ROVIGO DELITTO 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74
CHIAMA L’AVVOCATO ESPERTO PENALE 051 6447838
delitto p. e p. dagli arti 81 cpv. c.p. e 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74
in ordine al delitto p. e p. dagli arti 81 cpv. c.p. e 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, rispettivamente L.G.C., in qualità di rappresentante legale e C.M., in qualità di amministratore di fatto della E.M.G S.r.l con domicilio fiscale in O. (R.) Via G. C. n. 40/1, esercente attività di commercio al dettaglio di prodotti via interenet, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultavano e/o distruggevano le scritture contabili e i documenti fiscali la cui tenuta è obbligatoria, in guisa da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari, in particolare in sede di verifica fiscale, condotta dalla Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Rovigo (Ro), non esibivano la (contabilità di cui è obbligatoria la conservazione, l’organo di controllo, solo grazie alla banca dati sugli scambi intracomunitari denominata “index vies” ed a seguito dell’esame dei dati ivi comunicati dai fornitori CEE così acquisiti, riusciva ad accertare che la parte aveva occultato e/o distrutto la relativa contabilità obbligatoria:
ed ancora
Dalla lettura degli atti acquisiti nel corso del dibattimento e dalle testimonianze rese dai testimoni esaminati, risulta accertato che la società “E. S.r.l.” abbia svolto, negli anni 2011 e 2012 l’attività imprenditoriale di importazione e di vendita al dettaglio di dispositivi elettronici. Tali operazioni, documentate dalle fatture, dai modelli “Scac”, dai modelli “Intrastat” e dai partitati delle società fornitrici “T.” e “Y.” – in ordine ai quali si è provveduto ad una traduzione dalla lingua tedesca alla lingua italiana a mezzo di incarico conferito all’interprete di lingua tedesca G.F. -, documenti tutti acquisiti dalla Agenzia delle Dogane e acquisite agli atti, non trovavano un riscontro nella contabilità dell’impresa, che non veniva rinvenuta dal personale accertatore e non veniva fornita dai rappresentanti legali della società.
Quanto alla tenuta delle scritture contabili e dei libri-giornali, obbligatoria per le società a responsabilità limitata ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2214 e 2478 c.c., non è stata raggiunta in giudizio la prova in ordine alla loro effettiva istituzione, atteso che il commercialista dott. B. negava di esserne stato il tenutario e il depositario, né risultava altrimenti una loro tenuta.
Di contro, è emersa in giudizio la prova in ordine all’esistenza di fatture di acquisto e di vendita relative all’attività imprenditoriale svolta dalla “E. S.r.l.”.
Osservazioni
Sul punto, è bene precisare come le fatture attive e passive rientrano tra la documentazione fiscale di cui è obbligatoria la conservazione ai sensi dell’art. 22, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 (v., sul punto, Cass., sent. n. 15236/2015).
Dall’occultamento delle predette fatture è derivata l’impossibilità, per la Agenzia delle Dogane, di ricostruire i redditi o il volume d’affari dell’impresa, cosi realizzando l’evento che determina la consumazione del reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROVIGO
Sezione Penale
SENTENZA A SEGUITO DI DIBATTIMENTO
(art. 567 c.p.p.)
Il Giudice del TRIBUNALE DI ROVIGO
Dott.ssa Mabel MANCA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale
NEI CONFRONTI DI:
1) L.G.C. nato il (…) a C. (R.) residente in S. M. M. di O. (R.) V. F., n. 17/a ed elettivamente domiciliato presso lo Studio del difensore Avv. Ivan Agnesini in Via D. Sgarzi, 12 – Rovigo
non comparso – già presente
2) C.M. nato il (…) a B., residente a F. Via S. R., n. 145 ed elettivamente domiciliato presso lo Studio del difensore Avv. Monica Malaguti del Foro di Rovigo sito in Occhiobello (RO) Via Trento, n. 30
libero – assente
IMPUTATI
Come da foglio allegato.
Con l’intervento del Pubblico Ministero: Dott.ssa Marika IMBIMBO (V.P.O. delegato).
Difensori: Avv. Ivan Agnesini del Foro di Rovigo di fiducia per L.G.C. – presente;
Avv. Monica Malagutti del Foro di Rovigo di fiducia per C.M. – presente.
IMPUTATI
in ordine al delitto p. e p. dagli arti 81 cpv. c.p. e 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, rispettivamente L.G.C., in qualità di rappresentante legale e C.M., in qualità di amministratore di fatto della E.M.G S.r.l con domicilio fiscale in O. (R.) Via G. C. n. 40/1, esercente attività di commercio al dettaglio di prodotti via interenet, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultavano e/o distruggevano le scritture contabili e i documenti fiscali la cui tenuta è obbligatoria, in guisa da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari, in particolare in sede di verifica fiscale, condotta dalla Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Rovigo (Ro), non esibivano la (contabilità di cui è obbligatoria la conservazione, l’organo di controllo, solo grazie alla banca dati sugli scambi intracomunitari denominata “index vies” ed a seguito dell’esame dei dati ivi comunicati dai fornitori CEE così acquisiti, riusciva ad accertare che la parte aveva occultato e/o distrutto la relativa contabilità obbligatoria:
– nell’anno 2011 la società risulta cessionaria di acquisti intracomunitari da diversi operatori per un ammontare complessivo di Euro 226.057,01, a fronte dei quali la parte non ha tenuto la relativa contabilità e non ha presentato le relative dichiarazioni;
– nell’anno 2012 la società risulta cessionaria di acquisti intracomunitari da diversi operatori per un ammontare complessivo di Euro 35.758,32, a fronte dei quali la parte non ha tenuto la relativa contabilità.
Accertato in Occhiobello e Rovigo (RO), il 23 luglio 2012 e il 21 ottobre 2013 (data del processo verbale di verifica e constatazione).
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con decreto che dispone il giudizio del 4.7.2017, L.G.C. e C.M. venivano rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000
L’imputato L. presenziava al processo mentre il C., non comparso nonostante la regolarità della notifica del decreto, veniva dichiarato assente.
Atteso l’intervenuto mutamento del giudicante, all’udienza del 23.5.2018 le parti rinnovavano le proprie istanze istruttorie.
L’istruttoria dibattimentale si svolgeva mediante l’esame dei testi del Pubblico Ministero (A.A., N.A., B.L., G.K.), con l’esame dell’imputato L. e con la produzione documentale delle parti.
All’esito le parti discutevano e concludevano come da verbale.
– Dall’esame dei testi A. e N. – entrambi dipendenti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Rovigo – e dalla lettura del processo verbale di constatazione del 21.1.20.2013, agli atti, è emerso che nell’anno 2012 l’Agenzia delle Dogane avviava un’indagine avente ad oggetto le dichiarazioni di acquisto intracomunitarie effettuate dalla ditta “E. S.r.l.”, con sede legale in O. (R.), via C. n. 36, in relazione all’anno 2011 e al primo semestre del 2012. In particolare, la società aveva dichiarato, mediante la compilazione dei modelli cc.dd. Intrastat, l’acquisto di dispositivi elettronici dalla Germania.
In data 23.7.2012 veniva eseguito un sopralluogo presso lo studio contabile depositario delle scritture societarie, dove venivano rinvenuti i modelli Intrastat relativi ai mesi di gennaio e febbraio 2012 e il registro Iva provvisorio del mese di gennaio del 2012: per il resto, uno dei soci dello studio rappresentava che ormai da tempo la società non forniva più la documentazione necessaria per adempiere agli obblighi contabili e fiscali (v. verbale di constatazione agli atti, aff. n. da 6 a 20). I funzionari, non riuscendo a reperire alcuna documentazione relativa all’anno d’imposta 2011, si portavano presso la sede legale della società, dove venivano accolti da tale B.L., il quale forniva loro la visura camerale e il verbale di assemblea redatto circa due settimane prima, dal quale emergeva come la sede legale della società fosse stata trasferita in Ferrara, piazzetta Combattenti n. 1/A: non veniva fornita nessun’altea documentazione.
Tuttavia la banca-dati “Vies” suggeriva come la società attenzionata avesse intrattenuto dei rapporti commerciali con società estere – nella specie, “T.D.” e “Y.” – per l’acquisto di telefoni cellulari e di tali operazioni economiche non era stata fornita alcuna documentazione: l’accertamento conduceva a individuare un ammontare totale di acquisti per il valore di Euro 234.881,01 nell’anno 2011 e 35.758,32 nel 2012, grazie ai dati acquisiti mediante i modelli “Scac” e l’indicazione dell’ammontare delle operazioni di acquisto per ogni trimestre dell’anno 2011 e per il primo trimestre 2012 (v. all. 1 e 2 prodotti dal Pubblico Ministero all’udienza del 23.5.2018).
In particolare, la predetta banca-dati risultava alimentata dai modelli di interscambio “Intrastat” registrati sia dalle società venditrici che dall’acquirente “E. S.r.l,” e forniva un resoconto economico del valore monetario delle vendite effettuate dalle due società tedesche in favore della “E. S.r.l.”: i valori, tuttavia, non coincidevano, atteso che il volume d’affari dichiarato dalle società venditrici superava quello riportato dalla società italiana per l’acquisto: in ogni caso, i partitati della società “T.” mostravano un volume delle vendite verso la “E. S.r.l.” corrispondente a quello indicato nel modello “Scac” (vedi documentazione prodotta dal P.M. all’udienza del 23.5.2018).
Quanto alla compagine sociale, dalla visura camerale effettuata dai funzionari, emergeva che la “E. S.r.l.” era stata costituita con atto del 17.1.2011, poi iscritto il 21.1.2011 e aveva avuto come primo rappresentante legale tale G.C. fino all’1.1.2012; successivamente, dall’1.1.2012 al 28.5.2012 B.L., poi dal 28.5.2012 al 22.11.2012 L.G.C., il quale ne diveniva il liquidatore fino all’1.7.2013 (v. visura camerale prodotta dal Pubblico Ministero all’udienza del 23.5.2018 e pag. 7 del verbale stenotipico del 23.5.2018).
– Il teste assistito B.L. – imputato in numerosi altri procedimenti penali per il reato di truffa, commesso in qualità di legale rappresentante della ditta “E. S.r.l.”, dunque collegato probatoriamente con il reato tributario oggetto del presente procedimento ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p. – raggiunto dagli avvisi di cui all’art. 197 bis c.p.p., decideva di sottoporsi all’esame testimoniale e dichiarava di essere stato assunto da C.M. come magazziniere irregolare della “E. S.r.l.”, in quanto il figlio C.E. lo aveva portato a conoscenza delle difficoltà economiche del teste. Successivamente C.M. gli proponeva di diventare il legale rappresentante della società, prendendo il posto della nuora, G.C., alla quale la società era intestata, con la precisazione che egli avrebbe agito quale mero prestanome della società e che il C. sarebbe stato l’amministratore di fatto (v. pag. 43 del verbale stenotipico del 23.5.2018).
Il B. sottolineava come la gestione della società fosse saldamente nelle mani del C., il quale si occupava da solo dell’amministrazione dell’ente escludendo l’amministratore di diritto e appropriandosi di tutta la documentazione. Il teste aggiungeva che oggetto dell’attività societaria era l’acquisto e la vendita di telefoni cellulari: i dispositivi acquistati venivano consegnati all’azienda mediante un corriere e in tutti i pacchi erano allegate le fatture d’acquisto e le bolle di trasporto, che venivano riposte nell’ufficio del C. (v. pag. 46 del verbale stenotipico cit.).
Al momento della spedizione dei telefoni agli acquirenti, poi, nel pacco veniva inserita la fattura di vendita emessa dalla “E. S.r.l.” e personalmente redatta dal C., il quale stabiliva il prezzo di vendita e stampava la relativa fattura (v. pag. 62 del verbale stenotipico cit.).
Quanto alla contabilità aziendale, il teste riferiva di essere a conoscenza del fatto che il C. avesse affidato l’incarico al commercialista dott. B. con studio in Ferrara, al quale consegnava periodicamente la documentazione contabile prima che il professionista rinunciasse all’incarico. Per il resto, l’intera gestione era nelle mani del C., inclusi i libretti degli assegni e i dati per accedere ai conti correnti on-line.
Dopo circa un anno dall’assunzione dell’incarico cominciavano ad arrivare le prime denunce sporte dai clienti per la mancata consegna della merce da loro acquistata: il C. tranquillizzava il teste, sostenendo che avrebbe trovato una soluzione al problema, se del caso anche aprendo una nuova ditta e chiudendo quella in essere.
Il teste concludeva riferendo di non avere mai ricevuto alcuna comunicazione da parte dell’Agenzia delle Dogane, in quanto il C. ogni mattina seguiva il postino per ritirare personalmente la posta prima che arrivasse in azienda: disconosceva, pertanto, la sigla apposta sulla cartolina di ricevimento di cui all’allegato n. 48 prodotto dal P.M. all’udienza del 23.5.2018).
Quanto a L.C., il teste dichiarava che era stato assunto presso la “E. S.r.l.” quale lavoratore irregolare con la mansione di magazziniere e che anche a lui veniva proposto dal C. di ricoprire l’incarico di legale rappresentante in cambio di una retribuzione più cospicua, a condizione che figurasse quale mero prestanome (v. pag. 55 del verbale stenotipico cit.).
– La teste assistita G.K., imputata in procedimenti connessi con il presente ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p., raggiunta dagli avvisi di cui all’art. 197 bis c.p.p., dichiarava di essere stata amministratrice di diritto della “E. S.r.l.” dal 2011 al gennaio del 2012 e che l’attività di gestione societaria veniva svolta dal suocero, C.M.: la teste si limitava a compiere le operazioni bancarie indicate dal C. – tra le quali, l’apertura di conti correnti bancari e le operazioni di prelievo di denaro Per quanto a sua conoscenza, la società si appoggiava allo studio contabile del dott. B. sito in F. (v. pagg. 7 e 8 del verbale stenotipico del 16.10.2018). Nelle poche occasioni in cui aveva avuto modo di ritirare i pacchi provenienti dai venditori, verificava come all’interno fossero presenti le fatture d’acquisto, che la teste consegnava al C.; con riguardo ai pacchi predisposti per l’invio della merce in vendita, invece, la teste ricordava che all’interno del pacco veniva inserito lo scontrino di vendita (v. pagg. 9 e 10 del verbale stenotipico cit.).
– L’imputato L., personalmente comparendo e decidendo di sottoporsi all’esame ad opera delle parti, dichiarava di essere stato dapprima assunto in nero presso la ditta “E. S.r.l.” da C.M. con la mansione di tuttofare, per poi vedersi attribuire il ruolo di amministratore di diritto e rappresentante legale con la funzione di mero prestanome, attesa l’esistenza di alcune problematiche non meglio precisate che impedivano al C. di figurare quale amministratore di diritto. L’accordo sottostante a tale proposta prevedeva la corresponsione di un compenso al L. pari a Euro 250,00 alla settimana, in cambio dell’apertura di conti correnti societari e personali, la cui gestione, tuttavia, doveva essere di esclusivo appannaggio del C. (v. pag. 9 del verbale stenotipico del 16.1.2019).
L’imputato disconosceva la sigla apposta a suo nome nella cartolina di ricevimento dell’avviso inoltrato dall’Agenzia delle Dogane, di cui all’affoliazione n. 53 prodotta dal Pubblico Ministro all’udienza del 23.5.2018 (v. pag. 14 del verbale stenotipico cit.).
– Infine, il teste dott. B.G. riferiva di avere espletato l’attività burocratica relativa alla costituzione della società “E. S.r.l.” per conto di C.M. e del figlio, ma di non avere svolto alcuna attività contabile per la società successivamente alla sua costituzione: in particolare, negava di essere stato il depositario della documentazione contabile.
L’istruttoria svolta ha consentito di ritenere provata la penale responsabilità del solo C.M. in relazione al reato contestato nel capo d’imputazione.
Dalla lettura degli atti acquisiti nel corso del dibattimento e dalle testimonianze rese dai testimoni esaminati, risulta accertato che la società “E. S.r.l.” abbia svolto, negli anni 2011 e 2012 l’attività imprenditoriale di importazione e di vendita al dettaglio di dispositivi elettronici. Tali operazioni, documentate dalle fatture, dai modelli “Scac”, dai modelli “Intrastat” e dai partitati delle società fornitrici “T.” e “Y.” – in ordine ai quali si è provveduto ad una traduzione dalla lingua tedesca alla lingua italiana a mezzo di incarico conferito all’interprete di lingua tedesca G.F. -, documenti tutti acquisiti dalla Agenzia delle Dogane e acquisite agli atti, non trovavano un riscontro nella contabilità dell’impresa, che non veniva rinvenuta dal personale accertatore e non veniva fornita dai rappresentanti legali della società.
Quanto alla tenuta delle scritture contabili e dei libri-giornali, obbligatoria per le società a responsabilità limitata ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2214 e 2478 c.c., non è stata raggiunta in giudizio la prova in ordine alla loro effettiva istituzione, atteso che il commercialista dott. B. negava di esserne stato il tenutario e il depositario, né risultava altrimenti una loro tenuta.
Di contro, è emersa in giudizio la prova in ordine all’esistenza di fatture di acquisto e di vendita relative all’attività imprenditoriale svolta dalla “E. S.r.l.”.
Invero, il contenuto delle dichiarazioni rese dai testi assistiti B. e G., abbisognevole di riscontri esterni al fine di una sua positiva valutazione in termini di valenza probatoria – essendo applicabile la regola di giudizio di cui all’art. 192, comma 3, c.p.p. in base a quanto disposto dall’art. 197 bis, comma 6, c.p.p. – trova un positivo riscontro tanto nelle dichiarazioni rese dall’imputato, quanto nella produzione documentale avvenuta nel corso del dibattimento ad opera del Pubblico Ministero. Risulta, infatti, provato come l’attività di acquisto e di vendita dei telefoni cellulari fosse accompagnata dalla ricezione di fatture di acquisto da parte dei fornitori tedeschi “T.” e “Y.”, nonché dall’emissione di fatture di vendita da parte della “E. S.r.l.”.
Sul punto, è bene precisare come le fatture attive e passive rientrano tra la documentazione fiscale di cui è obbligatoria la conservazione ai sensi dell’art. 22, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 (v., sul punto, Cass., sent. n. 15236/2015).
Dall’occultamento delle predette fatture è derivata l’impossibilità, per la Agenzia delle Dogane, di ricostruire i redditi o il volume d’affari dell’impresa, cosi realizzando l’evento che determina la consumazione del reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000.
A tale proposito, si osserva come la condotta del reato in esame può consistere sia nella distruzione che nell’occultamento dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo, giacché la distruzione realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si perfeziona con la soppressione della documentazione, mentre l’occultamento – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorrere il termine di prescrizione. Qualora, come nel caso di specie, vengano contestati l’occultamento e/o la distruzione delle scritture contabili, incombe sull’imputato, il quale intenda avvalersi del più favorevole dies a quo relativo al termine prescrizionale connesso all’evento distruttivo, l’onere di dimostrare sia la circostanza che la documentazione contabile era stata distrutta, e non semplicemente occultata, sia l’epoca di tale distruzione, con orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, che si ritiene di condividere (v. Cass., Sez. 3, sent. n. 14461 /2016 – Rv. 269898). Ciò che non è avvenuto nel caso di specie.
Così accertata la verificazione della condotta delittuosa di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000, occorre verificare la sussistenza di una penale responsabilità in capo a entrambi gli odierni imputati.
Quanto a C.M., la sua qualità di amministratore di fatto della “E. S.r.l.” è emersa dalle dichiarazioni rese dai testi B. e G., nonché dall’imputato, e da quanto dichiarato dal teste B., il quale precisava come la costituzione della società in questione fosse riconducibile alla sua esclusiva volontà. Tutti i testi esaminati confermavano la totale ingerenza del C. nella gestione societaria, con l’espresso divieto, formulato agli amministratori di diritto che si succedevano negli anni, di occuparsi di questioni inerenti l’amministrazione economica e contabile della ditta.
Nel caso di specie, deve ritenersi di tutta evidenza come l’imputato, omettendo, come sarebbe stato doveroso, di conservare le fatture relative alle operazioni economiche sottese all’esercizio dell’attività d’impresa, non poteva non rappresentarsi ed accettare che il loro occultamento fosse finalizzato all’elusione degli obblighi di contribuzione fiscale: deve dunque ritenersi provata, per C.M., la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovverosia la finalità di evasione dell’imposta sui redditi o sul valore aggiunto. Infatti, non è emerso in alcun modo che la finalità sottesa all’occultamento delle fatture di acquisto e di vendita avesse altro scopo se non quello di celare al Fisco i ricavi ottenuti dall’esercizio dell’attività d’impresa, al fine di evadere le imposte sui redditi.
Con riguardo, al contrario, alla posizione dell’imputato L.G.C., occorre innanzitutto premettere come l’unica condotta a lui astrattamente a scrivibile sia quella relativa all’occultamento delle fatture contabili a partire dal 28.5.2012, data in cui veniva formalmente investito della carica di rappresentante legale.
Quanto alla sua qualifica di mero prestanome, per come emerso dal suo esame e dalle dichiarazioni rese dai testi B. e G., appare opportuno precisare che la circostanza, affermata dall’imputato, di non aver mai avuto a disposizione le scritture contabili né di aver partecipato alla gestione della società, non è, di per sé stessa, idonea ad escludere la sua responsabilità per il reato contestato: infatti, deve ritenersi applicabile alla fattispecie in esame il principio generale elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in materia di reati fallimentari, secondo il quale l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita, in quanto sussiste il suo diretto e personale obbligo di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione dell’effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (v. Cass., Sez. 5, sent. n. 43977/2017 ).
Tuttavia, del delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000, il mero amministratore di diritto risponde a titolo di concorso con l’amministratore di fatto, a condizione che il prestanome abbia agito col fine specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione fiscale di terzi (v., da ultimo, Cass., sez. F., sent. n. 42897/2018): non risulta raggiunta, nel caso di specie, la piena prova in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo di evasione in capo al L., atteso che è emerso come questi non avesse la minima contezza delle dinamiche di gestione della società e come gli fosse del tutto inibito, da parte del C., informarsi sull’andamento dell’amministrazione contabile. La mancata prova in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo impone pronunciarsi sentenza di assoluzione nei confronti del L. con la formula di cui al dispositivo.
Con riguardo al trattamento sanzionatorio, si stima equo, alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p. – e, in particolare, alla rilevante capacità a delinquere dimostrata dall’imputato e derivante dal coinvolgimento di numerosi prestanome nella gestione fittizia della società “E. S.r.l.” e dalla sua capacità di gestione societaria finalizzata all’occultamento pressoché totale della propria riconducibilità alla società, nonché dal rilevante ammontare dell’imposta evasa – si stima equo determinare la pena base in anni uno di reclusione in relazione ai fatti commessi nell’anno d’imposta 2011, aumentati, per la continuazione con la condotta di occultamento commessa nell’anno 2012, alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione.
Non sono emersi dall’istruttoria elementi idonei a giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore dell’imputato.
Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali ed alle pene accessorie di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 74 del 2000, che si stima equo determinare, per le pene temporanee, nella misura di anni 1.
I precedenti penali gravanti sull’imputato sono ostativi alla concessione dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 c.p.
P.Q.M.
Visto l’art. 530, comma 2, c.p.p.,
assolve L.G.C. dal reato a lui ascritto in relazione ai fatti commessi nell’anno 2011 per non averli commessi.
Visto l’art. 530, comma 2, c.p.p.,
assolve L.G.C. dal reato a lui ascritto in relazione ai fatti commessi nell’anno 2012 perché il fatto non costituisce reato.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,
dichiara C.M. responsabile dei reati a lui ascritti e, riconosciuta la continuazione tra i fatti contestati, più gravi quelli commessi nell’anno 2011, lo condanna alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Applica nei confronti dell’imputato le pene accessorie di cui all’art. 12, comma 1, lett. a), b), c) in misura pari ad anni 1 e l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente della commissione tributaria.
Ordina la pubblicazione della presente sentenza sul sito del Ministero della Giustizia per la durata di giorni 15.
Motivazione riservata in giorni 35.
Conclusione
Così deciso in Rovigo, il 7 maggio 2019.
Depositata in Cancelleria il 11 giugno 2019.
Originally posted 2021-08-11 08:26:11.