DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI
REATO DI DETENZIONE PEDOPORNOGRAFIA :La condotta di chi detenga consapevolmente materiale pedopornografico, dopo esserselo procurato (art. 600 quater c.p.), configura un’ipotesi di reato commissivo permanente, la cui consumazione inizia con il procacciamento del materiale e si protrae per tutto il tempo in cui permane in capo all’agente la disponibilità del materiale.
METTERE I FILE NEL CESTINO NON ELIMINA CERTO IL REATO DI PEDOPORNOGRAFIA- DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI
AVVOCATO DIFENDE REATO PEDOPORNOGRAFIA BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA RIMINI VENEZIA VICENZA
Integra il delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600 quater, c.p.) la cancellazione di “files” pedopornografici, “scaricati” da internet, mediante l’allocazione nel “cestino” del sistema operativo del personal computer, in quanto gli stessi restano comunque disponibili mediante la semplice riattivazione dell’accesso al “file”
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(1)Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600ter, consapevolmente si procura o detiene(2) materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a euro 1.549.
La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità
AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA -AVVOCATO PENALISTA ALTEDO- AVVOCATO PENALISTA BUDRIO, AVVOCATO PENALISTA SAN LAZZARO DI SAVENA
La condotta di chi detenga consapevolmente materiale pedopornografico, dopo esserselo procurato (art. 600 quater c.p.), configura un’ipotesi di reato commissivo permanente, la cui consumazione inizia con il procacciamento del materiale e si protrae per tutto il tempo in cui permane in capo all’agente la disponibilità del materiale. (Fattispecie nella quale la Corte, nel disattendere la richiesta del P.G. di parziale annullamento con rinvio per prescrizione, ha individuato il momento di cessazione della permanenza nell’esecuzione della perquisizione domiciliare all’esito della quale venne sequestrato il materiale che l’imputato, facente parte di comunità virtuali pedopornografiche operanti su internet, aveva scaricato in tempi diversi).
AVVOCATO DIFENDE REATO PEDOPORNOGRAFIA BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA RIMINI VENEZIA VICENZA
ELEMENTI DEL REATO
Al fine di configurare il reato di cui all’art. 600 quater c.p. è necessario che si disponga o ci si procuri materiale pornografico ottenuto mediante lo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, atteso che nel nostro ordinamento, dal punto di vista generale, è lecita la detenzione di materiale pornografico stante la sua differenziazione da quello pedopornografico.
CHIAMA SOLO DI PERSONA POSSIAMO DISCUTERE LA TUA POSIZIONE IN MODO APPROFONDITO IL PENALE E‘ UNA COSA MOLTO SERIA E DELICATA
051 6447838 051 6447838 051 6447838 051 6447838
PROCESSO PENALE AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA
PROCESSO PENALE AVVOCATO PENALISTA MELANO
PROCESSO PENALE AVVOCATO PENALISTA VENEZIA
PROCESSO PENALE AVVOCATO PENALISTA RAVENNA
PROCESSO PENALE AVVOCATO PENALISTA FORLI
PROCESS PENALE AVVOCATO PENALISTA PAVIA
PROCESS PENALE AVVOCATO PENALISTA VICENZA
PROCESSo PENALE AVVOCATO PENALISTA PADOVA
PROCESSo PENALE AVVOCATO PENALISTA CESENA
SEDE UNICA STUDIO A BOLOGNA
Integra il delitto di cui all’art. 600-quater cod. proc. pen. l’accertato possesso di “files” pedopornografici successivamente cancellati dalla memoria accessibile del sistema operativo di personal computer, in quanto l’avvenuta cancellazione determina solo la cessazione CHIAMA SOLO DI PERSONA POSSIAMO DISCUTERE LA TUA POSIZIONE IN MODO APPROFONDITO IL PENALE E’ UNA COSA MOLTO SERIA E DELICATA permanenza del reato e non, invece, un’elisione “ex tunc” della rilevanza penale della condotta per il periodo antecedente alla eliminazione dei “files” sino a quel momento detenuti.
In relazione al delitto di detenzione di materiale pedopornografico, previsto dall’art. 600 quater cod. pen., sebbene non sia ammissibile l’impiego dell’attività di contrasto a mezzo di agente provocatore disciplinata dall’art. 14 della legge 3 agosto 1998 n. 269, è tuttavia legittimo e utilizzabile come prova il sequestro probatorio del corpo di reato, o delle cose pertinenti al reato, eventualmente rinvenuti attraverso siti web “civetta”.
Integra il delitto di detenzione di materiale pedopornografico la cancellazione di “files” pedopornografici, “scaricati” da internet, mediante l’allocazione nel “cestino” del sistema operativo del personal computer, in quanto gli stessi restano comunque disponibili mediante la semplice riattivazione dell’accesso al “file”, mentre solo per i “files” definitivamente cancellati può dirsi cessata la disponibilità e, quindi, la detenzione.
Integra il delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600 quater, c.p.) la cancellazione di “files” pedopornografici, “scaricati” da internet, mediante l’allocazione nel “cestino” del sistema operativo del personal computer, in quanto gli stessi restano comunque disponibili mediante la semplice riattivazione dell’accesso al “file”. (In motivazione la Corte ha precisato che solo per i “files” definitivamente cancellati può dirsi cessata la disponibilità e, quindi, la detenzione).
La nozione di sfruttamento sessuale del minore di anni diciotto, di cui alla previgente formulazione della norma in tema di detenzione di materiale pornografico (art. 600 quater c. p.), lungi dal caratterizzarsi esclusivamente sul piano economico, va intesa come connotante le condotte di approfittamento della condizione propria del minore. (Nella specie il ricorrente assumeva la diversità, tra loro, della originaria nozione di “sfruttamento” e della successiva nozione di “utilizzo” di persone minori impiegate dalla norma).
La condotta di chi detenga consapevolmente materiale pedopornografico, dopo esserselo procurato (art. 600 quater c.p.), configura un’ipotesi di reato commissivo permanente, la cui consumazione inizia con il procacciamento del materiale e si protrae per tutto il tempo in cui permane in capo all’agente la disponibilità del materiale. (Fattispecie nella quale la Corte, nel disattendere la richiesta del P.G. di parziale annullamento con rinvio per prescrizione, ha individuato il momento di cessazione della permanenza nell’esecuzione della perquisizione domiciliare all’esito della quale venne sequestrato il materiale che l’imputato, facente parte di comunità virtuali pedopornografiche operanti su internet, aveva scaricato in tempi diversi).
Non sono punibili a norma dell’art. 600 quater, c.p. (pornografia virtuale), i fatti commessi in data antecedente all’entrata in vigore della L. 6 febbraio 2006, n. 38, in quanto detta fattispecie, introdotta dall’art. 4 della citata legge, nell’attribuire rilievo anche all’ipotesi in cui il materiale pornografico, oggetto dei delitti di cui agli artt. 600 ter e 600 quater c.p., rappresenti immagini “virtuali”, ha portata innovativa e non meramente ricognitiva e chiarificatrice di significati già ricompresi in alcuna delle predette fattispecie incriminatrici.
La detenzione di materiale pornografico di cui all’art. 600 quater c.p. non riguarda il materiale prodotto dallo stesso soggetto agente, contemplando tale norma, di carattere residuale, tutte quelle condotte consistenti nel procurarsi o detenere materiale pornografico fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter c.p. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso, in relazione all’art. 600 ter c.p., la configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 2 c.p. con riguardo al fine di detenere il materiale in precedenza prodotto).
È utilizzabile, in relazione al delitto di detenzione di materiale pedopornografico, il sequestro probatorio del computer contenente detto materiale, pur effettuato a seguito di autorizzazione di perquisizione in relazione alla diversa fattispecie criminosa di pornografia minorile, trattandosi di atto dovuto espletato dalla P.G. nell’ambito dei propri poteri e riguardando bene comunque pertinente al reato di detenzione suddetto.
prova del dolo del reato di detenzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600-quater cod. pen.,
può desumersi dal solo fatto che quanto scaricato sia stato collocato in supporti informatici diversi (ad es, nel “cestino” del sistema operativo), evidenziando tale attività una selezione consapevole dei “file”, senza che abbia alcuna rilevanza il fatto che non siano stati effettivamente visionati.
La configurabilità della circostanza aggravante della “ingente quantità” nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico (previsto dall’art. 600-quater, comma secondo, cod. pen.) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti informatici detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’aggravante in esame risulta configurabile in ipotesi di detenzione di almeno un centinaio di immagini pedopornografiche).
AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA SERGIO ARMAROLI 051 6447838
In tema di reato di detenzione di materiale pornografico, le condotte di procurarsi e detenere tale materiale non integrano due distinti reati ma rappresentano due diverse modalità di perpetrazione del medesimo illecito, sì che non possono concorrere tra loro, se riguardano lo stesso materiale; nell’ipotesi, invece, di materiale pedopornografico procurato in momenti diversi e poi detenuto, ricorre la continuazione tra i reati. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la configurazione della continuazione tra reati di cui all’art. 600-quater cod. pen. in una fattispecie in cui era contestata la detenzione di immagini, alcune procurate con accesso alla rete internet, ed altre contenute in diversi dischi fissi).
La configurabilità della circostanza aggravante della “ingente quantità” nel delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600 quater, comma secondo, c.p.) impone al giudice di tener conto non solo del numero dei supporti detenuti, dato di per sé indiziante, ma anche del numero di immagini, da considerare come obiettiva unità di misura, che ciascuno di essi contiene. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto configurabile detta aggravante in una fattispecie di detenzione di 175 DVD contenenti numerosi files pedopornografici).
La responsabilità per il reato di detenzione di materiale pedopornografico è esclusa in capo al soggetto che detto materiale abbia prodotto, sempre che questi sia concretamente punibile per la condotta di produzione. (Fattispecie di ritenuta applicabilità del reato di detenzione a fronte della non ricorribilità del reato di produzione per mancanza del pericolo di diffusione).
Integra il reato di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600 – quater, c.p.) la semplice visione di immagini pedopornografiche “scaricate” da un sito internet, poichè, per un tempo anche limitato alla sola visione, le immagini sono nella disponibilità dell’agente. (Nella specie, trattavasi di fatto commesso prima delle modifiche introdotte dalla L. 26 febbraio 2006, n. 38).
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In tema di reato di detenzione di materiale pornografico, le condotte di procurarsi e detenere tale materiale non integrano due distinti reati ma rappresentano due diverse modalità di perpetrazione del medesimo reato, sì che non possono concorrere tra loro.DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI
In tema di pornografia minorile, mentre è configurabile il concorso formale tra il delitto di detenzione di materiale pedopornografico e quello di divulgazione di notizie finalizzate allo sfruttamento di minori, diversamente il concorso è escluso tra il delitto di cessione di materiale pedopornografico e quello di detenzione dello stesso materiale, in quanto la condotta di detenzione rappresenta un antefatto non punibile rispetto a quella di cessione, rimanendo assorbita in quest’ultima.DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI
Integra il reato previsto dall’art. 600 quater c.p. (detenzione di materiale pornografico utilizzando minori degli anni diciotto), la condotta consistente nel procurarsi materiale pedopornografico «scaricato» (cosiddetta operazione di “download”) da un sito internet a pagamento, in quanto il comportamento di chi accede al sito e versa gli importi richiesti per procurarsi il materiale pedopornografico offende la libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti come il comportamento di chi lo produce. (In motivazione la Corte, nell’enunciare il predetto principio, ha altresì dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità della norma sanzionatoria sollevata dalla difesa per presunta violazione degli artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 111 Cost.).
Nel reato di detenzione di materiale pornografico l’elemento oggettivo consiste nelle condotte, tra loro alternative, del procurarsi, che implica qualsiasi modalità di procacciamento compresa la via telematica, e del disporre, che implica un concetto più ampio della detenzione, mentre l’elemento soggettivo, costituito dal dolo diretto, consiste nella volontà di procurarsi o detenere materiale pornografico proveniente dallo sfruttamento dei minori. (Fattispecie relativa al reato di cui all’art. 600 quater c.p. prima delle modifiche operate dall’art. 3 L. n. 38 del 2006, e in cui la volontà di detenzione è risultata integrata dal rinvenimento di «files» pornografici scaricati e salvati nel computer dell’imputato benché successivamente lo stesso avesse cancellato parte di essi).
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Nel reato di detenzione di materiale pornografico l’elemento oggettivo consiste nelle condotte, tra loro alternative, del procurarsi, che implica qualsiasi modalità di procacciamento compresa la via telematica, e del disporre, che implica un concetto più ampio della detenzione, mentre l’elemento soggettivo, costituito dal dolo diretto, consiste nella volontà di procurarsi o detenere materiale pornografico proveniente dallo sfruttamento dei minori. (Fattispecie relativa al reato di cui all’art. 600 quater c.p. prima delle modifiche operate dall’art. 3 L. n. 38 del 2006, e in cui la volontà di detenzione è risultata integrata dal rinvenimento di « files» pornografici scaricati e salvati nel computer dell’imputato benché successivamente lo stesso avesse cancellato parte di essi).DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI
L’indulto previsto dall’art. 1, comma secondo, n. 16, della L. 31 luglio 2006, n. 241, non si applica alle pene inflitte per il delitto di detenzione di materiale pornografico di cui all’art. 600 quater, c.p., in quanto la limitazione dell’esclusione del beneficio dell’indulto alla sola ipotesi aggravata costituita dalla detenzione di materiale pornografico di ingente quantità, prevista nell’art. 600 quater, comma secondo, c.p., deve essere riferita alla sola fattispecie di reato costituita dalla detenzione di materiale pornografico di natura virtuale prevista dall’art. 600 quater n. 1, c.p., e non anche all’ipotesi di detenzione di materiale pornografico di natura reale contemplata dall’art. 600 quater, c.p.DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI
In tema di reati relativi alla pornografia minorile, mentre il delitto di cui all’art. 600 ter, comma primo, c.p., ha natura di reato di pericolo concreto, la fattispecie di cui all’art. 600 quater c.p. (anche nella formulazione applicabile al caso di specie, anteriore a quella introdotta con la legge n. 38 del 2006), richiede la mera consapevolezza della detenzione del materiale pedo-pornografico, senza che sia necessario il pericolo della sua diffusione ed infatti tale fattispecie ha carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa della produzione di tale materiale a scopo di sfruttamento.DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI
In relazione al delitto di detenzione di materiale pedopornografico, i risultati delle intercettazioni disposte in un diverso procedimento sono utilizzabili nell’ambito delle indagini preliminari, al fine di acquisire ulteriori fonti probatorie mediante una perquisizione ed il relativo sequestro del materiale. In tal caso, il sequestro risulta legittimo anche se i decreti emessi dal P.M. siano stati adottati ipotizzando la fattispecie criminosa di cui all’art. 600 ter c.p., diversa da quella per la quale l’indagato è sottoposto ad indagini (art. 604 quater c.p.), trattandosi di cose obiettivamente sequestrabili e soggette a confisca obbligatoria, con conseguente applicazione del principio male captum bene retentum
In tema di reati contro la libertà sessuale, non può essere svolta attività di contrasto attraverso l’agente provocatore per l’accertamento di elementi di prova in ordine al reato di detenzione di materiale pedopornografico e conseguentemente gli elementi di prova acquisiti sono inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento ai sensi dell’art. 191 c.p.p., ivi compresa la fase delle indagini preliminari. (La Corte ha altresì affermato che la situazione è mutata per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 10 della legge 11 agosto 2003, n. 228, il quale fa salva al comma secondo la disciplina dettata dall’art. 14 della legge 3 agosto 1998, n. 269).DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI
DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI NEL COMPUTER E CESTINO
CHIAMA SOLO DI PERSONA POSSIAMO DISCUTERE LA TUA POSIZIONE IN MODO APPROFONDITO IL PENALE E’ UNA COSA MOLTO SERIA E DELICATA
051 6447838 051 6447838 051 6447838 051 6447838
La motivazione della sentenza impugnata è solida ed immune da vizi logici, soprattutto sull’elemento psicologico, nonché in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui anche la presenza dei file nella cartella spostata nel cestino integra il reato contestato (Cass., Sez. 3, n. 24345/15, Rv 264307, Cagnazzo, secondo cui “integra il delitto di detenzione di materiale pedopornografico la cancellazione di “files” pedopornografici, “scaricati” da internet, mediante l’allocazione nel “cestino” del sistema operativo del personal computer, in quanto gli stessi restano comunque disponibili mediante la semplice riattivazione dell’accesso al “file”, mentre solo per i “files” definitivamente cancellati può dirsi cessata la disponibilità e, quindi, la detenzione”; si veda anche nello stesso senso la successiva Cass., Sez. 3, n. 11044/17, Rv 269170, S.).
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 maggio 2017, n. 39458
Presidente Amoresano – Relatore Macrì
Ritenuto in fatto
- La Corte d’Appello di Bologna con sentenza in data 4.11.2016 ha confermato la sentenza in data 19.2.2013 del Giudice per le indagini preliminari di Bologna che aveva condannato B.A. , concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 2, giorni 20 di reclusione, oltre pene accessorie e spese, pena sospesa (da intendersi anche quella accessoria secondo la precisazione aggiuntiva della Corte territoriale) e non menzione, confisca e distruzione di quanto in sequestro, per il reato di cui al capo b), art. 600 quater c.p., perché consapevolmente si era procurato ed aveva detenuto all’interno del personal computer il materiale pedopornografico di cui al capo a), da cui era stato assolto perché il fatto non sussiste, e cioè un file video prodotto mediante l’utilizzo di minori di anni 18, in (omissis) .
2. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all’elemento psicologico. Osserva che nel caso dell’art. 600quater c.p., il legislatore aveva inteso circoscrivere la punibilità alle sole condotte di procacciamento e detenzione sorrette da dolo diretto o intenzionale, escludendo la rilevanza penale del dolo eventuale. Nel caso di specie, gli unici elementi certi erano stati l’utilizzo da parte dell’imputato del programma di file-sharing “e-mule” ed il fatto che all’interno del personal computer erano stati rinvenuti dei file di contenuto pedopornografico. Tali elementi non erano sufficienti, di per sé, a far ritenere provata la volontà di procacciamento e detenzione del materiale trovatosi nel computer. Come riferito nel verbale d’interrogatorio del 26.10.2010 ed all’udienza del 19.2.2013 innanzi al Giudice per l’udienza preliminare di Bologna, non era sua intenzione scaricare il materiale pedopornografico, ma materiale pornografico, e si era trattato di un mero errore. Una volta scaricato il materiale, era lo stesso programma che salvava automaticamente e non era stata offerta la prova che il materiale fosse stato coscientemente salvato. Secondo la difesa, la creazione della cartella in cui erano i file poteva essere stata creata apposta per inviare in quell’occasione il download di e-mule; dai dettagli dei file positivi indicati nella relazione si evinceva che erano stati scaricati tramite un download mediante il programma emule con una connessione di lunga durata dalle 19,53 del 6.9.2009 alle 00,28 dell’8.9.2010 con un unico accesso il 9.1.2010; da tale data a quella della perquisizione e del sequestro, 22.2.2010, i file non erano stati più spostati o visionati; se era vero che i file erano sul computer, era vero anche che egli non poteva esserne il detentore perché non ne aveva mai usufruito.
Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione alla mancata applicazione degli art. 131bis c.p. e 129 c.p.p.. La Corte territoriale avrebbe dovuto applicare d’ufficio l’art. 131bis c.p., senza necessità dell’istanza di parte e del suo esplicito consenso, bastando la non opposizione.
Nei motivi aggiunti, insiste sulla mancanza di motivazione in merito all’applicazione dell’art. 131bis c.p. Argomenta che l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d. Lgs. 28/15, ivi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare d’ufficio ex art. 609, comma 2, c.p.p., la sussistenza delle condizioni di applicabilità dell’istituto, fondandosi sulle emergenze processuali e sulla motivazione della decisione impugnata. Premette che l’applicazione dell’art. 131bis c.p. non è stata chiesta dall’imputato nel ricorso in appello, pur essendo possibile, ma in ogni caso la questione è rilevabile d’ufficio perché la norma ha portata generale e sistemica. Contesta l’orientamento di parte della giurisprudenza di legittimità secondo cui la questione dell’art. 131bis c.p. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto dell’art. 609, comma 3, c.p.p., se il predetto articolo era già in vigore alla data di deliberazione della sentenza d’appello, perché la ponderazione sull’esistenza dei presupposti essenziali per l’applicabilità della causa di non punibilità, è caratterizzata da un’intrinseca ed insuperabile natura di merito, siccome a) l’applicazione della norma pone una questione di qualificazione giuridica del fatto e non può inibirsi alla Corte una diversa qualificazione, quando le sue componenti sono accertate in sede di merito; b) non è precluso al giudice di legittimità di adottare una pronuncia di annullamento senza rinvio quando non è richiesta una valutazione sul fatto estranea al sindacato di legittimità; c) le stesse Sezioni Unite n. 13681/16, Rv 266593, Tushaj, sembrano implicitamente avallare tale assunto laddove affermano che “quando non sia in questione l’applicazione della sopravvenuta legge più favorevole ai sensi dell’art. 609, comma 2, c.p.p., l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la deducibilità e rilevabilità d’ufficio della causa di non punibilità”. Pertanto, in applicazione dell’art. 129 c.p.p., in presenza di un ricorso ammissibile, la causa di non punibilità di cui all’art. 131bis c.p. può essere rilevata d’ufficio, anche se non dedotta nel corso del giudizio d’appello, ove pure ciò fosse stato possibile, quando i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano, quindi, necessari, ulteriori accertamenti fattuali a tal fine. Il rilievo d’ufficio non è invece possibile quando occorrono ulteriori indagini di merito, mentre, nella specie, basta una semplice valutazione della corrispondenza del fatto, nel suo minimum di tipicità, al modello legale di una fattispecie incriminatrice. Nel caso in esame, la Corte territoriale aveva rappresentato che la condotta dell’imputato era marginale, avendo ad oggetto solo la detenzione del materiale pornografico, la scarsissima entità del dolo, l’incensuratezza e la giovane età.
La sentenza inoltre aveva motivato in modo illogico, laddove aveva valorizzato il dolo basandosi esclusivamente sulla denominazione dei file detenuti; la condotta delittuosa era stata occasionale; il fatto era certamente di particolare tenuità.
Considerato in diritto
- Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. La Corte territoriale, dopo aver confermato l’accertamento in fatto del Giudice di prime cure che i 13 file a contenuto pedopornografico recavano nomi che indiscutibilmente ed inequivocabilmente rendevano edotti del loro contenuto, ha osservato che chi scarica i file da un programma di file-sharing, quale e-mule, procede, nell’ambito della ricerca impostata, a selezionare i singoli file da scaricare, sicché è del tutto evidente che l’imputato, consapevolmente, aveva scelto di scaricare dei file dall’inequivoco contenuto pedopornografico. Inoltre, dalla relazione della Polizia postale era emerso che i 13 file erano stati rinvenuti all’interno di una cartella che non era quella dei file in arrivo dal programma e-mule, poiché i file, dopo scaricati, erano stati spostati in un’altra cartella e quindi “lavorati”, operazione che aveva reso l’imputato vieppiù edotto del contenuto del materiale scaricato da e-mule. Il ricorrente sostiene che la creazione della cartella si giustificava per il download dei file ma era certo che non ne avesse usufruito, quindi non poteva esserne considerato detentore.
Tale assunto difensivo è fallace. La motivazione della sentenza impugnata è solida ed immune da vizi logici, soprattutto sull’elemento psicologico, nonché in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui anche la presenza dei file nella cartella spostata nel cestino integra il reato contestato (Cass., Sez. 3, n. 24345/15, Rv 264307, Cagnazzo, secondo cui “integra il delitto di detenzione di materiale pedopornografico la cancellazione di “files” pedopornografici, “scaricati” da internet, mediante l’allocazione nel “cestino” del sistema operativo del personal computer, in quanto gli stessi restano comunque disponibili mediante la semplice riattivazione dell’accesso al “file”, mentre solo per i “files” definitivamente cancellati può dirsi cessata la disponibilità e, quindi, la detenzione”; si veda anche nello stesso senso la successiva Cass., Sez. 3, n. 11044/17, Rv 269170, S.).
3.2. Quanto alla mancata applicazione dell’art. 131bis c.p., lo stesso ricorrente ha ammesso di non averne fatto richiesta nella sede appropriata dell’appello. Va data continuità all’orientamento di questa Corte per il quale, in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità (si veda tra le ultime, Cass., Sez. 3, n. 19207/17, Rv 269913, Celentano). - La conclusione è in linea con la stessa sentenza a Sezioni Unite, invocata dal ricorrente, la n. 13681/16, Rv 266554, Tushaj, ove si afferma che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la deducibilità della questione per la prima volta in questa sede nonché il rilievo d’ufficio. Ed invero, va richiamata in termini la sentenza Sez. 6, n. 7606/17, Rv 269164, secondo cui la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod. pen., nel giudizio di legittimità, può essere rilevata d’ufficio, in presenza di un ricorso ammissibile, anche se non dedotta nel corso del giudizio di appello pendente alla data di entrata in vigore della norma, a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali a tal fine. Il che certamente non è nel caso di specie, in cui la Corte territoriale ha ritenuto già mite la pena inflitta in primo grado, in considerazione del numero di file scaricati e della mancanza di qualsivoglia resipiscenza da parte dell’imputato.
3.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
- DETENZIONE FILE PEDOPORNOGRAFICI
- La conclusione è in linea con la stessa sentenza a Sezioni Unite, invocata dal ricorrente, la n. 13681/16, Rv 266554, Tushaj, ove si afferma che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la deducibilità della questione per la prima volta in questa sede nonché il rilievo d’ufficio. Ed invero, va richiamata in termini la sentenza Sez. 6, n. 7606/17, Rv 269164, secondo cui la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod. pen., nel giudizio di legittimità, può essere rilevata d’ufficio, in presenza di un ricorso ammissibile, anche se non dedotta nel corso del giudizio di appello pendente alla data di entrata in vigore della norma, a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali a tal fine. Il che certamente non è nel caso di specie, in cui la Corte territoriale ha ritenuto già mite la pena inflitta in primo grado, in considerazione del numero di file scaricati e della mancanza di qualsivoglia resipiscenza da parte dell’imputato.
3.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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Originally posted 2020-07-17 10:31:26.