SUCCESSIONE EREDE E BENEFICIO DI INVENTARIO BOLOGNA
L’effetto del beneficio d’inventario consiste nel tenere distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede [2830, 2941 n.5 c.c.].
BENEFICIO INVENTARIO AVVOCATO BOLOGNAConseguentemente:
1) l‘erede conserva verso l’eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte [448 c.c.](1);
2) l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti [564, 586 2 c.c.](2);
3) i creditori dell’eredità e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede [495, 499, 502 c.c.](3). Essi però non sono dispensati dal domandare la separazione dei beni, secondo le disposizioni del capo seguente [512 ss. c.c.], se vogliono conservare questa preferenza anche nel caso che l’erede decada(4) dal beneficio d’inventario [493, 494, 505, 564 c.c.] o vi rinunzi.
AVVOCATO ESPERTO CAUSE EREDITARIE BENEFICIO INVENTARIO SUCCESSIONI
TESTAMENTI DIVISIONI BOLOGNA VICENZA TREVISO PESARO ROVIGO PADOVA SEDE UNICA A BOLOGNA
CHIAMA SUBITO PER APPUNTAMENTO 051 6447838
A seguito dell’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario,
prescritta, a pena di inammissibilità dell’azione, dall’art. 564 c.c., l’erede beneficiato risponde dei debiti ereditari e dei legati non solo “intra vires hereditatis”, e cioè non oltre il valore dei beni a lui pervenuti a titolo di successione, ma altresì esclusivamente “cum viribus hereditatis”, con esclusione cioè della responsabilità patrimoniale in ordine a tutti gli altri suoi beni, che i creditori ereditari e i legatari non possono aggredire, sicchè già in fase antecedente l’esecuzione forzata è preclusa ogni misura anche cautelare sui beni propri dell’erede, vale a dire diversi da quelli a lui provenienti dalla successione. (Rigetta, CORTE D’APPELLO FIRENZE, 21/03/2016).
L’erede che abbia accettato con beneficio di inventario,
il quale sia convenuto dal creditore del “de cuius” che faccia valere per intero la sua pretesa, se vuole contenere “intra vires” l’estensione e gli effetti della pronuncia giudiziale, deve far valere tale sua qualità – mediante una difesa che si configura in termini di eccezione in senso lato, invocabile liberamente anche nel giudizio di appello e rilevabile anche d’ufficio dal giudice – nel giudizio di cognizione; in mancanza, la pronuncia giudiziale costituisce un titolo non più contestabile in sede esecutiva. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO BARI, 08/01/2015).
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TESTAMENTI DIVISIONI BOLOGNA VICENZA TREVISO PESARO ROVIGO PADOVA SEDE UNICA A BOLOGNA
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La limitazione della responsabilità dell’erede per i debiti ereditari,
derivante dall’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, è opponibile a qualsiasi creditore, ivi compreso l’erario, che, di conseguenza, pur potendo procedere alla notifica dell’avviso di liquidazione nei confronti dell’erede, non può esigere il pagamento dell’imposta di successione, sino a quando non venga chiusa la procedura di liquidazione dell’eredità e sempre che sussista un residuo attivo in favore dell’erede. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato l’illegittimità della cartella di pagamento, notificata quando la procedura di liquidazione dei debiti ereditari non era ancora conclusa).
L’accettazione con beneficio d’inventario da parte del minore,
comporta che l’accettante, a parte la distinzione del patrimonio del defunto da quello dell’erede ex art. 490, comma 1, c.c., divenga erede a tutti gli effetti di legge e, in quanto tale, soggetto passivo d’imposta, tanto da essere pienamente legittimato a ricevere la notifica dell’avviso di accertamento emesso in relazione a redditi non dichiarati dal “de cuius”.
Una sentenza avente ad oggetto un mero
accertamento del credito nei confronti degli eredi del debitore,
non costituendo titolo esecutivo, non preclude agli stessi successori la possibilità di far valere in eventuale ulteriore giudizio la limitazione della loro responsabilità “intra vires”, derivante dall’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario.
In materia d’imposta di successione, l’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario è, comunque, tenuto a corrispondere il tributo, ma in misura non superiore al valore dei beni a lui pervenuti, con la conseguenza che, ai fini della quantificazione del debito tributario, deve prima essere completata la procedura di formazione dell’inventario, con la definitività correlatile alla mancata opposizione, solo successivamente potendo quantificarsi l’imponibile e procedersi, quindi, alla liquidazione dell’imposta.
La circostanza che l’erede del responsabile di un illecito aquiliano abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario, e quindi non possa rispondere ultra vires, non può essere rilevata d’ufficio, ma va tempestivamente dedotta e provata da chi vi abbia interesse.
Colui che accetta l’eredità con beneficio d’inventario è erede, come stabilito dall’art. 490, primo comma, c.c., con l’unica rilevante differenza, rispetto all’accettazione pura e semplice (art. 470, primo comma), che il patrimonio del defunto è tenuto distinto da quello dell’erede, e che si producono gli effetti conseguenti indicati dall’art. 490, secondo comma, c.c. L’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, quindi, non determina, di per sé sola, il venir meno della responsabilità patrimoniale dell’erede per i debiti, anche tributari, ma fa solo sorgere il diritto di questo a non rispondere ultra vires hereditatis ovverossia al di là dei beni lasciati dal de cuius.
L’erede che ha accettato l’eredità con beneficio d’inventario può essere convenuto in giudizio dai creditori del de cuius, i quali possono ottenerne la condanna al pagamento del debito ereditario per l’intero, salva la limitazione della responsabilità dell’erede entro il valore dei beni ereditari, qualora egli la abbia fatta valere, proponendo la relativa eccezione.
Colui che accetta l’eredità con beneficio d’inventario, è erede a tutti gli effetti con l’unica particolarità che, ai sensi degli artt. 484 e 490, secondo comma n. 2, c.c., tiene distinto il proprio patrimonio da quello del defunto. Da ciò consegue che egli sia soggetto passivo dell’I.n.v i.m. quale acquirente a titolo gratuito, ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643.
L’erede, in confronto del quale sia stato formato un titolo esecutivo che lo condanni in qualità di erede beneficiato e che sarà perciò tenuto al pagamento non oltre il valore dei beni a lui pervenuti (art. 490, comma secondo, n. 2, c.c.), per potersi esonerare dal pagamento deve dimostrare non che l’asse ereditario sia stato originariamente insufficiente a coprire la passività bensì che lo stesso è rimasto esaurito nel pagamento di creditori presentatisi in precedenza.
La responsabilità intra vires dell’erede beneficiario per i debiti ereditari costituisce una qualità del relativo rapporto che assume rilievo già in fase antecedente l’esecuzione forzata, precludendo ogni misura anche cautelare sui beni personali dell’erede. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva riconosciuto l’interesse del coerede ad opporsi al decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di un debito ereditario senza alcun riferimento né alle quote ereditarie, né alla qualità di erede beneficiario, sì da esporre i coeredi alla responsabilità solidale ultra vires per l’intero debito).
La disposizione dell’art. 490 comma secondo n. 2) c.c. che limiti la responsabilità dell’erede accettante con il beneficio d’inventario per il pagamento dei debiti ereditari e dei legati intra vires e cum viribus hereditatis, va intesa nel senso che nell’espressione «debiti» debbono ricomprendersi, sebbene non espressamente menzionati, anche gli oneri modali e, più in generale, tutti i pesi ereditari posti a carico dell’erede dall’art. 752 c.c., con la conseguenza che, in caso di inadempimento, il beneficiario del modo testamentario non può agire sui beni propri dell’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario ma deve subire il concorso dei creditori ereditari e dei legatari.
AVVOCATO ESPERTO CAUSE EREDITARIE BENEFICIO INVENTARIO SUCCESSIONI
TESTAMENTI DIVISIONI BOLOGNA VICENZA TREVISO PESARO ROVIGO PADOVA SEDE UNICA A BOLOGNA
CHIAMA SUBITO PER APPUNTAMENTO 051 6447838
L’art. 484 c.c., nel disporre che “l’accettazione col beneficio d’inventario si fa mediante dichiarazione” e che questa “deve essere preceduta o seguita dall’inventario”, chiaramente delinea una fattispecie a formazione progressiva, per la cui realizzazione i due adempimenti sono entrambi indispensabili, come suoi elementi costitutivi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8898-2016 proposto da:
BANCA POPOLARE SONDRIO S.C.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PACIFICO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO BONOMO;
– ricorrente –
contro
P.E.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VANNICELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VERONICA BERTANI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 388/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/01/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Del Core Sergio, il quale ha concluso per l’accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo;
uditi gli Avvocati Pacifico, per delega dell’Avvocato Bonomo, e Bertani.
Svolgimento del processo
La società cooperativa per azioni Banca Popolare di Sondrio, sulla base del decreto ingiuntivo n. 569/09 del 9 novembre 2009, pronunciato dal Tribunale di Sondrio, intimò precetto ad P.E.M., quale avente causa, per effetto di successione legittima, del marito V.A..
L’intimata P.E.M. propose opposizione, deducendo di non essere debitrice della somma ingiuntale, atteso che aveva accettato l’eredità del marito con beneficio di inventario e che i beni erano stati rilasciati ai creditori.
Non avendo la Banca provveduto ad intraprendere l’esecuzione minacciata ed essendo perciò cessata l’efficacia del precetto, il Tribunale di Sondrio, quale giudice dell’opposizione, con sentenza n. 338/2014 del 17 settembre 2014, dichiarò cessata la materia del contendere e condannò la creditrice al rimborso delle spese di lite ed al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 388/2016 del 3 febbraio 2016, rigettò il gravame della Banca Popolare di Sondrio, rilevando che P.E.M. aveva accettato l’eredità del marito V.A., morto il (OMISSIS), con beneficio di inventario mediante dichiarazione dell’11 settembre 2009, e che le operazioni di redazione di inventario (anche a seguito di proroga concessa dal Tribunale) erano terminate in data 5 marzo 2010, con successiva designazione del curatore incaricato di procedere alla liquidazione dell’eredità rilasciata ai creditori ed ai legatari.
In data 9 novembre 2009 era stato però emesso, su domanda della Banca Popolare di Sondrio, un decreto ingiuntivo nei confronti di P.E.M., nella qualità di erede del defunto coniuge. L’importo di tale decreto, a seguito del rilascio dei beni, venne poi inserito nello stato di graduazione redatto dal curatore e portato ad esecuzione, una volta divenuto definitivo, con il pagamento in favore dei vari creditori, essendosi quindi pervenuti alla chiusura dell’eredità beneficiata con provvedimento del Presidente del Tribunale di Sondrio del 27 gennaio 2012.
Sostenne la Corte d’Appello che la P. non avesse perciò mai acquisito la qualità di erede pura e semplice e quindi non dovesse rispondere dell’intero ammontare del decreto ingiuntivo. Sebbene alla data dell’emissione del decreto ingiuntivo P.E.M. avesse già dichiarato di accettare l’eredità del marito V.A., fino ancora alla scadenza del termine per proporre la relativa opposizione ex art. 641 c.p.c. non era stata ultimata la redazione dell’inventario, formalità costituente un elemento della fattispecie a formazione progressiva di accettazione con beneficio di inventario. Da ciò i giudici dell’appello conclusero che la limitazione di responsabilità scaturente dal beneficio in questione ben poteva essere fatta valere in sede di opposizione a precetto, sicchè la valutazione di soccombenza virtuale in danno della creditrice opposta compiuta dal Tribunale, ai fini della regolamentazione delle spese di lite, doveva reputarsi corretta. Del pari condivisibile risultava per la Corte di Milano la valutazione del primo giudice in merito alla sussistenza della responsabilità ex art. 96 c.p.c. della Banca, la quale non solo aveva intrapreso la procedura monitoria quando era stata resa edotta della volontà degli ingiunti di accettare con beneficio di inventario (missiva del 24 ottobre 2009), ma aveva altresì intimato il precetto una volta che aveva riscontrato il mancato soddisfacimento del proprio credito nell’ambito della liquidazione compiuta dal curatore.
La Banca Popolare di Sondrio s.c.p.a. ha formulato ricorso avverso tale sentenza sulla base di tre motivi.
P.E.M. ha resistito con controricorso.
Su proposta del relatore, che aveva ritenuto il giudizio definibile nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in riferimento all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), era stata dapprima fissata l’adunanza della camera di consiglio. Il Collegio, con ordinanza del 27 marzo 2017, ritenne tuttavia che non ricorressero le ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), e rimise la causa alla pubblica udienza.
Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Il Collegio reputa pregiudizialmente che non sussistono ragioni di economia processuale per disporre la riunione dei ricorsi R.G. n. 8898/2016 e R.G. n. 2355/2017, entrambi discussi all’udienza del 30 gennaio 2018, stante la parziale difformità delle vicende e delle progressioni procedimentali inerenti alla due diverse controversie.
Il primo motivo del ricorso della Banca Popolare di Sondrio lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 459, 470, 484 e 487 c.c., nonchè dei “principi generali in tema di acquisto della qualità di erede con beneficio di inventario”.
Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 2909 c.c. “in tema dei limiti dei fatti opponibili al giudicato”.
Evidenziano le prime due censure, che per la loro connessione possono essere esaminate congiuntamente, come il decreto ingiuntivo n. 569/2009 fosse stato emesso allorquando P.E.M. aveva già dichiarato di accettare con beneficio di inventario e come il medesimo provvedimento monitorio, una volta notificato, fosse divenuto definitivo, per la scadenza del termine previsto per l’opposizione, prima che fossero state completate le operazioni di inventario. La ricorrente sostiene così che la P. aveva ormai definitivamente acquistato la qualità di erede ed era perciò subentrata nei debiti del de cuius, senza che su questo potesse incidere la mancata redazione o il non tempestivo completamento dell’inventario. Di tal che, la limitazione di responsabilità, che sarebbe derivata dal perfezionamento della fattispecie a formazione progressiva costituita dall’accettazione con beneficio di inventario, avrebbe dovuto essere fatta valere già in sede di opposizione a decreto ingiuntivo. Il giudicato altrimenti formatosi a seguito della mancata opposizione al provvedimento monitorio precludeva, ad avviso della ricorrente, che la detta limitazione di responsabilità potesse essere fatta valere in sede di opposizione a precetto.
1.1. I primi due motivi, che vanno peraltro soggetti ad un rilievo di carattere pregiudiziale, sono in ogni caso da respingere.
Il Tribunale di Sondrio, nella sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello di Milano, ha dichiarato cessata la materia del contendere tra le parti, in conseguenza della maturata inefficacia del precetto per l’inutile decorso del termine di inizio dell’esecuzione. Tale pronunzia ha pertanto affermato che fosse venuto meno il dovere del giudice di pronunziare sul merito della domanda, essendo svanito l’interesse delle parti alla decisione, con conseguente sentenza finale di rito. Di tale sentenza le parti potevano allora dolersi nel merito in sede di impugnazione solo contestando l’esistenza del presupposto per emetterla, risultando invece precluso per difetto di interesse ogni altro motivo di censura, atteso che è comunque onere della parte, che contesti, appunto, la decisione per questioni di merito, impugnare preliminarmente la declaratoria di cessazione della materia del contendere (Cass. Sez. U, 09/07/1997, n. 6226, Cass. Sez. 3, 01/06/2004, n. 10478; Cass. Sez. 1, 28/05/2012, n. 8448; Cass. Sez. 6 – L, 13/07/2016, n. 14341).
Essendo comunque sottratta all’ambito del devoluto in sede di legittimità, sulla base dei motivi di ricorso, la statuizione di cessazione della materia del contendere, la quale è coperta da giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2, va ulteriormente evidenziato come spetti al giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, di deliberare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, con apprezzamento di fatto la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie, e che è sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei, cosa che non si evince nel caso di specie (Cass. Sez. 1, 27/09/2002, n. 14023; Cass. Sez. 3, 14/07/2003, n. 10998).
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, ove intesi come volti unicamente a contestare la soccombenza della Banca Popolare di Sondrio ai soli fini della regolamentazione delle spese, si rivelano comunque infondati.
Deve essere ribadito l’orientamento di questa Corte (a far tempo da Cass. Sez. 2, 15/07/2003, n. 11030; poi Cass. Sez. 2, 09/08/2005, n. 16739; Cass. Sez. L, 06/08/2015, n. 16514) secondo cui, disponendo che “l’accettazione col beneficio d’inventario si fa mediante dichiarazione… ” e che questa “deve essere preceduta o seguita dall’inventario”, l’art. 484 c.c. chiaramente delinea una fattispecie a formazione progressiva, per la cui realizzazione i due adempimenti sono entrambi indispensabili, come suoi elementi costitutivi. Dunque la dichiarazione di accettazione, ha ex se una propria immediata efficacia, comportando il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato e quindi il suo subentro in universum ius defuncti, compresi i debiti del de cuius, senza però incidere sulla limitazione della relativa responsabilità intra vires hereditatis, la quale è condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell’inventario, mancando il quale l’accettante “è considerato erede puro e semplice” (artt. 485, 487 e 488 c.c.), come se non avesse conseguito il beneficio ab initio. D’altra parte, l’intempestivo compimento dell’inventario, se non nella eccezionale previsione dell’art. 489 c.c. (che però concerne unicamente la speciale disciplina stabilita per gli incapaci) non è inserito dall’ordinamento tra le ipotesi di decadenza dal beneficio (artt. 493, 494 e 505 c.c., tutte riferite ad altre condotte dell’erede attinenti alla fase della liquidazione e quindi necessariamente successive alla redazione dell’inventario), e ciò conferma che tale formalità ha natura di elemento costitutivo della fattispecie.
Va allora considerata la parallela costante interpretazione giurisprudenziale, ad avviso della quale l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, determinando la limitazione della responsabilità dell’erede per i debiti del “de cuius” entro il valore dei beni a lui pervenuti, va eccepita nel giudizio di cognizione promosso dal creditore del defunto che faccia valere per intero la sua pretesa, in modo da contenere quantitativamente l’estensione e gli effetti dell’invocata pronuncia giudiziale; ne consegue che, ove non sia stata proposta la relativa eccezione nel processo di cognizione (nè tale fatto sia stato rilevato d’ufficio dal giudice: Cass. Sez. U, 07/05/2013, n. 10531), la qualità di erede con beneficio d’inventario e la correlata limitazione della responsabilità non sono deducibili per la prima volta in sede esecutiva, coprendo il giudicato tanto il dedotto quanto il deducibile (Cass. Sez. 3, 16/04/2013, n. 9158; Cass. Sez. L, 15/04/1992, n. 4633; Cass. Sez. 3, 25/11/1988, n. 6345).
Vale tuttavia il più generale principio in forza del quale il titolo esecutivo giudiziale (nella specie, decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo perchè non opposto) copre i soli fatti estintivi, modificativi o impeditivi del credito intervenuti anteriormente alla formazione del titolo, non potendo essere rimesso in discussione dinanzi al giudice dell’esecuzione ed a quello dell’opposizione per fatti anteriori alla sua definitività. Ciò significa che, qualora a base di una qualunque azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell’esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo, diretto cioè ad invalidarne l’efficacia in base ad eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo solo controllare la persistente validità di quest’ultimo ed attribuire rilevanza ai fatti posteriori alla sua formazione (Cass. Sez. L, 14/02/2013, n. 3667; Cass. Sez. L, 21/04/2004, n. 7637).
Ne consegue che allorchè al momento della formazione del titolo esecutivo giudiziale nei confronti dell’erede per un debito del cuius (nella specie, al momento della conseguita esecutorietà del decreto ingiuntivo 9 novembre 2009 per mancata opposizione nel termine) non fossero ancora decorsi i termini per il compimento dell’inventario da parte del chiamato all’eredità, il quale abbia dichiarato di accettare col beneficio, la limitazione della responsabilità della responsabilità dell’erede per i debiti entro il valore dei beni a lui pervenuti, ex art. 490 c.c., in quanto effetto del beneficio medesimo subordinato per legge alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell’inventario stesso, può essere utilmente eccepita dinanzi al giudice dell’esecuzione ed a quello dell’opposizione, trattandosi di fatto successivo alla definitività del titolo.
- Il terzo motivo di ricorso deduce, da ultimo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., per avere i giudici di merito ravvisato la temerarietà dell’azione promossa dalla Banca Popolare di Sondrio. Tale censura è fondata. La sentenza impugnata ha evidenziato come la Banca avesse agito con grave imprudenza, intimando precetto e quindi minacciando l’esecuzione sulla base di un titolo formatosi prima della chiusura delle operazioni di inventario, dopo aver visto le proprie ragioni negate nello stato di graduazione ed allorquando alla creditrice era ben nota la correlata limitazione di responsabilità della quale la signora P. poteva beneficiarsi.
Nell’accertare la responsabilità processuale aggravata della parte precettante, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., per aver intimato il pagamento di somme che sapeva essere non dovute, il giudice dell’opposizione deve comunque valutare, alla stregua della mala fede o dell’ordinaria diligenza, la condotta tenuta dal creditore nel giudizio di esecuzione (arg. da Cass. Sez. 3, 16/04/2013, n. 9152).
Nel caso in esame, allora, l’evidente complessità delle questioni giuridiche che erano ricomprese nell’oggetto del giudizio di opposizione a precetto appare tale da escludere che l’esercizio dell’azione fosse stato del tutto imprudente. D’altro canto, dall’esposizione dei fatti della causa in esame emerge come la Banca non avesse poi provveduto ad intraprendere l’esecuzione minacciata, con conseguente perdita di efficacia del precetto, sicchè doveva negarsi la ravvisabilità della coscienza dell’infondatezza della pretesa e delle tesi sostenute, ovvero del difetto della normale diligenza funzionale all’acquisizione di detta consapevolezza.
- Conseguono l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, il rigetto del primo e del secondo motivo di ricorso, nonchè la cassazione della sentenza impugnata nei limiti della censura accolta. Non essendo al riguardo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, accogliendo l’appello proposto dalla Banca Popolare di Sondrio avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio n. 338/2014 del 17 settembre 2014 nei limiti del rigetto della domanda di P.E.M. di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., ferma ogni altra statuizione della sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 388/2016 del 3 febbraio 2016, anche quanto alla regolamentazione delle spese processuali, vista la prevalente soccombenza della Banca.
In ragione della prevalente soccombenza della Banca Popolare di Sondrio, alla luce del devoluto, le spese del giudizio di cassazione vanno comunque poste a carico della ricorrente principale nell’importo liquidato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in ragione della censura accolta, e, decidendo nel merito, accoglie l’appello proposto dalla Banca Popolare di Sondrio avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio n. 338/2014 del 17 settembre 2014 nei limiti del rigetto della domanda di P.E.M. di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 10.2000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2018
Originally posted 2021-12-13 07:54:32.