RECICLAGGIO, AUTORECICLAGGIO, CONFISCA

RECICLAGGIO ,RECICLAGGIO, AUTORECICLAGGIO, CONFISCA

Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000 4.

La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi 6.

Codice penale

Art. 648 bis Riciclaggio

Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000 4.

La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi 6.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648 [c.p. 648-quater] 5.

1 Articolo aggiunto dall’art. 3 , D.L. 21 marzo 1978, n. 59, sulla prevenzione e repressione di gravi reati, e successivamente sostituito prima dall’art. 23 , L. 19 marzo 1990, n. 55, sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e poi dall’art. 4 , L. 9 agosto 1993, n. 328, di ratifica della Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, fatta a Strasburgo l’8 novembre 1990. L’art. 26 della citata legge n. 55 del 1990 così dispone: «Art. 26. 1. Quando i fatti previsti dagli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale sono commessi nell’esercizio di attività bancaria, professionale o cambio-valuta ovvero di altra attività soggetta ad autorizzazione, licenza, iscrizione in appositi albi o registri o ad altro titolo abilitante, si applicano le misure disciplinari ovvero i provvedimenti di sospensione o di revoca del titolo abilitante previsti dai rispettivi ordinamenti.

1-bis. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche quando l’attività illecita integri i delitti previsti dall’articolo 270-bis del codice penale in relazione alle condotte di finanziamento del terrorismo, anche internazionale.».

Vedi, anche, l’art. 4 , D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, sulla protezione dei collaboratori di giustizia e l’art. 3 , D.L. 3 maggio 1991, n. 143, sul riciclaggio di denaro. Per quanto riguarda il trasferimento fraudolento di valori o di altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, o per quanto riguarda il possesso ingiustificato di valori oltre i limiti del proprio reddito, vedi l’art. 12-quinquies , D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356, in tema di criminalità mafiosa. Vedi, anche, l’art. 25-bis dello stesso provvedimento. Vedi, inoltre, gli artt. 9 e 10, L. 16 marzo 2006, n. 146, l’art. 25-octies, D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, aggiunto dall’ art. 63 , D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e l’art. 34, comma 2, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Le pene stabilite per i delitti previsti in questo articolo sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione ai sensi di quanto disposto dall’ art. 71 , comma 1, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

L’indulto concesso con L. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica per i delitti di cui al presente articolo, ai sensi e con i limiti previsti dall’art. 1 della stessa legge.

Il testo dell’articolo precedente alla sostituzione del 1993, così disponeva: «Riciclaggio. – Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, con altro denaro, altri beni o altre utilità, ovvero ostacola l’identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648».

Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.0004.

La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi 6.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale.

La pena è diminuita nell’ipotesi di cui al quarto comma dell’articolo 648 7.

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648 [c.p. 648-quater] 5.

Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa 4.

La pena è della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi 5.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni6.

Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 416-bis.1 7.

Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.

La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.

La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.

 

 

Codice penale

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Art. 648 quater Confisca

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Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato3.

Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al primo comma, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.

In relazione ai reati di cui agli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1, il pubblico ministero può compiere, nel termine e ai fini di cui all’articolo 430 del codice di procedura penale, ogni attività di indagine che si renda necessaria circa i beni, il denaro o le altre utilità da sottoporre a confisca a norma dei commi precedenti 4.

Cass. pen., Sez. II, Sent., (data ud. 26/11/2021) 25/01/2022, n. 2879 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino – Presidente – Dott. MANTOVANO Alfredo – Consigliere – Dott. MESSINI D’AGOSTINI P. – rel. Consigliere – Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere – Dott. SARACO Antonio – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: R.S., nato a (OMISSIS); avverso l’ordinanza del 06/07/2021 del G.I.P. TRIBUNALE DI PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Piero MESSINI D’AGOSTINI; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CASELLA Giuseppina, che ha chiesto l’annullamento della impugnata sentenza limitatamente alla disposta confisca, con rinvio al giudice a quo per nuovo giudizio su tale punto. Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 6 luglio 2021, emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2, il G.i.p. del Tribunale di Palermo – per quanto qui rileva applicava a R.S. la pena richiesta per il reato di partecipazione ad associazione per delinquere e per una serie di reati fine, fra i quali quello di riciclaggio contestato al capo h) dell’imputazione, sostanziatosi nella sostituzione delle somme profitto di delitti, accreditategli sulla carta Postepay, con denaro contante, per complessivi 72.000 Euro, mediante svariati prelievi presso gli sportelli di banche e uffici postali. Il giudice, ai sensi dell’art. 648 quater c.p., disponeva nei confronti di R.S. la confisca della somma di 72.000 Euro, quale profitto del delitto di riciclaggio, e, nel caso non fosse stato possibile procedere alla confisca diretta, la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali l’imputato avesse la disponibilità, per un valore equivalente al suindicato profitto. 2. Ha proposto ricorso R.S., a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza nella parte in cui ha applicato la confisca obbligatoria e, in subordine, quella per equivalente, per mancanza della motivazione sul punto. Dal decreto di sequestro preventivo d’urgenza risulta che il ricorrente non aveva la effettiva disponibilità delle somme ritenute profitto delle truffe alle assicurazioni (reati presupposto rispetto ai quali R. rimase estraneo), versate sulla sua carta Postepay. Egli, infatti, quale riciclatore, restituiva ai riciclanti le somme accreditate, ricevendo solo la somma di 150 Euro per ogni versamento. Eventualmente a tale somma andrebbe ancorato il profitto del reato di riciclaggio, al quale fa riferimento l’art. 648 quater c.p., da tenere distinto da quello del reato presupposto. La sentenza non ha spiegato le ragioni per le quali il prodotto, il profitto o il prezzo che il ricorrente avrebbe tratto quale riciclatore sono stati fatti corrispondere per intero all’oggetto riciclato, vale a dire alla somma di 72.000 Euro. 3. Nella requisitoria il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla confisca: nel caso di specie si è accertato che il ricorrente/riciclatore R. si è avvantaggiato solo del prezzo del reato, mentre del profitto/prodotto ha goduto l’autore del reato presupposto. Motivi della decisione 1. Il motivo di ricorso è fondato, come ritenuto anche dal Procuratore generale. 2. Va preliminarmente ricordato che le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che, “se la sentenza dispone una misura di sicurezza, sulla quale non è intervenuto accordo tra le parti, la statuizione relativa – che richiede accertamenti circa i previsti presupposti giustificativi e una pertinente motivazione che non ripete quella tipica della sentenza di “patteggiamento”, ed è inappellabile, alla luce del disposto del, tuttora vigente, art. 448 c.p.p., comma 2 – è impugnabile, per coerenza dello sviluppo del ragionamento giuridico non disgiunto da esigenze di tenuta del sistema secondo postulati di unitarietà e completezza, con ricorso per cassazione anche per vizio della motivazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1″. Pertanto, anche a seguito della introduzione della previsione di cui all’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, “è ammissibile il ricorso per cassazione per vizio di motivazione contro la sentenza di applicazione di pena con riferimento alle misure di sicurezza, personali o patrimoniali, che non abbiano formato oggetto dell’accordo delle parti” (Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, Savin, Rv. 279348 – 02). 3. Nel caso di specie non è vi è questione sulla obbligatorietà della confisca diretta del profitto del delitto di riciclaggio (ovvero, laddove non fosse possibile, della confisca per equivalente), ai sensi dell’art. 648- quater c.p., bensì sulla quantificazione del profitto di detto reato. Il giudice ha determinato il profitto, quanto a R.S., in 72.000 Euro, somma della quale egli avrebbe “in parte beneficiato”, e ha richiamato espressamente l’orientamento di parte della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, “dal momento che il riciclaggio ha per oggetto somme di denaro, il profitto del reato è l’intero ammontare delle somme che sono state “ripulite” attraverso le operazioni di riciclaggio compiute dall’imputato” (Sez. 2, n. 49003 del 13/10/2017, Nicita, non mass.) e, pertanto, esso “è rappresentato esattamente dal valore delle somme di denaro che siano state oggetto delle operazioni dirette ad ostacolare l’individuazione della provenienza delittuosa” (Sez. F, n. 37120 del 01/08/2019, Cudia, Rv. 277288). Sulla base di questi principi il G.i.p. ha ritenuto irrilevante il fatto che l’imputato abbia goduto solo in parte (nella misura di 150 Euro per ogni versamento, come risulterebbe dal provvedimento di sequestro d’urgenza) del profitto del riciclaggio, per la maggior parte percepito dai soggetti resisi responsabili delle truffe alle assicurazioni (reati presupposto). Ritiene il Collegio che in questa valutazione il giudice sia incorso nella denunciata violazione di legge, stante il condivisibile diverso indirizzo espresso da questa Corte, contrapposto a quello sopra richiamato, che ha trovato la più compiuta esposizione nella recente pronuncia citata dal Procuratore generale (Sez. 2, n. 30899 del 15/07/2020, Ambrosini, Rv. 280029), con la quale si è affermato che non vi è “alcuna ragione per cui il “riciclatore” debba rispondere di tutta la somma riciclata, laddove, in realtà, ad avvantaggiarsene sia stato un terzo (l’autore del reato presupposto), perchè si finirebbe per sanzionare il riciclatore (con una confisca per equivalente o-diretta in caso di denaro) per un profitto di cui non ha mai goduto, contravvenendo, quindi, alla regola generale sottostante alle confische (in specie quella per equivalente) e secondo la quale la suddetta sanzione non può colpire il patrimonio dell’autore del reato in misura superiore al vantaggio economico derivatogli dalla commissione di un determinato reato”. Richiamando una serie di altre pronunce conformi (Sez. 2, n. 37590 del 30/04/2019, Giulivi, Rv. 277083; Sez. 2, n. 22020 del 10/04/2019, Scimone, Rv. 276501; Sez. 2, n. 50982 del 20/09/2016, Douma, Rv. 268729), la pronuncia citata nella requisitoria scritta si è confrontata anche con il principio espresso nell’orientamento, invero minoritario, seguito nella sentenza impugnata, essendosi “obiettato che il “riciclatore” non ha goduto in alcun modo dell’intera somma, posto che tra l’autore del reato presupposto ed il riciclatore, non è ipotizzabile alcun concorso: di conseguenza, non può essere utilizzato il principio solidaristico per confiscare al riciclatore il profitto conseguito dall’autore del reato presupposto, mancando il presupposto giuridico e cioè il concorso fra i due autori dei diversi reati. In realtà, una volta che sia la prova che il riciclatore si è avvantaggiato solo del “prezzo del reato”, nel mentre del profitto/prodotto si è avvantaggiato l’autore del reato presupposto, è contrario ai principi generali che la confisca (per equivalente) avente ad oggetto l’intero profitto/prodotto del reato di riciclaggio debba essere fatta gravare sul solo “riciclatore”: infatti, se il principio della solidarietà è condivisibile per il vantaggio derivato dalla commissione di un reato in concorso (sul cui profitto ogni concorrente può vantare, in astratto, la disponibilità esclusiva), così non è nel caso in cui manchi il concorso nel caso peculiare del riciclatore che si limita a trattenere per sè solo il prezzo del reato, restituendo la differenza all’autore del reato presupposto”. Anche una più recente pronuncia di questa stessa Sezione (Sez. 2, n. 34218 del 04/11/2020, Bonino, Rv. 280238), pur richiamando il principio formulato nella citata sentenza n. 37120 del 2019 dalla Sezione feriale della Suprema Corte, non pare contrastare con l’orientamento qui seguito, in una fattispecie concreta nella quale il profitto di una truffa informatica, reato presupposto al quale l’imputato era estraneo, era stato individuato nella somma di circa 765 mila Euro, parte soltanto della quale (518.000 Euro) oggetto del riciclaggio contestato, avendo il ricorrente trasferito ad alcune società detta somma, della quale egli aveva avuto la diretta ed esclusiva disponibilità. In quel caso, dunque, il vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall’imputato era stato “pari al valore dell’intero bene riciclato (diverso da quello più consistente del reato di truffa presupposto)”. 4. Il Collegio, dando continuità al prevalente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, rileva che – come lamentato dal ricorrente – nella sentenza impugnata è mancato un accertamento, con conseguente assenza di motivazione, in ordine alla entità del profitto di cui ha effettivamente goduto l’imputato quale responsabile del delitto di riciclaggio commesso. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Palermo per nuovo giudizio sul punto da parte del G.i.p. (diversa persona fisica, ai sensi dell’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. d)). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata relativamente alla confisca, con rinvio al G.i.p. del Tribunale di Palermo per nuovo giudizio sul punto. Conclusione Così deciso in Roma, il 26 novembre 2021. Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

Cass. pen., Sez. II, Sent., (data ud. 15/07/2020) 05/11/2020, n. 30899

  • Sentenza
  • Massime (1)

IntestazioneSvolgimento del processoMotivi della decisioneP.Q.M.Conclusione

Intestazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –

Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere –

Dott. COSCIONI G. – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.R., nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 08/11/2019 del TRIB. LIBERTA’ di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. COSCIONI GIUSEPPE;

lette le conclusioni del PG Dr. CENICCOLA ELISABETTA, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. Con ordinanza dell’8 novembre 2019, il Tribunale di Roma-Sezione per il riesame dei provvedimenti di sequestro confermava il decreto emesso dal giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale con il quale era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro e per equivalente di beni mobili e immobili nei confronti, tra gli altri, di A.R., indagato per riciclaggio.

1.1Avverso il decreto ricorreva per Cassazione il difensore di A., eccependo l’inosservanza della legge processuale e il difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus boni iuris del reato di riciclaggio quale titolo per l’emissione del sequestro, nonchè l’illogicità e la mancanza di motivazione della ordinanza impugnata, che si era limitata a riproporre l’excursus delle indagini offerto dal Pubblico ministero in sede di richiesta cautelare, tanto che era stato esteso ad A. il quadro indiziario valutato nei confronti di altro indagato ( V.) e che, mentre per i capi kkk) il Gip aveva respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare reale, il Tribunale ne aveva fatto parte argomentativa a sostegno del quadro indiziario. Il difensore osserva inoltre che vi era stata un’acritica riproposizione di valutazioni espresse in altro procedimento, evidentemente già deciso dal Tribunale, tanto che nell’intestazione dell’impugnata ordinanza era stato erroneamente indicato il numero di iscrizione del Registro Generale delle notizie di reato; aggiunge che nel breve arco temporale in cui A. aveva rivestito un ruolo di interesse investigativo, non era emerso alcun elemento utile a sostenere integrata la condotta specifica di riciclaggio.

1.2 II difensore eccepisce inoltre il difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla prova della pertinenzialità tra le somme sequestrate e il reato oggetto di imputazione: difettava qualsiasi collegamento tra l’importo ritenuto evaso, provento del delitto presupposto, e il provento del delitto di riciclaggio ascritto ad A. (che per espressa ipotesi accusatoria si sarebbe attestato alla soglia del 10% degli importi complessivamente considerati).

Il difensore osserva poi che l’affermazione che il provvedimento di sequestro era stato concesso “in relazione al solo prodotto dell’attività di riciclaggio per l’anno di imposta 2016 di cui al capo LLL), inteso come guadagno che l’indagato avrebbe conseguito in relazione all’attività svolta e contestata” era palesemente erronea, se si voleva con essa ritenere che il provento del delitto di riciclaggio corrispondesse all’importo evaso dalle società emittenti le fatture per operazioni inesistenti, per la semplice regione che “il prodotto dell’attività di riciclaggio per l’anno 2016” non corrispondeva alle somme derivate dal delitto di riciclaggio e non rappresentava nemmeno il prodotto del reato presupposto: i giudici avevano quindi compiuto un errore di diritto nel quantificare in Euro 624.365,00 la somma provento del delitto di riciclaggio, invece della somma, pur individuata dalla polizia giudiziaria, corrispondente alle somme ritenute trattenute da A. a titolo di percentuale (10%).

Motivi della decisione

  1. Il ricorso è fondato quanto al secondo motivo proposto.

1.1 Relativamente al primo motivo di ricorso, deve essere ribadito che “Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice”. (Sez. 2, Sentenza n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e altro, Rv. 269656 – 01).

Da ciò, per costante orientamento di questa Corte, deriva che è sindacabile la sola “mancanza” del percorso giustificativo della decisione, nel senso di redazione di un testo del tutto privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità (motivazione apparente) o di un testo del tutto inidoneo a far comprendere l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le altre, Sez. 1 26.2.2009, rv 242887). In tali casi, infatti, non è la congruità logica delle singole affermazioni probatorie ad essere valutata, quanto la mancata osservanza del generale obbligo di motivazione imposto dall’art. 125 c.p.p., comma 3 e richiamato dallo stesso art. 4 della Legge Regolatrice n. 1423 del 1956 (Sez. 5 n. 19598 del 8.4.2010, rv 247514).

Tale constatazione impone di realizzare una selezione tra i due argomenti sollevati dal ricorrente, posto che il primo motivo attiene ad una mera “contestazione logica” della valenza dimostrativa degli argomenti utilizzati dal Tribunale per giustificare la decisione assunta – profilo sottratto alla analisi del giudice di legittimità in virtù di quanto detto sopra: il Tribunale ha infatti affermato, in maniera congrua e coerente con le risultanze processuali, che A. è risultato essere in contatto con Viccazzaro (soggetto cui facevano riferimento molte società coinvolte nelle fatturazioni false e nelle successive riconsegne di denaro), che dalle intercettazioni risultava che lo stesso tratteneva a titolo di provvigione il 10% delle somme e che la documentazione riscontrava l’attività di A. relativa alla monetizzazione e restituzione delle somme bonificate in pagamento delle fatture per operazioni inesistenti (pag.9 ordinanza impugnata).

1.2 Quanto al secondo motivo, l’art. 648 quater c.p., prevede, al comma 1, che “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 c.p.p., per uno dei delitti previsti dagli artt. 648 bis, 648 ter e 648 ter 1, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato”; a sua volta, il comma 2, dispone che “Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al comma 1, il giudice ordina la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato”.

Come si può notare vi è una netta differenza fra il primo ed il comma 2.

Il comma 1 prevede la confisca “dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto “: quindi, la confisca diretta dei beni riciclati che ne costituiscano il prodotto o profitto. Vi dev’essere pertanto un nesso di pertinenzialità fra beni confiscati e reato.

Il comma 2, invece, prevede la confisca per equivalente “Nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca di cui al comma 1” (ossia quella diretta) e può colpire oltre che il prodotto ed il profitto (come nel comma 1) anche il prezzo del reato.

La differenza fra confisca diretta e confisca per equivalente, sotto il profilo giuridico, non è di poco conto.

Sul punto, questa Corte ha osservato che la confisca per equivalente “viene ad assolvere una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile ed è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza (ex plurimis, Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037; Sez. 3, n. 18311 del 06/03/2014, Cialini, Rv 259103; Sez. 3, n. 23649 del 27/02/2013, D’Addario, Rv. 256164) (….) In altri termini, come ben evidenziato nella pronuncia Sez. U., Lucci, citata, il prezzo o il profitto nei reato costituisce soltanto il paradigma cui rapportare l’incidenza ablativa della confisca perchè il bene che vi è sottoposto non è collegato da un nesso di derivazione dal reato ed è il patrimonio del condannato a subirne l’effetto in dipendenza della condanna, così come accade per la pena principale irrogata con la sentenza che accerta la responsabilità penale” (in senso conforme, fra le altre, Sez. 6 sentenza n. 24156 del 16/01/2018 imputato Cuomo; Sez. 2 sentenza n. 45324 del 14/10/2015 imputato Soddu) (….). La natura sanzionatoria comporta che la confisca per equivalente non possa essere disposta per un valore superiore al profitto del reato: in caso contrario ci si trova di fronte alla irrogazione di una pena illegale, il cui importo va ridotto dal giudice, anche ex officio”: Cass. II, n. 37590/2019 Rv. 277083.

Si deve pertanto innanzitutto determinare, posto che il sequestro eseguito è funzionale alla confisca (per equivalente), se ciò che si è inteso sequestrare all’indagato costituisca prodotto, profitto o prezzo del reato.

A tale proposito, già dal 1996 le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato su un piano generale che “in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita; il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato” (Cass., Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv 205707).

Volendo, quindi, schematizzare:

Il prodotto è il risultato dell’azione criminosa, ovvero la cosa materiale creata, trasformata o acquisita mediante l’attività delittuosa, che con quest’ultima abbia un legame diretto e immediato; si tratta del frutto diretto ed immediato dell’attività criminosa, ossia del risultato ottenuto direttamente con l’attività illecita.

Il profitto comporta invece un accrescimento del patrimonio dell’autore del reato ottenuto attraverso la acquisizione la creazione o la trasformazione di cose suscettibili di valutazione economica, corrispondente all’intero valore delle cose ottenute attraverso la condotta criminosa (vantaggio economico di diretta derivazione del reato, vedi Sez.U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015, Lucci Rv. 264436 – 01: “Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito.”).

Prezzo, infine, è il compenso dato o promesso per indurre istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato, quale fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato.

L’elemento distintivo del prezzo rispetto al profitto è costituito dalla presenza di un terzo, che, corrispondendo un bene ad un altro soggetto, lo induce, lo istiga o lo determina a commettere un reato, ovvero che, con tale corresponsione, ne rafforza il preesistente intento criminoso o ne determina l’insorgere.

Da quanto si è detto, è del tutto evidente che, nel momento in cui si deve procedere al sequestro o alla confisca, il problema che il giudice deve porsi è duplice:

  1. a) individuare e quantificare quale sia il profitto, il prodotto o il prezzo del reato del riciclaggio;
  2. b) individuare il soggetto destinatario del provvedimento ablativo, e cioè chi e in quale misura si sia avvantaggiato del profitto – prodotto, prezzo del reato di riciclaggio;
  3. c) se la confisca sia diretta o per equivalente.

Da ciò consegue che – in ossequio ai principi della proporzionalità e della corrispondenza fra importo confiscabile e vantaggio patrimoniale ricavato dal reato – una volta che sia provato che il riciclatore si è avvantaggiato solo del “prezzo del reato”, il sequestro (e la successiva confisca) nei confronti del riciclatore, può essere disposto solo per “il prezzo” del reato, nel mentre nei confronti dell’autore del reato presupposto, può essere disposta la confisca per la restante parte relativa al vantaggio conseguito dall’aver perpetrato il reato presupposto.

Va, quindi, data continuità giurisprudenza di questa Corte di seguito indicata:

Cass. II, n. 34266/2018, in una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, ha, condivisibilmente chiarito che il “profitto” del reato presupposto è cosa diversa e non automaticamente sovrapponibile al valore dei beni o all’ammontare delle somme di denaro riciclate, in quanto in caso di commissione di reati fiscali e successivo riciclaggio delle somme ottenute dagli stessi, il profitto va parametrato al compenso ottenuto per l’attività svolta: si è infatti chiarito che la confisca per equivalente ha ad oggetto il valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall’autore del reato, assolvendo in tal modo ad una sostanziale funzione ripristinatoria della situazione economica, modificata a seguito della commissione del reato sicchè il giudice, nell’applicare il provvedimento ablatorio, deve determinare la somma di denaro costituente il prezzo, il prodotto o il profitto/vantaggio effettivamente ottenuti dall’attività illecita; Cass. 50.982/2016, Rv. 268729 relativa ad una fattispecie di riciclaggio in cui la Corte ha annullato la decisione che, nel disporre la confisca per equivalente, si era limitata a considerare il valore commerciale dei beni riciclati senza tener conto della circostanza che questi ultimi erano stati tutti restituiti ai proprietari;

Cass. n. 37590 del 30/04/2019, Giulivi, Rv. 277083, secondo la quale “La confisca di valore, avendo natura sanzionatoria, partecipa del regime delle sanzioni penali e quindi non può essere applicata per un valore superiore al profitto del reato, travalicando, in caso contrario, il confine della pena illegale. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la confisca disposta nei confronti di soggetti condannati per riciclaggio per una somma pari al valore del bene riciclato, evidenziando come la misura ablatoria va invece commisurata al vantaggio coincidente con il prodotto, il profitto o il prezzo che l’autore del reato ha ricavato dalla sua attività criminosa)”.

Cass. n. 22020/2019 rv 276501 secondo la quale “In tema di sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca diretta o per equivalente, nel caso di consumazione dei delitti di autoriciclaggio e riciclaggio da parte di soggetti diversi, all’autore di tale ultima condotta è sequestrabile soltanto l’importo del profitto di tale delitto e non anche di quello derivante dalle operazioni poste in essere dall’autore dell’autoriciclaggio, che può avere ad oggetto somme superiori o quantitativi di beni di origine illecita trasferiti a soggetti giuridici differenti”. Non si condivide, pertanto, il principio affermato da Sez. F, n. 37120/ 2019 Rv. 277288, secondo cui in tema di confisca per equivalente, il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è rappresentato dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette ad ostaco(are la provenienza delittuosa, poichè, in assenza di quelle operazioni, esse sarebbero destinate ad essere sottratte definitivamente, in quanto provento del delitto presupposto.

Infatti, la sentenza, dopo aver affermato che il profitto del reato corrisponde al vantaggio economico tratto dall’imputato attraverso la commissione del reato, giunge alla conclusione (richiamando Sez. 2 n. 49003 del 13/10/2017. Nicita, non massimata) che l’intera somma riciclata costituisca il profitto del reato, avendone l’imputato goduto in concorso con gli altri coimputati (“dal momento che il riciclaggio ha per oggetto somme di denaro, il profitto del reato è l’intero ammontare delle somme che sono state “ripulite” attraverso le operazioni di riciclaggio compiute dall’imputato. Il fatto che l’imputato abbia goduto solo in parte (nella misura del 3%) del profitto del riciclaggio, che sostanzialmente è stato incamerato dal dominus dell’operazione, il coimputato…., non cambia la sostanza delle cose, vale a dire che l’intera somma riciclata costituisca il profitto del reato, di cui l’imputato ha goduto in concorso con gli altri coimputati”).

Al che va obiettato che il “riciclatore” non ha goduto in alcun modo dell’intera somma, posto che tra l’autore del reato presupposto ed il riciclatore, non è ipotizzabile alcun concorso: di conseguenza, non può essere utilizzato i(principio solidaristico per confiscare al riciclatore il profitto conseguito dall’autore del reato presupposto, mancando il presupposto giuridico e cioè il concorso fra i due autori dei diversi reati.

In realtà, una volta chèsia la prova che il riciclatore si è avvantaggiato solo del “prezzo del reato”, nel mentre del profitto/prodotto si è avvantaggiato l’autore del reato presupposto, è contrario ai principi generali che la confisca (per equivalente) avente ad oggetto l’intero profitto/prodotto del reato di riciclaggio debba essere fatta gravare sul solo “riciclatore”: infatti, se il principio della solidarietà è condivisibile per il vantaggio derivato dalla commissione di un reato in concorso (sul cui profitto ogni concorrente può vantare, in astratto, la disponibilità esclusiva), così non è nel caso in cui manchi il concorso nel caso peculiare del riciclatore che si limita a trattenere per sè solo il prezzo del reato, restituendo la differenza all’autore del reato presupposto.

Non vi è, quindi, alcuna ragione per cui il “riciclatore” debba rispondere di tutta la somma riciclata, laddove, in realtà, ad avvantaggiarsene sia stato un terzo (l’autore del reato presupposto), perchè si finirebbe per sanzionare il riciclatore (con una confisca per equivalente o diretta in caso di denaro) per un profitto di cui non ha mai goduto, contravvenendo, quindi, alla regola generale sottostante alle confische (in specie quella per equivalente) e secondo la quale la suddetta sanzione non può colpire il patrimonio dell’autore del reato in misura superiore al vantaggio economico derivatogli dalla commissione di un determinato reato.

1.3. Orbene, alla stregua delle suddette considerazioni, il Tribunale, in sede di riesame, dovrà quindi chiarire:

  1. a) Quale sia e a quanto ammonti il prodotto/profitto del reato di riciclaggio per il quale il ricorrente è indagato;
  2. b) In base a quali elementi fattuali la somma di Euro 624.365,00 (a quanto è dato capire, oggetto del riciclaggio e provento del reato presupposto) dev’essere considerato “prodotto” del reato contestato, piuttosto che profitto del reato di riciclaggio;
  3. c) In base a quali elementi fattuali il ricorrente che, a quanto pare, per la sua attività criminosa di riciclaggio era stato retribuito con il 10% dell’importo di Euro 624.365,00, deve rispondere (con una confisca per equivalente) di tutta la suddetta somma della quale, per quanto è dato capire, non è più in possesso avendola restituita, in ottemperanza del pactum sceleris, all’autore del reato presupposto.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma- Sezione per le misure cautelari reali per nuovo esame.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020