BANCAROTTA CASSAZIONE NECESSARIA IN APPELLO MOTIVAZIONE ADEGUATA
“E’ infine solo il caso di rammentare che, come già precisato dalla Corte di Appello, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Rv. 266804 – 01; in motivazione, la Corte ha peraltro precisato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza); come del pari pacifico è che sia sufficiente ai fini dell’integrazione della bancarotta fraudolenta distrattiva il dolo generico sicché il motivo nella parte in cui si appunta nuovamente su tali aspetti è anche manifestamente infondato”.
LA NORMA CHE DESCRIVE LA BANCAROTTA
È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:
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1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato (1) in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
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2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (2).
La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione (3).
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
I giudici di appello debbono motivare adeguatamente la sentenza senza limitarsi a richiamare apoditticamente la decisione di primo grado.
Lo decide la Corte di cassazione con la sentenza n. 15427/2020 depositata il giorno 28/5/2020 U.
UN imputato era stato condannato per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale previsti dalla legge fallimentare.
Tizio condannato in secondo grado per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale accertati nel corso di un fallimento, ricorreva per cassazione al fin di ottenere l’ annullamento della pronuncia di secondo grado.
Giustamente il legale di Tizio impugnava in cassazione la sentenza di Appello che aveva confermato quella di primo grado riportando unicamente una motivazione molto debole che rimarcava e riportava in modo quasi pedissequio quella di primo grado.
BANCAROTTA NECESSARIA IN APPELLO MOTIVAZIONE ADEGUATA : mancava una sostanziale e approfondita motivazione della corte di appello necessaria per le condanne per bancarotta
La loro pronuncia pertanto difettava di tassatività, dato che aveva omesso di prendere posizione su tutti i punti della tesi difensiva tanto da comportare una lesione irreversibile ed irreparabile del diritto di difesa del ricorrente odierno che ne richiedeva la tutela.
Il legale di Tizio vista la debole motivazione chiedeva l’annullamento della sentenza di Appello .
La problematica decisa nel caso di specie, riguarda le modalità di redazione delle sentenze di condanna e gli oneri che incombono sui giudici di merito in tali casi. I giudici della corte suprema assumono una posizione piuttosto rigorosa circa tali modalità individuando in capo ai magistrati precisi obblighi ed oneri che debbono essere in ogni caso ottemperati in sede di redazione dei provvedimenti di condanna per reati fallimentari.
I giudici di cassazione osservano come i giudici di appello che intendano emettere un provvedimento di condanna nei confronti dell’ imputato, non possano motivare la loro decisione con un semplice richiamo apodittico e generico al provvedimento di primo grado, necessitando in tali casi una diversa tecnica redazionale molto più analitica ed estesa diretta a garantire ad ogni modo il diritto di difesa dell’ imputato.
Proseguono infatti i giudici della Corte suprema di cassazione come sia ad ogni modo onere dei giudici di appello redigere una esauriente motivazione del provvedimento decisionale, con un adeguata ed esauriente valutazione di tutti i punti della tesi difensiva e delle eccezioni rappresentate dall’appellante che richiede la revoca del provvedimento.
Abbiamo quindi un rinvio a nuovo processo di rinvio, quindi nei reati di bancarotta la corte di Appello deve dare motivazione esaustiva e non riportare sommariamente le conclusioni di primo grado.
Cassazione penale sez. V, 24/09/2020, n.32413
In tema di reati fallimentari, è sufficiente ad integrare il dolo, in forma diretta o eventuale, dell’amministratore formale la generica consapevolezza, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell’amministratore di fatto. (Fattispecie relativa ai reati di bancarotta fraudolenta documentale e di fallimento per effetto di operazioni dolose di una società “cartiera”, in cui la prova del dolo dell’amministratore di diritto è stata desunta dalla dichiarata conoscenza della indisponibilità di un magazzino a fronte di un elevato fatturato). Cassazione penale sez. V, 11/03/2019, n.15988
In caso di avvicendamento nella gestione di una società, l’amministratore cessato rimane responsabile per l’effettiva e regolare tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica, rispondendo altresì dell’eventuale occultamento della stessa, in tutto o in parte, al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, fermo restando l’autonomo obbligo di quest’ultimo di ripristinare i libri e documenti contabili eventualmente mancati e regolarizzare le scritture di cui rilevi l’erroneità, lacunosità o falsità. Quello di bancarotta documentale impropria rimane comunque reato proprio dell’amministratore, il quale non può, in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente, rispondere anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla dismissione della carica, a meno che non venga provato che egli abbia continuato ad ingerirsi di fatto nell’amministrazione della società ovvero, quale extraneus, sia in qualche modo concorso nelle condotte illecite di cui deve rispondere il nuovo amministratore. Il ruolo di amministratore di fatto va attribuito a chi svolge con continuità atti di gestione della società, ma può rilevare anche un unico atto particolarmente significativo e tale può essere anche la decisione, cui l’amministratore formale si sottometta, di interrompere l’attività imprenditoriale e sospendere qualsiasi annotazione contabile.
Cassazione penale sez. V, 01/03/2019, n.34112
In tema di bancarotta fraudolenta documentale, per poter fondare la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetta “testa di legno”), alla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che derivano dalla accettazione della carica deve essere aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta, bensì effettiva e concreta, della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di farne emergere la strumentalità verso fini di pregiudizio in danno dei creditori: ciò che è imposto dal rispetto del principio costituzionale di colpevolezza. Infatti, se non è revocabile in dubbio che la carica di amministratore di diritto di una società conferisca alla persona che la ricopre doveri di vigilanza e controllo (sintetizzabili nella posizione di garanzia ex articolo 2392 del codice civile), la cui violazione comporta responsabilità penale a titolo di dolo generico, è pur vero che l’addebito di consapevole mancanza di condotta impeditiva del fatto illecito può muoversi soltanto quando la condotta omissiva sia stata accompagnata dalla rappresentazione della situazione anti-doverosa, onde legittimare la prefigurazione dei consequenziali eventi tipici del reato, o, nella prospettazione del dolo eventuale, l’accettazione del rischio del loro accadimento. Riconoscendo, invece, tout court la responsabilità dell’amministratore di diritto, per i fatti di dolosa manipolazione delle scritture o di volontaria, scorretta tenuta del compendio contabile commessi dall’amministratore di fatto si correrebbe il rischio di attentare al principio di personalità della responsabilità penale, ovvero traslare il dolo della bancarotta fraudolenta in un addebito a sfondo meramente colposo.
Cassazione penale sez. V, 08/11/2018, n.9856
L’accettazione della carica di amministratore, in ambito societario, non può costituire di per se, fonte di responsabilità, ben potendo presentarsi situazioni in cui l’amministratore di diritto resti estraneo alle condotte fraudolente poste in essere dall’amministratore di fatto. Affinché si possa ffermare una responsabilità dell’amministratore di diritto per concorso, ex art. 40 c.p., è necessaria la consapevolezza che altri pongano in essere le condotte descritte dalla fattispecie incriminatrice, senza che consapevolezza e va essere necessariamente ricondotta ai singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale.
Cassazione penale sez. V, 26/09/2018, n.54490
In tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto.
Cassazione penale sez. V, 10/07/2020, n.27264
In tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 l. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta. (In motivazione la Corte ha ritenuto corretta l’individuazione dell’imputato – già consulente e creditore della società fallita – quale amministratore di fatto, sulla base di indici sintomatici espressivi dell’inserimento organico, con funzioni direttive, nella sequenza produttiva, organizzativa o commerciale dell’attività sociale, in posizione assolutamente preminente rispetto all’amministratore di diritto, privo di esperienze specifiche nel settore di operatività dell’ente).
Cassazione penale sez. V, 19/11/2019, n.2714
La ricostruzione del profilo di amministratore di fatto deve essere effettuata sulla scorta delle concrete attività dispiegate in riferimento alla società oggetto di analisi, riconducibili, secondo validate massime di esperienza, ad indici sintomatici quali la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte dei dipendenti e dei terzi, l’intervento nella declinazione delle strategie di impresa e nelle fasi nevralgiche dell’ente economico.
Cassazione penale sez. V, 30/04/2019, n.36155
Non integra violazione del principio di correlazione tra il reato contestato e quello ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), la decisione con la quale un soggetto venga condannato per bancarotta fraudolenta nella qualità di socio amministratore di fatto, anziché quale amministratore unico di diritto, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascrittagli.
Cassazione penale sez. V, 03/11/2017, n.54692
La presenza di un amministratore di fatto non salva l’amministratore di diritto dal reato di concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione. Quest’ultimo è, infatti, tenuto al controllo sulla corretta tenuta della scritture contabili. Lo precisa la Cassazione che respinge il ricorso dell’amministratore unico di una Srl fallita, che riteneva di aver ricoperto un ruolo di semplice amministratore di diritto, privo di qualunque capacità gestionale.
Cassazione penale sez. V, 05/12/2016, n.547
Ai fini della responsabilità per bancarotta fraudolenta distrattiva, per la configurabilità della veste di amministratore di fatto in capo ad un soggetto occorre l’esercizio, continuativo e non occasionale, di funzioni riservate alla competenza tipica degli amministratori di diritto e il godimento di un’autonomia decisionale. La prova della qualifica di amministratore di fatto può essere ricavata dal conferimento di una procura generale ad negotia (nel caso di specie, si è fatto riferimento a una procura speciale, in difetto di motivazione circa se, quando e come, la stessa sia stata concretamente usata dall’imputato).
Originally posted 2020-08-15 15:11:05.