sul punto dallo stesso ricorso in oggetto (pag. 13 ss.), consente di accertare che il G.i.p. del Tribunale di Napoli, in data 18/1/2022, aveva emesso un decreto di sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.; un sequestro, dunque, motivato dal pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente ad un reato potesse aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati.
3.2. Da questa oggettiva premessa (e rimarcando che nessuna questione è posta in punto di fumus dei delitti contestati agli indagati), deriva allora la constatazione che alcune delle questioni trattate tanto nell’ordinanza impugnata quanto nel ricorso, anche con ampie considerazioni, esulano del tutto dalla concreta reiudicanda, afferendo a profili che sono propri non del sequestro impeditivo, come quello in esame, ma di quello anticipatorio di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., relativo alle cose di cui è consentita la confisca ed estraneo al decreto emesso dal G.i.p. di Napoli.
- Tali profili – che la Corte, dunque, non tratterà, unitamente a quelli attraverso cui si è preteso di rinvenire nel provvedimento impugnato vizi motivazionali di contraddittorietà o di illogicità, in quanto gli stessi esulano dall’ambito cognitivo di questa Corte per espressa previsione dell’art. 325, cod. proc. pen. (v. per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 – 01) – concernono innanzitutto la qualifica soggettiva del terzo colpito dal sequestro (come la ricorrente Banco Desio e della Brianza S.p.A.) e, in particolare, l’esame della sua eventuale buona fede (secondo, terzo e quarto motivo), con riferimento alla diligenza spiegata nell’istruire le pratiche relative ai crediti oggetto di cessione.
Tale impossibilità di ricollegare il credito ai lavori originariamente svolti è ancor più evidente nel caso di cessioni successive, come sarebbe avvenuto nel caso in esame, laddove l’ultimo cessionario ha, quale unica evidenza disponibile, l’identità del proprio dante causa, ma certamente non può identificare i lavori di ristrutturazione. In sostanza, secondo la ricostruzione difensiva, il committente dei lavori che decide di esercitare l’opzione della cessione in luogo della detrazione diretta del costo, a dire la verità, non cederebbe alcunché in quanto non è titolare di alcun credito d’imposta e, dunque, quella che viene impropriamente definita cessione in realtà è una rinuncia al diritto alla detrazione da parte del committente che lo monetizza mediante percezione di un corrispettivo da parte del cessionario, ed il pagamento di tale corrispettivo implica, per il cessionario, l’insorgenza a titolo originario di un credito di imposta, che è una cosa ben diversa dal diritto alla detrazione assimilandosi ad esso soltanto sotto il profilo del quantum della tempistica di utilizzo.
Ciò sarebbe confermato anche dalla Relazione illustrativa del decreto legge n. 34 del 2020 che, nell’introdurre il paragrafo sull’art. 121 che disciplina le opzioni concesse al beneficiario della detrazione, non utilizza il termine cessione ma parla, piuttosto, di trasformazione delle detrazioni fiscali in sconto sul corrispettivo dovuto in credito di imposta cedibile: quella disciplinata dal legislatore è dunque una modalità di trasformazione del diritto alla detrazione, che è e resta una prerogativa propria di chi effettua i lavori e sostiene le spese, in un qualcosa di strutturalmente diverso.
Una conferma di ciò discende anche dal Provvedimento dell’Agenzia delle entrate, che viene allegato al ricorso, che parla di detrazione cedibile sotto forma di credito d’imposta, così ribadendo che la cessione determina una trasformazione della detrazione in un credito d’imposta. Ma la tesi della differenza ontologica e strutturale tra diritto alla detrazione e credito d’imposta sarebbe confermata anche dalla stessa lettura dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 del decreto rilancio in materia di controlli e di recupero delle agevolazioni indebitamente fruite. Analizzando infatti in particolare il comma quarto emergerebbe subito che eventuali recuperi di imposta nei confronti dei cessionari si legano solo ad eventuali errori nell’utilizzo, prescindendo dall’esito delle verifiche sul diritto alla detrazione a monte.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. 3^, 28/10/2022 (Ud. 21/09/2022), Sentenza n.40865
SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da D. A. n. xxx a Milano n.q. di l.r. di BANCO DESIO E DELLA BRIANZA S.P.A.;
avverso l’ordinanza del 21/02/2022 del TRIBUNALE DEL RIESAME DI NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Minístero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tomaso Epidendio, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore della ricorrente, Avv. Armando Simbari, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso lette le memorie presentate
RITENUTO IN FATTO
- Con ordinanza 21.02.2022, il tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del gip del Tribunale di Napoli del 18/01/2022 di sequestro impeditivo ex art. 321, comma 1, cod. proc. pen., emesso nei confronti di alcuni soggetti, indagati dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di truffa, evasione fiscale e falso al fine di beneficiare indebitamente del c.d. superbonus previsto dall’art. 121, del d.l. n. 34 del 2020, conv. con modd. in L. n. 77 del 2020, c.d. decreto rilancio, nonché dei reati di truffa aggravata ai danni dello Stato, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed indebita compensazione tentata, sequestro disposto nei confronti del Banco Desio e della Brianza S.p.A. di cui il Decio A. è legale rappresentante.
- Propone ricorso per cassazione il Banco Desio e della Brianza S.p.A., quale terzo interessato, a mezzo del difensore fiduciario munito di procura speciale, deducendo sei motivi, di seguito illustrati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 121, di. n. 34 del 2020 e 321, comma 1, cod. proc. pen., per avere erroneamente ritenuto i crediti di imposta di Banco Desio quale “pertinenza” dei reati contestati.
In sintesi, con il primo motivo di ricorso la difesa contesta la qualificazione dei crediti d’imposta quali pertinenze dei reati contestati agli indagati e rispetto ai quali il Banco Desio è indicato dalla stessa Procura della Repubblica come persona offesa dal reato. Sostiene la difesa che l’errore di impostazione commesso dai giudici del merito consisterebbe nell’aver considerato alla stessa stregua il diritto alla detrazione sorgente in capo a chi effettua i lavori di ristrutturazione oggetto dell’incentivo ed il credito di imposta che, a seguito di cessione di quel diritto, si genera in capo al terzo cessionario sul presupposto, ovviamente, che si tratti di cessionario di buona fede. Al fine di sostenere, diversamente, la diversità esistente tra diritto alla detrazione e credito d’imposta, la difesa opera un’analisi preliminare della normativa che ha incrementato al 110% l’aliquota di detrazione delle spese sostenute negli anni 2020 – 2024 per la realizzazione di specifici interventi di riqualificazione energetica con l’obiettivo di incentivarli e, in questo modo, di favorire la ripresa dell’economia nazionale a seguito della crisi generata dalla pandemia.
In sostanza, secondo la difesa, il credito d’imposta che, per effetto della duplice dichiarazione unilaterale di esercizio dell’opzione da parte del cedente e di accettazione da parte del cessionario compare nel cassetto fiscale di quest’ultimo, non consente di risalire ai lavori in relazione ai quali era sorto in origine il diritto alla detrazione poi rinunciato. In altri termini, il cessionario del credito di imposta, qual è nel caso di specie il Banco Desio, non riuscirebbe a vedere l’origine del proprio credito e, dunque non sarebbe in grado di effettuare alcun controllo, vedendosi riconosciuto nel proprio cassetto fiscale un importo pari al credito acquistato da portare in compensazione nei tempi stabiliti dalla legge rispetto a qualsiasi tipologia di debito erariale.
Tale impossibilità di ricollegare il credito ai lavori originariamente svolti è ancor più evidente nel caso di cessioni successive, come sarebbe avvenuto nel caso in esame, laddove l’ultimo cessionario ha, quale unica evidenza disponibile, l’identità del proprio dante causa, ma certamente non può identificare i lavori di ristrutturazione. In sostanza, secondo la ricostruzione difensiva, il committente dei lavori che decide di esercitare l’opzione della cessione in luogo della detrazione diretta del costo, a dire la verità, non cederebbe alcunché in quanto non è titolare di alcun credito d’imposta e, dunque, quella che viene impropriamente definita cessione in realtà è una rinuncia al diritto alla detrazione da parte del committente che lo monetizza mediante percezione di un corrispettivo da parte del cessionario, ed il pagamento di tale corrispettivo implica, per il cessionario, l’insorgenza a titolo originario di un credito di imposta, che è una cosa ben diversa dal diritto alla detrazione assimilandosi ad esso soltanto sotto il profilo del quantum della tempistica di utilizzo.
Ciò sarebbe confermato anche dalla Relazione illustrativa del decreto legge n. 34 del 2020 che, nell’introdurre il paragrafo sull’art. 121 che disciplina le opzioni concesse al beneficiario della detrazione, non utilizza il termine cessione ma parla, piuttosto, di trasformazione delle detrazioni fiscali in sconto sul corrispettivo dovuto in credito di imposta cedibile: quella disciplinata dal legislatore è dunque una modalità di trasformazione del diritto alla detrazione, che è e resta una prerogativa propria di chi effettua i lavori e sostiene le spese, in un qualcosa di strutturalmente diverso.
Una conferma di ciò discende anche dal Provvedimento dell’Agenzia delle entrate, che viene allegato al ricorso, che parla di detrazione cedibile sotto forma di credito d’imposta, così ribadendo che la cessione determina una trasformazione della detrazione in un credito d’imposta. Ma la tesi della differenza ontologica e strutturale tra diritto alla detrazione e credito d’imposta sarebbe confermata anche dalla stessa lettura dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 del decreto rilancio in materia di controlli e di recupero delle agevolazioni indebitamente fruite. Analizzando infatti in particolare il comma quarto emergerebbe subito che eventuali recuperi di imposta nei confronti dei cessionari si legano solo ad eventuali errori nell’utilizzo, prescindendo dall’esito delle verifiche sul diritto alla detrazione a monte.
In sostanza, il legislatore contempla espressamente tra le ipotesi di intervento repressivo anche quelle di oggettiva inesistenza dei lavori da cui trae origine il diritto alla detrazione, non di meno però circoscrivendo l’intervento al solo titolare del diritto alla detrazione, come specifica il co. 5, prevedendone l’estensione al cessionario del credito d’imposta solo in presenza di concorso nella violazione, come specifica il comma sesto dell’art. 121. In altri termini, la disciplina introdotta dal decreto bilancio è chiara nel focalizzare l’intervento di recupero a tassazione come di tipo sanzionatorio al solo beneficiario del diritto alla detrazione, mentre il coinvolgimento del terzo cessionario dei crediti d’imposta resta circoscritto ai soli casi di compartecipazione dolosa nella condotta del primo beneficiario.
Secondo la difesa, pertanto, all’infuori delle ipotesi di compartecipazione dolosa nella condotta illecita del primo beneficiario, il terzo cessionario del diritto di credito non può subire gli effetti pregiudizievoli che attengono al primo beneficiario ed a sue eventuali condotte illecite da cui è derivata l’insorgenza del diritto alla detrazione poi trasformato in credito d’imposta. Quanto sopra sarebbe confermato anche dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle entrate nonché dalla circolare n. 24/E de11 1 8 agosto 2020 che in maniera chiara afferma come il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d’imposta (vedi anche audizione parlamentare 18 novembre 2020 del direttore dell’agenzia delle entrate, indicata come allegato 8 al ricorso). Una volta chiarita dunque la ontologica differenza tra diritto alla detrazione e credito d’imposta il corollario sarebbe che il credito di imposta ceduto non può considerarsi come pertinenza del reato di emissione di false fatture né di alcun altro degli illeciti ipotizzati nei capi di imputazione: trattandosi di sequestro impeditivo mancherebbe il requisito della pertinenzialità con riguardo ai crediti di imposta ceduti che sono il frutto di un processo di trasformazione che dal diritto alla detrazione, utilizzabile solo dal committente dei lavori e solo per abbattere la propria imposta, conduce ad un quid nuovo e diverso, ossia un credito di imposta utilizzabile da terzi per compensare debiti erariali di natura eterogenea, di talché la commissione del reato appare al più come l’occasione che ha dato luogo alla sua formazione.
Tale affermazione varrebbe a maggior ragione per il Banco Desio che è cessionaria di 3° livello dei crediti in questione, avendoli acquistati non dai presunti committenti dei lavori di ristrutturazione e neppure dal Consorzio, ma avendoli ottenuti in cessione dalla Alternative capita! partners SGR, soggetto espressamente autorizzato dalla Banca d’Italia a gestire ed investire anche in crediti fiscali.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alle medesime norme dianzi evocate a proposito del primo motivo, per aver ritenuto erroneamente sussistente il periculum in mora ai fini dell’applicazione del sequestro impeditivo, e correlato vizio di manifesta contraddittorietà della motivazione.
In sintesi, si contesta la ritenuta sussistenza del presupposto del periculum in mora inteso quale rischio di aggravamento delle conseguenze dei reati commessi ovvero di commissione di ulteriori reati nel caso in cui questi crediti dovessero rimanere nella libera disponibilità della banca. La motivazione, in particolare, sarebbe censurabile nella parte in cui sostiene che l’interpretazione resa dall’agenzia delle entrate nella circolare 24/E/2020 dovrebbe intendersi come riferita ai casi in cui, accertata l’inesistenza del credito di imposta a seguito di instaurazione del contraddittorio, il cessionario dimostri all’amministrazione finanziaria la sua buona fede nell’acquisto che potrebbe valergli la facoltà di non perdere il diritto di utilizzare il credito d’imposta.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alle medesime disposizioni di legge evocate, nonché con riferimento al comma 2 dell’art. 321, cod. proc. pen., per aver erroneamente ritenuto i giudici del riesame che i crediti di imposta del Banco Desio costituiscano profitto del reato di cui all’art. 8, d. Lgs. n. 74 del 2000, nonché per non aver considerato la posizione del Banco Desio quale terzo di buona fede e correlato vizio di motivazione.
In sintesi, si censura la motivazione dell’ordinanza impugnata laddove paventa l’eventualità che i crediti d’imposta del Banco Desio possono essere confiscati all’esito del procedimento penale in quanto profitto o prodotto del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti contestato al legale rappresentante del consorzio, il che giustificherebbe il mantenimento del vincolo cautelare anche a prescindere dalla sussistenza di uno specifico periculum in mora.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alle medesime disposizioni legislative dianzi citate per aver erroneamente ritenuto i crediti d’imposta di Banco Desio quale prodotto del reato di cui all’art. 8, d. Lgs. n.74 del 2000, come tali suscettibili di confisca nonché per omessa considerazione della posizione del Banco Desio quale terzo di buona fede.
In sintesi, si censura la motivazione dell’ordinanza impugnata laddove classifica i crediti di imposta presenti nel cassetto fiscale del Banco Desio quale prodotto del reato di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000. Secondo la banca ricorrente, il prodotto o il profitto del reato implicano che il bene o l’utilità così classificati siano caratterizzati dalla pertinenzialità, non essendo sufficiente una relazione veramente occasionale tra la res ed il reato commesso. 2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art.10-quater del d. Igs. n. 74 del 2000, per aver erroneamente ritenuto i crediti di imposta di Banco Desio quale corpo del reato di indebita compensazione, e come tali suscettibili di confisca, nonché per totale carenza di motivazione.
In sintesi, il ricorrente censura la motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui classifica erroneamente i crediti di imposta sequestrati al Banco Desio quale corpo del reato di cui all’art. 10-quater cit.: l’erroneità starebbe nell’aver ritenuto i crediti di imposta come corpo di un reato mai commesso, ma considerato potenzialmente futuro e di cui responsabile sarebbe la banca laddove dovesse decidere di utilizzare in compensazione i crediti di cui si discute.
2.6. Deduce, con il sesto ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 12-bis del d. Igs. n.74 del 2000, 240 cod. pen. e 321, commi 1 e 2, cod. proc. pen., per avere surrettiziamente introdotto una forma di confisca per equivalente.
In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata per le modalità con cui è stato disposto ed eseguito il sequestro e per le peculiarità dei beni su cui è stato applicato, che rischia di tramutare un sequestro impeditivo in sequestro per equivalente dell’asserito prodotto o profitto del reato, non consentito nei confronti del terzo di buona fede. In particolare, era stato evidenziato in sede di riesame che quelli acquistati da Alternative Capital Partners SGR non erano gli unici crediti di imposta acquistati nel contesto della disciplina del “decreto rilancio”, avendo Banco Desio acquisito nel medesimo arco temporale ulteriori quantitativi di crediti anche da altri soggetti, tant’è che il sequestro nei confronti del Banco Desio è stato disposto fino a concorrenza del valore complessivo di oltre 46 milioni e mezzo di euro.
L’esecuzione del sequestro denoterebbe quindi la peculiarità del funzionamento del cassetto fiscale all’interno del quale tutti i crediti acquistati ai sensi dell’art. 121 confluiscono in un unico plafond confondendosi, e perdendo completamente di vista la loro origine per diventare un tutt’uno. In altri termini, non essendo possibile identificare e porre il vincolo sui crediti ritenuti indebiti, si è proceduto a sottoporre a sequestro un importo di corrispondente valore a quello ipotizzato come illecito secondo il paradigma tipico del sequestro per equivalente, formalità di sequestro inammissibile nei confronti dei soggetti terzi estranei al reato, in quanto incide negativamente su posizioni di persone estranee ed incolpevoli in violazione del principio della personalità della responsabilità penale.
- Con requisitoria scritta del 25.08.2022, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.
- In data 20.06.2022 è pervenuta istanza di trattazione orale del ricorso da parte del difensore della banca ricorrente, cui ha fatto seguito, in data 15.09.2022, una memoria di replica dell’Avv. A. Simbari alla requisitoria scritta del PG, con cui la difesa, rappresentando l’infondatezza delle argomentazioni della Procura Generale, insiste per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- Il ricorso risulta infondato alla luce delle considerazioni che seguono.
Al riguardo, infatti, occorre ribadire – con la giurisprudenza consolidata – che il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., sopra richiamato (tra le altre, Sez. 3, n 57595 del 25/10/2018, Cervino, Rv. 274691; Sez. 3, n. 40480 del 27/10/2010, Orlando, Rv. 248741).
- Altra questione sviluppata nell’ordinanza e nel ricorso, ma ancora estranea alla tematica del sequestro impeditivo, è poi quella della natura della res sottoposta a vincolo in rapporto all’illecito contestato, ossia se quanto in sequestro possa esser qualificato come corpo, profitto o prodotto del reato (secondo, terzo, quarto e quinto motivo).
5.1. Il Tribunale del riesame ha affermato che i crediti di imposta colpiti dalla misura costituirebbero il prodotto ed il profitto del delitto di cui all’art. 8, d. lgs. n. 74 del 2000, ed anche il corpo del reato di cui all’art. 10-quater, decreto citato, e come tali sarebbero suscettibili di abiezione ai sensi degli artt. 240 cod. pen., 321, commi 1 e 2 cod. proc. pen., 12-bis, d. Lgs. n. 74 del 2000; questa tesi è stata contestata dalla ricorrente (par. 1.11.), sul presupposto, per un verso, che il profitto del reato – quale conseguenza diretta dell’illecito – possa esser individuato soltanto in capo al suo autore e non ad un terzo, e, per altro verso, che i crediti in esame non sarebbero qualificabili come inesistenti e, peraltro, non potrebbero costituire oggetto di un delitto (art. 10-quater cit.) non ancora commesso, né astrattamente ipotizzabile, in capo al personale Banco Desio e della Brianza S.p.A., per difetto dell’elemento soggettivo.
5.2. Ebbene, il Collegio rileva che anche tale complessa questione esule dall’esame della misura disposta dal G.i.p. di Napoli, in quanto il sequestro impeditivo di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen. richiede soltanto – e più genericamente – la prova di un legame pertinenziale tra la res ed il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (tra le altre, Sez. 2, n. 28306 del 16/4/2019, PM/ Lo Modou, Rv. 276660; Sez. 3, n. 31415 del 15/1/2016, Ganzer, Rv. 267513; Sez. 3, n. 9149 del 17/11/2015, Plaka, Rv. 266454; Sez. 5, n. 26444 del 28/05/2014, Denaro e altro, Rv. 259850).
Diversamente, d’altronde, l’ipotesi del comma 1 dell’art. 321 finirebbe per rappresentare un “doppione” rispetto a quella contenuta nel comma 2, così che non riuscirebbe più a distinguersi l’area applicativa dell’una rispetto all’altra. E fermo restando, peraltro, come sempre affermato da questa Corte, che la nozione di pertinenza non può estendersi sino al punto di attribuire rilevanza a rapporti meramente occasionali tra la res e l’illecito penale (tra le molte, Sez. 5, n. 26444 del 28/05/2014 cit.), quel che deve espressamente escludersi nel caso di specie, in forza dei seguenti argomenti.
- In particolare, e così introducendo il fulcro della questione posta dal ricorso con il primo motivo, il Collegio ritiene che i crediti sequestrati alla ricorrente debbano essere considerati, per l’appunto, cosa pertinente al reato, non potendosi accogliere la tesi difensiva secondo cui, esercitata l’opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato dal beneficiario l’originario diritto alla detrazione (nella misura del 110% delle spese documentate e rimaste a carico), il credito stesso sorgerebbe – in capo al cessionario – a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio, anche radicale, che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione.
Questa tesi, che intenderebbe il credito ceduto come sempre “garantito” dallo Stato a tutela del cessionario, anche di fronte ad un assoluto difetto di presupposti, non può essere condivisa, non deponendo in tal senso la normativa di riferimento (primaria e secondaria) ampiamente richiamata nell’impugnazione e più sopra ricordata, alla quale non può esser riconosciuta alcuna forza derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria.
- L’art. 121, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, come anticipato, stabilisce che i soggetti che sostengono spese per determinati interventi (di recupero del patrimonio edilizio, di efficienza energetica, di adozione di misure antisismiche, di recupero o restauro della facciata di edifici esistenti, di installazione di impianti fotovoltaici, di installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, di superamento ed eliminazione di barriere architettoniche), negli anni di riferimento, possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente:
1) per il cd. sconto in fattura, ossia un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante, a sua volta suscettibile di cessione. Con tale meccanismo, dunque, chi ha commissionato gli interventi del comma 2 rimane titolare della detrazione d’imposta, ma ne subisce la riduzione – anche sino alla totale scomparsa – per la parte in cui le spese di intervento siano sostenute non da lui, ma direttamente dal fornitore/esecutore, sotto forma di sconto; questi, per la misura corrispondente, vede allora sorgere un proprio ed autonomo credito d’imposta, che potrà portare in compensazione o, a sua volta, cedere nei termini di cui alla stessa norma;
2) per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, a sua volta suscettibile di cessione, nei termini (più volte modificati) del comma 1, lett. b), o di essere portato in compensazione con debiti erariali.
- Dalla lettura dell’art. 121, comma 1, emerge dunque con chiarezza che il meccanismo del Superbonus in oggetto è stato costruito dal legislatore su percorsi alternativi, sebbene evidentemente legati nei presupposti e sostenuti dall’identica finalità di incentivare gli interventi indicati: all’utilizzo diretto della detrazione fiscale spettante, previsto come ipotesi ordinaria, sono state infatti aggiunte le due opzioni appena richiamate, che – rimesse alla scelta dell’unico beneficiario (colui che ha sostenuto le spese) – costituiscono un’evidente derivazione della prima, utile per ottenere un’immediata monetizzazione del proprio diritto, senza dover attendere cinque anni per la complessiva detrazione. Con particolare riguardo alla cessione del credito, oggetto del ricorso, il beneficiario si spoglia dunque del proprio diritto alla detrazione, che assume la veste – nell’identico contenuto patrimoniale – di un credito suscettibile di circolare nei termini indicati dalla legge, e che viene contestualmente ceduto; come confermato, d’altronde, dall’originaria versione dello stesso art. 121, comma 1, lett. b), che menzionava un’opzione, per l’appunto, “per la trasformazione (corsivo dell’estensore) del corrispondente importo in credito d’imposta, con facoltà di successive cessioni ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari”.
- Non si riscontra, dunque, l’estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al beneficiario) e la contestuale costituzione ex nihilo di un credito (in capo al cessionario), come sostenuto dalla ricorrente, né un fenomeno novativo di sorta, ma soltanto l’evoluzione – non la sostituzione – del primo nel secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura, e, dunque, uno strumento ancora più utile per la ripresa economica del Paese, fiaccato dalla pandemia.
- Ne consegue, allora, che non risultano decisive le ampie considerazioni svolte dalla ricorrente circa le differenze tra il diritto alla detrazione ed il credito di imposta (il primo non cedibile e suscettibile di ridurre solo l’imposta lorda sul reddito del beneficiario, a differenza dell’altro); come appena affermato, infatti, la norma è sorta con il fine di agevolare l’esercizio” dell’unico diritto a contenuto patrimoniale sorto in capo al beneficiario che ha sostenuto le spese, e ciò ha reso necessaria l’individuazione di appropriati strumenti tecnici che lo consentissero, eventualmente anche in favore di terzi, ed anche più volte. Tra questi, per l’appunto, la cessione qui in esame.
- La diretta ed immediata derivazione di questo credito dall’originario diritto alla detrazione, peraltro, si ricava anche dall’art. 121, comma 3, d.l. n. 34 del 2020, in forza della cui prima parte “I crediti d’imposta di cui al presente articolo sono utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite. Il credito d’imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione”. A conferma ulteriore, dunque, di un credito che deriva proprio dall’originario diritto alla detrazione, senza alcuna vicenda estintivo-costitutiva, conservando di questo non solo il valore economico, ma anche le modalità di esercizio, qualora – non nuovamente ceduto – utilizzato in compensazione.
- A conclusioni diverse, peraltro, non si può pervenire valorizzando i commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 in esame, in tema di controlli e sanzioni, come invece affermato nel ricorso.
In particolare, a norma del comma 4, prima parte, “ai fini del controllo, si applicano, nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, le attribuzioni e i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni. I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto”. A norma del comma 5, prima parte, poi, “qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante nei confronti dei soggetti di cui al comma 1”. A norma del comma 6, infine, “il recupero dell’importo di cui al comma 5 è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario di cui al comma 1, ferma restando, in presenza di concorso nella violazione, oltre all’applicazione dell’articolo 9, comma 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e del cessionari per il pagamento dell’importo di cui al comma 5 e dei relativi interessi”.
- Ebbene, anche a voler ammettere che il legislatore abbia voluto assegnare a queste disposizioni un ambito ulteriore rispetto a quello esclusivamente tributario (ipotesi, peraltro, che parrebbe smentita dal richiamo ai poteri di controllo dell’Agenzia delle entrate, al recupero dell’importo, alla responsabilità in solido di fornitori e cessionari in caso di concorso nella violazione), il Collegio osserva comunque che i commi 4, 5 e 6 non appaiono introdurre affatto una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Come già ricordato, infatti, il vincolo impeditivo implica soltanto l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede; ne deriva, allora, che non rileva in questa sede l’eventuale responsabilità del terzo cessionario (quale la ricorrente, peraltro persona offesa del capo 2), né i presupposti oggettivi o soggettivi di questa per come ricavabili dai commi 4, 5 e 6 in oggetto, occorrendo soltanto verificare piuttosto, come si farà più oltre (sub § 18), se la libera disponibilità della res – anche in capo allo stesso terzo – sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.
- Sotto altro profilo, poi, si osserva che proprio la possibilità che il terzo fornitore ed il cessionario siano chiamati a rispondere ai sensi del comma 6, in caso di concorso, evidenzia ulteriormente il nesso derivativo che il credito ceduto ha rispetto all’originario diritto alla detrazione stessa, non ravvisandosi presupposti, diversamente, per un “recupero” anche nei confronti di questi dell’importo corrispondente alla detrazione medesima.
- Negli stessi termini, poi, non costituisce argomento a sostegno della tesi della ricorrente neppure l’art. 28-ter, d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2022, n. 25, in forza del quale “l’utilizzo dei crediti d’imposta di cui agli articoli 121 e 122 del decreto-legge n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77 del 2020, nel caso in cui tali crediti siano oggetto di sequestro disposto dall’Autorità giudiziaria può avvenire, una volta cessati gli effetti del provvedimento di sequestro, entro i termini di cui agli articoli 121, comma 3, e 122, comma 3, del medesimo decreto-legge n. 34 del 2020, aumentati di un periodo pari alla durata del sequestro medesimo, fermo restando il rispetto del limite annuale di utilizzo dei predetti crediti d’imposta previsto dalle richiamate disposizioni”. Nulla infatti autorizza a sostenere che il fatto che il cessionario possa utilizzare comunque i crediti (in compensazione o per ulteriore cessione), una volta venuti meno gli effetti del vincolo, possa significare insensibilità di detti crediti rispetto alla misura cautelare penale, derivando anzi da detta previsione la constatazione che è lo stesso legislatore a prendere atto che un sequestro ben possa essere adottato secondo le regole generali del codice di rito.
Una tale conclusione, palesemente derogatoria rispetto alla disciplina generale sul sequestro impeditivo eseguito presso terzi, già richiamata, richiederebbe infatti una previsione espressa, che, tuttavia, non si riscontra nella norma in esame posto che, appunto, ed in senso esattamente inverso, la stessa non fa che confermare l’ammissibilità del sequestro (anche) nei confronti del cessionario, secondo le regole generali, così ribadendo che non si è in presenza di un acquisto del diritto a titolo originario, impermeabile ad ogni vicenda illecita precedente, come invece affermato dalla ricorrente.
- Ancora non decisivo, poi, è un altro elemento testuale che l’impugnazione propone, quale il contenuto della Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 24/E dell’8 agosto 2020, nella quale, in particolare, si afferma che “I fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto. Pertanto, se un soggetto acquisisce un credito d’imposta, ma durante i controlli dell’ENEA o dell’Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d’imposta”.
16.1. Ebbene, al riguardo il Collegio osserva, per un verso, che si tratta soltanto della lettura di un testo normativo compiuta dall’Agenzia delle entrate, e non, invece, di un’interpretazione autentica vincolante erga omnes; per altro verso, ed a conferma di ciò, si osserva che la stessa Agenzia – con la successiva circolare n. 23/E del 23 giugno 2022 – ha sostenuto una tesi contraria, ossia che “l’eventuale dissequestro di crediti, acquistati in violazione dei principi sopra illustrati, da parte dell’Autorità giudiziaria (ad esempio, in ragione dell’assenza di periculum in mora in capo al cessionario) non costituisce ex se circostanza idonea a legittimare il loro utilizzo in compensazione. Di conseguenza, in caso di utilizzo in compensazione di crediti d’imposta inesistenti, interessati dal provvedimento di dissequestro, gli organi di controllo procederanno parimenti alla contestazione delle violazioni e alle conseguenti comunicazioni all’Autorità giudiziaria per le indebite compensazioni effettuate”.
Analogamente è a dirsi, ancora, con riferimento all’audizione in Senato del Direttore Generale dell’Agenzia della Entrate in data 10 febbraio 2022, V^ commissione bilancio, in cui (pag. 13) si legge testualmente: “Tuttavia, in caso di sequestro di crediti inesistenti da parte dell’Autorità giudiziaria, in quanto “cose pertinenti al reato”, tali crediti diventano inutilizzabili dal terzo cessionario, anche in buona fede, al quale pertanto non resta che rivalersi nei confronti del cedente. Difatti, l’azione di contrasto posta in essere da numerose Procure della Repubblica è spesso sfociata in sequestri dei crediti nei confronti degli intermediari finanziari, benché ad essere entrati materialmente in possesso dei profitti del reato – destinandoli con ogni probabilità a ulteriori attività illecite – siano stati i reali autori degli illeciti. In altri termini, in queste ipotesi i crediti sequestrati dall’Autorità giudiziaria non possono essere utilizzati dal cessionario, seppur in buona fede”.
- Da tutto quanto appena riportato, conclusivamente sul punto, consegue che proprio la mancata previsione di una disciplina espressa di segno contrario appare rappresentare la conferma alla lettura offerta dal Tribunale del riesame, non emergendo dal d.l. n. 34 del 2020, e successive modificazioni, alcuna previsione derogatoria ai principi generali, con particolare riguardo all’ipotesi di sequestro impeditivo.
Anzi, la stessa normativa successiva ha confermato che proprio di cessione di un credito già esistente si tratta, e non di una vicenda estintivo-costitutiva: l’art. 28 del citato d.l. n. 4 del 2022, infatti, al comma 3 stabilisce la ipotesi di nullità dei “contratti di cessione”, quando conclusi in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 121, comma 1, 122, comma 1, e del comma 2 dello stesso art. 28, così confermando ulteriormente il carattere derivativo dell’istituto e, dunque, la corretta interpretazione contenuta nell’ordinanza impugnata.
- Il ricorso in esame, di seguito, deve essere rigettato anche con riguardo al periculum in mora, che risulterebbe, secondo quanto prospettato dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso, inesistente nel caso in esame alla luce delle medesime considerazioni già poste a fondamento del ricorso e, in particolare, della rivendicata autonomia del credito ceduto rispetto al diritto alla detrazione; ebbene, sul punto appare sufficiente richiamare tutte le considerazioni di segno opposto a sostegno dell’ordinanza impugnata, rispetto alle quali non può che emergere con evidenza come la possibilità di permanente utilizzazione dei crediti originanti da fatto illecito protrarrebbe e/o aggraverebbe le conseguenze del reato secondo quanto previsto dall’art.321, comma 1, cod. proc. pen.
- I primi cinque motivi di ricorso, pertanto, debbono essere rigettati, perché infondati.
- Alle stesse conclusioni, infine, il Collegio non può non giungere anche quanto alla sesta censura, con la quale si lamenta l’applicazione surrettizia di un indebito sequestro per equivalente a danno di un terzo estraneo al reato; ciò sul presupposto che, in assenza di elementi identificativi, la misura colpirebbe non esattamente i crediti originati dalle artificiose condotte poste in essere dagli indagati, ma crediti – per oltre 46 milioni di euro – pari alla somma del valore nominale di tutti i crediti d’imposta originatisi in capo al consorzio e poi ceduti (anche indirettamente) alla ricorrente. Con la conseguenza che la misura, pur disposta nei confronti dei crediti d’imposta individuati con richiamo alle condotte contestate, sarebbe stata concretamente eseguita su una massa indistinta di crediti solo di importo equivalente a quello oggetto di indagine, in quanto presenti nel cassetto fiscale del Banco Desio e della Brianza S.p.A.
20.1. Questa tesi, pur suggestiva, non può però essere accolta.
Al riguardo si osserva, in primo luogo, che l’assenza di uno specifico codice identificativo (introdotto soltanto con disposizioni successive) non si traduce nell’assegnazione al credito di una natura prettamente fungibile, come fosse una somma di denaro; per come riportato nell’ordinanza impugnata (pag. 1), infatti, il provvedimento genetico ha individuato l’oggetto della misura in modo specifico e sufficientemente dettagliato, richiamando i “crediti d’imposta correlati alle detrazioni fiscali previste dagli artt. 119-121. D. I. n. 34/2020 (cd. Superbonus per attività edilizia’) intestati al CONSORZIO SGAI con sede -in Napoli e di quelli ceduti da detto ente a terzi”.
Tale espressione, dunque, non consente alcuna assimilazione di questi crediti ad una indistinta somma di denaro, né trasforma in un bene fungibile ciò che, per contro, possiede ab origine un’effettiva e propria individualità. In senso contrario, peraltro, non risultano decisive neppure le considerazioni svolte infine dalla difesa, dalle quali, anzi, emerge con chiarezza che il vizio denunciato atterrebbe non al provvedimento impositivo del vincolo, ma alla sua concreta esecuzione; un argomento, dunque, estraneo al giudizio di questa Corte, in forza del costante principio per cui i provvedimenti riguardanti le modalità di esecuzione del sequestro preventivo non sono né appellabili né ricorribili per cassazione e le eventuali questioni ad essi attinenti vanno proposte in sede di incidente di esecuzione (per tutte, Sez. 1, n. 8283 del 24/11/2020, Sforza, Rv. 280604).
- Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 2022
Sanzioni Superbonus 110: Guida completa e normative aggiornate
Benvenuti alla nostra guida completa sulle sanzioni relative al Superbonus 110! Se sei un proprietario di immobile o un professionista nel settore dell’edilizia, è essenziale comprendere appieno le implicazioni di questo importante programma di incentivi governativo. In questo articolo, ti forniremo un’analisi approfondita delle sanzioni associate al Superbonus 110, inclusi i requisiti, le normative aggiornate e i passi per evitare potenziali problematiche legali. Prima di iniziare, assicuriamoci di capire cosa sia esattamente il Superbonus 110.
Cos’è il Superbonus 110?
Il Superbonus 110, introdotto per la prima volta dal Decreto Rilancio, è un programma di incentivazione governativo volto a promuovere la riqualificazione energetica e la messa in sicurezza degli edifici esistenti in Italia. Esso permette ai proprietari di immobili di beneficiare di una detrazione fiscale pari al 110% delle spese sostenute per determinati interventi di ristrutturazione. L’obiettivo principale è migliorare l’efficienza energetica del patrimonio immobiliare italiano, riducendo le emissioni di gas serra e creando, al contempo, nuove opportunità economiche.
Requisiti per ottenere il Superbonus 110
Per poter accedere al Superbonus 110, è essenziale soddisfare alcuni requisiti fondamentali:
- Tipologia di interventi: Il Superbonus 110 è applicabile solo a determinati interventi edilizi, come isolamento termico delle superfici opache verticali e orizzontali, sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione, installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda e molto altro ancora.
- Certificazione energetica: Prima di iniziare i lavori, è necessario ottenere una certificazione energetica dell’immobile, attestante la sua classe energetica iniziale. Questo documento sarà fondamentale per calcolare l’entità delle spese detraibili.
- Pagamenti tracciabili: Tutti i pagamenti relativi agli interventi devono essere effettuati con mezzi tracciabili, come bonifici bancari o carte di credito. Inoltre, è importante conservare tutte le ricevute e le fatture in modo da dimostrare le spese sostenute in caso di controlli.
Sanzioni e infrazioni legate al Superbonus 110
Nonostante i benefici considerevoli offerti dal Superbonus 110, è importante rispettare scrupolosamente tutte le normative per evitare sanzioni e infrazioni. Alcune delle sanzioni più comuni riguardano:
- Falsificazione di documenti: Presentare documenti falsi o alterati per ottenere il Superbonus 110 può comportare sanzioni penali e amministrative gravi.
- Mancata tracciabilità dei pagamenti: L’utilizzo di contanti o altri metodi non tracciabili per effettuare i pagamenti degli interventi può portare alla perdita del diritto alla detrazione fiscale e a pesanti multe.
- Lavori non conformi: Eseguire lavori che non rispettano i requisiti stabiliti dalle normative può comportare la revoca del beneficio e l’obbligo di restituire le detrazioni già ottenute.
- Omissione della certificazione energetica: L’assenza o la falsificazione della certificazione energetica dell’immobile può comportare la sospensione delle agevolazioni e il recupero delle detrazioni già concesse.
- Superbonus ceduto abusivamente: Nel caso in cui il Superbonus sia ceduto a terzi in modo abusivo, il responsabile sarà soggetto a sanzioni e perdita delle agevolazioni.
Come evitare sanzioni e infrazioni
Per evitare sanzioni e infrazioni relative al Superbonus 110, è necessario seguire alcuni passi chiave:
- Rivolgersi a professionisti qualificati: Affidarsi a tecnici e professionisti esperti nel settore edilizio e fiscale garantirà la corretta esecuzione degli interventi e la gestione adeguata della documentazione.
- Mantenere tracciabilità dei pagamenti: Utilizzare sistemi di pagamento tracciabili per tutte le spese sostenute e conservare scrupolosamente le ricevute e le fatture.
- Verificare la conformità dei lavori: Assicurarsi che tutti gli interventi siano eseguiti secondo le normative e i requisiti previsti, documentando ogni passaggio con fotografie e relazioni tecniche.
- Verifiche preventive: Prima di avviare i lavori, controllare attentamente la documentazione richiesta e assicurarsi di avere tutti i permessi necessari per gli interventi previsti.
- Seguire le normative in evoluzione: Tenersi costantemente aggiornati sulle normative relative al Superbonus 110 e assicurarsi che tutti gli adempimenti siano conformi agli aggiornamenti legislativi.
In conclusione, il Superbonus 110 rappresenta un’opportunità senza precedenti per migliorare l’efficienza energetica degli edifici italiani e ottenere considerevoli detrazioni fiscali. Tuttavia, per ottenere questi benefici, è fondamentale rispettare scrupolosamente tutte le normative e i requisiti previsti, evitando così spiacevoli sanzioni e infrazioni. Affidarsi a professionisti qualificati e mantenere una documentazione accurata sono le chiavi per garantire il successo dei lavori e l’ottenimento delle agevolazioni previste dal Superbonus 110.
Originally posted 2023-07-17 08:09:58.